“La vita può divorare [per nutrirsene; NdR] ogni genere di cosa, e solo una di queste è luce.”
“La vita è una macchina [alimentata dalla morte e oliata dall’evoluzione; NdR] per l'omeostasi.”
Theodore Byrne è un quarantenne astrobiologo, un cacciatore di esopianeti di tipo “goldilocks”, ovvero appartenenti a quella fascia nell’orbita di una stella della sequenza principale (nane gialle, come il Sole, arancioni e rosse) denominata abitabile, “temperata”, quella zona ad anello lungo il piano equatoriale del sistema stellare chiamata così perché è teoricamente possibile che si possa trovare sulle eventuali superfici planetarie dell’acqua liquida (Riccioli d’Oro, nella favola, sceglieva sempre la via di mezzo, preferendola agli estremi: materasso troppo duro e troppo molle, zuppa bollente e gelata, etc…), e se una delle due citazioni in esergo all’ultimo romanzo di Richard Powers (1957), candidato al Booker Prize e al National Book Award, parla - con motivata precisione disincantata ed energica tensione etica consacrata alla pura bellezza della conoscenza - della morale di fondo del libro, “Finché si è vivi, è meglio viverla al meglio, la vita” (“Coloro che contemplano la bellezza della Terra trovano riserve di forza che durano fintanto che dura la vita” – Rachel Carson, una degli “spiriti guida” del precedente capolavoro dell’autore, “the OverStory”, vincitore del Pulitzer Prize, che ne ispirò, assieme alla figura di Jane Goodall, una dei molti protagonisti), l’altra è più dedicata e aderente alla professione del protagonista, e, in fondo, a una delle domande ultime, di fondo, dell’esistenza umana tutta, “Dove sono (finiti) tutti quanti?” (“Bisogna dunque ammettere che in egual modo il cielo e la terra e il sole, la luna e il mare e ogni cosa che esiste non siano unici, ma anzi in numero innumerevole” – Lucrezio, “De Rerum Natura”): entrambe coerenti e pertinenti, speculano rispettivamente l’una nell’altra sul significato ultimo dell’esistenza, dal personale (dare un senso alla propria esistenza) all’universale [cercare altra vita, oltre all’hortus conclusus che ci circonda e protegge: extra/inter-planetaria/stellare/galattica: l’eterna questione cristallizzata dal paradosso di Fermi, non risolto dalle magnifiche sorti, e progressive, stimate dall’equazione (variabile) di Drake: in un raggio di 1.000 anni luce 50.000 pianeti potenzialmente ospitanti la vita (ciclo carbonio-ossigeno, e… simili) ed abitabili: l’Universo ha 13,8 miliardi di anni, ma il suo raggio, a causa dell’Espansione, è stimato in circa 46,5 miliardi di anni luce, per un diametro complessivo di 93 miliardi di a.l., ovvero di 28 miliardi di parsec: nella Via Lattea, un disco di 100.000 anni luce di diametro e mediamente 5.000 di spessore, sono presenti all’incirca (una più, una meno, che faccio, lascio?) 500 miliardi di stelle, e il numero delle galassie presenti nell’universo osservabile si aggira fra i duemila miliardi e una cifra 10 volte superiore, mentre il loro numero totale è, semplicemente, innumerabile: e quello dei pianeti, di conseguenza...].
La differenza fra una volta e per sempre. / L’universo è gravido ovunque o è infecondo.→→→
→→→ La vita: una volta è un caso, due è inevitabile. / L’assenza della prova non significa la prova dell’assenza.
Theodore Byrne aveva un sogno, una moglie e un figlio: il sogno [dopo Hubble (operativo dal 1990 e attualmente ancora in servizio) e Kepler (2009-2018), che lavora(va)no nello spettro della luce visibile all’occhio umano, toccherà al Webb (nel romanzo interpretato dal Seeker e dal successivo NextGen), che sfrutterà gli infrarossi e cercherà, fra le altre cose, esopianeti, sintonizzandosi su quelle lunghezza d’onda, e sarà lanciato la vigilia di Natale di quest’anno] è stato neutralizzato dal combinato disposto di due minoranze, una ignorante e una indifferente (coi due insiemi che si sovrappongono per una certa quota parte, caratterizzata dalla cattiveria), che sommandosi assieme sono andate a comporre una maggioranza decisionale, la moglie è stata falciata dalla casualità sterzante rappresentata dalla risposta istintiva ad un metateride (marsupiale nordamericano) attraversante una strada, e il figlioletto di nemmeno 10 anni, intelligente, brillante, curioso (“scopre” da sé l’argomentazione inerente il paradosso di Olbers, enunciandone al padre la domanda insita), “sofferente” di un disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento qual è la sindrome di Asperger, e “innamorato” platonicamente di un alter ego letterario di Greta Thunberg, rimane sopraffatto (a causa della sospensione della terapia di stimolazione neuronale basata sulla somministrazione elettrica delle registrazioni dell’attività cerebrale emotiva della madre defunta che in poche sedute lo aveva reso una persona simile alla protagonista ipertimica di “Generosity”, che l’esuberante felicità la produceva da sé tramite continua sollecitazione di una specifica produzione ormonale) dalla perfida idiozia umana (nello specifico: la rielezione di Donald Trump e tutta la coorte di sudditi minchioni votata da una pletora di pericolosi babbei, praticamente, sul totale degli aventi diritto, un quarto di elettori effettivi e metà di astensionisti) preferendo abbattere, immerso per metà nell’acqua gelida, dannosi cairn (gli “ometti” in pietra, così utili lungo i sentieri poco tracciati e segnalati di montagna, e così nocivi in ambito fluviale, non per la loro natura, ma perché per costruirli si distrugge e smantella l’ecosistema torrentizio: nidi, ripari, tane) eretti senza soluzione di continuità lungo il letto di un ruscello da una massa di gitanti della domenica, invece che…
“Mentono tutti.” Non capivo se stesse perdonando me o condannando l’intera umanità.
Non v’è alcun lieto fine in questo 13° romanzo dell’autore (oramai quasi tutti tradotti in italiano - da Bollati Boringhieri, Fanucci, Mondadori e la Nave di Teseo -, con solo due eccezioni: “Operation Wandering Soul” e “Plowing the Dark”) in 36 anni di attività: il duplice, dicotomico e inidentico smarrimento, quello di fronte alla Bellezza del “creato” e quello scatenato dall’Apocalisse “lenta” (di Homo s. sapiens, non di Sol 3), ha caratteristiche simili: in un caso la contemplazione che sfocia in estasi panica sprona all’azione intellettuale degl’individui migliori, nell’altro lo stornare dello sguardo di specie spinge alla regressione e all’inedia evolutiva.
- Non puoi predire il passato, papà. - Puoi se non lo conosci ancora.
Gli intermezzi dei racconti esplorativi d’altri mondi ricordano ancora un altro dei protagonisti di “the OverStory”, il creatore di videogiochi interattivi action-adventure di generazione procedurale open-universe (esplorazione e colonizzazione spaziale, tipo “No Man’s Sky” della Hello Games), qui sostituito dallo stesso protagonista di “Bewilderment”, il quale ha creato per il figlioletto un programma molto più basico ma che, in piccolo, corrisponde a quello di world building professionale.
Imparare ad assomigliare a ciò che si ama.
Con questo “instant book” contro l’era trumpiana degli idioti in marcia [il romanzo sì svolge durante un periodo di accentuazione degli scontri lungo l’infinita guerra civile americana eterna: è ambientato durante la fine di un distopico (peggiore) primo mandato Trump, mentre il presidente in carica annulla le elezioni per presunti brogli elettorali e viene successivamente rieletto] per un pugno di voti senza alcuna speculare protesta da parte delle opposizioni], Richard Powers supera il sé stesso degli ultimi tempi (quello di “Orfeo”), sfiorando le vette raggiunte con “Gain” , e accostandosi all’esordio di “Three Farmers on Their Way to a Dance” e i successivi “Prisoner’s Dilemma”, “Galatea 2.2” e “the Echo Maker”, mentre i mastodontici e fenomenali “the Gold Bug Variations” e “Time of Our Singing” sono di un’altra razza/genere/stazza.
“Possano tutti gli esseri senzienti essere liberati dalle sofferenze inutili.” →→→ “Possano tutti gli esseri viventi liberarsi di noi.”
Finisce male, questa bellissima storia, almeno in parte, ma solo perché è questo che fanno, le fini: pongono termine. La Terra è condannata, certo: fra 4 miliardi di anni il Sole se la mangerà durante la sua bulimica espansione. Per adesso, invece, è più prosaicamente condannata a espellerci attivando due o tre lineette di febbre su scala planetaria, così come un organismo complesso espelle batteri e virus. Un buon pianeta, con degli inquilini occupanti l’attico così stupidi, e meravigliosi. Tanto vale godersela, nel frattempo, e per fortuna, per alcuni esseri umani, godersela è sinonimo di fare la cosa giusta.
La ruota di Plutchik...
Colophon. Richard Powers - “Bewilderment” - 2021 (“Smarrimento” - la Nave di Teseo, 2021 - traduzione di Licia Vighi: lavoro “improbo”, il suo: non è Luca Briasco, ma il risultato è discreto - 396 pagg., 20.00 €)
Refusi. Pag. 120: “Deve aver sentito…”: “Doveva/Dovette”. [Consecutio temporum.] Pag. 139: “Ovunque andassimo, la vita sarebbe stata sempre da qui.” [???]
Con Daniel London, Will Oldham, Tanya Smith, Robin Rosenberg, Keri Moran, Autumn Campbell
Dalle Cascades alle Smoky Mountains… Da “the OverStory” a “Bewilderment”…
Si sentiva piuttosto fortunato. Anche io. Sei diversi tipi di foresta tutt’intorno a noi. Millesettecento piante in fiore. Più specie di alberi di quante ce n’erano in tutta Europa. Trenta tipi di salamandra, per l’amor di Dio. Sol 3, quel puntino blu, aveva molto da offrire, se si riusciva ad allontanarsi dalle specie dominanti abbastanza a lungo da schiarirsi le idee.
Di ritorno al campeggio, sentii un forte senso di attualità. Da una parte all’altra del mondo stavano accadendo fatti urgenti di cui non sapevo nulla. Messaggi da parte dei colleghi si stavano accumulando nella mia casella di posta in arrivo offline, astrobiologi di cinque continenti facevano conciliabolo sulle pubblicazioni più recenti. Piattaforme di ghiaccio si stavano staccando dall’Antartide. Capi di stato stavano testando i limiti estremi della sprovvedutezza pubblica. Piccole guerre stavano scoppiando ovunque.
Feci resistenza al delirium tremens dell’informazione, mentre Robin e io raschiavamo rametti di pino per il fuoco. Avevamo legato i nostri zaini su un filo tra due sicomori, dove neppure gli orsi all’ingrasso avrebbero potuto raggiungerli. […]
Robin fissava le fiamme. In un tono uniforme e robotico che avrebbe messo in allarme il suo pediatra, disse con voce piatta: “La bella vita.” Un minuto dopo: “Mi sento di appartenere a questo posto.”
Non facemmo nulla a parte guardare le scintille, e lo facemmo bene.
Condividono tante cose, l’astronomia e l’infanzia. Entrambe sono viaggi lungo enorme distanze. Entrambe cercano fatti ben oltre la loro capacità di comprensione. Entrambe teorizzano enormemente e lasciano che le possibilità si moltiplichino senza limiti. Entrambe sono mortificate a intervallo di qualche settimana. Entrambe agiscono per ignoranza. Entrambe sono ingannate dal tempo. Entrambe stanno sempre cominciando qualcosa.
“Qui sulla Terra, ci furono gli archei e i batteri e nient’altro che archei e batteri per due miliardi di anni. Poi arrivò qualcosa di tanto misterioso quanto l’origine della vita stessa. Un giorno, due miliardi di anni fa, al posto di un microbo che ne mangiava un altro, uno prese l’altro dentro la sua membrana e si misero in affari insieme.”
[I mitocondri: cellule proto-eucariote che hanno fagocitato batteri ancestrali (endosimbiosi); NdR]
A inizio marzo il presidente invocò la legge sulle emergenze nazionali del 1976 per arrestare una giornalista. La donna aveva pubblicato dei rendiconti provenienti da una gola profonda della Casa Bianca e si era rifiutata di rivelare la sua fonte. Così il presidente ordinò al dipartimento di giustizia di ordinare al tesoro di diffondere qualunque relazione di attività sospetta su di lei. Sulla base di questi rapporti e su ciò che il presidente definiva “soffiate credibili da parte di potenze straniere”, la trattenne in stato di fermo.
I mezzi d’informazione alzarono un polverone. O quantomeno metà di essi. I tre principali candidati dell’opposizione alle elezioni del successivo autunno affermarono cose che il presidente stigmatizzò sostenendo che “aiutassero e appoggiassero i nemici dell’America”. Il leader della minoranza del senato definì il provvedimento la crisi costituzionale più preoccupante del nostro tempo. Tuttavia, le crisi costituzionali erano diventate la routine.
Tutti aspettavano che il Congresso prendesse l’iniziativa. Ma non ci fu alcuna iniziativa. I senatori nel partito del presidente – anziani armati di voti – insistevano sul fatto che nessuna legge era stata infranta. Non presero sul serio le violazioni del primo emendamento. Scontri violenti dilagarono a Seattle, Boston e Oakland. Ma la società, me incluso, diede prova ancora una volta di quanto sia bravo il cervello umano ad abituarsi a qualsiasi cosa.
Tutto era successo alla luce del sole, e contro la spudoratezza, l’indignazione era impotente.
Il progetto di legge che lei sosteneva era in anticipo di decenni. Non aveva alcuna possibilità di passare, e lei lo sapeva. Aly però giocava una partita lunga – una partita lunga quanto il tempo rimasto per giocare.
La prima volta che Tedia morì, una cometa spazzò via un terzo del pianeta trasformandolo in una luna. Su Tedia non sopravvisse nulla.
Dopo 10 milioni di anni, ricomparve l'atmosfera, l'acqua fluì di nuovo e la vita risplendette una seconda volta. Le cellule impararono quel trucco simbiotico di combinarsi l'una con l'altra. Grandi creatura si diffusero ancora una volta in ogni angolo del pianeta. Poi, una lontana esplosione di raggi gamma dissolse lo strato di ozono di Tedia e le radiazioni ultraviolette uccisero ogni cosa.
Frammenti di vita sopravvissero negli oceani più profondi, così questa volta il ripristino fu più veloce. Foreste laboriose si distribuirono di nuovo da una parte all'altra dei continenti. Un milione di anni dopo, mentre una specie di cetacei stava cominciando a creare degli strumenti e l'arte, un sistema stellare vicino fu interessato da una gigantesca esplosione, e Tedia dovette ricominciare da capo.
Il problema era che il pianeta si trovava troppo vicino al centro galattico, troppo vicino alla calamità di altre stelle.
L’estinzione non sarebbe mai stata lontana. Però ci furono periodi di grazia, tra una devastazione e l'altra. Dopo quaranta azzeramenti, la calma durò abbastanza perché la civiltà attecchisse. Persone-orso costruirono villaggi e diventarono abili nell'agricoltura. Controllarono il vapore, convogliarono l'elettricità, impararono a costruire semplici macchinari. Ma quando i loro archeologi rivelarono quanto spesso il mondo era finito, e i loro astronomi capirono il perché, la società crollò e si distrusse, millenni prima della successiva gigantesca esplosione.
Anche questo successe ripetutamente.
“Ma andiamo a vedere”, disse mio figlio. “Andiamo dai un'occhiata.”
Quando arrivammo, il pianeta era morto e resuscitato mille e una volta. Il suo sole era quasi esaurito e presto si sarebbe espanso fino a inglobare il mondo intero. Ma la vita continuava ad assemblare infinite nuove piattaforme. Non sapeva quello che faceva. Non poteva fare altrimenti.
Con Jens Albinus, Bodil Jørgensen, Anne Louise Hassing, Troels Lyby
Sulla Terra ci sono due tipi di persone: quelle che riescono a fare i calcoli e a seguire la scienza, e quelle che sono più felici con le proprie verità.
Il telescopio Kepler ebbe un successo inimmaginabile. Ovunque guardasse, riempiva lo spazio di nuovi pianeti. Migliaia di mondi candidati stavano aspettando di essere confermati, senza un numero sufficiente di ricercatori in grado di confermarli. Ora sapevamo che le terre erano presenti in gran quantità. Ce n’erano di più di quanto avessi osato sperare, e più vicine.
Eppure, Kepler non vide mai alcun pianeta direttamente. Gettò un’ampia rete, in attesa di scorgere il più impercettibile oscuramento immaginabile di soli a molti parsec di distanza, e raccolse quella luce con una precisione di una ventina di parti per milione. Attenuazioni infinitesimali nella luminosità delle stelle tradivano pianeti invisibili che transitavano davanti a esse. Mi stupisce ancora: come vedere una falena zampettare su un lampione a cinquantamila chilometri di distanza.
Tuttavia, Kepler non poteva darmi quello che volevo: sapere, al di là di ogni dubbio, che un altro mondo là fuori era vivo. Non so perché significasse così tanto per me, quando lasciava indifferente tanta gente. […]
Per sapere per certo se un pianeta respirava, avevamo bisogno di immagini infrarosse dirette di qualità abbastanza alta da fornire impronte spettrali dettagliate delle loro atmosfere. Avevamo il potere di ottenerle. Per un tempo [molto] lungo […] ero stato uno dei tanti ricercatori che progettavano un telescopio spaziale in grado di popolare ogni mio modello e decidere definitivamente se l’universo fosse sterile o fecondo. Il dispositivo su cui stavamo scommettendo era cento volte più potente di Hubble. Faceva apparire i migliori telescopi esistenti come vecchietti con occhiali scuri e cani guida. →→→
Con Scott D. Altman, Leonardo DiCaprio, Andrew J. Feustel, Michael T. Good
→→→ Era anche un assurdo dispendio di risorse finanziarie e di sforzi che non faceva alcuna concreta differenza nel mondo. Non avrebbe arricchito il futuro né curato una sola malattia né protetto nessuno dal flusso crescente della nostra pazzia. Avrebbe semplicemente risposto alla domanda che noi esseri umani ci ponevamo da quando eravamo scesi dagli alberi: la mente di Dio era incline alla vita oppure noi terrestri non avevamo alcun diritto di essere qui?
Con Sally Hawkins, Alexis Zegerman, Andrea Riseborough, Samuel Roukin, Sinead Matthews
“Il benessere è come un virus. Una persona sicura di sé a casa propria in questo mondo può infettare parecchia altra gente. Non vi piacerebbe assistere a un’epidemia di benessere contagioso?” […] “La soglia critica per una cosa del genere è probabilmente più bassa di quanto crediate.”
Gli parlai del pianeta Mios, di come si fosse sviluppato lungo un miliardo di anni prima del nostro arrivo. La gente di Mios costruì una nave spaziale per lunghe esplorazioni in posti lontani, dotata di dispositivi intelligenti. Quell’astronave viaggiò per centinaia di parsec prima di trovare un pianeta ricco di materie prime, dove sbarcò, aprì bottega, aggiustò e realizzò una copia di se stessa e di tutto il suo equipaggio. Poi due navi spaziali identiche partirono seguendo diverse direzioni per altre centinaia di parsec, finché non trovarono nuovi pianeti, dove ripeterono da capo l’intero processo.
“Per quanto tempo?” domandò mio figlio.
Feci spallucce. “Non c’era nulla in grado di fermarle.”
[…]
“E continuarono a replicarsi? Dovevano aver raggiunto un milione!”
“Sì,” gli dissi. “Poi due milioni. Poi quattro.”
“Santo cielo! Erano ovunque!”
“Lo spazio è grande,” dissi.
“Le astronavi facevano rapporto a Mios?”
“Sì, anche se i messaggi impiegavano sempre più tempo ad arrivare. E le astronavi continuarono a fare rapporto, persino dopo che Mios smise di rispondere.”
“Cosa accadde a Mios?”
“Le astronavi non lo vennero mai a sapere.”
“Continuarono il loro viaggio, sebbene Mios non ci fosse più?”
“Erano state programmate per farlo. […] Si divisero e si replicarono e si diffusero in tutta la galassia come se avessero ancora un motivo per farlo. Una delle pro-pro-pro-pro-pro-pronipoti della nave spaziale originale sbarcò su un pianeta roccioso con mari poco profondi, in un piccolo, bizzarro sistema stellare che ruotava intorno a una stella di tipo G.”
“Dillo e basta, papà, la Terra?”
[…]
“L’equipaggio della nave spaziale studiò a lungo gli enormi e ondeggianti fiori gialli e rossi. Però non riuscivano a capire cosa fossero o come funzionassero. Videro le api volare dentro i fiori, e i fiori inseguire il sole. Videro i fiori appassire e diventare semi. Videro i semi cadere e germogliare.”
Mio figlio alzò la mano per interrompere la storia. “Li ucciderebbe, papà, se lo scoprissero. Attiverebbero il comunicatore e direbbero a tutte le altre navi spaziali di Mios nella galassia di arrestarsi.”
Le sue parole mi fecero venire la pelle d’oca. Non era il finale che mi immaginavo. “Perché lo dici?”
“Perché lo capirebbero. I fiori stavano andando da qualche parte, le astronavi no.”
Su Nithar, eravamo quasi ciechi. Dei nostri dieci principali sensi, la vista era il più debole. Però non avevamo bisogno di vedere granché, se si escludevano sparute colonie di batteri luminosi. Le nostre numerose orecchie ben distanziate riuscivano ad ascoltare una cosa come il colore, e percepivamo i nostri dintorni con estrema precisione tramite le pressioni sulla nostra pelle. Assaporavamo piccoli cambiamenti lungo grandi distanze. I ritmi differenti dei nostri otto diversi cuori ci rendevano intensamente sensibili al tempo. I gradienti termali e i campi magnetici ci dicevano dove dovevamo essere. Parlavamo con le onde radio.
La nostra agricoltura, letteratura, musica, gli sport e le arti visive eguagliavano quelli sulla Terra. Ma la nostra grande intelligenza e cultura pacifica non si sono mai imbattute nella combustione o nella stampa o nella metallurgia o nell’elettricità o in qualcosa di simile all’industria avanzata. Su Nithar, c’erano magma fuso, magnesio ardente e altri generi di combustioni. Ma non c’era alcun fuoco.
“Fico,” disse mio figlio. “Vado in esplorazione.”→→→
Con Sharlto Copley, Michael Nyqvist, Daniel Wu, Christian Camargo, Karolina Wydra
→→→ Gli dissi di non allontanarsi troppo dalla superficie, soprattutto dagli sfiati. Però era giovane, e i giovani subivano maggiormente la più grande sfida di Nithar. Un pianeta dove la parola per sempre equivaleva a mai era ostico per la sua gioventù.
Tornò da un’avventura troppo breve verso l’alto. Aveva il morale a terra. “Non c’è niente lassù a parte il paradiso,” si lamentò. E il paradiso è duro come la roccia.
Voleva sapere cosa c’era sopra il cielo. Non risi di lui, ma non fui di alcun aiuto. Domandò in giro e venne dileggiato impietosamente da entrambe la sua e la mia generazione. Fu allora che giurò di fare delle perforazioni.
Non cercai di dissuaderlo. Immaginai che potesse trastullarsi con il progetto per qualche milione di microbattiti, e che la cosa sarebbe finita lì.
Usò la punta aguzza di una lunga, dritta conchiglia riscaldata di un nautiloide. Il lavoro era insopportabilmente noioso. Ci vollero molti milioni di battiti cardiaci prima che il suo buco raggiungesse la profondità di un tentacolo allungato. Ma qualche detrito cadde dall’alto, e questo comportò la prima novità su Nithar quasi in assoluto. Il Buco divenne l’oggetto di battute, di sospetti, e il rito di nuovi culti religiosi. Generazioni andavano e venivano, assistendo ai suoi progressi infinitesimali. Mio figlio continuò a perforare, con tutto il tempo del mondo nelle sue mani prima dell’ora di andare a dormire.
Dopo decine di migliaia di vite, urtò contro l’aria. E in un grande slancio di comprensione, una rivoluzione talmente grande che nulla su Nithar le sopravvisse, mio figlio scoprì ghiaccio e crosta e acqua e atmosfera e luce stellare e trappola ed eternità e altrove.
Raggiungemmo una riserva naturale a venticinque chilometri dalla città. Arrivammo in un punto in cui confluivano un lago, un prato e degli alberi. “Proprio qui,” dichiarò Robin. "Amano i confini. Adorano volare avanti e indietro da un mondo all’altro."
Il fiume delle forme è lungo. E tra i miliardi di soluzioni che ha svelato fino a questo momento, gli esseri umani e le mucche sono cugini stretti. Non fu stupefacente il fatto che qualcosa ai margini della vita – un filamento di RNA che codifica solo dodici proteine – fosse felice, dopo solo una piccola modifica, di dare una possibilità a un altro ospite.
Con Leonid Yarmolnik, Dmitri Vladimirov, Laura Pitskhelauri, Aleksandr Ilyin, Yuri Tsurilo
Postilla.
Qui ci sono Arkadij e Boris Strugackij, ma il protagonista cita "Star Maker" di Olaf Stapledon del 1937 ("Cosa credi sia più grande, lo spazio cosmico o quello interiore?", a sua volta figlio diretto dell'amletico-shakespeariano "Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne possa comprendere/sognare la tua filosofia!") come bibbia della sua giovinezza, e la trasposizione di Aleksej German appartiene alla stessa... Zona.
Con Volker Spengler, Janos Derzsi, Erika Bók, Mihály Kormos, Ricsi
Postilla (personale).
Commento dawkinsiano alla fine del mondo.
Avete uno stagno, una vasca per i pesci interrata, in giardino. Un giorno ci casca dentro un seme di giglio d'acqua, una selvatica semi-"infestante". Entro 30 giorni lo specchio d'acqua sarà completamente ricoperto dalla vegetazione, l’ipossia impererà e l'eutrofizzazione sarà completa: niente più luce, e niente più ossigeno, niente più nulla. Ecco, se vi dovessi chiedere in quale giorno dei trenta ci trovassimo quando il laghetto fosse ricoperto per metà... e quindi si potrebbe anche pensare che ci sia ancora tempo per poter porre un rimedio alla faccenda, voi rispondereste...
"Al 15°!", ci scommetto. Io avrei ragione, e voi torto.
Tanto poi al 29° giorno - ch'é la risposta corretta - non esisteranno, più, né risposte giuste né sbagliate.
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