Oggi, 19 luglio 2021, Nakata Hideo compie 60 anni. Rispetto ad altri Autori da me affrontati in questi anni, con playlist monografiche o post retrospettivi, non ho seguito la sua filmografia con lo stesso interesse e la stessa passione, trovando imprescindibili solo due sue Opere e non avendo visto molto dei suoi ultimissimi lavori (diversi infatti li ho recuperati negli ultimi giorni, fermandomi a 'White Lily").
Comunque, i due Titoli che trovo imprescindibili sono due Opere fondamentali nell'evoluzione dell'Horror asiatico e internazionale, in particolare "Ringu", forse il primo e, insieme ai "Ju-on" (The Grudge) di Shimizu, il più importante film di quell'ondata horror asiatico e in particolare giapponese che investì le sale mondiali tra la fine degli anni '90 e, soprattutto, i primi 2000, aprendo poi la porta a numerosi remake hollywoodiani di più o meno grandi cult di genere da Giappone, Cina e Corea. Nel franchise cinematografico tratto dai libri di Suzuki Koji poi Nakata avrà modo di tornare più volte (credo sia il regista più presente nella saga tenendo conto tutte le sue ramificazioni), da "Ringu 2" (secondo sequel dell'Opera di partenza, con reset di "Rasen") al quasi omonimo "The Ring Two" (sequel del remake hollywoodiano di "Ringu"), tornando poi in terra nipponica nel 2019 con "Sadako", da me ancora non visto. Il secondo titolo, "Honogurai mizu no soko kara" (Dark Water, anch'esso tratto da opere di Suzuki), è meno celebrato rispetto ai "Ring" ma, a mio avviso, segna un passaggio fondamentale nella Poetica nakatiana, approfondendo gli spunti di riflessione su Famiglia e Solitudine (eccetera) dei lavori precedenti del regista rafforzando inoltre la sua attenzione per immagini simboliche (Acqua in primis).
Da qui in poi la popolarità e stima critica goduta da Nakata inizia a declinare, nonostante il suo nome associato ai "The Ring" venga sempre posto in 'pompa magna' nella promozione dei suoi film successivi. Questo declino d'immagine non è completamente sparato a caso, essendo per me obiettivamente (molto?) minori le sue pellicole da "Kaidan" in poi (e già "The Ring Two", per me molto sottovalutato, non è allo stesso livello né del suo capostipite nipponico né di 'Dark Water') e la riconoscibilità della sua estetica va in certi momenti a ridursi, ma a mio avviso non si assiste ad un crollo vertiginoso nella monnezza e, almeno fin dove sono arrivato nella mia 'maratona', ogni opera continua ad avere qualcosa d'interessante da dire nonostante le varie imperfezioni.
Chiudo questa introduzione avviando quindi questa playlist: questa non sarà 'esaustiva' come quelle che ho dedicato, ad esempio, a von Trier o a Miike, non citando i film da me ancora non visti (ma che forse aggiungerò in futuro) e proponendo per quelli visti delle riflessioni più brevi rispetto al mio solito (magari per alcuni titoli proporrò 'recensioni' singole più approfondite). Spero comunque che la lettura possa risultare gradita e, soprattutto, stimoli qualche interessante scambio di opinioni sul cinema di un regista quasi 'secondario' ma con un paio di Opere fondamentali, specialmente per chi ama l'Horror e le sue derivazioni.
Con Yûrei Yanagi, Yasuyo Shiroshima, Kei Ishibashi, Ren Osugi
JOYÛ-REI
Secondo lungometraggio (e primo per il Cinema) di Hideo Nakata, realizzato per raccogliere fondi per un documentario su Joseph Losey, "Joyû-rei" (letteralmente "Lo spirito dell'attrice") diede una discreta notorietà e qualche premio a Nakata facendogli poi ottenere, due annetti dopo, la regia di "Ringu". Il film, per molti versi, sembra anticipare proprio la celebre trasposizione del romanzo di Koji Suzuki, tant'è che scelte nel film successivo come quella di non mostrare il volto dello Spettro nascono dalla sensazione avuta dal regista di aver esagerato nel mostrarlo in questo suo semi-esordio. Rispetto al più noto Cult del '98 questo risulta meno spaventoso e riuscito, penalizzato anche da una minore disponibilità di mezzi, con conseguente minore possibilità nella messa in scena dell'orrore e un impatto calante alla seconda visione. Però come "prova" per "Ringu" risulta interessante, rafforzato da uno spirito metacinematografico, da un cast in parte e da un buon tema musicale.
Con Nanako Matsushima, Hiroyuki Sanada, Miki Nakatani, Hitomi Sato
RINGU
Tratto dall'omonimo (e ottimo) Romanzo di Koji Suzuki già trasposto (mediocremente) per la televisione nel 1995, "Ringu" di Hideo Nakata è forse uno dei più importanti Film Horror dell'ultimo quarto di secolo, tra i primi di una massiccia ondata di Opere di Genere asiatiche a conquistare seriamente anche il pubblico occidentale, provocando in seguito un'altra ondata di remake statunitensi. Fondamentale nel Film e nella Filmografia di Nakata è l'Attenzione per l'Acqua, le cui onde vengono subito accostate a quelle televisive, e importante è anche il Tema della Ciclicità, evidente nel Titolo, in numerose immagini che richiamano appunto forme anulari (il Pozzo in particolare) e nella catena della maledizione di Sadako. Troviamo poi aspetti come il Riflesso e la Critica alla pericolosità dei Media (TV in particolare). Ottima la costruzione estetica dell'Opera, dalle Musiche alla Fotografia, dal Cast al Montaggio. Un Cult contemporaneo, se non un Capolavoro, da studiare con attenzione.
Già subito dopo il primo "Ringu" era stato distribuito nelle sale un sequel, "Rasen" diretto da Iida Jôji, ispirato all'omonimo romanzo di Kôji Suzuki ma, a causa della scarsa accoglienza, l'anno seguente viene realizzato un altro sequel, "Ringu 2", completamente staccato dai romanzi di Suzuki e diretto nuovamente da Nakata Hideo, ottenendo un buon successo. Fin dalla prima visione (credo l'unica per anni fino alla recentissima revisione) "Ringu 2" mi aveva fatto una buona impressione lasciando diverse tracce nella mia memoria e riguardandolo confermo la positività della mia opinione. Pur non raggiungendo sicuramente il livello di estetica e tensione del primo "Ringu" nakatiano e incartandosi forse in qualche momento, questo seguito continua a rendere interessante la maledizione di Sadako introducendo nuove ramificazioni, tra fantascienza e sovrannaturale, dando ancora più importanza al Tema dell'Acqua e ai poteri della Mente. Forse il migliore tra tutti i seguiti/remake di "Ringu".
GARASU NO NÔ Primo lungometraggio cinematografico (non documentaristico) di Nakata estraneo al genere Horror, "Garasu no nô" (letteralmente traducibile come 'cervello di vetro') è un dramma sentimentale del 1999 ispirato ad un manga di Tezuka Osamu e racconta la storia d'amore tra un giovane e una ragazza rimasta in coma dalla nascita. La fattura tecnica del film è tutto sommato efficace, sicuramente professionale, e alcune idee sceniche sono interessanti, ma fin dai primi minuti mi è parso il più fiacco in assoluto dei film di Nakata Hideo da me finora visti, in cui la sua personalità risulta quasi impossibile riconoscere, almeno alla prima visione, e mantenere salda l'attenzione è alquanto arduo. Il cast è sostanzialmente in parte (ma il protagonista da 17nne non mi ha convinto) ma non spiccano interpretazioni grandiose, le musiche di Kawai Kenji qui sono troppo melodrammatiche e, in generale, la pellicola ha un sapore melenso di faticosa digestione. C'è di peggio, ma c'è di molto meglio.
Con Masato Hagiwara, Miki Nakatami, Ken Mitsuishi, Jun Kunimura
KAOSU
Dopo i primi 2 "Ringu" Hideo Nakata dirige "Kaosu", un thriller con sfumature sentimentali non privo di richiami al "Vertigo" hitchcockiano. La narrazione viene costruita seguendo una struttura simile ad un mosaico, o a Film come "Pulp Fiction" e "Memento", con inevitabili differenze: il montaggio non lineare aiuta così a rivelare man mano, con un intreccio di flashback (uno in bianco e nero 'rovinato') e flashforward, la costruzione del rapimento tra colpi di scena e mutamenti repentini di prospettiva. Il finale chiude la vicenda riprendendo circolarmente l'inquadratura iniziale della pioggia, ma il Caos del titolo e delle relazioni permane lasciando una sensazione di amarezza profonda. Pur forse con qualche 'tiramento' della sospensione della credibilità, "Kaosu" è un'opera a mio avviso molto interessante e sottostimata nella filmografia di Nakata, di cui si avvertono costantemente estetica e poetica, dalla dilatazione temporale della tensione all'importanza spirituale dell'Acqua.
Con Hitomi Kuroki, Rio Kanno, Asami Mizukawa, Mirei Oguchi
In streaming su MIDNIGHT FACTORY Amazon Channel
HONOGURAI MIZU NO SOKO KARA
Dopo i primi due "Ringu" Hideo Nakata traspone un altro libro di Koji Suzuki: la doppia 'parentela' (letteraria e cinematografica) con la saga di Sadako è evidente, nel topos estetico della bambina-spettro dai capelli lunghi, nel Tema dell'Acqua come simbolo di Morte e Vita e in quello del rapporto madre-figlia. Ancor più che nei "Ringu", in "Honogurai mizu no soko kara" l'aspetto prettamente orrorifico viene accompagnato e, nel Finale, scavalcato dagli aspetti più genuinamente sentimentali e psicologici della vicenda e delle tre protagoniste, instaurando una sorta di chiusura emotiva tra madre, figlia e fantasma in cui lo spettro della Solitudine e dell'Abbandono è quello che davvero incombe, col suo carico di Dolore. Intriganti gli inserti flashback, caratterizzati da una fotografia prevalentemente giallognola, e stupenda la gestione del ristretto ambiente condominiale per dare corpo alle tensioni che attraversano la vicenda. Rivedendolo lo considero il secondo Capolavoro di Nakata.
Dopo il successo di "The Ring" di Verbinski, remake del "Ringu" di Hideo Nakata, la produzione affida la regia del sequel allo stesso Autore del capolavoro nipponico. Non particolarmente apprezzato alla sua uscita, a me invece colpì positivamente e, riguardandolo, confermo le buone impressioni. Infatti, nonostante qualche debolezza/cliché, "The Ring Two" riporta la saga a quelle atmosfere simboliche, drammatiche e psicologiche che caratterizzavano i capitoli orientali, Samara (ex-Sadako) qui non mostra saggiamente il suo volto e Nakata approfitta dei maggiori mezzi a disposizione per portare avanti la sua Poetica, dall'attenzione per l'Acqua come elemento di vita e morte al rapporto tra madre e figlio con innesti di drammatiche considerazioni sulla Solitudine dell'antagonista, elementi che collegano il film, oltre ai due precedenti capitoli nakatiani, a "Honogurai mizu no soko kara". Un buon film che, pur non essendo certo un capolavoro, merita a mio avviso di essere riconsiderato.
Con Kumiko Aso, Takaaki Enoki, Reona Hirota, Teiyû Ichiryûsai, Mao Inoue, Tae Kimura
KAIDAN
Dramma sentimentale orrorifico in costume sceneggiato da Satoko Okudera (ispirandosi a "Shinkei Kasane-ga-fuchi" di Enchô San'yûtei) e diretto da Nakata Hideo per J-Horror Theatre, serie di sei film di Genere prodotti da Takashige Ichise. Mezzo deluso ad una prima visione, forse perché mi aspettavo qualcos'altro, e rivisto distrattamente dopo mezzo anno, nonostante una certa difettosità Nakata mette in scena una complessa e intrigante tragedia d'impostazione classica, in cui l'Orrore dei padri che ricade sulle generazioni successive in una spirale di maledizioni che può risolversi solo con la Morte di ogni personaggio intimamente coinvolto. L'epilogo, nella Morte, apre uno spiraglio di Pace, tra l'altro sull'Acqua, elemento importante in diversi (primi) Film dell'Autore. Non un Capolavoro, forse neanche totalmente riuscito, "Kaidan" è comunque un'Opera assai interessante di un Autore magari meno brillante di altri ma la cui Poetica penso meriti di essere approfondita un attimo.
Con Aaron Johnson, Imogen Poots, Matthew Beard, Hannah Murray, Daniel Kaluuya, Megan Dodds
CHATROOM Diretto da Hideo Nakata e scritto da Enda Walsh basandosi su una sua pièce teatrale, "Chatroom" non incontrò un grande successo e fu maltrattato dalla critica. Pur notando qualche difettosità (soprattutto nel finale) e non sapendo ancora bene se apprezzo oppure no la teatralizzazione delle chat, penso che, come "The Ring Two" statunitense, questo film sia ingiustamente sottovalutato. Come ho detto non è sicuramente un film 'perfetto' e Nakata ha dato di (molto) meglio in passato, ma nel trattare il disagio, la depressione, la solitudine, l'ansia, il senso d'inadeguatezza dilagante tra i teenagers moderni "Chatroom" riesce a ricreare questi 'demoni interiori' con intelligenza, supportato da un cast di giovanissimi e giovanissime (con volti che torneranno alla ribalta nel Cinema degli ultimi anni) intimamente calati e calate nei vari ruoli estraendone tutte le sfaccettature e contraddizioni. Non un capolavoro, assolutamente, ma meritevole per me di (ri)considerazione.
Titolo originale Inshite miru: 7-kakan no desu gêmu
Regia di Hideo Nakata
Con Tatsuya Fujiwara, Haruka Ayase, Aya Hirayama, Satomi Ishihara, Shinji Takeda
INSHITE MIRU: 7-KAKAN NO DESU GÊMU
D una sceneggiatura di Suzuki Satoshi ispirata ad un romanzo di Yonezawa Honobo, "Inshite miru: 7-kakan no desu gêmu" è un thriller psicologico richiamante esplioitamente la formula arcinota di "And Then There Were None" di Agatha Christie. Come il 'coetaneo' "Chatroom", anche questo non è certo uno dei migliori film di Nakata, vuoi per la struttura assai poco innovativa, per certi cliché e per certe prevedibilità (il ruolo di un personaggio si intuisce piuttosto facilmente). Detto ciò, 'The Incite Mill' riesce a creare una discreta tensione tirando inoltre fuori un buono spessore dai personaggi coinvolti, oltre a servire interessanti spunti di riflessione su dinamiche sociali e sull'importanza della fiducia reciproca in un mondo che invece incita ad una perenne competizione cannibalizzante. Una buona fattura tecnica, soprattutto nell'uso degli ambienti, e un cast in parte rafforzano il buon livello di quest'opera, non imperdibile sicuramente ma a mio avviso consigliabile.
Film del 2013 immediatamente seguito da una serie televisiva, "Koroyuri danchi" è un altro horror con fantasmi e giovani per Nakata. L'inizio non cattura immediatamente l'individuo spettatore, la conclusione ha forse un che di brusco e diversi twist narrativi sono intuibili con largo anticipo. Quest'ultimo aspetto, però, non credo vada criticato totalmente, avendo avuto l'impressione che non si volesse tanto stupire quanto preparare una dimensione psicologica su cui poi imbastire un discorso interessante riguardante il lutto, il senso di colpa e la Solitudine, tema questo più volte presente nella Poetica nakatiana e anche qui vissuta con toni tragici da un fantasma bambino. Una fotografia cromaticamente intrigante del fidato Hayashi Jun'ichirô, un buon cast e una predilezione per la costruzione dell'Atmosfera al posto dell'accumulo banale di jumpscares contribuiscono a rendere "Kuroyuri danchi" un lavoro consigliabile e dignitoso, seppur non totalmente riuscito e/o troppo memorabile.
Con Rika Adachi, Haruka Shimazaki, Riho Takada, Keita Machida
GEKIJÔ REI
Nakata nel 2015 dirige "Gekijô rei", pubblicizzato come rifacimento del suo "Joyû-rei" già remakeizzato in inglese da Fruit Chan. In realtà i due film hanno in comune praticamente soltanto la presenza di un'entità malefica 'attratta' malevolmente da giovani attrici, perché poi trama, ambientazioni (qui teatrale) e natura degli 'spettri' sono molto differenti. Come altri film post-'Dark Water' di Nakata, anche questo non ha ottenuto grandi consensi. Personalmente non posso negare che la spinta autoriale del regista si sia man mano affievolita ma, per me, "Gekijô rei" presenta comunque alcuni elementi interessanti, con tanto di ritorno dell'Acqua (in formato pioggia) che dominava i primi lavori del Cineasta. Inoltre abbiamo un cast è in parte, le musiche di Kawai Kenji funzionano, la fotografia di Hayashi Jun'ichirô propone sempre giochi di luce e colori intriganti, la bambola è ben realizzata e nel complesso il film intrattiene discretamente senza troppi problemi.
Nel 2016 Nakata Hideo viene coinvolto nel progetto della Nikkatsu di 'rebootare' la propria serie roman porno dirigendo "Howaito rirî", quinto lavoro della serie. Pur non potendo negare una possibile 'gratuità' degli elementi 'pruriginosi' e forse anche un maschilismo di fondo nel modo in cui viene trattato il triangolo erotico su cui si poggia sostanzialmente la pellicola, ho trovato questo 'White Lily' un'opera particolarmente interessante, soprattutto nell'estetica artistica delle sequenze d'amore, con tanto di immagini simboliche (il giglio bianco nella prima scena di sesso tra le due protagoniste), e gli spunti di riflessione potenzialmente complessi sull'Amore, sulla Solitudine e sulle conseguenze psicologiche di eventi dolorosi. Una buona gestione dei tempi e le ottime interpretazioni della coppia femminile protagonista impreziosiscono quello che per me potrebbe essere, nonostante le sue imperfezioni, il miglior lavoro (tra quelli che ho visto) di Nakata dopo il 2010.
Nel 2018 Nakata Hideo si stacca un'altra volta nettamente con l'Horror e atmosfere affini con "Owatta hito" (titolo inglese "Life in Overtime"), trasposizione di un romanzo di Uchidate Makiko. Non mi aspetto più opere imperdibili da Nakata dagli ultimi 10-15 anni, ma qui siamo di fronte a qualcosa di decisamente più imperfetto e impersonale rispetto del solito. Per intenderci, siamo molto vicini a "Garasu no nô", anche se qui si assiste forse ad un qualcosa di un attimino più interessante, ma per contro le due orette di durata risultano piuttosto eccessive e il fondare la narrazione su un personaggio maschile (borghese) in via d'invecchiamento non è tanto nelle corde di Nakata, per me più a suo agio nel posizionare personaggi femminili al centro delle proprie opere. Comunque qualche momento riuscito non manca (divertente l'analogia 'pensionamento-funerale'), il cast è in parte e volendo si possono trovare spunti di riflessione sul disagio individuale in una società capitalistica.
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