“Mens Agitat Molen” (et Vice Versa), la mente e/o lo spirito agita, muove, vivifica la materia, ci suggerisce Virgilio da mezzo secolo prima di Cristo al principio di questa playlist, citato nel testo del suo quarto souvenir da Fabre: un secolo e un quarto dopo (ma pure solo spingendoci qualche decennio più avanti rispetto a quel finire d’ottocento) l’istinto innato (infuso/profuso dal Noùs divino, “[la] mente [che] ha organizzato tutte le cose” di Anassagora - col quale l’autore dei Ricordi Entomologici chiude questa sua quarta serie di quaderni -, giusto per spostarci dalla letteratura/poesia latina alla filosofia greca di 400 anni prima) è un dato di fatto che - nonostante i tentativi operati in tal senso del sublime naturalista/etologo “dilettante” (nel senso che si può applicare al termine se rapportato ad Ernst Jünger e Vladimir Nabokov, ovvero quello etimologico: che (si) diletta nella ricerca, nella scoperta e nello studio) - non collide, ma collima, con la Teoria dell’Evoluzione. Col senno di poi - ma pure d’allora, se si vuol essere integralisti – quest’enorme tentativo di confutazione dell’idea darwiniana, quest’immane spreco di sforzi mirato a intaccarne la pura bellezza “matematica” (l'evoluzione è un puro meccanismo statistico: il caso e il caos che, sotto la spinta dinamica dei rapporti di causa-effetto, diventano ordine in continuo bilanciamento tra assestamento e rivoluzione), non fa che – oltre a contribuire in maniera sostanziale allo sviluppo dell’entomologia applicata, se non alla sua fondazione in chiave moderna e contemporanea – stabilirne la correttezza, l’esattezza, la realtà, la verità. E poi sbagliare dagli errori altrui è meglio che farlo dai propri.
“Non vediamo nulla di questi lenti cambiamenti in atto fino a quando la mano del tempo non segna il lungo trascorrere delle epoche.”
“Molte api sono parassite, e lasciano sempre le loro uova nei nidi delle api di altre razze. Questo fatto è più notevole di quello del cuculo, perché queste api non hanno modificati solamente i loro istinti, ma anche la loro struttura, in relazione alle loro abitudini parassitiche; perché inoltre esse non posseggono l' apparato raccoglitore del polline, che sarebbe necessario quando esse dovessero accumulare il nutrimento per la loro prole. Alcune specie di sfecidi (insetti simili alle vespe) sono parimenti parassite di altre specie; e il Fabre ha recentemente esposto buone ragioni per stabilire che, quantunque la Tachytes nigra costruisca generalmente la propria tana, e vi raccolga le sue prede paralizzate per il nutrimento delle proprie larve; tuttavia, allorché questo insetto trova una tana già fatta ed approvvigionata da un’altra specie, ne prend e possesso e diviene parassita per l’occasione. In tal caso, come avemmo da rilevare per il cuculo e per il Molothrus, io non saprei trovare alcuna difficoltà che l’elezione naturale convertisse un’abitudine occasionale in permanente, se ciò fosse utile alla specie, c quando l'insetto, del quale i nidi e le provviste alimentari sono così proditoriamente usurpati, non venisse perciò sterminato.”
“Il semplice trascorrere del tempo in sé non fa nulla né pro né contro la selezione naturale. Lo dico perché qualcuno ha affermato erroneamente che io ho sostenuto che il fattore tempo ha una parte di primo piano nella modificazione della specie, come se tutte le forme di vita dovessero necessariamente subire un mutamento dipendente dall’azione di qualche legge innata. Il trascorrere del tempo è importante soltanto, ma sotto questo aspetto la sua importanza è grande, in quanto offre maggiori possibilità alla comparsa di variazioni benefiche, alla loro selezione, accumulo e fissazione. Esso tende analogamente ad accrewcere l’azione diretta delle condizioni fisiche di vita in rapporto alla costituzione di ciascun organismo.”
Ecco, dovevo a Charles Darwin il riportarne alcuni passi (in uno dei quali egli stesso cita Jean-Henri Fabre), tratti da differenti versioni, edizioni e traduzioni, dopo che Fabre stesso nelle sue opere ha tentato – fra le mirabili scoperte dovute all’incalcolabile dedizione profusa verso la materia tanto amata – lo smontarne le idee legate alla Teoria dell’Evoluzione e alla continua Origine delle Specie.
Colophon. Jean-Henri Fabre - “Souvenirs Entomologiques - Etudes sur l'Instinct et les Moeurs des Insectes - Troisième (1886) e Quatrième (1891) série”. Edizione italiana: "Ricordi di un Entomologo - Volume Secondo - Terza e Quarta Serie", Adelphi, 2021 - collana: Biblioteca, n. 727 - traduzione di Laura Frausin Guarino - supervisione scientifica di Lara Maistrello - copertina flessibile, rilegato filo refe - 680 pagg., 40.00 €.
Da bambino lo facevo per "gioco scientifico", m'anche oggi se ho tempo e voglia, per diletto (macrofotografia), durante un periodo sufficientemente secco della bella stagione, creo ancora un piccolo appezzamento di fango in giardino (alla bisogna, per traguardare la finalità, può benissimo bastare un quadrato di 20x20 cm, e non occorre nemmeno un - per dirla col provenzale di Fabre - harmas, un terreno più o meno incolto: è sufficiente un balcone e un sottovaso): nel giro di pochissimo tempo (un pomeriggio, m'a volte un quarto d'ora), giungono gli sceliphron (spirifex è autoctono, mentre caementarium e curvatum sono alloctoni, uno di origini nordamericane e l'altro proveniente dal sudest asiatico), imenotteri sfecidi simili a delle vespe dotate però di un lungo petiolo (il "vitino" da vespa) che collega il torace all'addome (le ipotesi sul perché l'evoluzione lo abbia creato/plasmato, cioè favorito, variano dal bilanciamento durante al volo di trasporto del materiale da costruzione alla migliore gestione delle manovre di cattura delle prede, i ragni, con le quali allevano la prole), in cerca del fango necessario ad erigere i loro nidi di terra da posizionare al riparo della pioggia (che, non essendo costruiti con del materiale addittivato con leganti chimico-biologici autoprodotti come avviene con altre specie dello stesso ordine, si sfalderebbero a contatto con l'acqua: altri imenotteri edificano invece tranquillamente le loro case/incubatrici a cielo aperto e i loro nidi sopravvivono anni esposti alle intemperie): sono insetti in perenne, continua esplorazione dell'ambiente che abitano, e se il terreno del loro territorio (possono viaggiare anche per chilometri in un giorno a partire dal loro luogo di nascita) risulta molto arido, basta una piccolissima superficie che "trasmette" umidità per attirarli.
Titolo originale After Truth: Disinformation and the Cost of Fake News
Regia di Andrew Rossi
Con Jack Berkman
Ma ora torniamo a Fabre.
L’asse maggiore delle celle è orizzontale o si allontana di poco da questa direzione; l’apertura guarda sempre verso l’alto. E non può che essere così: un recipiente conserva il suo contenuto solo a condizione di non essere rovesciato. La cella della vespa muratrice altro non è che un contenitore destinato a ricevere le scorte alimentari, mucchietti di piccoli ragni. Inclinato orizzontalmente o leggermente obliquo verso l’alto, il recipiente mantiene il suo contenuto; mentre con l’imboccatura rivolta verso il basso lo farebbe cadere. Insisto un momento su questo piccolo particolare per segnalare un curioso errore ricorrente nei libri. In tutti i testi in cui trovo raffigurato un nido di vespa muratrice, lo vedo riprodotto con l’orifizio delle celle in basso. E sono immagini che si ripetono: quella di oggi riproduce il nonsenso di quella di ieri. Ignoro chi abbia preso per primo questa cantonata e deciso di sottoporre la vespa muratrice a una prova non meno ardua di quella della botte delle Danaidi: riempire un vaso rovesciato.
La locandina di "MicroCosmos" presenta in primo piano un bruco di Cerura (Dicranura) Vinula, lepidottero ropalocero (falena o farfalla "notturna") citato da Fabre nel testo di sponda, a proposito della tematica che più innerva la sua produzione scientifica e letteraria: l'istinto negli insetti e negli altri animali superiori.
Sono il numero, la disposizione, il grado d’indipendenza reciproca dei centri nervosi a guidare il pungiglione; è l’anatomia della preda, molto più della forma, a regolare la tattica del cacciatore.
Prima di concludere voglio citare uno splendido esempio di questo meraviglioso discernimento nel campo dell’anatomia. Ho preso, dalle zampe di un’Ammophila irsuta che lo aveva appena paralizzato, un bruco di Dicranura Vinula. Che strana creatura rispetto al bruco comune! Con il collo che si gonfia in grosse pieghe sotto la cravatta rosa , la parte anteriore sollevata in una postura da sfinge, quella posteriore chiusa da due lunghi filamenti caudali che oscillano lentamente, il bizzarro insetto non è un bruco per il ragazzino che me lo porta, né per l’uomo che se lo trova davanti mentre taglia un fascio di vimini, ma è un bruco per l’ammofila, che lo tratta di conseguenza. Controllo con la punta di un ago i segmenti della curiosa creatura. Sono tutti insensibili, dunque sono stati tutti trafitti.
E non avete (aveva?) visto l'aragostico bruco del notodontide Stauropus fagi.
Vale davvero la pena di perdere il proprio tempo, questo tempo che così presto ci viene a mancare, questa “stoffa della vita”, come dice Montaigne, raccogliendo qua e là fatti di modesta portata, di assai discutibile utilità? Non è un gioco infantile documentarsi con tanta minuzia su vita, morte e miracoli di un insetto? Troppe preoccupazioni molto serie ci attanagliano per lasciarci tempo da dedicare a questi svaghi. Così ci suggerisce la dura esperienza dell’età, e così concluderei io stesso, ponendo fine alle mie ricerche, se non scorgessi nel tumulto delle osservazioni farsi un po’ di luce sulle più grandi questioni che ci sia dato sollevare.
Che cos’è la vita? Potremo mai risalire alle sue origini? Ci sarà consentito di far nascere in una goccia di albume i vaghi fremiti che preludono a un organismo? Che cos’è l’intelligenza umana? In che cosa si differenzia dall’intelligenza dell’animale? Che cos’è l’istinto? Le due facoltà psichiche sono irriducibili? O vanno ricondotte a un fattore comune? Le specie sono collegate l’una all’altra dalla filiazione del trasformismo? O sono altrettante medaglie immutabili, ciascuna marchiata con un conio diverso sul quale il morso dei secoli fa presa solo per prima o poi annientarla? Tali domande sono il rovello di ogni mente illuminata, e sempre lo saranno, anche quando l’inutilità dei nostri sforzi per placarlo ci consiglia di abbandonarle nel limbo dell’inconoscibile. Oggi la teoria, nella sua audace superbia, dà una risposta a tutto; ma poiché mille opinioni teoriche non valgono un fatto, i pensatori liberi da pregiudizi non si lasciano convincere. In tali questioni, che la soluzione scientifica sia possibile o meno, occorre una enorme messe di dati ben fondati; e l’entomologia, malgrado l’umiltà del suo ambito, può portare un contributo di grande valore. Ecco perché io osservo, perché soprattutto sperimento.
Osservare è già qualcosa, ma non è abbastanza: bisogna sperimentare, vale a dire intervenire di persona e creare artificialmente le condizioni che costringano l’animale a svelare ciò che in condizioni naturali non ci direbbe. Mirabilmente organizzate per raggiungere lo scopo perseguito, le sue azioni possono sembrarci più importanti del loro reale significato e farci riconoscere, nella loro concatenazione, quello che ci suggerisce la nostra stessa logica. In questo caso non è l’animale che interroghiamo sulla natura delle sue attitudini o sugli impulsi primordiali della sua attività, bensì le nostre stesse opinioni; e la risposta che diamo si concilia sempre con le idee che accarezziamo. Come ho già dimostrato più di una volta, la sola osservazione è spesso un’illusione: ne interpretiamo i dati secondo le esigenze delle nostre teorie. Perché ne emerga la verità , deve necessariamente intervenire la sperimentazione, l’unica capace di fare un po’ di luce sull’oscuro problema dell’intelligenza negli animali. A volte si è negato che la zoologia sia una scienza sperimentale. La critica sarebbe fondata se la zoologia si limitasse a descrivere, a classificare; ma questa è la parte meno importante della sua funzione: le sue mire sono più alte, e quando essa interroga l’animale su un qualche problema della vita, il suo questionario è la sperimentazione. Nel mio modesto campo, mi priverei del più efficace strumento di studio se facessi a meno dell’esperimento. L’osservazione ci mette davanti il problema, la sperimentazione lo risolve, sempre che lo si possa risolvere; quantomeno, anche se non è in grado di svelarci tutto, diffonde un po’ di luce ai lati dell’impenetrabile nube.
Con Jirí Lábus, Jan Budar, Kamila Magálová, Jaromír Dulava, Ivana Uhlírová
Quando Fabricius istituì il genere Anthidium quale lo intendono ancor oggi le nostre classificazioni, l’entomologia si curava pochissimo dell’animale vivo; lavorava su cadaveri, e questo motodo di dissezione in laboratorio non sembra prossimo alla scomparsa. Si esaminavano meticolosamente l’antenna, la mandibola, l’ala, la zampa, senza interrogarsi sull’uso che l’insetto aveva fatto di quegli organi nell’esercizio della sua attività. Si classificava un animale più o meno come si fa con un cristallo: la struttura era tutto; la vita, con le sue più grandi prerogative, l’intelletto, l’istinto, non contava, non era degna di entrare nell’ambito zoologico.
Bisogna dire che agli inizi si afferma lo studio quasi esclusivo delle necropoli. Riempire i propri contenitori di insetti infilzati è un’operazione alla portata di tutti; ben altra cosa è osservare come quegli stessi insetti vivano, lavorino, si comportino abitualmente. Il nomenclatore cui manca il tempo, e a volte anche il gusto, prende la lente, analizza il morto, dà un nome all’operaio senza conoscerne l’opera. Di qui, tanti appellativi di cui il fatto di suonare male costituisce il difetto minore, giacché alcuni di essi sono grossolani controsensi. Non abbiamo forse visto, per esempio, chiamare Lithurgus, ossia “lavoratore della pietra”, un apide che lavora il legno, e nient’altro che il legno? Simili incoerenze saranno inevitabili finché il senso delle definizioni scientifiche non verrà chiarito con l’aiuto dell’attività dell’animale, sufficientemente conosciuta. Mi piace credere che il futuro farà fare un bel passo avanti all’entomologia: ci si renderà finalmente conto che l’insetto infilzato delle nostre collezioni ha vissuto, e ha vissuto esercitando un mestiere. E i testi anatomici lasceranno il giusto spazio ai testi biologici.
(I moderni testi migliori, infatti, che siano guide da campo o più voluminosi lavori di letteratura scientifica, contangono tanto l'apparato iconografico e le chiavi dicotomiche quanto una parte dedicata all'ecologia e al comportamento delle specie.)
Con John Malkovich, Tim Roth, Isaach De Bankolé, James Fox
Cuore di Terebra.
"La femmina del parassita arriva alla vittima in qualunque punto questa si trovi nascosta; mentre i bruchi e le larve epifite sono facilmente reperibili, le forme endofite, anche profondamente nascoste negli steli o nel legno, non sfuggono al suo attacco: essa infigge l'apice della lunghissima terebra nella pianta in corrispondenza del punto nel quale, grazie alle straordinarie facoltà percettive dei suoi sensilli, ha scoperto la preda, e comincia ad affondare, lentamente ma continuamente, gli stiletti capillari della terebra stessa (mentre le due valve protettrici rimangono fuori), fino a raggiungere la vittima; allora vi depone un uovo e (di solito) una goccia di veleno. In caso di materiale resistente (legno compatto) l'operazione dura delle ore. L'uovo, che può anche essere peduncolato, è deposto nell'interno del corpo o sul tegumento del sacrificato; la larva che ne sguscia può penetrare immediatamente e fare vita endofaga, oppure rimanere ectofaga e succhiare il sangue."
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