All’epoca della pubblicazione delle prime due serie (1879 e 1882) di ricordi entomologici di Jean-Henri Fabre (1823-1915), recentemente riedite da Adelphi in un unico volume nel 2020 (ritradotte per l’occasione rispetto all’edizione anch’essa in singolo tomo dei Millenni einaudiani dei primi anni settanta), Charles Darwin (1809-1882) era ancora vivo, e le incisive, rispettose e reciprocamente utili, se pur rade, scambievoli discussioni tramite carteggio fra il grande scienziato, poeta e rivoluzionario al pari di Galilei e Freud e il narratore studioso autodidatta in situ di entomologia ed etologo-divulgatore à la (vedi ↓ sotto) Konrad Lorenz ante litteram (con un moderno, anzi, meglio, sempiterno, approccio sperimentale alla conoscenza scientifica) vertenti in merito alla Teoria dell’Evoluzione delle Specie plasmata dalla Selezione Naturale, creata/scoperta e provata dal primo, geniale, e avversata/contrastata e incapita dal secondo, scettico, possedevano un valore di mutua parità in quanto a forze in campo, ma dalla pubblicazione della terza serie (1886) in poi, qui raccolta, con la quarta (1891), in un secondo libro stampato nel 2021 (colmando così un vuoto che perdurava da un secolo) dalla casa editrice fondata da Roberto Calasso, è la sola voce di Fabre che si leva, in un non-più-dialogo ch’è per forza di cose diventato monologo, a porre obiezioni alla pura bellezza, eleganza e grazia del costrutto darwiniano, e la cosa, anche a prescindere dal senno di poi di un secolo e un quarto che divide il lettore di oggi da quella diatriba di fine ottocento [e pure sorvolando benevolmente sul fatto che la Teoria dell’Evoluzione delle Specie basata sulla Selezione Naturale è stata definitivamente confermata – oltre che affinata, sintetizzata e sviluppata ulteriormemte attraverso il neo-darwinismo – già a metà del novecento], può risultare, nonostante la lirica prosa che da sempre e per sempre caratterizza l’autore dei Ricordi Entomologici, un po’ irritante/fastidiosa (e non certo per frasi politicamente figlie del loro tempo - ma non del tutto campate per aria, ecco... - come questa: “Venendo dalla Germania, questa teoria [questa volta, ovv.te, non in riferimento a Darwin, ma ad altro: vedi sopra (↑) e sotto (↓); NdA] non può che ispirarmi profonda diffidenza...”).
Perché leggere, oggi, Fabre: oltre al piacere d'assaporare una prosa lirica e schietta, complessa, ma non inutilmente complicata, e di trovarvi dentro futuribili connessioni con lo spirito del tempo più avanzato dell'epoca (ad esempio i riferimenti alla lotta biologica in ambito coltivativo: "...forse la Scolia haemorrhoidalis, che rivaleggia per dimensioni con la scolia dei giardini e che come lei ha bisogno di viveri copiosi, sarà inscritta nell'albo d'oro degli insetti utili a distruggere il maggiolino follatore*, questo splendido coleottero picchiettato di bianco su fondo nero o marrone, che, la sera, nel solstizio d'estate, rosicchia le fronde dei pini. in questi consumatori di larve di scarabei intravedo, senza poter fornire altri dettagli, validi aiuti per l'agricoltura..."), vi è, addentrandosi nei passaggi più controversi, quelli che tentano di confutare il "trasformismo", vale a dire la Teoria dell'Evoluzione - com'er'allora chiamata - proposta da Charles Darwin su idee germinate un secolo prima durante l'Illuminismo, un altrettale piacere: quello di comprendere l'evoluzionismo attraverso il tentativo, già allora fuori dal proprio tempo, di contestarlo con un'elencazione di impossibilità che non fanno altro che confermarne la validità.
A metà degli anni ‘80 del XIX secolo Fabre giunge alla conclusione sperimentale – le pagine che descrivono la nascita della teoria, la preparazione e lo svolgimento degli esperimenti che dovrebbero confermare quella teoria e poi le deduzioni e i risultati a conferma della teoria presupposta sono la quintessenza del metodo scientifico e dell’arte letteraria della narrazione – che le femmine d’imenotteri del genere Osmia sono in grado di scegliere il sesso dei loro nascituri a seconda delle dimensioni della celletta che ospiterà la larva e quindi della disponibilità di cibo (miele e polline) che quella culla potrà contenere (le femmine sono in genere più grandi dei maschi, e le une abbisognano di più spazio e cibo per svilupparsi rispetto agli altri).
Già ai tempi di Fabre si sapeva (e questo lo stesso autore lo scrive, sì, ma solo a 5 pagine dal termine del suo terzo quaderno di ricordi entomologici, che in totale consta di 400 facciate: “Verso la fine delle mie ricerche ho saputo di una teoria tedesca [vedi sopra (↑); NdA] riguardante l’ape domestica…”) di come la regina dell’Apis mellifera/mellifica (e quindi, probabilmente, della maggior parte delle femmine di tutti gli imenotteri, sociali o solitari) sia dotata di un contenitore spermatico (spermateca) nel quale raccoglie lo sperma dopo l’accoppiamento (con uno o più maschi) che le consente di scegliere il sesso dei nascituri: all’origine le uova non fecondate (vergini, ma generanti) danno alla luce (partenogenesi arrenotoca) esclusivamente dei maschi (fuchi) aploidi (che in parte diploidizzano in seguito in molte regioni del corpo), mentre se dalla spermateca la regina, durante la deposizione e il passaggio dell’uovo dalla ovaie all’ovodepositore, attraverso l’ovidotto, rilascia un tot di spermatozoii, fecondandolo, da quell’unione di una coppia di gameti nascerà esclusivamente (discendenza telitoca) una femmina (diploide).
Così, quasi un secolo e mezzo dopo, la cosa può quasi essere data per scontata: “Ogni cella contiene una provvigione di polline e nettare su cui la femmina depone un uovo. Le uova diploidi, da cui si svilupperanno le femmine, sono deposte nelle celle più interne, mentre le uova aploidi, da cui si svilupperanno i maschi, sono deposte nelle celle più esterne. In genere, dato che la taglia corporea delle femmine è maggiore, le provvigioni delle celle femminili sono più grandi di quelle maschili. I nidi completati vengono chiusi con un tappo di fango più spesso. […] Nelle osmie la sex ratio della progenie è sempre spostata verso il sesso maschile (in media 1,7:1).” https://amsdottorato.unibo.it/186/1/Tesi_PhD_Sgolastra_Fabio.pdf
Dizionario/Enciclopedia. Come sempre con gli autori migliori, e Fabre è uno di loro, leggendone le opere interviene un dirozzamento e s’imparano parole nuove o lemmi che ci si era dimenticati d’aver scordato: ptomaine, deiscenza, reptazione… Cercate(ve)le.
Refusi. Ovvero: quando si dice “neanche una virgola fuori posto” (eccellente lavoro di revisione e cura editoriale), ma solo… - un punto e virgola troppo insecabilmente spaziato (che per le norme tipografiche francesi invece rappresenta la regola), a pag. 25: “…più a fondo possibile ; senza alcun disagio…” - e un accento mancante, a pag. 355: “…costruite per prime, e addossata al piano…”.
Colophon. Jean-Henri Fabre - “Souvenirs Entomologiques - Etudes sur l'Instinct et les Moeurs des Insectes - Troisième (1886) e Quatrième (1891) série”. Edizione italiana: "Ricordi di un Entomologo - Volume Secondo - Terza e Quarta Serie", Adelphi, 2021 - collana: Biblioteca, n. 727 - traduzione di Laura Frausin Guarino - supervisione scientifica di Lara Maistrello - copertina flessibile, rilegato filo refe - 680 pagg., 40.00 €.
"Ormai prossimo alla fine dei miei giorni [Fabre in realtà avrà quasi altri trent'anni di vita davanti a sé; NdR], eccomi dunque ancora una volta a Carpentras [...], guardando il Mont Ventoux...".
Si è fatto tardi. Basta così per oggi. Sono esausto, ma largamente ricompensato delle mie fatiche da un bozzolo in pezzi e dalla misteriosa pelle di un misero vermiciattolo. Giovani che vi occupate di storia naturale, volete sapere se arde in voi il sacro fuoco? Immaginate di essere di ritorno da una spedizione simile. Avete sulla spalla il pesante attrezzo del contadino, la schiena indolenzita per esser stati accovacciati a praticare quel laborioso scavo, la testa che vi fuma per la calura di un pomeriggio d’agosto, le palpebre infiammate per la luce violenta di quella giornata, la sete che vi divora, e la polverosa prospettiva dei chilometri che vi separano dall’agognato riposo. Eppure, dentro di voi qualcosa canta; dimentichi delle miserie presenti, vi sentite felici della vostra spedizione. Perché? Perché siete in possesso di un brandello di pelle imputridita? Se è così, andate avanti, miei giovani amici, di sicuro combinerete qualcosa; anche se non è questo, vi avverto, il modo di fare carriera, al contrario!
Al banchetto dell'esistenza ciascuno è di volta in volta commensale e pietanza; oggi mangiatore, domani mangiato; hodie tibi, cras mihi. Tutto vive di ciò che vive o ha vissuto; tutto è parassitismo. L'uomo è il grande parassita, l'accaparratore sfrenato di tutto ciò che è bono da mangiare.
Con Bert Svenhujsen, Jacques Bonnaffé, Barbara M. Messner, Germain Pengel, Yannick Pengel
Trasformazioni sono avvenute in passato, trasformazioni devono accadere. Non potrebbero mostrarci, per favore, trasformazioni che avvengono? Forse che il reale per il passato e il reale per il futuro escluderebbero il reale per il presente? Non capisco.
[Eh già. E ci si potrebbe fermare anche qui, con uno sbuffo di biasimo, perché arrovellarsi per l'impossibilità di catturare l'evoluzione in corso, mentre agisce (l'anello mancante), alla luce dei fatti è un "metodo Cacciari", riducibile a come quando, invece che dedurre "b" avendo a disposizione un punto di partenza "a" e un punto di arrivo "c", si preferisce affermare che "b" non esiste e che in fondo chi ce lo fa fare di andare da "a" e "c", meglio il divano. E fa specie che questa incapacità di comprensione, minata da preconcetti, sia professata da una persona che anche di equazioni differenziali e di calcoli integrali qualcosa ne sa.]
Invano mi scervello per capire da quali indizi il predatore si faccia guidare per non uscire dai confini di uno stesso gruppo in una riserva di caccia tanto varia. [...] Lascio al trasformismo, all'atavismo e ad altre elucubrazioni trascendenti in ismo, l'onore e anche l'onere e il rischio di spiegare ciò che, modestamente, riconosco troppo al di là della mia comprensione.
[L'esistenza e la funzione dei ferormoni (prodotti da ghiandole apposite e i cui organi recettori variano dalle antenne negli insetti agli organi vomero-nasali nei mammiferi) vennero scoperte solo dopo la seconda guerra mondiale.]
Assistiamo in questo caso al travaso di un animale in un altro, alla mutazione della sostanza di calicodoma in sostanza di anthrax; e finché il travaso non è completo, finché l'animale divorato non è interamente sparito per diventare il divoratore, l'organismo devastato lotta contro la distruzione. Che cos'è dunque questa vita, paragonabile alla fiamma di un lumino da notte che si spegne solo quando finisce anche l'ultima goccia di olio? Come può un animale lottare contro la putrefazione finché gli resta un grumo di materia quale fonte di energie vitali? In questo caso le forze della creatura viva si dissolvono non per un'alterazione dell'equilibrio ma perché mancano di un punto cui applicarsi: la larva muore perché materialmente non è più nulla.
Quando Medea volle ringiovanire Pelia, mise in un calderone di acqua bollente le membra fatte a pezzi del vecchio re di Iolco, perché una nuova vita è inconcepibile senza una precedente dissoluzione. Bisogna distruggere per ricostruire; l'analisi della morte è il cammino di avvicinamento alla sintesi di un'altra vita.
Ci sarebbe da scrivere un libro straordinario: "L'Amore negli animali". Un tempo, ho avuto la tentazione di farlo. I miei appunti dormono da un quarto di secolo in un cantuccio dei miei archivi coperti di polvere.
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