Terrorizers
- Drammatico
- Repubblica di Cina
- durata 127'
Titolo originale Terrorizers
Regia di Wi Ding Ho
Con Po-Hung Lin, Moon Lee, J.C. Lin, Annie Chen, Ning Ding, Ai-Ning Yao, Honduras

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Durante il primo quarto d'ora di Terrorizers, si è davanti alla storia di un corteggiamento, con il giovane cuoco Xiao Zhang che, a cinque anni da un incontro che lei ha dimenticato ma lui non scorderà mai, ritrova Yu Fang, studentessa di recitazione, a far la cassiera in un bar. In maniera inaspettata, l'idillio tra i due si interrompe con l'aggressione ad opera di Ming Liang, un gamer problematico che nel bel mezzo della stazione di Taipei gli si fionda contro vestito come un ninja e armato di katana.
Qui la storia si sospende, e d'ora in poi il nastro si riavvolge più e più volte, con la linea del tempo che slitta ora in avanti ed ora all'indietro introducendo una serie di altri personaggi, tra i quali Monica, un'aspirante attrice con problemi economici che fatica ad affrancarsi dal suo recente passato da cam girl, più Kiki, una liceale con ambizioni da cosplayer e il sogno di trasferirsi in Giappone, e Lady Siaoh, una donna matura e single che tra una sbornia e l'altra fa la massaggiatrice in un appartamento privato.
I nomi dei primi quattro tra i personaggi appena citati danno il titolo a ciascuno dei quattro capitoli in cui il regista taiwanese Wi-ding Ho ha deciso di dividere il film. Le loro vite si intrecciano in un racconto nel quale, per lunghi tratti, i riferimenti temporali sono labili, per la precisa scelta di fornire le informazioni poco alla volta, talvolta anche riproponendo scene già viste mutandone la prospettiva: lo schema non è certo nuovo, ma rischioso sì, e Ho supera l'esame egregiamente.
«Tutti dicono di volermi bene, ma mi lasciano sempre», dice a un certo punto Yu Fang (col padre che la trascura e la madre sparita del tutto) a Xiao Zhang: perché è la solitudine il tema centrale in Terrorizers, denominatore comune di ciascun personaggio, talvolta espressa in modo diretto, altre vissuta, trattenuta, repressa; e perché ognuno la declina in maniera del tutto personale - arrecando inevitabilmente danni a sé stessi o agli altri - laddove alla classica bottiglia dell'attempata Lady Siaoh fanno da contraltare i rimedi moderni dei più giovani, con Kiki che vestita da eroina dei fumetti rovina famiglie per diletto chiamando numeri di cellulare a caso, o Monica che - in arte 'Missy' - diffonde(va) sul web le sue performance hard, con Ming Liang che a sua volta dal web le cattura per il proprio quotidiano onanismo, fisico e mentale.
L'irrealtà del virtuale riempie e rimpiazza la nullità del reale partorendo mostri, sotto la forma dello stigma perenne, o anche solo del nutrimento malato ad una immaginazione deviata e pigra, creando connessioni improponibili dalle conseguenze impossibili, e generando un mondo anaffettivo e spento nel quale tutti hanno bisogno di un aiuto, ma nessuno è pronto a riceverlo.
Tra realtà virtuale e violenza reale, tra notturni di Chopin e video porno pentiti, Wi-ding Ho propone un racconto stratificato che cresce con il passare dei minuti e che sfugge per scelta al principio dell'identificazione, fornendo una riflessione cupa e d'insieme sull'umanità attuale, stordita dai piani paralleli e volatili del web e sempre più inabile alla ricerca di una felicità che abbia basi concrete.
VOTO: ****
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Bel resoconto Pazuzu.
Ho letto, già a Venezia, dei disservizi di Boxol, ripetuti e ampliati in quel di Roma: saranno ben ammanicati, non c'è altra spiegazione (e già tremo al pensiero che anche il Torino Film Festival possa servirsi di questa piattaforma).
Quanto al film su Open Arms non avevo dubbi, in particolare dopo aver visto una storia di Instagram di una deputata del PD accompagnata da nota opinionista con volti e parole "commoventi" d'ordine. Credo proprio che eviterò la visione.
Tra i titoli segnalati mi incuriosiscono sia One Second di Yimou che Terrorizers (già visto e apprezzato L'arminuta).
Ciao.
Grazie per l'apprezzamento!
Per quanto riguarda Boxol, stando a quanto mi dicono, a Venezia è andata anche peggio, essendosi verificati casi di overbooking con accreditati che, giunti lì con il posto assegnato, se lo sono visto sfilare da sotto al culo ritrovandosi in sala con il sedile occupato da altri e il loro tagliando diventato nullo. Qui, da quel punto di vista, fortunatamente è andata meglio (almeno che io sappia). Il problema grosso è sorto dalla scelta di affidare ad un algoritmo la distribuzione dei posti, tanto più che, oltre ad assegnarli a caso, lo faceva assembrando contro ogni logica tutti nello stesso settore: e ti assicuro che, specie nel caso di proiezioni stampa con sale semivuote, vedere i pochi presenti tutti ammucchiati (e rigorosamente 'mascherati'), magari a cento metri dallo schermo, faceva abbastanza ridere. Sarebbe bastato concedere a ciascuno la facoltà di scegliersi il posto (come succede un po' ovunque per ogni evento), e almeno questo inconveniente sarebbe stato evitato...
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