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All-en-eide.

 

Woody Allen, dopo la caduta di New York, attraversa l'Atlantico, gironzola per il Mediterraneo e approda nel Lazio.

 

Un Cinema di Persona/e.

 

 

Playlist film

Basta che funzioni

  • Commedia
  • USA
  • durata 92'

Titolo originale Whatever Works

Regia di Woody Allen

Con Larry David, Evan Rachel Wood, Henry Cavill, Patricia Clarkson, Kristen Johnston

Basta che funzioni

In streaming su Infinity Selection Amazon Channel

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Il decennio degli Anni Zero termina con un quasi-capolavoro, "WhatEver Works" (dopo averne prodotti due a tutto tondo: "AnyThing Else" e "Match Point"). In quello successivo ve ne sarà almeno un altro ("Wonder Wheel"), più 4 di eccezionale levatura ("MidNight in Paris", "Blue Jasmine", "Irrational Man" e "You Will Meet a Tall Dark Stranger"), 2 ottimi ("Café Society" e "A Rainy Day in New York") e 3 molto buoni ("Magic in the MoonLight", "To Rome with Love", nel quale è anche attore, e "Crisis in Six Scenes", che ad oggi è l'ultima interpretazione alleniana). E gli Anni Venti iniziano alla grande con Wallace Shawn in "Rifkin's Festival" come alter-ego dell'autore al posto di Larry David: basta che funzioni, e funziona. 

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni

  • Commedia
  • USA, Spagna
  • durata 98'

Titolo originale You Will Meet a Tall Dark Stranger

Regia di Woody Allen

Con Naomi Watts, Anthony Hopkins, Josh Brolin, Antonio Banderas, Freida Pinto, Anna Friel

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni

In streaming su Infinity Selection Amazon Channel

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Fraintendere la vita, rendersene conto, e lasciarsi condurre dall'abbrivio dell'inerzia.

 

You Will Meet a Tall Dark Stranger” apre il decennio alleniano degli anni ‘10 (partendo per la tangente: i “Foges Years” incisi - le ultime due parole di due versi di una poesia - sullo schienale della panchina nel finale che “prevedendo” docet: non "nebulosi", ma "forgianti"), quello post-“WhatEver Works”, con un eccellentemente calibrato amalgama di una semplessità geometrica disarmante in perfetto equilibro fra dramedy e romcom.

 

“Qualche volta le illusioni funzionano meglio di una medicina.” 

• Prevalenza drammatica: Blue Jasmine, Irrational Man, Wonder Wheel.
• Prevalenza comica (e quindi filosofica): WhatEver Works (fine anni ‘00), To Rome with Love, Rifkin’s Festival (inizio anni ‘20).
• Prevalenza sentimentale: You Will Meet a Tall Dark Stranger, MidNight in Paris, Magic in the MoonLight, Café Society, A Rainy Day in New York.

“→ Ho bisogno di avere quei soldi! → […] → Dicevo quelle cose solo perché tu potessi essere felice, per impedire che tu ti facessi del male! È solo una sfacciata, subdola imbrogliona! → […] → Non lo capisci? Ti dice quello che vuoi sentirti dire e poi ti leva tutti i soldi! →”

 

Gemma Jones (già "moglie del prete" in "the Devils" di Ken Russell, e poi madre di Mary Anning in "Ammonite" di Francis Lee) e Naomi Watts al loro meglio: due caratterizzazioni ben distinte, ma entrambe interpretazioni fantastiche, fenomenali, magnifiche. Anthony Hopkins tiene loro testa come solo lui può e sa, mentre Josh Brolin, ad un’incollatura, giganteggia pur’esso (suo è il personaggio più disturbante). Non che Antonio Banderas sia da meno, in un ruolo minore, ma cesellato con cura e sapienza. Lucy Punch ha qui l’occasione della vita (mettendo in scena un topos delle narrazioni alleniane: si consideri ad esempio, declinato attraverso divergenze parallele, alla Evan Rachel Wood dello stesso "WhatErver Works" dell'anno precedente), e la sfrutta a dovere: indimenticabile (nel bene e nel male: il “delicato” gioco di seduzione in palestra a gambe aperte...). Freida Pinto prima s’intravede da lontano, oltre la finestra sul cortile. Poi s’ode la sua voce, da facciata a facciata tra le palazzine. Ed eccola, infine, in piano medio americano a incorniciarne lo splendore di rosso vestito. Chiudono il cast Anna Friel, Roger Ashton-Griffiths e Philip Glenister (“Life on Mars” & “Ashes to Ashes”). Voce narrante di Zak Orth

 

Fotografia di Vilmos Zsigmond (un paio di bellissimi, delicati zoom lenti altmaniani, e un long take frontale a doppio fuoco su Josh Brolin per strada). Montaggio di Alisa Lepselter (uno stacco morale sul pp.p. di Naomi Watts da mozzare il fiato). Nella colonna sonora, composta esclusivamente da musiche originali, spicca, tra gli altri, oltre a Benny Goodman, la versione jazz-standard di Leon Redbone, dall’album “From Branch to Branch” del 1981, della “When You Wish upOn a Star” di Leigh Harline e Ned Washington scritta per il “Pinocchio” di Walt Disney del 1940 e poi divenuta la canzone rappresentativa del trademark.

 

“Comunque, la mia teoria è: questo sei veramente tu, e quello che facevi prima era costringere i tuoi libri ad adeguarsi alle tue idee da intellettuale: no, grazie!”

 

Fraintendere la vita, rendersene conto, e lasciarsi condurre dall'abbrivio dell'inerzia.

* * * * (¼)

 

Recensione

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Midnight in Paris

  • Commedia
  • Spagna, USA
  • durata 100'

Titolo originale Midnight in Paris

Regia di Woody Allen

Con Marion Cotillard, Michael Sheen, Owen Wilson, Rachel McAdams, Kathy Bates, Alison Pill

Midnight in Paris

In streaming su Infinity Selection Amazon Channel

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A Rainy (Lost/New) Day in Paris.

 

A dieci anni di distanza è difficile (ma non impossibile, e spero non superfluo) scrivere qualcosa di nuovo, se pur stringato e sistematico, s’uno dei migliori Allen post-2000, e di sicuro - per quel che vale, cioè soldi - uno dei suoi maggiori successi (la scoperta messa in scena di una metafora reiterata e reificata) al botteghino.

 

«Divertente, ma dimenticabile. Sembra un film che ho già visto. Magari l’ho scritto io.»

 

Perciò non lo farò, e mi limiterò a lasciar parlare lo sceneggiatore e regista.

 

- Sto avendo un'intuizione... È una piccola cosa, ma... spiega l'ansia che ho provato nel mio sogno.

- Quale sogno?

- Ho fatto un sogno, cioè, un incubo, in cui avevo finito lo Zitromax. E quando andavo dal dentista, lui aveva finito la Novocaina. Queste persone non hanno neanche gli antibiotici!

- Ma di cosa stai parlando?

- Se tu rimani qui e questo diventa il tuo presente… presto inizierai a immaginare che un'altra epoca sia la tua Età dell'Oro. Ecco cos'è il presente. È un po' insoddisfacente perché la vita è un po' insoddisfacente.

 

Contrappuntato e abitato con iconica costanza dalla "Bistro Fada" del chitarrista jazz Stephane Wrembel e incorniciato da "Si Tu Vois Ma Mère" di Sidney Bechet, le Dieu (1897-1959, compositore ed interprete sassofonista-clarinettista da New Orleans all’Île-de-France), che ritorna per l’appunto anche sul finale, inizia - senza che i francesi si siano messi a frignare come alcuni italioti al cospetto di "To Rome with Love" (anch’esso fotografato da Darius Khondji) e nonostante la figura pseudo-macchiettistica dell’investigatore privato imbranato - con una serie di vedute (a loro volta contenute entro i confini dei titoli di testa) cartolinesche [che altro non sono se non la speculare rappresentazione a colori del principiar gershwiniano (con voice over) in B/N di "Manhattan" (con richiamo in coda), solo un po' più... consapevolmente/volontariamente... grezza/quotidiana, con qualche veduta spuria e magari un accenno di lavori in corso e ponteggi, quasi dei rinoceronti al posto delle ninfee, anche se pur sempre senza Rete Arancione] d-e/a-lla Ville Lumiere, "A Rainy..." - e, oltre alla pioggia (e al nome proprio del protagonista della rentrée newyorkese), ad accomunare i due film in un unico mood ci sono anche le varie versioni di classici e standard [Let’s Do It (Let’s Fall in Love) di Cole Porter] reinterpretati al pianoforte da Conal Fowkes, con Allen anche per "Blue Jasmine", "Magic in the MoonLight" e "Café Society", ma in queste due occasioni particolarmente molto incisivo - "...Lost & New Day in Paris" (conosciuto anche con lo spurio nome di "MidNight in Paris"), muovendosi (montato da Alisa Lepselter) dal presente (2010-’11, col primo, molto più lieve, attentato a Charlie Hebdo, dopo quelli di Madrid e Londra, in attesa di quello del 2015, anno che, terminando, ospiterà anche la strage del Bataclan) alla Génération Perdue [Ernest Hemingway & Gertrude Stein: William Faulkner (cit.), Pablo Picasso, Luis Bunuel, Salvador Dalí, T.S.Eliot, Henri Matisse, Joséphine Baker, Cole Porter (questi ultimi due anche in colonna sonora), Man Ray, Amedeo Modigliani (†), Djuna Barnes, F. Scott & Zelda Fitzgerald, Juan Belmonte] e alla Belle Époque (Henri de Toulouse-Lautrec, Paul Gauguin, Edgar Degas, e... le Cinéma!, oltre al Can-Can, qui quello dell’Orfeo all’Inferno di Offenbach), giungendo sino, per una toccata e… fuga, all’Ancien Régime di Versailles.

 

“The past is never dead. It's not even past.”

William Faulkner (Gavin Stevens a Temple Drake) – "Requiem for a Nun" (“costola” di "Sanctuary") – 1951

 

“The past is not dead. Actually, it's not even past.” 

Woody Allen (Gil Pender a Inez) – "MidNight in Paris" – 2011 

 

Owen Wilson è perfetto nell’interpretare l’alter-ego californiano dell’autore. Marion Cotillard e Léa Seydoux risplendono. Rachel McAdams, in un ruolo ingrato, è molto brava. Katy Bates, as usual, eccelle. 

Chiudono l'eterogeneo ed ottimo cast Adrien Brody, Tom Hiddleston, Alison Pill, Michael Sheen, Kurt Fuller, Mimi Kennedy, Corey Stoll, Carla Bruni, Gad Elmaleh

 

“Tutti temiamo la morte e ci interroghiamo sul nostro posto nell’universo: compito dell’artista non è quello di soccombere alla disperazione, ma di trovare un antidoto alla futilità dell’esistenza. Tu hai una voce forte e chiara: non essere così disfattista!”  

 

La sospensione dell’incredulità ovviamente, data la tipologia del sottogenere affrontato - la romantica commedia fantastica (il film è stato candidato ai Nebula e ai Saturn) -, interviene con grazia, ed ulteriormente ogni sorta di dubbio crolla, collassa e frana sotto ai colpi delle discussioni escursive/incursive sui massimi sistemi.  

 

“Vuoi vedere che l'Età dell'Oro / Era appena l'ombra di Wall Street?”

 

* * * * (¼)

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Romanoffs

  • Serie TV
  • USA
  • 1 stagione 8 episodi

Titolo originale The Romanoffs

Con Matthew Weiner, JJ Feild, Aaron Eckhart, Louise Bourgoin, John Slattery

Tag Commedia, Storia corale, Relazioni, Storie di vita, Varie, Anni duemiladieci

The Romanoffs

In streaming su Amazon Prime Video

vedi tutti

 

Postilla.

Dopo aver assistito a “the Violet Hour”, il primo episodio di “the Romanoffs”, la mini-serie antologica - con un sottile file rouge orizzontale di “sangue” narratologico - di Matthew Weiner (“Mad Men”, “Heather, the Totality”), non potrete più ripercorrere il lungo Senna - e il cinema passato e presente - senza quella sensazione di (immotivato, col senno di poi, e forse del tutto soggettivo) pericolo imminente (ancor più, ad esempio, di quanto accade, però esplicitamente, con la tensione esibita in primo piano, in “Frantic”), qui nel lavoro di Allen incarnato, rappresentato ed espresso, collateralmente, da Zelda Sayre Fitzgerald.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

To Rome with Love

  • Commedia
  • Spagna, USA, Italia
  • durata 115'

Titolo originale To Rome with Love

Regia di Woody Allen

Con Woody Allen, Judy Davis, Ellen Page, Jesse Eisenberg, Greta Gerwig, Penélope Cruz

To Rome with Love

In streaming su Infinity Selection Amazon Channel

vedi tutti

 

Allen ci ha cartolinizzato e cartoonizzato l'anima: faremo finta di scoprire ciò che siamo troppo tardi (ormai)...

 

La Macarena su Roma:

 

tra l'Oltre Tevere e Ostia Lido,

scelgo, anzi ecco, l'Aniene.

  

ARA PACIS  =  BOX DOCCIA

 

...ma anche un Auditorium della Musica - Fonte Meravigliosa a 180°...

 

"Hm... Formaldeide...!"

 

To Rome With Fear and Loathing:

---  http://www.youtube.com/watch?v=b-vsET4MbmU  ---

 

 

Per rimanere nello spirito amorevole della pellicola, a tutti quelli cui non è 'piaciuto', dico, prendendo in prestito Pasquale Ametrano: "http://www.youtube.com/watch?v=EuFIty8EEFg!!!". Che Pordenone già mi manca... (Un TriVeneto come solo Germi...e baciala, stupido!)

 

Quattro storie che non si incontrano mai, nemmeno temporalmente, ma viaggiano interlacciate.

Quattro storie che contengono tutte un elemento fantastico, favolistico, stralunato: il Coro Greco...Singolo Individuo, in etero-stereofonia col proprio Nostos in corso, di Alec Baldwin; la Capacità Caratteristica del tenore; il perdersi alla Habemus Papam di Alessandra Mastronardi; la Situazione Calata dall'Alto su Leopoldo-Benigni.

 

Il Pensiero Statunitense, ovvero:

il Busilli del Cacaversi.

 

Presa in una morsa fra il gossip del noto e la processione del santo, l'Italia sta.

In un nugolo di comparse, ricettive inconsapevoli dannazioni, che son le comparse che fan la storia, raccolte direttamente dalla Prima Fila del Festival di San Remo, ecco lo sfondo sociale.   

In una nube di desistenza, di ricettacoli di giubilo sfitto, di suffragante atarassia, che la differenza tra i vivi di contorno e i morti fuori campo è il diverso grado di decomposizione.

 

Cosa distingue Woody Allen da Eat Pray Love ed i cine-panettoni?

Il senso dell'inquadratura ( in questo caso Darius Khondji ) o l'assenza più acuta presenza di E-Scatologia?

Il fatto che "Conosce il verso d'ogni poeta, quanto basta per fingere"?

L'Horror Vacui dello spot Rutelliano

(pliz visit de uebsait bat pliz visit itali, de best cauntri in de uold in terms ov calcier, lanskeips, ards, historis, sitis, villigis, biutiful cauntrisaid, sisaids, maunteins, bat is itali iu nou pereps iu driming abaut, bat pliz visit auar cauntri, ui uill...uellcomm iu uormli end better organizescion)

evacua nell'Horror Pleni del Paese Reale...

...che evapora nella Fantasia minima e dolce di questo...'''Decamerone'''...

"Questi (Quanti!) «Fantasmi" a Roma». 

 

Una Cartolina Alleniana all'Edicola di Piazza di Spagna vale tanto quanto un documentario BBC o Report - Presa Diretta, ed io condizionato dal benevolo pregiudizio di una Carriera di circa 45 titoli con almeno 9 capolavori (Stardust Memories, Zelig, Broadway Danny Rose, Radio Days, Crimes and Misdemeanors, Husbands and Wives, Sweet and Lowdown, Anything Else, Match Point; e per confronto: Billy Wilder circa 25 film e 15 capolavori...) ho avuto piacere a godermi quest'Allucinazione da Little Tour.

Qui si Pretende la Mediocrità dello svettare sopra gli altri per un colpo da/i niente e per nulla ritornare nessuno.

 

Fra 30 anni, quando la Crisi, quella vera, quella...'''morale''', alla radice di tutto, che succhia linfa negli altrettanto fertili terreni d'oltr'alp'e mare, ci avrà dimenticati, i Vanzina Bros. (e cito loro per non citare i diversamente tra loro orribili, 'cinematograficamente', Brizzi-Bruno-Manfredonia-Moccia-Nunziante-Oldoini-Parenti-Veronesi) saranno considerati dalla più importante 'rivista' di cinema italiana, " Cin(em)a ", alla stregua di come noi oggi consideriamo Mattoli, Mastrocinque, Steno, Festa Campanile, Corbucci (e cito loro per non citare Dino Risi) : nel 2040 un produttore del Guandong nato nel protettorato del Granducato di Parma sentirà la necessità e/o deciderà ch'è venuto il momento giusto per raccontare il "Boom!" del suo tempo chiamando a raccolta lo Zavattini, il Flaiano e il Sonego d'allora: così come Allen (con Medusa) non vuole denunciare la Crisi io non voglio altro che la crisi peggiori, che salvare l'Italia così com'è ora non ne vale la pena.

 

"L'Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade, ancora truffe al forestiero, si presenti come vuole. Onestà tedesca [sic transit...; NdA] ovunque cercherai invano, c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina; ognuno pensa per sé, è vano, dell'altro diffida, e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé."

Goethe sull'Italia del Grand Tour.

 

"È incredibile che il colosseo sia ancora qui dopo migliaia di anni!" - "La grande ironia è che qui una volta c'era una magnifica civiltà e ora...solo queste rovine. Questo senso del futile..."

Woody Allen sull'Italia di adesso.

 

"Io voglio vedere Roma, la Roma che resta, non quella che passa ad ogni decennio."

Goethe, idem come sopra.

 

"Quello là è il peggiore di tutti, Woody Allen non esiste che grazie all'ingenuità europea... I suoi film sono vuoti, puerili. Non c'è il minimo embrione di pensiero né di invenzione. La sua visione dell'ambiente intellettuale è di una convenzionalità risibile. Lui stesso non è un intellettuale, ma un consumatore culturale... Non sa niente della società che racconta... è più un caricaturista."

Philip Roth su Woody Allen.

 

"Sono d'accordo su un punto: niente di ciò che ho fatto testimonia di un travaglio intellettuale, io non ho niente dell'intellettuale e non ho mai tentato di esserlo... Sono un comico di night club divenuto cineasta... Quando Roth dice che i miei personaggi non vivono la vera vita, forse ha ragione. Quando scrivo dei film, mi sforzo di essere bizzarro e non di riprodurre il vero stile di vita della gente."

Woody Allen su Philip Roth su Woody Allen.

 

No, non voglio che si salvi l'Italia al punto in cui è ora, voglio che la crisi peggiori: solo allora varrà la pena salvarla, e verrà automatico, e questa volta senza il bisogno che un altro DeSica-Rossellini-Fellini-Germi-Petri nel 2040, con la supervisione monetaria di un guangdonghese appenninico senta la necessità o decida che sia il momento giusto di raccontarci "il Boom". Dopo la guerra, l'eterno ""dopo"" guerra, bisognava ri-costruire...adesso è sufficiente una ristrutturazione, con qualche abbattimento neanche troppo selettivo o strategico. No, Allen non s'è candidato premier e non vuole né farci la morale né indorarci la supposta, in Italia semplicemente s'è fatto il suo little tour, e al tempo stesso ha sfornato un film...hm...delicato, favolistico, e per certi versi terribile.

"2061" (un anno eccezionale) ...stiamo arrivando! 

 

Allen ci ha cartolinizzato e cartoonizzato l'anima (al contrario-identico del Vanzina di Vacanze in America o del Verdi di Aida o del Salgari della Malesia) : l'espositore rotondo dell'edicole di Piazza Navona gira e gira...e se qualche italiano passa di lì e si ferma e decide di comprarne una, di cartolina, e dice com'era bella, com'era bella...un blu sparato, macerie imbellettate, photoshop manuale, e magari pure To Rome With Love è in vendita con una testata Mondadori a qualche euro (gli ultimi rimasti) : un panino con la porchetta o un dischetto incellofanato ? Ecco, magari, magari...magari invece si faranno i mondiali di sci al Circo Massimo [dopo che la Formula 1 all'EUR è tramontata prima di sorgere (ma non la Formula E; NdA - Apr. '18)] : Massima Pendenza, è tutto in discesa ragazzi, è tutta discesaaa... Aspetto con ansia Vacanze in Qatar o il nuovo Allen con la pro-loco di Doha. C'è già troppa To Rome With Hate in giro...

 

Sotto il Sole di Roma, con Due Soldi (Medusa) di Speranza, Allen-Pizzardone fa delle macerie 'solo' virtuali una cartolina sur/iper/realist-ic-a. 'Noi', nel mezzo, continuiamo a dribblare gli occhi dei turisti.

 

Un po' come nell'ep. di South Park in cui a Cartman salta il fusibile della risata, forse non "riusciamo" a ridere con ToRomeWithLove, a 'capire' ToRomeWithLove, perché, abitando in-su quel set ogni giorno...il nostro sense of humor è andato in overloaded come a Cartman di fronte alla coppia che soffre di TPS (Torsonic Polarity Syndrome : l'averci viceversa la faccia al posto del culo e il culo al posto della faccia) : con Polverini in contromano, Fiorito controtutti, Formigoni in controsenso, Zambetti contro'mbardia, Lusi-Papa-Belsito contro i nostri coglioni...che vuoi che sia un Benigni-Aniello Arena che vuole ancora il suo Reality?

Per raccontare quest'Italia Allen avrebbe dovuto cucirci addosso Cassandra's Dream o Match Point...m'al contrario ha scelto di immergersi fino in fondo nel Posto con gli occhi dell'innamorato un po' distratto: invece che gli occhi le guardava il culo. E la guardava addirittura attraverso gli occhi del nostro cinema attuale...la televisione: quel che faceva ieri il cinema oggi lo fa cinetelecittà o colognomonzese, il tg3 come il tg5...

L'insostenibile leggerezza dello sprofondo.

"Amada Mia, Amore Mio" di B.Pallesi, C.Valli (Celentano, Vasco, Jovanotti...) e P.Zavallone (El Pasador, 1977), performed by the Starlite Orchestra: tra Oliver Onions e Manuel De Sica...

 

L'addannasse coatto delli numberi 1, 2, 3, 7, 11..., o: "Se dovessi votare agli Oscar non avrei dubbi": ché già lo Strega lo danno a cazzo...

 

Me ne andavo da questa Roma...

 

"Chiunque sia l'imbecille-minus habens che ha concepito l'esperimento dovrebbe essere rinchiuso e decapitato".

 

Faremo finta di scoprire ciò che siamo troppo tardi (ormai)…     

 
***¾ (****)
 
 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Blue Jasmine

  • Commedia
  • USA
  • durata 98'

Titolo originale Blue Jasmine

Regia di Woody Allen

Con Cate Blanchett, Sally Hawkins, Alec Baldwin, Peter Sarsgaard, Louis C.K.

Blue Jasmine

In streaming su Amazon Video

vedi tutti

 

Blanche (& Stanley & Stella) Jasmine, Wonder Maelström. 

 

«Blue Jasmine», incastonato fra due piccole divertenti gemme scherzosamente serieggianti quali «To Rome with Love» e «Magic in the MoonLight», è un crescendo: inizia, ed è empaticamente repellente -[il personaggio interpretato magnificamente da Cate BlanchetteEyes Wide Shut», «Coffee and Cigarettes», «the Aviator», «Babel», «the Good German», «I’m Not There», «Knight of Cups», «Carol», «Song to Song») – che, e mi si perdonerà l’inciso partito per la tangente, sta a Monica Vitti come Tilda Swinton a Mariangela Melato – è molto difficile da mettere in scena rispettando una caratterizzazione in fase di sceneggiatura così inesorabilmente crudele, e raggiunge il proprio climax, ben prima della fine, nella scena alla tavola calda coi nipotini: un pezzo d’ipnotica bravura da orgasmo]- , per poi proseguire inserendo e consolidando personaggi finemente cesellati con sole tre o quattro pennellate mess'in scena da uno stuolo di ottimi ed eccellenti attori -[Sally Hawkins («All or Nothing», «Cassandra’s Dream», «Happy Go Lucky», «the Shape of Water»), Alec Baldwin («30 Rock», «tRwL»), Bobby CannavaleBoardWalk Empire», «Vinyl»), Louis C.K. («Horace and Pete», «I Love You, Daddy»), Peter SarsgaardIn the Electric Mist», «Night Moves», «the Looming Tower»), Michael Stuhlbarg («A Serious Man», «BwE», «Arrival», «Fargo - 3», «Shirley»), Max Casella («the Sopranos», «Vinyl») e, ultimo non ultimo, Andrew Dice Clay]- in stato di grazia (dato da quella tipologia di prestazione che può scaturire dal metodo di lavoro allen(eastwood)iano: poche prove, riprese leggere e buona la prima.

 

Se il montaggio, secco, fermo e deciso, m'al contempo parimenti gentile, leggero e fluido, come al solito è a cura di Alisa Lepselter [per un film che raccoglie dal meglio attoriale dei co-protagonisti e dei caratteristi delle co-produzioni scorsesiane (BwE e Vinyl) e dintorni (the Sopranos) è lecito scomodare un altro sodalizio «eterno»: quello del regista di «Raging Bull» con Thelma Schoonmaker], la fotografia, naturalistica coast-to-coast(-to-coast: Spagna, New York, San Francisco) è di Javier Aguirresarobe («el Sol del Membrillo», «the Others», «Hable con Ella», «Mar Adentro», «Goya’s Ghosts», «the Road»), che torna a lavorare con Allen dopo «Vicky Cristina Barcelona», e il repertorio musicale spazia dai grandi del jazz delle origini quali Louis Armstrong (1901-1971) e King Oliver (1885-1938, mentore di Satchmo), passando per i contemporanei Julius Block e, in una versione di «Blue Moon», Conal Fowkes, per finire con l’afro-creola Lizzie Milies (1895-1963) e il suo esplicito contrappunto a chiusura morale in salsa dixie-blues di «A Good Man Is Hard To Find», il classico standard di Eddie Green.

 

Blanche (& Stanley & Stella) Jasmine, Wonder Maelström.

* * * * ¼ (½

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Unbelievers

  • Documentario
  • USA
  • durata 77'

Titolo originale The Unbelievers

Regia di Gus Holwerda

Con Richard Dawkins, Lawrence Krauss, Ayaan Hirsi Ali, Woody Allen, Daniel C. Dennett

The Unbelievers

 

- - - - -  INIZIO INTERMEZZO  - - - - -

 

Postillona/Suppostona.    
«Curiosità» (deprimenti & imbarazzanti).

La pagina wiki italiana del film riporta come autore delle musiche Christopher Lennertz.
Boh. Mah.
Né quella inglese né la scheda di IMDb (che della colonna sonora proprio non trattano del tutto) lo citano.
Quando e dove è nata questa feic nius?

Googlando (molto velocemente e superficialmente) con parole chiave e un intervallo di date in un paio di minuti si può estrapolare un tentativo di ricostruzione spannometricamente alla buona:
- il 13/09/’13 tal Simon Miraudo, di/su/per QuickFlix, scrive: «Christopher Lennertz’s discordant jazz score soundtracks her mad descent...»
- il 30/09/’13, tal Ian Radford di/su/per Den of Geek, scrive, palesemente copiando: «Christopher Lennertz’s original music fills in the discordant beats between songs, but the mood is built around Rodgers and Hart’s Blue Moon – you know the song Blue Moon»: non solo non ci sono «musiche di raccordo», ma poi fa pure lo splendido: «you know»...
- il 20/07/’13, e veniamo così alle pagine in italiano, la Redazione di Indie Eye scrive: «Accompagnato da una colonna sonora Jazzy scritta da Christopher Lennertz...»
- il 24/12/’13, tal Tosi Siragusa di/per/su Tempo Stretto, scrive delle «malinconiche note jazz di Christopher Lennertz, come sempre valide»: cioè: «come sempre valide».

E già qui si spiegherebbe l’errore di wiki.it, ma, proseguendo con la carrellata e giungendo sino all’oggi:
- il 19/05/’21, tal Gordiano Lupi di/su/per Futuro Europa, vuole superare i suoi illustri predecessori e sbraca: «Colonna sonora straordinaria di Christopher Lennertz - come sempre molto curata nei film di Woody Allen - dai ritmi jazz e le suadenti sonorità al piano.»

Però il meglio sta nel mezzo:
- il 28/11/’17, tal Cinzia Costa di/su/per il Sussidiario (il «Quotidiano Approfondito», cit., sic!), ci mette del suo raggiungendo vette ineguagliate: «Alle musiche, la produzione diretta dalla Warner Bros, ha voluto il musicista Christopher Lennertz, compositore di musiche per blockbuster senza troppe pretese ma, si sa, nel cinema di Allen la musica è a volte marginale privilegiando i dialoghi e i silenzi.»
Biiis!

Vi prego, ditemi che in realtà Christopher Lennertz è, anche solo marginalmente, collegato in qualche modo a «Blue Jasmine»: pure se a mio discapito, sarebbe un mondo migliore…  

 

- - - - -  FINE INTERMEZZO  - - - - -

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Magic in the Moonlight

  • Commedia
  • USA
  • durata 97'

Titolo originale Magic in the Moonlight

Regia di Woody Allen

Con Emma Stone, Colin Firth, Eileen Atkins, Marcia Gay Harden, Hamish Linklater

Magic in the Moonlight

In streaming su Now TV

vedi tutti

 

Razionalità - fra "Shadows and Fog" cerebrali - in pieno Sole: poi giunge il cirrocumulonembo dell'Amore e... "Whatever Works"!

 

Uno dei più «seri» tra gli «scherzi» dell'autore, «Magic in the Moonlight», incastonato fra due drammi duri e puri, uno - «Blue Jasmine» - intrinsecamente cassavetesiano, l’altro - «Irrational Man» - nichilista-esistenzialista (e quindi profondamente alleniano: «Crimes and Misdemeanors» e «Match Point» docent), rifulge di una particolare luce propria (che non è solo quella del mattino e del meriggio che Darius Kondji - col regista oramai, a progetti alterni, da più di dieci anni, e qui in trasferta costazzurrognolo-provenzale dopo la NY di «Anything Else», la Ville Lumière di «Midnight in Paris» e l’Urbe di «To Rome with Love» - gett’addosso ad Emma Stone), quella dell’illuminismo a oltranza.

«Non esiste autenticità, è tutto fasullo: dal tavolino a tre gambe al Vaticano e oltre.»

«Ho sempre saputo che doveva esserci in questa vita più di quanto non si veda. Com'è possibile che quello che vediamo sia tutto quello che c’è? È un pensiero così deprimente. Perché mai Dio si sarebbe preso tanto disturbo se ogni cosa finisse nel niente?»

«Avevo sentito una piccola vibrazione di ansia quando il motore [dell’Alfa Romeo 6C(avalli) 1750 Gran/Super (1928) Sport rossa; NdR] ha cominciato a fumare poco fa.»

 

L’understatement uggioso di Colin Firth è adatto al ruolo. La grazia malandrina di Emma Stone - che confondo sempre con Emma Watson così come inverto Michelle Williams e Carey Mulligan e incrocio Dakota con Elle Fanning - altrettanto. Completano la compagnia d’attori (raccolta e selezionata da Juliet Taylor, l’abituale cast director del regista), come sempre eterogenea e affiatata: Simon McBurney, Eileen Atkins, Amish Linklater (con ukulele), Marcia Gay Harden, Jacki Weaver e Catherine McCormack.

Montaggio di Alisa Lepselter. Musiche da Kurt Weill a Cole Porter, passando per Beethoven, Ravel, Stravinsky. Producono Perdido/Gravier (Letty Aronson) e distribuisce Sony.

Ute Lemper al cabaret berlinese interpreta «Alles Schwindel» (Vertigine/Truffa) di Marcellus Schiffer e Mischa Spoliansky, appropriata tanto per il contesto geografico, storico e politico, ovvero il tramonto della Repubblica di Weimar, quanto per quello prettamente narrativo legato al soggetto ectoplasmatico del film.

«Direi che ha un classico disturbo nevrotico della personalità. […] Ossessionato dalla mortalità. Non crede in niente. Trova che la vita non abbia significato. Insomma, un perfetto depresso che sublima ogni cosa nella sua arte. Ed è un grande artista. […] Ma, come Freud, non si farà mai e poi mai sedurre da pensieri infantili solo perché sono più confortanti. Davvero un uomo infelice. Mi piace molto.»

«Mi sono lasciato prendere dal pensiero magico, e per un po’ sono stato felice. Ma ero felice com’è felice un idiota, la felicità non è la naturale condizione umana.»

 

Lo capisci, l’inganno, la macchinazione, la pastetta, un paio di secondi prima che venga esplicitata, la rivelazione, dal modo in cui Emma Stone distende le gambe poggiando i piedi sul pouf: una maniera un po’ troppo familiare di comportarsi alla presenza di -omissis-

Contestualizzata al «genere» la sceneggiatura di Allen è coraggiosa anche perché non spinge sul pedale - rispettabilissimo - dell’intrigo alla Doyle/Christie: ad esempio poteva utilizzare il malore poi risoltosi dell’amata zia trasformandolo per l'occasione agli occhi degli altri in un accidente fatale, farne rievocare la presenza tramite una seduta spiritica e poi, sul più bello, farla comparire sul serio, dal vivo e da viva, sulla scena dell’imbroglio reiterato. E invece, la svolta, la risoluzione, del tutto intellettuale nell’espressione e nell’accezione più tecnico-scientifiche del termine, avviene «fuori campo & in piena vista», ovvero dentro la scatola cranica del protagonista rimuginante. 

 

Razionalità - fra "Shadows and Fog" cerebrali - in pieno Sole: poi giunge il cirrocumulonembo dell'Amore e... "Whatever Works"! 

 

(***¾) ****    

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Irrational Man

  • Commedia
  • USA
  • durata 96'

Titolo originale Irrational Man

Regia di Woody Allen

Con Joaquin Phoenix, Emma Stone, Jamie Blackley, Parker Posey, Ethan Phillips

Irrational Man

IN TV Sky Cinema Due

canale 302 vedi tutti

 

«Irrational Man», o: della Pareidolia Morale.

 

La famosa citazione - «The reasonable man adapts himself to the world; the unreasonable one persists in trying to adapt the world to himself. Therefore all progress depends on the unreasonable man.» - tratta dalla commedia para-übermenschiana (Nietzsche) e contro-dongiovannesca (de Molina, Bertati, Da Ponte) in 3 atti di G.B. Shaw del 1903, «Man and SuperMan», era già alla titolante base, per rimanere al cinema recente, del «An Unreasonable Man» di Mantel & Skrovan, il documentario dedicato a Ralph Nader, il politico indipendente di centro-sinistra di area verde & progressista-riformista che più volte in quarant’anni, dai primi anni ‘70 a fine anni ‘00, partecipò alla corsa per le presidenziali U.S.A., contribuendo in un caso alla vittoria per un soffio di G.W. Bush Jr. nei confronti di Al Gore, con l’endorsement dello stesso Michael Moore che 4 anni dopo dedicò in parte a quella sconfitta «Fahrenheit 9/11»: ecco, Woody Allen non quota espressamente…

(fra il piccolo profluvio di riferimenti e virgolettati da lezione universitaria oltre al lapalissiano Fedor Dostoevskij di «Delitto e Castigo», innestato con l’inflazionata citazione a commento manoscritto in esergo a piè di pagina di Hannah Arendt sulla Banalità del Male - che qui si trasforma in quella non del Bene, della Giustizia, della Morale, dell’Etica, ma dell’Indifferente Caso, che assume valenza consapevolmente positiva solo agli occhi dell’essere umano, trattandosi infatti di un caso di pareidolia della coscienza, con una mini-torcia tascabile a guisa di Lanterna di Diogene di Sinope: «Cerco l'uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l'uomo che, al di là di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e al di là dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice.» -, compaiono Heidegger, Kant, Kierkegaard, Sartre, etc..., più, di sguincio, il Bergman di "Luci d'Inverno")

…l’enunciato dell’autore di «Saint Joan», né, e soprattutto, il saggio del 1958 di William Barrett, quasi omonimo al film, «Irrational Man: A Study In Existential Philosophy», che del cogitare di quei pensatori è intriso, ma per l’appunto di quello, tautologicamente, si tratta: un piccolo volo per un uomo, un minuscolo passo - da ferma ("Questo è omicidio! Ed apre la porta ad altri omicidi!") sul posto - per l’umanità.

 

- "E cosa ti serve, per respirare?"

- "Ah... Io... Non... La voglia di respirare..."

 

≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈

 

«È molto conservatore, in modo liberale, direi.»

 

Da evidenziare, da una parte, l’utilizzo composto di una doppia voce narrante, di cui solo una in zona «SunSet Boulevard», e dall’altra quello «spasmodico» e perfettamente integrato - nelle scene puramnete drammatiche così come in quelle più sottilmente «giocose»: l’irruzione in casa del professore da parte della sua allieva-amante - della «the ‘In’ Crowd» di Billy Page del 1964 nella versione strumentale del Ramsey Lewis Trio dell’anno dopo, e tre scene paradigmatiche: la prima dimostrante, se ce ne fosse bisogno, l’eccezionale bravura di Joaquin Phoenix, grazie all’understatement col quale mette in scena una roulette russa «5 su 6», la seconda evidenziante - con l'allestimento dell’omicidio, che rimarrà fuori campo, pivilegiando la costruzione della premeditazione e il rovescio emotivo (rimorso, paura, adrenalina) appena successivo all’accaduto ancora in accadimento - tanto la capacità di Allen di organizzare tensione e suspense hitchcockiane (così come, diversamente & liminalmente, nei precedenti «Crimes and Misdemeanors», «Match Point» e «Cassandra's Dream» e nel successivo «Wonder Wheel») quanto quella di saper sfruttare a dovere, col montaggio «a freddo» di Alisa Lepselter, le doti recitative di Phoenix, e la terza, al contrario, essendo la mena riuscita (per com’è stata realizzata, non per com’è stata scritta) non solo fra quelle menzionate, ma dell’intera pellicola, ovvero il pre-finale: ottima Emma Stone, la resa di Phoenix un po’ impacciata (nel senso che non riesce a rendere realistico l’impedimento fisico e a far innescare la sospensione dell’incredulità che quei 30 kg...

 

[Poco dopo il primo omicidio il protagonista dirà al personaggio interpretatao da una molto brava Parker Posey, che, con Jamie Blackley, chiude il ristretto cast principale: “Il trucco è di non esaminare le cose troppo da vicino. Non discutere ogni argomento, ma seguire il proprio istinto. Cioè scegliere di agire, di fare, anziché stare ad osservare perdendosi in cliché convenzionali.” In originale inglese “istinto” è “gut”, ovvero “intestino, budella” - “The trick is not to examine things too closely. Not to debate every issue, but to go with your gut feeling. You know, and choosing action, to do, rather than to observe and get lost in conventional clichés.” -, e infatti mentre pronuncia quelle parole si tocca lo stomaco prominente.]

 

...di differenza in sovrappeso richiedono a gran forza) e la regìa di Allen, con - cosa più incredibile, avendo fotografato molti film di Jeunet e Fincher - Darius Khondji dietro (qui per l’ultima volta, dopo una collaborazione non ininterrotta iniziata una dozzina d’anni prima con «AnyThing Else») alla MdP, che per una volta potevano non sottostare alla «regola» del buona la prima, o quasi, per quella scena ascensoriale molto madmeniana.

«Irrational Man», o: della Pareidolia Morale.

* * * * (¼)

 

Recensione

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Café Society

  • Commedia
  • USA
  • durata 96'

Titolo originale Café Society

Regia di Woody Allen

Con Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Blake Lively, Steve Carell, Corey Stoll, Parker Posey

Café Society

In streaming su Now TV

vedi tutti

 

HollyWood (Starting) o Morte (Ending): due Matrimoni (qualunque altra cosa, basta che funzioni!), e quattro Occhi Sognanti.

 

Per la prima volta al soldo alleniano, Vittorio Storaro, che a sua volta svezza il regista (oltre che, più compiutamente, sé stesso, lavorando di concerto alla scoperta del nuovo mezzo e supporto) al digitale (e se nulla all’apparenza cambia col passaggio dal binomio Arri+Kodak alla Sony CineAlta F65, forse tutto cambia: il film successivo, «Wonder Wheel», girato alla stessa maniera, è uno dei film «ontologicamente» più teatrali di Allen proprio anche perché le quinte e lo sfondo - in studio e all’aria aperta - sono in green screen e low-CGI), illumina Kirsten Stewart come in seguito farà, più spudoratamente, con Kate Winslet, Juno Temple ed Elle Fanning (ed Elena Anaya, in un «fiammeggiante» bianco e nero bergmaniano).

 

New York & Nebraska vs. Hollywood, metà anni ‘30.
Perennemente orbitanti attorno ad un loro punto di Lagrange in comune che li tiene uniti ma distanti, Jesse Eisenberg (il protagonista: che entra in scena in un secondo momento, dopo - e introdotto da - il prologo «family jews» allargata, e che non è dotato di PdV principale) & Kristen Stewart (la Veronica n° 1, Vonnie) si attraggono e respingono [l’epifanico colpo di fulmine che sorprende e permea lui, e l’amore a lenta carburazione, coltivato con l’amicizia e, una volta raccolto, messo sul piatto del Decidere che Fare della Propia Vita (e, di conseguenza, di quella degli altri), di lei] sino alla dissolvenza incrociata che li avvicina e li separa nel finale, e, punteggiato con parsimonia dalla voce narrante dello stesso Allen, Steve Carell (diretto per la seconda volta dal regista dopo una piccola parte in «Melinda and Melinda»), qui in una versione - mi si passi l’azzardo - via di mezzo fra un Mr. Rochester fatalista suo malgrado, un Clare Quilty buono/indifferente e un Pigmalione meccanicamente generoso più per convenzione che per convinzione, è blandamente impegnato a tessere e intrecciare i fili e a sciogliere e disfare i nodi, lasciando che sia il destino (un po’ d’amore, e una consistente dose di denaro e potere) a decidere le sue sorti e per contrappasso quelle di tutti e tre.

 

Quasi un cameo (due pose) per Sheryl Lee (così come per Tony Sirico), che al contempo è uno dei personaggi (assieme a quello interpretato, magnificamente, da Blake Lively, la Veronica n° 2 - ad esempio quando dice a Bobby «Mi hai chiamato Vonnie. Non mi chiami mai così...», e, ancora, nella sua ultima scena, contro-eyeswideshutiana: «I sogni sono solo sogni...» -, e a quello - un breve «siparietto struggente»: 3 minuti di dolce delirio - messo in scena da Anna Camp, la prostituta alle prime armi Candy) più sentimentalmente tragici della storia.
Chiudono l’ottimo cast, in un turbinio di famiglia, religione e mafia: Corey StollMidnight in Paris», «the Romanoffs»), Jeannie BerlinMargaret», «Inherent Vice» e «the Night of», mentre sua madre, Elaine May, ha recitato per Allen in «Small Time Crooks» e «Crisis in Six Scenes»), Ken Stott («the Hobbit Trilogy», «the Dig»), Parker Posey («musa» di Hal Hartley e poi in «Irrational Man»)…
Montaggio di Alisa Lepselter, musiche dal repertorio di Count BasieBenny GoodmanVince Giordano and The Nighthawks

 

«HollyWood (Starting / Ending) or Bust»: a Marriage Stories (AnyThing Else, WathEver Works!): «Your eyes look so dreamy!»

 

(***¾) ****   

 
 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Crisis in Six Scenes

  • Serie TV
  • USA
  • 1 stagione 6 episodi

Titolo originale Crisis in Six Scenes

Con Woody Allen, Miley Cyrus, Elaine May, John Magaro, Rachel Brosnahan

Tag Commedia, Storia corale, Relazioni, Società, New York, Anni '60

Crisis in Six Scenes

In streaming su Amazon Prime Video

vedi tutti

 

"Ain't it amazing all the people I meet?"

 

• Crisis in Six Scenes : Sit(uation/down)-Com? Up(grade/on)-Com!

“Gli americani non gettano via, mai, i loro rifiuti. Li trasformano in show televisivi.” 

 

[Peter Lorre – Secret Agent – Alfred Hitchcock – 1936 / Franklin Pangborn – the Bank Dick – Edward Cline – 1940 / Percy Helton – Kiss Me Deadly – Robert Aldrich – 1955 / Elisha Cook, Jr. – the Killing – Stanley Kubrick – 1956]

 

Allen torna alle origini, letteralmente, del mezzo - ai tempi di Ed Sullivan e Johnny Carson -, e si cimenta per la prima volta con una modalità produttiva (e, di conseguenza, solo in minima parte, di scrittura) mai esplorata-adottata prima, relazionandosi con (in un percorso a slittare da ''televisione'' a ''cinema'') i cliffangher di fine episodio   

 

[ nulla - ma proprio niente - di diverso rispetto al montaggio di “Manhattan Murder Mistery” o “Small Time Crooks”, per intenderci: più che una serie tv, un film a fette (sei ep. da poco più di 20 minuti l'uno) : questa l'unica differenza tra le due modalità e forme di espressione artistica ]

e le successive e subitanee risoluzioni (ed altrettante sovrapposte complicanze), le dissolvenze e le sfumat(ur)e a nero, i piani sequenza sia fissi sia esplorati da eterogenei e complessi movimenti di macchina e, finalmente, di nuovo, a sé stesso in scena, sfornando per l'Amazon di Jeff Bezos

[ che in questi anni ha prodotto “Mozart in the Jungle”, “Transparent”, “One Mississippi”, e, in questo mash-up liquido e pixelato, anche (il) “the Grand Tour” di Clarkson-Hammond-May: il primo licenziato da BBC e gli altri due licenziatisi di conseguenza ]

un racconto ferocemente dolente e desuetamente terminale

{da parte mia mai ho usato prima d'ora questo termine ''testamentale'' nei confronti di Allen [ma attenzione, Woody è sempre stato ''vecchio'' (o meglio, ''in ritardo'' rispetto alla piena esposizione al mezzo) : il suo primo ''vero'' film (l'esperimentale “What's Up, Tiger Lily?” è del '66) lo ha scritto e diretto nel '69 (“Take the Money and Run”), a 34 anni, mentre il successo planetario giunse nel '77 (“Annie Hall”), a 42] : questi sono i suoi sixties, finalmente è tornato a casa, e nessuno può permettersi di mangiare le sue arance},

in cui non si cita Fanon a memoria, lo si ciclostila, e si tira Mao per la giacchetta gettandolo in pasto (se lo merita) ad un ginoide Club del Libro geronto-para/semi-controrivoluzionario...

 

• Crisis in Six Scenes : Mad Men? Bad, Bad, Bad Girl!

“È assolutamente evidente che l'arte del cinema si ispira alla vita, mentre la vita si ispira alla TV.”

Superba Elaine May [nota personale: è abbastanza impressionante assistere a pochi giorni di distanza alle performance prima di madre - May, appunto, qui in Ci6S - e poi di figlia - Jeannie Berlin, in “The Night Of” e in “Café Society”], motore perpetuo dell'opera (la cui ultima apparizione cinematografica porta proprio la firma di Woody Allen e va ricercata più di tre lustri orsono in quel già precedentemente citato “Small Time Crooks”).
A Miley Cyrus, improbabile White Panther bombarola e assassina e adorabile sonnambula (una delle ''invenzioni'' assurde e apparentemente inutili del film: in realtà nulla è superfluo se serve a costruire una battuta nell'episodio successivo…) perennemente affamata (un delicato e androgino Erisittone), sufficienza piena anche solo per il ranteghino in gola con cui parla.  

 

Montaggio L→I→N→E→A→R→E di Alisa Lepselter, dal 1999 (“Sweet and LowDown”) al fianco di Allen, dopo essere succeduta al ventennio precedente a cura di Susan E. Morse (da “Manhattan” a “Celebrity”, ultimamente in sala taglia e cuci con Louis C.K. per “Louie”) : nulla al confronto con le collaborazioni pluritrentennali imbastite da Francis Ford Coppola e Walter Murch, Clint Eastwood e Joel Cox, Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker e David Cronenberg e Ronald Sanders, dei veri e propri matrimoni cinematografici, o, in taluni casi, delle inevitabili convivenze forzate da sindromi tripolari (Ethan e Joel Coen e Roderick Jaynes).
Fotografia di Eigild Bryld (“In Bruges”, “Not Fade Away”, “House of Cards”). 

 

Nota.

Le due citazioni virgolettate delle frasi di Woody Allen poste in esergo alle due parti della recensione sono tratte da “Capovolgere il Mondo per Rimetterlo in Piedi”, a cura di G.Salvioni, EduCatt.

 

L'impianto ''satirico'' di Allen sfiora l'Occam della morale (il dialogo col barbiere e la scena della moglie-puttana / marito-pappone valgono di per sé/loro/ess* la visione).

Il sotto-finale imploso e depressurizzato accantona la screwball e si getta a capofitto nello slapstick, mentre la risoluzione trova, finalmente, la giusta somiglianza: ancora una volta non nell'arte, ma nell'assonanza dei nomi, e dell'aspetto.  Ecco a chi diamine rassomigli, Sidney!

 

[Woody Allen, James Dean, J.D. Salinger]

 

Volunteers of America...

Ci6S (una casuale costante ebraica) : un “American Pastoral” (P.Roth) alla rovescia (comico tinto di tragico) senza il rapporto diretto padre-figlia (ma una dissonante simile convergenza di vite), un “the Time of Our Singing” (R.Powers) costretto in quell'ultima singolarità (la narrazione si sviluppa lungo pochissimi giorni), un “Dissident Gardens” (J.Lethem) disordinato e liberato racchiuso in un dettaglio-ritaglio-fotogramma.

 

“Per l'amor di Dio, Sidney, rispondi al campanello!”
“Oh!, giusto: potrebbero essere i fratelli Marx...”

* * * ¾  -  7 ½   

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La ruota delle meraviglie

  • Drammatico
  • USA
  • durata 101'

Titolo originale Wonder Wheel

Regia di Woody Allen

Con Kate Winslet, James Belushi, Justin Timberlake, Juno Temple, Jack Gore, David Krumholtz

La ruota delle meraviglie

In streaming su Timvision

vedi tutti

 

Blue (Golden, Red, Dark) Ginny.

 

• Rosy-Fingered SunSet: arancione, oro e indaco.
Ginny (Kate Winslet, la protagonista: l’automatica professionalità è sovrastata da un alone di bravura ulteriore...), che si prepara allo specchio spazzolandosi i capelli e provando a recitare - ch’è, del personaggio, tanto l’autentica passione quanto il maggior rimpianto per non essere riuscita a renderla il suo (vero) lavoro - quel che dirà a Mickey [Justin Timberlake ("Black Snake Moan", "the Social Network", "Inside Llewyn Davis"), il narratore] più tardi, durante il loro primo appuntamento (e secondo incontro: che già s’era innamorata di lui quando lo sentì dirle quel che aveva pensato di lei a prima vista, vedendola passeggiare sulla spiaggia come Clementine in “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”, ovvero che «È molto bella, ma da qualche parte in lei c’è un tragico difetto fatale...»), che avverrà di lì a poco, quella stessa sera, e Vittorio Storaro, alla seconda collaborazione con Woody Allen dopo “Café Society”, cui seguianno quelle di “A Rainy Day in New York” e “Rifkin’s Festival”, che le fa tramontare il sole addosso (come avverrà con Elle Fanning, sempre a New York, due - o 70, dipende dai PdV- anni dopo), mentre Carolina (Juno Temple: "Kaboom", "Killer Joe", "MeadowLand"), viene «illuminata dalla luce della pioggia».

 

• Il BoardWalk di Coney Island.
Wonder Wheel” è un film che dialoga con “Crimes and Misdemeanors”, “Match Point”, “Cassandra’s Dream” ed “Irrational Man” per la Questione Etica, con “Alice” e “Blue Jasmine” per quella psicologica soggettivo-personale, e, collateralmente, con “Broadway Danny Rose” e “Bullets over Broadway” per certe… facce da Soprano, ed è a tal proposito sempre un autentico piacere vedere in azione - cioè: s’un set - Steve Schirripa e Tony Sirico (quest’ultimo già molte volte in un cast alleniano, ed entrambi come “extra” in “Casinò”, occasione in cui il primo esordì), ed è anche, di tutto il cinema di Woody Allen post-2000, con “the Curse of the Jade Scorpion”, “HollyWood Ending”, “MidNight in Paris” e “Café Society”, e forse più di tutti loro, quello che più è sorretto dall’ambiente antropico entro il quale narra la propria storia, e in ciò vede compiersi all’opera l’eccezionale gran lavoro di Santo Loquasto (che i suddetti li ha allestiti tutti dal PdV dello scenario, tranne quello parigino), con lui - non ininterrottamente - da una vita: abitato da magnifici en plein air ch’entrano ed escono dal parco divertimenti Deno’s, dirigendosi da una parte lungo la passerella, verso la spiaggia e sul molo (con una giusta dose di effetti speciali molto ben inseriti ed utilizzati), e dall’altra (il montaggio, come sempre, da più di vent’anni, è di Alisa Lepselter) raggiungendo le avenue e le street di Brooklyn, al contempo però, parallelamente e per l’appunto, è l’impianto teatrale, che paradossalmente quasi mai nelle opere del regista è stato così prepotentemente, scopertamente, percepibilmente e felicemente (im)portante, dispiegandosi nella sua essenza (non mi stupirei che la sceneggiatura possa essere nata da una mini-pièce tenuta in un cassetto da Allen per un po’), ad essere preponderante, mettendosi a dialogare con il lavoro dello scenografo che accompagna gli attori attraverso le quattro pareti in legno dell’appartamento posto sopra ad una delle attrazioni, il tiro a segno, e dove in precedenza erano alloggiati i fenomeni da baraccone, e che ospita i movimenti della macchina da presa (compreso un bellissimo momento costruito con zoom + carrellata a, prima, inseguire Kate Winslet, mentre retrocede in preda a un momento da emicrania scatenatole dal Caso e dalle Scelte, e dopo a retrocedere di fronte all’avanzata di ritorno della stessa).

 

• La vita secondo Jim (According to Jim).
Ginny regala a Mickey un rologio a cipolla, da taschino, di quelli con lo sportellino apribile a scatto e la cordicella, e la cosa che li divide è proprio il tempo: lui ha ancora tutta la vita davanti, e da farsi, mentre lei, semplicemente, no: la sua vita, bella o brutta, esista già, ha già preso un andamento, una piega, una forma, una direzione: lei e Humpty [e qui occorre una menzione speciale per Jim BelushiTwin Peaks 3 - the Return»), in una versione (s)compagna(ta) di John Goodman, mentre - per chiudere col cast - David Krumholtzthe Plot Against America») compare in una breve scena, quasi un cameo per intenditori] si sono salvati a vicenda, più di un lustro prima, quando, da una parte, il marito della donna l’abbandonò, col figlio in fasce, vendicandosi, ancora moralmente sanguinante, di un gesto impulsivo e forse non così importante, anche se il senno di poi non ne sembra convinto, e, dall’altra, la moglie dell’uomo dovette cedere innanzi alla malattia. Il tempo, si diceva: per contro, Humpty, “per fermarlo”, ha regalato a Ginny, per tre dollari dati a un ricettatore, un registratore vocale: Ginny vuole che il tempo passi, e che scorrendo cambi le cose, a Humpty, le cose, bene già stanno così. L’irreparabile avviene, il meccanismo s’ingrippa, ma non s’inceppa. Che lo voglia o no, saranno due lancette destinate a girare insieme: magari una a una velocità maggiore, in cerca di qualcosa, e l’altra, con un’andatura più parca, forse soddisfatta. Per ventiquattro volte al giorno, se stai lì a contarle, per un lungo momento, potranno anche andare d’accordo. Certo è che indietro non si torna: e questo lo «sa» perfettamente Carolina. Nel frattempo, forse, l’orologio, chissà, è ancora lì, in spiaggia: poco probabile, ma se così fosse, avrebbe ancora, in quel caso, tutta la sabbia del mondo per farlo scorrere, enumerandolo, il tempo.

 

• Lady Macbeth nel Distretto Broccolino, ovvero: A che Punto è la Notte.
Curiosità: la battuta originale «I must look like the wreck of the Hesperus» (wreck: naufragio, relitto), ch’è una frase colloquiale atta ad indicare un aspetto arruffato e trasandato che probabilmente ebbe un “picco” d’utilizzo tra il secondo dopoguerra e i primissimi anni ‘50 - fa fede in questo senso il poster di "Winchester '73", proprio allora in cartellone (periodo che, a latere e per inciso, corrisponde anche all'ultimo capitolo della vita di Eugene O'Neill, il "fil rouge" di quest'opera alleniana) -, vale a dire l'epoca in cui è ambientato “Wonder Wheel”, a causa di un film del 1948 di John Hoffman (mentre una precedente trasposizione, sempre tratta dall’omonimo poema combinante fatti e finzioni di Henry Wadsworth Longfellow del 1842, fu girata da Elmer Clifton nel 1927), è stata tradotta più comprensibilmente per il pubblico italiano con «Devo sembrare una strega del Macbeth», scatenando un’associazione d’idee: Lady Macbeth di sé stessa, Golden Ginny, in un suo momento “Blue”...

 

• Un piccolo falò, la vita.
Parlando di “A Rainy Day in New York” Paul Schrader ha scritto qualcosa del tipo: «Woody Allen è come quei pittori che per tutta la vita disegnano lo stesso paesaggio [e ritorniamo alle ninfee di Monet in “MidNight in Paris”; NdA], per scoprire più cose. Solo che lui ne scopre di meno.» Punto di vista legittimo, anche se, parafrasando ciò che Thomas Mitchell disse una volta a John Ford per zittirlo («Va bene, signor Ford. Ha ragione. Ma si ricordi che ho visto “Maria di Scozia”»; citato da Lindsay Anderson), si potrebbe ribattere: «Ha ragione, signor Schrader. Ma si ricordi che ho visto “Dog Eat Dog”.» 
Roberto Curti - «Sisifo e la Colonscopia» (recensione su “Rifkin’s Festival”) - Blow Up (n° 277, giugno 2021)

Gli dèi offuschino il pensiero all’uomo che per primo ha scoperto come distinguere le ore! Obnubilino anche colui che in codesto luogo ha posto una meridiana, per sezionare e fare a piccoli pezzi i miei giorni in modo così miserevole.
Plauto (?) - «La Ragazza/Donna Violata Due Volte» (Bis Compressa) 

 

Coney Island washboard she would play / You could hear her on the boardwalk every day 

Soapsuds all around / Bubbles on the ground 

Rub a dub a dub in her little tub all those tunes she found / Thimbles on her fingers made a noise... 

The (Four) Mills Brothers - "Coney Island WashBoard" - 1932

 

Blue (Golden, Red, Dark) Jinny.

 

* * * * ¼ (½)       

 
 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Un giorno di pioggia a New York

  • Commedia
  • USA
  • durata 92'

Titolo originale A Rainy Day in New York

Regia di Woody Allen

Con Timothée Chalamet, Elle Fanning, Selena Gomez, Jude Law, Diego Luna, Liev Schreiber

Un giorno di pioggia a New York

IN TV Sky Cinema Romance

canale 307 altre VISIONI

 

“La vita reale è per chi non sa fare di meglio.”

 

Poi, ecco che arrivano: quelle “a”, “e”, “h”, “m”, “n”, “o” ed “s”, un poco piegate ed allungate verso sinistra, e quelle “z”, le uniche sbilanciatamente sbilenche in senso opposto, riverse verso destra: tutte quante, assieme alle restanti più “regolari”, incise col bianco sul nero dei titoli di testa (e coda) dei film scritti e diretti da Woody Allen a partire da “Annie Hall”: è il Windsor con grazie del 1905 (Eleisha Pechey, 1831-1902), precisamente del tipo Light Condensed, ed è, per parafrasare il poeta, con un cambio enigmistico, “come non mai lo stare a casa”

 

“What I really need is a [Irving] Berlin ballad.”

Il lieto fine conclude (principiandone il nascere) la storia d’amore fra il protagonista (Timothée Chalamet, che alleneggia con precisione) e una ragazza (Selena Gomez, molto brava, in sottrazione, e con tag-line: “La vita reale è per chi non sa fare di meglio.”) che ritorna dal di lui passato sotto un nuovo aspetto, e di loro proprietà è il classico “e vissero per un po’ abbastanza felici e contenti”, ma ecco che così le speranze dello spettatore possono essere riservate a - e riversate verso - un impossibile, più che improbabile, eventuale sèguito (ed ovviamente ciò non accadrà, proprio come mai è accaduto nella filmografia alleniana: riciclo di topoi, sì, certamente, ma sequel veri e propri, nemmeno una volta, nemmanco per sbaglio) dedicato alla co-protagonista, una meravigliosa Elle Fanning (“Babel”, “Somewhere”, “Super 8”, “Twixt”, “the Neon Demon”, “How to Talk to Girls at Parties”, “the Beguiled”, “I Think We're Alone Now”, “Galveston”, “the Great” e il prossimo, riunita alla sorella Dakota, “The Nightingale”, ancora per Mélanie Laurent), bagnata soprattutto di luce, non solo di pioggia (Vittorio Storaro prende i raggi traversi del Sole del tramonto - o uno spot a tot lux che somiglia loro - e glieli butta addosso, come già aveva fatto con Kate Winslet e Juno Temple in "Wonder Wheel", e il Sole, così, trova una volta di più la sua ragion d’essere), e incorniciata all’inizio e alla fine da due battute (e da un’origine tucsoniano-arizonesca) che la delineano come provincialotta ingenua e sciocchina (quella sul Rolex acquistato “da un tizio per strada, per soli 200 dollari!”, e quella su Guglielmo Scuotilancia), quando il realtà il personaggio più stupido e ottuso è proprio il protagonista e in parte io narrante e semi-alter ego di Allen stesso (“Ma sì, è una vincita a poker, non sono soldi veri!”, intendendo “veri” con importanti, significativi, come se non li avesse tolti a qualche idiota padre di famiglia che magari etc…).

 

“Ti piacerà Soho. Era pieno di creativi. Poi è diventato molto costoso, così i creativi si sono spostati a Tribeca. Ma anche lì è diventato molto costoso e così ora sono a Brooklyn. Tra un po’ torneranno da mamma e papà. […] Non sai che bello essere di nuovo a New York. Se non fosse per te non so se ce la farei a tornare a Yardley.”

A Rainy Day in New York”, il "ritorno" di Woody Allen (e il suo film - tra i tanti - più “farragine di plutocrati WASP”, nonostante il tentativo di produrne da sé l’antidoto) dal Vecchio Continente alla Grande Mela (dopo che mai l’aveva abbandonata: un pezzo di “Blue Jasmine” e “Café Society” - tra la San Francisco contemporanea e la HollyWood anni ‘30 - e il complessivo di “Wonder Wheel” e “Crisis in Six Scenes”, da Coney Island anni ‘50 alla City anni ‘60-’70), contiene una delle poche continuità di campo-controcampo sbagliate del cinema del regista di “Love and Death”, “Manhattan”, “Stardust Memories”, “Zelig”, “Hannah and Her Sisters”, “Crimes and Misdemeanors”, “Husbands and Wives”, “Deconstructing Harry”, “Anything Else”, “Match Point”, “Whatever Works” e “Irrational Man”, e ovviamente è, in buona parte, colpa di Timothée Chalamet (piuttosto che della montatrice Alisa Lepselter, che lavora sul materiale da “senza prove e buona la prima” di Allen), che nella scena di “seduzione/adescamento” con Kelly Rohrbach prima ride e poi è triste, nello stesso momento, da uno stacco all’altro.

“Non dovrei abbeverarmi...

 

 

...così copiosamente.”

 

Chiudono il cast Liev Schreiber (Roland Pollard: stereotipo realistico), Jude Law (Ted Davidoff: caratterizzazione migliore), Diego Luna (Francisco Vega: consapevole macchietta), Rebecca Hall (moglie di Davidoff), Will Rogers (Hunter, il fratello maggiore del piccolo Gatsby), Annaleigh Ashford (la promessa sposa di Hunter, dalla risata assassina), Suki Waterhouse (la compagna di Vega), Griffin Newman (il regista) e Cherry Jones (la madre del minuscolo Gatsby: un’unica scena importante, ma bellissima: tre minuti di semi-monologo in long take con lento zoom spezzati in tre mini-tronconi).
Menzione a parte per Ben Warheit (Alvin Troller, nomen omen): indimenticabilmente disgustoso e rivoltante, e quindi divertente: provare per credere.
Colonna sonora che si avvale del catalogo del pianista jazz Erroll Garner, con incursioni di Sergei Rachmaninoff, Irving Berlin, Bing Crosby, Conal Fowkes…

 

“La vita reale è per chi non sa fare di meglio.”

(***¾) ****   

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Rifkin's Festival

  • Commedia
  • USA, Spagna
  • durata 92'

Titolo originale Rifkin's Festival

Regia di Woody Allen

Con Wallace Shawn, Gina Gershon, Elena Anaya, Louis Garrel, Sergi López, Christoph Waltz

Rifkin's Festival

In streaming su Now TV

vedi tutti

 

"StarDust Rêverie", ovvero: dopo “MidNight in Paris”... “AfterNoon/Matinée in San Sebastián”.

 

La locuzione “testamentario” (aggettivo) è più o meno al terzo posto per inflazione d’uso appena dietro a “implementare” (verbo) e “resilienza” (sostantivo) nel vocabolario de chevet dei gramellin-severgnin-cazzulli (nome comune di genere improprio). Ciò non toglie che “Rifkin’s Festival”, ad oggi l'ultimo lavoro di Heywood “WoodyAllen, nato Allan Stewart Königsberg il 1° dicembre del 1935 nel Bronx da una famiglia ebrea di origini russo-austro-tedesche, sia, a tutti gli effetti, l’ennesimo piccolo gioiello, ebbene sì, testamentario, cesellato con classicità e animato da una leggerezza e una grazia appartenente a pochi (si conclude nello studio di uno psicanalista, là dov'era iniziato, con un coitus interruptus intellettuale nei confronti dello spettatore) e di una profondità invidiabile perché secca, limpida ed, ebbene sì, semplice: “Scoop”, del 2006, sul versante commedia “(im)pura”, lo è letteralmente, “Whatever Works”, del 2009, in chiave dramedy, lo è nel modo più lampante, e, a suo modo, lo è anche “Irrational Man”, del 2015, in piena “tragedia”: a conti fatti, due morti e una morte… rimandata, come tutte, e con questo “Rifkin’s Festival” ecco che il conto sale a pareggio.  

«Comprai una guida per capire se ci fossero dei luoghi che avevo trascurato da poter visitare mentre ammazzavo il tempo prima del mio appuntamento. Vorrei dire che ogni volta che sono in chiesa, è solo l’estetica a cui rispondo. Ma adoro visitare qualsiasi luogo di culto. Ho un grande rispetto per la fede religiosa. Ho letto tutta la Bibbia dall’inizio alla fine, e mi sono innamorato di Eva, della moglie di Giobbe e di Dalila. Il mio strizzacervelli dice che sono attratto dalle donne che mi feriranno. Il Nuovo Testamento è molto più indulgente. Almeno il Messia si fa vivo. Gesù arriva, vestito in modo molto semplice. Guarisce le persone, fa miracoli. Eppure è un tipo normale. Un lavoratore comune. Ecco perché nella mia tesi di laurea scrissi che non sarebbe dovuto risorgere dai morti a Pasqua. È un falegname professionista. Sarebbe dovuto risorgere alla Festa dei Lavoratori.»

Wallace Shawn, ritornate alleniano (“Manhattan”, “Radio Days”, “Shadows and Fog”, “the Curse of the Jade Scorpion”, “Melinda and Melinda”), caratterista di vaglia (dalle tante collaborazioni con Louis Malle - da “My Dinner with André”, progetto molto suo, a “Vanya on 42nd Street”, intorno ad Anton Cechov - a “Marriage Story”) e gran protagonista (“A Master Builder” di Jonathan Demme da Henrik Ibsen), dopo Larry David nel suddetto “Whatever Works”, è il secondo perfetto alter ego alleniano che consente al regista e scrittore, ottantacinquenne al momento delle riprese, di affrancarsi dal ruolo di attore.

 

Elena Anaya placidamente splende fulgore. Gina Gershon si mette in gioco giocoso giocando. Louis Garrel incarna con “coraggio” una versione di ciò che sarebbe Timoteo Cialacoso se diventasse, dio ce ne scampi, regista. (E quei fortunatamente pochi secondi nei quali inscena la propria versione di “Parco Sempione” - "Te li buco quei bonghi!" - da soli valgono un tot del prezzo del biglietto staccato in una sala cinematografica, del noleggio streaming o dell'acquisto di un supporto fisico, sempre però di una eventuale versione originale sottotitolata.)
Cammei per Sergi López (in un ruolo ch’è la versione non-Bardem di quello presente in “Vicky Cristina Barcelona” e che se fosse stato interpretato da un italiano in occasione di “To Rome with Love” avrebbe scatenato le piagnucolanti giaculatorie sputacchiate dalle gracchianti vecchie zie sceme tempestanti lo stivale tritacco), Steve Guttenberg “fratello fico”, Christoph Waltz in tutina ekerotiana e il corpo-faccia inconfondibile di Richard Kind.

Fotografia (dal 4:3 abitato dai volti bergmaniani al 2.35:1 del triangolo truffautiano, passando per la profondità di campo di “Citizen Kane”, i primi respiri godardiani, gl'invalicabili varchi aperti buñueliani e le carrellate laterali felliniane: omaggi esplicitamente divertiti e sentimentali, come Bertolucci con "Bande à Part", che non pretendono certo di esprimere la profondità di un debord-ghezzi-zizek) di Vittorio Storaro. Montaggio di Alisa Lepselter. Musiche molto belle di Stephane Wrembel (e accenni di Nino Rota, Georges Delerue, etc...).
Produzione ispano-italo-americana.

Cinquantacinquenne a trentacinquenne: “E poi ho incontrato Mort. Era dolce, e brillante. Ma mi sento ancora come se non avessi, mai, veramente vissuto.”

Settantacinquenne su quarantacinquenne: “Accidenti, mi chiedo con chi sia sposata. Che donna affascinante! Ha davvero dato una carica alla mia giornata!”

♥ Auto-Dream: “Ma io e Sue non abbiamo peccati. E l’unico peccato di Mort è che gli piacciono i film con i sottotitoli.”

O doppiati in svedese…

"StarDust Rêverie", ovvero: dopo “MidNight in Paris”... “AfterNoon/Matinée in San Sebastián”.

(***¾) ****  

 

Recensione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

By the Way, Woody Allen Is Innocent

  • Documentario
  • USA
  • durata 155'

Titolo originale By the Way, Woody Allen Is Innocent

Regia di Rick Worley

Con Rick Worley, Woody Allen, Soon-Yi, Mia Farrow

By the Way, Woody Allen Is Innocent

 

Recente bibliografia essenziale:

 

• Eric Lax - "Start to Finish: Woody Allen and the Art of MovieMaking" - Knopf - 2017 (UTET, 2017, 2020)

 

• Woody Allen - "Apropos of Nothing - AutoBiography" - Arcade - 2020 (La Nave di Teseo, 2020)

 

• Stephen King:

- "The Hachette decision to drop the Woody Allen book makes me very uneasy. It's not him; I don't give a damn about Mr. Allen. It's who gets muzzled next that worries me."

- "If you think he's a pedophile, don't buy the book. Don't go to his movies. Don't go listen to him play jazz at the Carlyle. Vote with your wallet... by withholding it. In America, that's how we do."

- https://www.theguardian.com/film/2020/mar/08/stephen-kings-attacks-axing-woody-allen-memoir

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No
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