Bersagli
- Drammatico
- USA
- durata 90'
Titolo originale Targets
Regia di Peter Bogdanovich
Con Boris Karloff, Tim O'Kelly, Peter Bogdanovich, James Brown, Nancy Hsueh, Sandy Baron

Ebbene si, il primo mese del'anno nuovo ci consegna la prima perdita ullustre della settima arte; Peter Bogdanovich, regista, nonchè il più grande teorico della Nuova Hollywood, la vera mente dietro tale movimento, che per 15 anni, portò avanti un'utopia : industria e libertà creativa totale, potessero coesistere assieme tra di loro, senza scontrarsi tra barricate opposte.
Di origini serbe, ma nato e cresciuto negli USA nel 1939, negli anni 50', muove i primi passi in ambito teatrale come attore, appassionandosi alla settima arte cominciando la propria attività come critico tanto da divenire, assieme ad Andrew Sarris, più fondamentale degli autori dei Cahiers du cinema, per far affermare negli Stati Uniti la teoria della "politica degli autori", contribuendo ad analizzare e far valutare finalmente per il loro valore, cineasti come Hitchcock, Hawks e Ford, i cui ultimi lavori erano sottostimati dalla critica, senza dimenticare di citare le analisi su Jean Renoir, le riscoperte di registi dimenticati come Allan Dwan e soprattutto il legame con Orson Welles, la stima per il suo genio, l'aiuto al maestro ospitandolo in casa sua per 3 anni , che porteranno nel 1994 a pubblicare il fondamentale libro sul più grande regista di sempre; "Il cinema di Orson Welles".
Ma la passione per la regia è molto forte, grazie a Roger Corman esordisce con Bersagli (1968), film a basso costo che mette in parallelo l'eclissi di una star anziana dell'horror come Boris Karloff, con il lento scivolare nella follia di un reduce del Vietnam; bollato dalla critica dell'epoca come thriller hitchcockiano anti-armi, in realtà l'opera è una riflessione amara del trapasso tra vecchio orrore ed il nuovo orrore; vampiri e castelli non fanno paura più, perché al giorno d'oggi terrorizza molto più un anonimo folle, che entra in un parcheggio facendo una strage con il suo fucile.
Il secondo film però lo proietta nella leggenda assoluta, L'Ultimo Spettacolo (1971); il più grande film americano della prima metà degli anni 70', dove mostrano tre giovani in una piccola cittadina del Texas, persi tra svaghi inconsistenti ed un vecchio cinema ancora aperto, unica anima culturale e di ritrovo per la gioventù, che trova nel vecchio Sam il Leone (Ben Johnson), l'anima che tiene in vita il luogo, sparito lui, crollerà velocemente tutto su sé stesso. Riflessione sul tempo che passa inesorabilmente e impossibilità del vecchio cinema di poter mostrare la realtà, seppur riconosciuto come di qualità, il finale tra i più devastanti e struggenti di tutta la storia del cinema, sancisce la definitiva morte di un certo cinema tanto amato quanto impossibile da riportare in vita, il passaggio di consegne tra Vecchia Hollywood e Nuova Hollywood.
Texasville (1991): Peter Bogdanovich, Cybill Shepherd, Jeff Bridges
Forte del successo di pubblico e critica, con ben 7 nomination agli oscar, tra cui miglior film, regia e sceneggiatura non originale (vittoria per i due non protagonisti), Bogdanovich dirige nel 1972 Ma Papà ti manda Sola?, un rifacimento alla larga di Susanna di Howard Hawks, ma anche di tante altre commedie anni 30', Bogdanovich grazie anche allo star-power della coppia O'Neil-Streisand, raggiunge il più grande successo ai botteghini della carriera, con oltre 70 milioni.
Il trittico si completa con il suo secondo capolavoro assoluto Papermoon - Luna di Carta (1973), con cui Bogdanovich partendo dal cinema di Capra, lo smonta e ne supera il modello, tramite una storia ambientata durante la grande Depressione, dove un truffatore ed una bambina che si dice sua figlia, vendono bibbie raggirando le vedove dei defunti, procurandosi bei gruzzoletto. Da ricordare inoltre per la più grande interpretazione di un'attrice minorenne, Tatum O'Neil, che regge tutto il film sulle sue spalle, con vivacità e spontaneità unica, vincendo l'oscar come non protagonista.
Terzo successo di fila, a metà esatti degli anni 70', dopo Coppola ed Altman, Peter Bogdanovich è il più grande regista del mondo tra le nuove leve, però di lì a poco il crollo fragoroso, con i fallimenti di due film veicolo con Cybill Shepperd, nonché degli ulteriori flop di Vecchia America (1976) e Saint Jack (1979), grandi film, poco capiti da una critica che si diverte a massacrare i talenti tanto precocemente elevati quanto di un pubblico poco avvezzo al lato teorico del cinema di Bogdanovich; la mazzata finale giunge però con ...E Tutti Risero (1981), l'omicidio della Stratten da parte del marito geloso, ne affossa l'appetibilita' presso gli studios ed il regista decide di distribuirlo da sè, trovandosi l'opposizione di tutto il sistema Hollywood, che lo boicotta facendolo floppare, contribuendo insieme ad altri fallimenti a mettere fine alla New Hollywood.
L'altra faccia del vento (2018): Peter Bogdanovich, John Huston
Per Bogdanovich è il tracollo definitivo, solo nel dolore, allontanato da tutti, con la sola Audrey Hepburn a consolarlo di tanto in tanto ed il sempre eterno Orson Welles, oramai non sembra avere speranze, fino a quando nel 1985 gli arriva l'offerta di The Mask - Dietro la Maschera, un film molto lontano dal suo cinema, ma in cui insinua la sua arte nella monumentale scena nel luna park, in cui madre e figlio, vedono nella casa degli specchi un possibile futuro normale creato dell'illusione del vetro. L'incasso di oltre 40 milioni, viene eclissato dai contrasti sul set tra il regista e la star Cher, in merito all'uso di primi piani.
Di lì in poi, attraverso gli anni 90', Bogdanovich pur con altrettanti film di qualità, non troverà ulteriori soddisfazioni, arrivando dal 2000 in poi ad avere maggior fama come attore presso le nuove generazioni nella serie TV dei Soprano, arrivando però dirigere per il cinema due opere; Hollywood Confidential (2001), un ritratto caustico di un fatto di cronaca nera raccontatagli da Orson Welles, mettendo alla berlina la casta Hollywoodiana, che appartiene ad un altro pianeta rispetto ai comuni mortali, soggetta a regole e riti propri, un altro disastro ai botteghini e critico, bisognerà attendere ben 13 anni per rivederlo al cinema dietro la macchina da presa, con quello che purtroppo diventerà il suo ultimo lavoro, Tutto può Accadere a Broadway (2014), dove il regista crea un compendio di tutta la propria arte e della propria visione di cinema, fondendo insieme una commedia alla Woody Allen, con omaggi a Ernst Lubitsch e Blake Edwards, con tanto di cameo finale di Quentin Tarantino, che fugge con la protagonista gridando ai quattro venti i capolavori della vecchia Hollywood.
Fermo ai box per via du una Hollywood che non lo capisce e di un pubblico, che lo rifiuta totalmente, prima di morire, riesce finalmente a portare a termine il lavoro di montaggio su The Other Side of the Wind (2018), capolavoro wellesiano frenato in post-produzione per decenni da beghe economico-produttive, finalmente consegnato al mondo in tutta la sua potenza, dove Bogdanovich ha anche un piccolo ruolo come attore.
Con la morte di Peter Bogdanovich, scompare il teorico della Nuova Hollywood, che ha seguito il maestro nel triste destino, prima accolto, poi detestato, ostracizzato, per poi essere demolito definitivamente, quanto ipocritamente rimpianto dai molti dopo la morte.
Titolo originale Targets
Regia di Peter Bogdanovich
Con Boris Karloff, Tim O'Kelly, Peter Bogdanovich, James Brown, Nancy Hsueh, Sandy Baron
Titolo originale The Last Picture Show
Regia di Peter Bogdanovich
Con Timothy Bottoms, Jeff Bridges, Cybill Shepherd, Cloris Leachman
Titolo originale What's Up, Doc?
Regia di Peter Bogdanovich
Con Barbra Streisand, Ryan O'Neal, Madeline Kahn, Kenneth Mars, Austin Pendleton
Titolo originale Paper Moon
Regia di Peter Bogdanovich
Con Ryan O'Neal, Tatum O'Neal, Madeline Kahn, Randy Quaid
Titolo originale Daisy Miller
Regia di Peter Bogdanovich
Con Cybill Shepherd, Barry Brown, Duilio Del Prete, Cloris Leachman, Mildred Natwick
Titolo originale Nickelodeon
Regia di Peter Bogdanovich
Con Ryan O'Neal, Burt Reynolds, Tatum O'Neal, Brian Keith, Stella Stevens, John Ritter
Titolo originale Saint Jack
Regia di Peter Bogdanovich
Con Ben Gazzara, Denholm Elliot, Joss Ackland, Cheong Ah Lew
Titolo originale They All Laughed
Regia di Peter Bogdanovich
Con Ben Gazzara, Audrey Hepburn, John Ritter, Colleen Camp, Dorothy Stratten
Titolo originale Mask
Regia di Peter Bogdanovich
Con Richard Dysart, Eric Stoltz, Cher, Sam Elliott
Titolo originale Texasville
Regia di Peter Bogdanovich
Con Jeff Bridges, Cybill Shepherd, Timothy Bottoms, Cloris Leachman, Randy Quaid, Annie Potts
Titolo originale The Cat's Meow
Regia di Peter Bogdanovich
Con Kirsten Dunst, Edward Herrmann, Eddie Izzard, Cary Elwes, Joanna Lumley, Jennifer Tilly
Titolo originale She's Funny That Way
Regia di Peter Bogdanovich
Con Imogen Poots, Owen Wilson, Jennifer Aniston, Kathryn Hahn, Will Forte, Rhys Ifans
Giusto l'omaggio al regista Bogdanovich che è stato tra le voci più originali della new Hollywood anni 70, con una partenza molto promettente che lasciava sperare alla grande, mentre poi a conti fatti la carriera si è come esaurita negli anni 70 e quello che è venuto dopo non si è più avvicinato a quei livelli. Un regista che amava profondamente il cinema americano di cui è stato un testimone importante visti i suoi rapporti stretti e le sue pubblicazioni su maestri come Welles, Ford e Hawks. Mi sembra giusto onorarne la memoria per quello che ha dato al cinema; allo stesso tempo farne un genio della settima Arte appare piuttosto eccessivo, perché a conti fatti le opere eccellenti si riducono a un solo film che è L'ultimo spettacolo che resta un bellissimo affresco nostalgico ma che certamente non può ambire al titolo di miglior film degli anni 70 perché non è neppure il miglior film dell'anno dato che Arancia meccanica lo batte ampiamente come brillantezza formale e risonanza tematica; purtroppo dopo questo colpo grosso Bogdanovich azzecca ancora ancora un paio di opere di ottimo livello ma poi si perde per strada, forse per colpa di una Hollywood che non lo capisce, forse perché non riesce a stare al passo coi tempi, ma in definitiva la sua figura non può essere avvicinata ai veri geni dell'epoca che restano Scorsese, Coppola, Altman, Allen, volendo anche Spielberg. Un regista che ha dato un valido contributo teorico e anche filmico e che forse non è riuscito ad osare quando la situazione avrebbe richiesto maggiore coraggio da parte sua, ma che merita di essere ricordato e apprezzato dai cinefili odierni
E' un genio che hi ha lasciato film ed opere sul cinema immense, era la memoria storica del cinema americano, più di registi come Renoir o Fritz Lang, per fortuna il suo patrimonio non andato disperso visto che lo ha messo su carta e resterà da tramandare per sempre, se non ci fosse stato questo genio assoluto, Orson Welles stava a vivere sotto i ponti e non avremo mai avuto un'analisi seria su di lui.
Sei troppo dietro la critica ufficiale mainstream, è ovvio che Bogdanovich non lo comprenda, e poi si esalti per una marea di altre stronzate insignificanti. Il suo cinema è difficile, è complesso, è teorico e soprattutto stratificato, richiede la vera conoscenza del cinema in tutto ciò che è stato, dalle opere ai registi sino agli attori.
Ci meritiamo la merda post-moderna, la spazzatura blockbuster, il cinema finto alternativo (in nulla) da Sundance festival e puttanate fanservice nostalgiche come l'ultimo Spider-man.
Bogdanovich ha sempre odiato questo cinema, era il suo nemico, ha sparato a zero contro i cinefumetti, detestava Star Wars (aveva già capito la deriva deleteria che avrebbe preso il cinema), era schifato che uno che si dicesse appassionato di cinema consocesse Robert Downey Jr, o Johanson, ma facesse scena muta su chi fossero Cary Grant o Laurine Bacall, ma alla fine hanno vinto loro, sono riusciti a farlo considerare una pippa che ha azzeccato 2-3 film e che si togliesse velocemente dai coglioni.
Ci sono riusciti.
Non è questione di essere troppo dietro alla critica ufficiale... se uno è un regista medio, ha avuto una carriera media, perché dovremmo gridare al genio? A sto punto pure Curtiz o Fleming o Carol Reed o Demme o Reisz o Forman o Minnelli sarebbero tutti geni, e non lo sono... un regista come Pollack ha una carriera decisamente più interessante e una migliore tenuta complessiva della filmografia. L'ultimo spettacolo ok gran film, ma non vale Il padrino, Taxi Driver, Nashville o Arancia meccanica, non ha quel tipo di impatto epocale, non ha la stessa ambizione a livello formale e non ha avuto un impatto così sconvolgente sul grande pubblico, soprattutto nel nostro paese è largamente dimenticato. Paper Moon è bello, molto sentito e fa un omaggio dichiarato a Capra, ma ugualmente non è opera che ha segnato un prima e un dopo, e infatti poi la carriera di Bogdanovich va rapidamente declinando, non ritroverà più quella felicità espressiva, dunque in questo caso volerlo considerare genio è un po' una forzatura secondo me, perché nessuno o quasi l'ha preso così sul serio.
Mi permetto di inserirmi in questa discussione, visto l'interesse che nutro per i registi da te menzionati, @Steno. Concordo in generale sul fatto che se tiriamo in ballo Kubrick, Altman e Scorsese, beh, non c'è storia: sono probabilmente nella top5 dei registi USA della seconda metà del 900, assieme a Lynch e Wilder (se non vogliamo considerare l'Hitch maturo come "americano" a tutti gli effetti). Però ti chiedo una cosa: se Bogdanovich non fosse mai esistito, il cinema sarebbe stato lo stesso? Probabilmente sì, nel senso che quasi nessuno ha seguito il suo esempio. Però è anche vero che nessun altro a Hollywood ha provato a fare un cinema così dotto, raffinato ed "europeo". Tale "achievement", come dicono gli yankees, è solamente suo: quindi si può dire che senza di lui, il cinema USA sarebbe stato in qualche misura più povero. Bogdanovich ha di fatto mostrato che un altro cinema era possibile in America, aprendo la strada ad una nicchia d'essai che poi è stata subito ostruita. Se non è genio, senz'altro è originalità. E una cosa simile si può dire per alcuni dei nomi che hai fatto: senza Minnelli, il musical non sarebbe stato lo stesso oggettivamente (Un Americano a Parigi, registicamente modernissimo, ha un solo termine di paragone: Cantando Sotto la Pioggia, ovviamente) e lo stesso vale per il melodramma (Qualcuno Verrà è un capolavoro assoluto, superiore anche ai bellissimi film di Sirk). Curtiz ha realizzato i migliori film d'avventura dell'epoca sonora, i "cappa & spada" con Flynn: si sarebbe dovuto aspettare l'81 di Indiana Jones, in pieno post-moderno, per dare una veste nuova al cinema avventuroso. Su Fleming ok, ha avuto culo! :-D Reed ha dato un contributo importante al noir, ma in quell'epoca effettivamente non era l'unico. Demme è stato fra i massimi interpreti del post-moderno nel cinema. Forman ha inventato la Nova Vlna, per poi capitalizzare a Hollywood; Reisz ha inventato il free cinema, per poi capitalizzare a Hollywood. La mia opinione personale è che tutti questi registi (eccetto il miracolato Fleming e in parte Reed) meritino tutti di essere ricordati per una caratteristica particolare, che li rende unici e distanti da ogni altro. Un po’ come Bogdanovich. Poi giustamente tu citi Pollack, che ha firmato alcune perle della New Hollywood, contribuendo alla sua affermazione, ma francamente, al di là di un contabile discorso di “media voti”, fatico a considerare Pollack più genio/originale/creativo/autore dei cineasti sopra menzionati. Quindi il dilemma è: meglio un regista di buon livello, costante nei risultati ma senza una personalità dirompente, oppure meglio uno che realizza un film innovativo (come L’Ultimo Spettacolo) e poi sparisce? Questione di punti di vista.
Bogdanovich dopo l'ultimo Spettacolo non sparisce, se non volete ascoltarmi, comprate il castoro dedicato al regista o ascoltatevi la monografia sul regista fatta da Federico Frusciante, così sta favoletta di un film ed è morto finisce sul serio. Poi certi paragoni :
- Pollack con tutto il bene è un mestierante, ha azzeccato dei film, ma non è un autore ed è andato poi in merda con roba ignobile (La Mia Africa, Socio, remake di Sabrina etc...),.
- Reiz ha solo creato il free cinema, con quel capolavoro immane di Sabato Sera domenica mattina, non il primo coglione che passava.
- Demme è sopravvalutato, Il Silenzio degli Innocenti e poi puff... scomparso.
- Forman era il massimo interprete del nuovo cinema cecoslovacco. Negli USA poi ha fatto grandi cose pure lui.
- Fleming, Via col Vento ed il Mago di Oz sono film di studio più che suoi.
- Curtiz deve essere rivalutato, perchè ci si ferma sempre a Casablanca, Welles lo aveva già capito all'epoca.
- Reed? Sul serio? Due film e poi è finito a fare Oliver.
- Minnelli ha avuto solo la sfortuna di vivere nella stessa epoca del più grande regista di musical di sempre, Stanley Donen.
"Sparito" si fa per dire, suvvia. Dopo L'Ultimo Spettacolo non è stato più lo stesso, perchè fondamentalmente la sua idea di cinema non quagliava con quello che gli chiedevano gli Studios. Vecchia America, Mask, Texasville sono tre diverse fotografie di un fallimento: l'opera ambiziosa ma "sbagliata"; il film su commissione; il sequel del film acclamato. Su Demme ovverrated poi, stendiamo un velo: prima del Silenzio (che resta in ogni caso ancora il miglior thriller da 30 anni a questa parte) aveva realizzato uno dei testi fondamentali per capire gli 80s (Qualcosa di Travolgente) e anche negli 00s ha realizzato un remake superiore all'originale (Manchurian Candidate), uno dei migliori film di fantapolitica dell'ultimo ventennio. Ma in realtà il mio non era tanto un discorso sul valore dei singoli cineasti, quanto una riflessione su cosa sia più valido nella carriera di un regista: se realizzare un film innovativo/epocale o se mantenersi per anni o decenni su uno standard qualitativo alto. P.s. comunque Curtiz e Minnelli erano acclamati già all'epoca per quanto dato ai generi avventuroso e musicale!
Il Silenzio degli Innocenti miglior thriller degli ultimi 30 anni anche no, Michael Mann gli è ben superiore con i suoi thriller metropolitani, inoltre qualche anno prima del film di Demme, Mann fece Manhunter, che purtroppo fu un flop di pubblico bue e critica, perchè anticonformista ed anticommerciale, ma per fortuna oggi rivalutato sempre più e sta soppiantando il Silenzio degli Innocenti. Manchurian Candidate meglio del film anni 60'? Non credo proprio, poi una cosa positiva ce l'ha quel film... fa schiattare Meryl Streep (ed io sono contento).
Bogdanovich comunque di roba recensita molto bene dei dizionari di critica ufficiale ce l'ha, oltre all'Ultimo Speccatolo, da citare Bersagli, Ma Papà ti Manda Sola?, Paper Moon, Mask e Tutto Può Accadere a Broadway. Insomma, un film solo e basta anche no ecco.
Ecco io Michael Mann non l'ho mai capito, ma evidentemente è un problema mio. Per me non c'è paragone tra l'Hannibal demmiano e quello manniano, anche se l'idea di accompagnare la scena clou con gli Iron Butterfly è senz'altro una genialata. Altri film di Mann mi hanno lasciato gelido. Fra i thriller anglofoni degli ultimi 30 anni, a parte ovviamente Lynch che gioca in un campionato a sè, a reggere il confronto col Silenzio metterei giusto History of Violence e, un gradino sotto, L'uomo nell'Ombra (diretti da un canadese e da un polacco, peraltro). Ma la Streep non ti piace come attrice o come personaggio?
Ok la discussione è stata interessante ma devo dissentire completamente sul giudizio che viene dato di Pollack e Demme... Forse facevo meglio a non citarli a questo punto. Caro Carmine lo sai quanto ti seguo e apprezzo su Film TV ma il giudizio che dai di Pollack è completamente falsato, è stato un piccolo maestro certamente non meno di Bogdanovich, anzi ha una tenuta molto più costante. Stesso discorso su Demme: intanto Il silenzio degli innocenti non è assolutamente inferiore a L'ultimo spettacolo, semmai ha avuto un'influenza enormemente superiore su tutto il cinema successivo, e Demme ha un numero maggiore di opere riuscite di Bogdanovich. Ma poi a sto punto, tanto per chiarire un attimo: Bogdanovich tolto L'ultimo spettacolo, Bersagli, Paper Moon e What's up doc e volendo Mask... Ha una sfilza di film o dignitosi o passabili o mediocri o perfino pessimi. A sto punto dai uno sguardo sul Mereghetti, non dico il suo parere sia la Bibbia, ma a partire dagli anni 80 si becca massimo due stelle, parecchi una e mezza, perfino una stella su un film con Natalie wood. Un genio ha una carriera così sprofondata nella mediocrità? Perché credo che se si valutano gli autori si valutano i film, non le opere critiche e non le dichiarazioni di comodo contro i blockbuster, sai che originalità. Sulla Streep, che te devo dire, sembra che se non dici qualcosa di brutto su di lei non sei contento, ok va bene così, voglio vedere un domani chi riuscirà anche solo lontanamente a sostituirla
davvero peccato,un grande regista che mi ha fatto amare il cinema d'autore con commedie fatte degnamente,grazie del ricordo.
Peter Bogdanovich merita rispetto, lui è il cinema, aveva una cultura cinefila sterminata, ho appena visto e recensito E tutti risero, per me un film geniale ed a breve vedrò L’ultimo spettacolo e Paper Moon.
Senza nulla togliere allo splendido scritto di Antisistema, ammetto di collocarmi sulla medesima lunghezza d'onda di steno79. Ho sempre pensato che il vero genio di Bodganovich risiedesse nella critica e nella analisi del cinema, di cui è stato un gigante assoluto, piuttosto che nell'atto creativo dell'arte
In tal senso, Gianni Canova ha scritto benissimo su Instagram che chi non abbia mai visto il docu di Bogdanovich Directed by John Ford "non sa davvero cosa è stato il cinema"
https://www.instagram.com/p/CYbHj0RM6wK/?utm_medium=copy_link
Mah... ok era la memoria storica della settima arte americana, ma come regista era un genio che ha portato con coerenza, convinzione e caparbietà la sua idea di cinema fino a schiantarsi pur di non sottomettersi al sistema.
La penso esattamente come @ed wood sul Bogdanovich creatore artistico: gia dagli anni Ottanta in poi la qualità delle sue opere è calata, Federico Frusciante stesso (che, comunque, non è il vangelo) lo ammette nella sua ottima monografia di luglio 2021. Chi dice che non abbia mai più raggiunto la perfezione assoluta di The Last Picture Show non ha torto. What’s Up, Doc? è notevole ma non un capolavoro. Paper Moon è notevole ma non un capolavoro. Mask è notevole ma non un capolavoro. È come se Scorsese, dopo Mean Streets, avesse fatto solo New York New York, Il colore dei soldi, Cape Fear, The Aviator e Hugo Cabret: tutte opere notevoli e bellissime ma mai al livello di Mean Streets. Questo avrebbe, in una triste ucronia, significato che Scorsese dopo il capolavoro del 1973 fosse finito? Assolutamente no, anzi, penso che qualsiasi aspirante regista avrebbe firmato e firmerebbe ancora oggi per una carriera del genere
Bogdanovich è sparito dopo l’eccezionale film del 1971? No, ‘sparito’ è un parolone che non gli si addice proprio. Però sicuramente non ha più raggiunto quei livelli: segno che, a livello di creazione artistica, avesse esaurito la vena già nel 1971. E sottolineo: a livello di creazione artistica.
Infatti, per me, la reale grandezza di Bogdanovich risiede nel lavoro di analisi critica che ha compiuto, praticamente senza precedenti nella storia della critica cinematografica. Solo Truffaut da questo punto di vista può competere con lui. Lui ha realmente contribuito ad abbattere pregiudizi, a notare peculiarità artistiche che nessuno vedeva, soprattutto nella Hollywood anni Cinquanta. Le sue opere letterarie e i suoi documentari sono ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile, opere d'arte esse stesse che travalicano il genere o la tecnica. Da questo punto di vista è stato un fuoriclasse, un gigante sulle cui spalle noi ancora oggi riusciamo a vedere cosa che non credevamo esistessero
Il coraggio di fare un film in B/N a Hollywood nel 71. E la capacità di farlo venire fuori splendido come L'Ultimo Spettacolo. Ringraziamo quello che avrebbe potuto essere il Truffaut statunitense per aver saputo "doppiare" il brivido dei cowboys hawksiani in partenza per il guado del Red River: quel rapido montaggio di volti esaltati e di cappelli lanciati in aria, che nel capolavoro western del 49 significavano euforia, grinta, futuro in vista, nel capolavoro del 71, rivisti sul grande schermo di un cinema di provincia, significano commiato, malinconia, reverie per un mondo estinto nella realtà e sopravvissuto solo nell'immaginario. Assieme ad American Graffiti, che lo compendia sul fronte pop, L'Ultimo Spettacolo è il primo grande film retròmane del cinema USA e, in quanto tale, si pone già oltre la New Hollywood. Bogdanovich, questo grande amatore di cinema e di bionde, non si sarebbe mai più ripetuto a quei livelli, un po' come Rafelson dopo Cinque Pezzi Facili: non ci sarà mai più un periodo come i primi anni 70 nel cinema a stelle e strisce. Mai più.
Primo grande film retromane? Non saprei, Bogdanovich ha sempre sancito l'impossibilità di replicare il cinema del passato nel presente in cui viviamo, l'Ultimo Spettacolo ne sancisce il trapasso dolce ma amaro e definitivo, l'uomo può vivere di nostalgia, come fa Sam il Leone con il suo cinema di resistenza o ricordando un bagno con la sua ragazza anni addietro, ma traslare il passato nel presente come oggi praticamente il cinema vuole fare, è contronatura, come fare andare dietro un orologio, non è un caso che l'inquadratura iniziale antioraria della mdp, venga ribaltata nel film con un'inquadratura oraria.
Forse "retromane" non è il termine corretto, poichè implica una mania un po' perversa, quasi necrofila, l'hybris presuntuosa del cineasta moderno di vivere in un passato che non esiste più. Correggo dunque il termine con "retroscopico", cioè "che guarda indietro": il film di Bogdanovich è probabilmente il primo che guarda, con consapevolezza, alla Hollywood che fu, sancendo, come giustamente dici tu, l'impossibilità di una sua restaurazione. E' anche per quello che ho tirato in ballo Truffaut e Lucas, due cineasti esteticamente opposti (ma fino ad un certo punto, perchè non dimentichiamoci che Truffaut amava il nascente "blockbuster" al punto da avere una parte in Incontri Ravvicinati di Spielberg), eppure entrambi innamorati degli immaginari che furono.
Peter Bogdanovich più che un regista l'ho sempre sentito come un'incarnazione vivente del Cinema,come se tra lui e il Cinema non ci fosse differenza.Quando vidi per la prima volta L'ULTIMO SPETTACOLO ,provai qualcosa di strano ,come se si aprisse un varco tra me e l'immaginario filmico.Quella porta da allora non si è mai chiusa e continuerà a restare spalancata,a dispetto di questo mondo che quel varco vorrebbe chiuderlo,chiudendo e disertando i Cinema.Templi dell'anima come per i due ragazzi del film di Bogdanovich,per i quali l'ultimo spettacolo rappresenta l'ingresso nella vita,quella vera dell'anima del cuore e del Cinema stesso.La vita è anche lì e noi lo sappiamo bene. Perché per noi l'ultimo spettacolo sarà sempre il primo di una serie infinita.
Claudio ti segnalo questo bellissimo ricordo di Roberto Manassero per Cineforum:
https://www.cineforum.it/focus/In_memoria/Peter-Bogdanovich-Critico-regista
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