Il 2021 finisce e abbiamo ancora il Covid-19 in mezzo ai coglioni, scusate il francesismo, e al cinema bisogna andare con il Super Green Pass e la mascherina FFP2. Alla fine del 2022 potremo dire di essercelo lasciato alle spalle? A questo punto credo di no. Il cinema sopravviverà? Sì, come è sopravvissuto al 2020 ed anche al 2021, anno che ci ha regalato questi bei film a seguire, i miei preferiti del secondo annus horribilis della pandemia.
Se l'eccesso barocco continua ad essere la cifra stilistica dell'autore, qui non si riduce affatto a sterile formalismo, ma diventa veicolo di potente emozione: dapprima il film ci fa ridere moltissimo con i tiri mancini della mamma e la galleria di tipi partenopei che vivacchiano e si arrabattano in adorante attesa dei miracoli dell'argentino, poi il colpo al cuore straziante con la tragedia che travolge l'esistenza del giovanissimo protagonista: il regista mette in scena la dipartita dei suoi stessi genitori con disarmante coraggio nel mettere a nudo un dolore così intimo e personale, suscitando una commozione che un film italiano non mi provocava da non ricordo quando.
The French Dispatch è un film che manderà in visibilio i fans di Wes Anderson, poiché tanto quanto The Gran Budapest Hotel rappresenta una summa dello stile inconfondibile dell'autore. La raffinatezza sopraffina nella composizione delle sue inconfondibili inquadrature centrate o dei movimenti di macchina, l'originalità nel ricreare la sua Francia da sogno romantico della Francia, il gusto ricercato del dettaglio in cui spesso si nascondono chicche di ironia
Non solo un veicolo per la straordinaria interpretazione di un mostro sacro, ma un disorientante viaggio che ci trascina all'interno della mente frammentata e confusa di un malato di Alzheimer, realizzando un efficacissimo parallelismo tra la costruzione drammatica dell'opera ed il suo soggetto.
La sceneggiatura di Competencia Oficial,si rivela quanto mai arguta e spumeggiante, ricca di battute spassosissime, abile a giocare con le personalità di Banderas e Martinez, ciascuno dei quali interpreta un personaggio ispirato a sé stesso, con frecciatine all'attore iberico che si svende a Hollywood per fare parti stereotipate da macho latino o al troppo serioso interprete argentino che dopo vent'anni in Spagna non ha ancora perso il suo accento. Un testo così abilmente congegnato dà a Banderas e Martinez la possibilità di intonare un superbo duetto attoriale, rendendo le loro schermaglie un autentico spasso.
Apichatpong ne trae un'opera magnetica, in cui il regista non rinuncia al suo stile lento e contemplativo, ma riesce comunque a tenerci avvinti per oltre due ore al mistero del suono emergente dagli abissi della memoria. Lo contraddistingue una vena surrealista, mentre l’ossessivo e misterioso suono ha qualcosa di lynchiano. Il regista compone lunghi piani sequenza a macchina fissa e sceglie di evitare i primi piani, mostrandoci i personaggi sempre ad una certa distanza; solo verso il finale vediamo più da vicino il volto della Swinton.
L'autore Éric Gravel, che ha scritto anche la sceneggiatura, rende con estrema efficacia la frenesia di un'esistenza sotto costante pressione per far fronte alle necessità fondamentali della propria famiglia, che purtroppo assomiglia sinistramente a quelle di tante persone reali che dipendono da lavori precari e che sono costrette ad un pendolarismo massacrante. Grazie alla scrittura agile e veloce, all'ottimo lavoro di montaggio e alla colonna sonora incalzante, gli 85 minuti del film ti lasciano senza fiato, proprio come Julie a fine giornata. Una menzione d'onore alla bravissima interprete protagonista Laure Calamy, perennemente sotto l'occhio della macchina da presa, che regala una performance di grande energia.
Nel quartiere Les Olympiades del XIII arrondissement di Parigi si intersecano le esistenze di tre personaggi: una ragazza di origine cinese, un professore nero che ne diventa il coinquilino ed amante ed un'universitaria che a causa della somiglianza con una porno cam-girl si tramuta in oggetto di molestie e ludibrio. La quarta protagonista è proprio la sex performer Amber Sweet, che la vittima del qui pro quo decide di contattare online e con cui stringerà un inatteso rapporto di confidenza e complicità.
Poco sesso e molta profondità e malinconia in questo dramma di grande sensibilità e taglio contemplativo sulla vita di un escort per uomini benestanti, un giovane di campagna perso nella società cinese del XXI secolo, spietata nella spinta alla ricerca del successo economico ad ogni costo, ma ancora tradizionalista nei costumi e aspettative sociali
Jane Campion ritorna dopo dodici anni a dirigere un lungometraggio e sceglie una storia - inaspettatamente per lei - dominata da protagonisti maschili, seppur ci imbastisca una bella riflessione sui ruoli e le gabbie di genere. Comunque l'autrice fa centro con questo affascinante post western ambienato negli Anni Venti di un secolo fa, indagando con sottigliezza i temi della trappola del maschilismo tossico imperante in quella società impietosa e dell'emergere faticoso di identità che oggi definiremmo queer in quel mondo che restava arcaico e selvaggio, ancora alla frontiera della civiltà
In un Brasile distopico, ma neanche troppo lontano dall’attualità, la realtà sociale è dominata dal fondamentalismo cristiano e gruppi di ragazze si organizzano per punire in raid notturni le coetanee scostumate, mentre i ragazzi si arruolano negli esaltati “vigilanti del Signore”. Definito horror, lo è molto più nelle atmosfere inquietanti, tra le cui fonti di ispirazione non manco di identificare Suspiria di Dario Argento, che nella trama, che è soprattutto un atto di accusa e avvertimento nei confronti dei pericoli di una deriva confessionalista, da horror certamente nei suoi esiti sociali.
Una coppia di cineasti giunge in visita all'isola svedese di Farö, dove ha vissuto e girato svariate pellicole il più celebrato regista svedese, di cui sono ovviamente grandi ammiratori. È per loro un momento di crisi creativa e matrimoniale, e per di più vanno pure ad occupare la camera da letto dove è stato girato Scene da un matrimonio, “il film che ha fatto divorziare milioni di coppie”. La regista Mia Hansen Love, anch’ella appassionata frequentatrice dell'isola svedese, dirige con mano leggera e felice un sentito ed affettuoso omaggio a Ingmar Bergman, intessuto ad una riflessione personale sulle dinamiche di coppia.
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