Libr(iccin)i a(ni)mati (46) - “Memorie dal Sottobosco (un Coleottero dei Funghi)” di Tommaso Lisa (2021) - un’Esperienza Panica d’Immedesimazione con la Natura (e Agnizione Purgatoriale).
Potrebbe essere (contenuto in) un capitolo dei “Souvenirs Entomologiques”, la monumentale opera magna di Jean-Henri Fabre -[ben citato in bibliografia, così come Ernst Jünger (“…la realtà è non meno magica di quanto il magico non sia reale…”), Giacomo Leopardi, Ludwig Wittgenstein, James Frazer, Jacques Lacan, Jean-Paul Sartre, Giorgio Agamben (al netto delle puttanate sulla CoViD-19 vomitate a marzo 2020), Peter Handke, Emil Cioran, Piero Calamandrei, Marco Belpoliti, Giorgio Celli - manca però, fra gli entomologi dilettanti/professionisti, Vladimir Nabokov - e le opere di Fredrik Sjöberg, pienamente consimili, per forma e sostanza, all’opera presa in esame in questa pagina, e la cui fortuna editoriale può senz’altro aver spinto il presente estensore di monografie su Edoardo Sanguineti e Valerio Magrelli a licenziare la parziale semi-autobiografia (alcuni intimi passaggi generazionali ed altri relativi alla condizione clinica - segni e sintomi dell’umor vitreo - sono intimi e toccanti) per interposto animale eumetazoo bilaterale qui presentata]-, questo “Memorie dal Sottobosco” di Tommaso Lisa, un libercolo minuto, variegato, denso, ricco e prezioso (“…zigrinato di cirrostrati…”, “…sotto il cribro di un tronco…”, “…flagello delle madie…”, “…il sacro scotennamento del ritidoma…”, “…sulla superficie campita…”, “…la spirale vorticosa di una giduglia…”) che lo studioso e scrittore ha dedicato - incentrandolo su di esso, ma approfittandone per deviare verso divagazioni (tutte coerenti nel solco-filone del massimalismo postmoderno) ramificantisi a raggiera, mentre la vita stessa del narratore, passata e presente, scorre parallela - al coleottero tenebrionide Diaperis boleti che, come suggerisce il nome, compie il suo ciclo vitale a spese di varie specie di funghi porcini.
Anelo a una sistematica dei ricordi entomologici che trascenda la filogenesi, gli schemi tassonomici della sistematica e si disponga per genuine gemmazioni, stratificazioni, naturali diramazioni non dell’albero evolutivo ma dei ricordi, nelle sinapsi, nel formicaio del cervello, nell’alveare della mente.
Tarsi, pronoti ed elitre come sintagmi: ad una prima, distratta occhiata, potrebbe apparire come un libro per appassionati e specializzati entomologi: beh, se siete appassionati di belle storie e specializzati a cercarle e trovarle, questo è il libro che fa per voi.
Nota. Tutti gli appassionati di entomologia hanno un loro insetto totemico, ci ricorda l’autore in un passaggio del suo tomo, e (h)a ragione. Io ne ho due, reminiscenze infantili di scorribande campagnole - quando la campagna non era metaforicamente “dietro casa”, ma proprio letteralmente confinava con essa - e sono entrambi dei piccolo-medi cerambicidi (chiamati anche più volgarmente "longicorni", per via delle lunghe antenne ricurve) floricoli, la Stictoleptura cordigera (più rara è la Strangalia attenuata, di genere diverso ma frequentante gli stessi ambienti), dallo spiccato aposematismo "milanista", con la macchia nera a forma di cuore allungato che spicca sullo sfondo elitrale rosso acceso, e il Chlorophorus varius (più rari sono i congeneri sartor e trifasciatus), col suo mimetismo fanerico batesiano che ricorda vagamente alla lontana una vespa, reperibili ancora oggi con una certa frequenza e facilità nel periodo estivo, da metà giugno a metà agosto, con un picco in luglio, sino alle porte della Grande Metropoli, intenti a suggere il nettare dalle grandi infiorescenze bianche delle ombrellifere che prosperano negli incolti o ai margini dei campi coltivati, ove l’ecotono, simbolo e regno della biodiversità, sopravvive, e, fin che può, impera.
Refusi. Pag. 90: “…continuano ed evitare…” […ad…]. Pag. 97: “…popolano l’Africa centrale e sud- orientale (Congo, Ghana, Camerun)…” [Le tre nazioni citate fra parentesi appartengono all’Africa centro-occidentale.] Pag. 108: “…dove finisce il mare, se nel secchiello ne porto una parte sulla duna. In che punto termina la duna e inizia la terra, qual è l’ultimo granello. Ogni confine è poroso, labile…” [Al posto dei “.” andrebbero messi dei “?”, ma potrebbe trattarsi di licenza poetica.]
Tommaso Lisa - “Memorie dal Sottobosco - un Coleottero dei Funghi” - Exorma, 2021 [192 pagg. (8 fascicoletti rilegati filo refe e brossurati con copertina flessibile), € 15.00
(***¾) * * * * (****¼)
Dal taglio nel legno spuntarono i Diaperis e affiorò il desiderio.
(David Hockney - "Late Spring Tunnel" - Maggio 2006)
Postilla. Siccome la sotto-sezione “libriccini” - che, tra l’altro, è aperta proprio da questo volumetto - delle playlist “Libri Animati” comprende opere non solo minuscole per numero di pagine e per le dimensioni del formato, ma tali perché pubblicate anche da piccoli editori, o “addirittura” autoprodotti, pre-annuncio qui di séguito quali saranno i prossimi lavori che tratterò (elencandoli però, per mere ragioni pratiche, non nell’ordine in cui ne scriverò), nella speranza di donar loro quel minimo di pubblicità in più: -- Daryl Gregory - “Nove Ultimi Giorni sul Pianeta Terra” - Zona42, Modena, 2020 -- Nino Chiovini - “A Piedi Nudi - una Storia di Vallintrasca” - Tararà, Verbania, 2004 -- Matteo Meschiari - “Antropocene Fantastico - Scrivere un Altro Mondo” - Armillaria, Milano, 2021 -- Marco Bagarella (su FilmTV.it come @lostraniero) - “i Vendemmiatori - una Fiaba Nera Trapanese” - CùncumaSelf / StreetLib, Salemi / Trapani, 2020
Mi rivedo adolescente mentre zappetto con mio padre in un ceppo per estrarre esemplari da collezionare. Di quel ceppo di allora non conosco niente, non ricordo a quale specie di pianta appartenesse. Forse, se ci penso bene, già allora qualcuno mi osservava di nascosto ed ero forse io, che mi rivedevo dalla soglia dell’oggi. Qualcosa di simile alla scena di Ritorno al futuro, del 1985, in cui su uno spiazzo si attende l’accadere di un evento già visto.
In quale interstizio delle norme e delle regole l’io decide di insediare la ricerca, indirizzando le domande e identificando sé stesso? In quale ostinata missione fatta di sezionamenti, estrazioni di edeagi, notomizzazione di antenne e antennomeri, enumerazione di “pigidi penzolanti” (avrebbe detto il buon Carlo ne L’Adalgisa di Carlo Emilio Gadda), in quale maniera può finalmente dire “sono un entomologo”? È il fascino di ogni atto fondativo, quella che, con un non iperbolico eccesso, si usa definire una “vocazione”. C’è qualcosa che “chiama”: un aruspice scruta i punti cardinali sulla sommità di un poggio gettando gettando al vento dei fili.
-- Carlo Emilio Gadda / Goffredo Parise - «Se mi vede Cecchi, sono fritto» - Corrispondenza e Scritti (1962-1973), a cura di Domenico Scarpa [2015] -- Carlo Emilio Gadda - «Un Gomitolo di ConCause» - Lettere a Pietro Citati (1957-1969), a cura di Giorgio Pinotti [2013] -- Carlo Emilio Gadda - «Per Favore, Mi Lasci nell'Ombra» (Interviste: 1950-1972), a cura di Claudio Vela [1993]
Cecoslovacchia, Svizzera, Gran Bretagna, Germania Ovest
durata 86'
Titolo originale Neco z Alenky
Regia di Jan Svankmajer
Con Kristýna Kohoutová
Eccomi concentrato nel mio compito, oggi come allora, quando scendevo giù nel durame del tronco, come se fossi Alice e avessi incontrato il bruco col narghilè.
Come se fossi rimpicciolito e mi ritrovassi a vagare, simile a Nausicaä, nella Valle del vento. Forse, a metà degli anni Ottanta, avevo già visto il cartone animato di Hayao Miyazaki. Scavavo come in una miniera, per strarre qualcosa dal corpo della natura.
Con Stephen McHattie, Lisa Houle, Georgina Reilly, Hrant Alianak, Rick Roberts, Boyd Banks
Mentre scavo con la punta delle pinze, rannicchiato in una posizione scomoda, inizio a sudare, le ginocchia tremano. Il mio “bel tenebrionide” è l’oggetto perduto a causa proprio del linguaggio che lo nomina. Ma esso esiste. Esiste anche senza di me.
Si tratta di quelli che sono detti “pattern aposematici”, identificabili dalla maggior parte delle specie viventi. L'aposematismo è la colorazione di una parte più o meno estesa del corpo di un animale adottata come avvertimento contro possibili predatori (quanta terribile serietà - penso - alligna nel carnevale della natura). Gli animali che utilizzano colori a contrasto sono spesso tossici o velenosi, oppure hanno un sapore sgradevole per le specie che li mangiano. […] Esistono anche altri pattern protettivi ma nessuno è tanto efficace come le bande orizzontali zigrinate rosse e nere. Si estende a vertebrati come Anfibi e Rettili e mette in allerta perfino noi umani: basti pensare ai cartelli stradali.
Sullo scudo elitrale del Diaperis appare per un istante il volto di Darth Maul.
I maschi dei Gargilius hanno lunghe e sottili corna simili a quelle delle gazzelle e sembrano usciti dalla penna di qualche seguace di Alfred Jarry. Non so se sia una suggestione ma questi insetti paiono potersi definire creature patafisiche: tra le zampette sottili il grosso corpo nero e arancio appare come il pancione convesso del Père Ubu capitano dei Dragoni e decorato con l’aquila rossa di Polonia.
Con Agnieszka Mandat-Grabka, Wiktor Zborowski, Jakub Gierszal, Miroslav Krobot, Tomasz Kot
Purtroppo le foreste dove abitano i Gargilius si riducono ogni anno di più, abbattute per far posto a coltivazioni intensive e pascoli. Come testimonia il fatto che le nuove specie sono state descritte su esemplari del secolo scorso, molti di loro si sono probabilmente già estinti.
Titolo originale Lo and Behold, Reveries of the Connected World
Regia di Werner Herzog
In streaming su iWonder Full Amazon channel
Con la pazienza che occorrerebbe per cercarli in natura, mi metto a scovarli nel web, sfogliando pagine e rimbalzando di link in link, siti di fotografi naturalistici di ogni angolo del pianeta che hanno messo in posa gli insetti preferiti, tra i quali i Diaperis, ritratti in disparati atteggiamenti, con luci radenti e sfondi ricercati.
[…]
Cosa può dire la scrittura di fronte a questa sovrabbondanza orgiastica, a tale eccesso di disponibilità, per cui il reale è potenziato a dismisura, ingrandito e splendente, a portata di mano e senza più alcun segreto?
La scrittura infittisce con intenzione dubbi ed enigmi per dare valore a qualcosa che altrimenti è oscenamente evidente.
Nel periodo preadolescenziale in cui incontrai per la prima volta il Diaperis soffrivo di un disturbo psicosomatico lieve. Era un tic: sbattevo frequentemente le ciglia con un testardo palpito, quasi un sospetto, i fibrillanti scotomi non invadevano ancora il mio campo visivo e tutto il resto appariva chiaro e distinto, ma strizzavo gli occhi, come incredulo di fronte alla realtà delle cose.
Camminavo adagio contando i sassi per terra, lungo il sentiero. Enumeravo anche anemoni e pervinche, disposti secondo geometriche costellazioni, attraversando un “cerchio di streghe”, miceli di funghi che si irraggiavano tutto intorno. La vita ripeteva sé stessa, come consuetudine, replicando e variando forme in una competizione per il gene migliore. Ma non è certo la competizione l’unico scopo di questo spettacolo, c’è spazio anche per la collaborazione tra organismi, purché la storia d’intrecci prosegua: l’importante è che il sistema di relazioni non si fermi e si autoequilibri nella maniera più efficace, affinché il discorso appaia infinito.
Ma anche questo linguaggio, del quale cerco ad arte di sabotare le strutture, è automatismo, un disporsi delle parole nella mente che mi parla e fa agire secondo le finalità della grammatica, l’utile della sintassi. La logica del senso indirizza il desiderio: sono intrappolato dalla ramaglia di questi verbi contorti, in questo reticolo di frasi, nel sottobosco fonetico. Nella pania. Nel panico.
Affiora, portato dal vento, un odore dolciastro della carcassa di un animale, il sangue annerito sul nero della terra, e un brulicare di Necrofori sotto al pelo vizzo, sotto la pelle. Il ticchettio sinistro dei Dermestidi nelle orbite prive di occhi. Appaiono i buchi informi di un muso dalle narici dilatate. Seguo le impronte dei cinghiali là dove hanno guadato il canale, razzolando sulle rive e lasciando numerose tracce. Siccome questo è il vuoto, c’è posto per tutto. Io sono questo. Niente. Non ricorderò niente. Preferisco dimenticare. Tutta la vita sopporta la morte, integra disfacimento e devastazione nell’eccesso di vita, che è poltiglia. Il panorama della carcassa rossa e nera ricorda la necessità dell’essere. L’essere è ciò che sta per essere, quel che quasi c’era.
E mentre dal salotto il cuore dì ottone dell’orologio a pendolo in legno scuro e lucido continua a pulsare, è proprio l’armilla del metodo, delle norme, della sistematica di queste scatole allineate sugli scaffali dello studio ciò che dovrebbe esorcizzare la paura del vuoto. Metodo scientifico e riti religiosi, definizioni esatte e formule apotropaiche, vengono da Homo sapiens istituite e recitate per riempire un’assenza di senso.
Cosa leggo nelle colonie di pinguini ridotte all’osso, in quegli orsi stremati, se non una proiezione della mia esistenza ferita, umiliata dalla superbia predatoria verso il pianeta? Che sono vulnerabile e immortale, imperfetto. Che potrei perire insieme a quasi tutti i miei simili per una pandemia. Che l’eclissi è prossima, nonostante il rituale reiterato di scagliare frecce in cielo. Che quella in cui sono assuefatto a credere sia una missione, un destino, è solo il compiersi di un ciclo.
Con Bill Pullman, Cathy Tyson, Zakes Mokae, Paul Winfield, Brent Jennings
L’immagine del Diaperis ritorna, stilizzata, in un artefatto, uno scudo, un elmo, una maschera rituale vudù che ho trovato giorni fa navigando in rete. È la rappresentazione di un demone notocefalo che colpisce e spaventa. Il genius loci nascosto in questa gracile fauna di grafemi esprime le forze ctonie della natura. Il volto naturale del vudù viene incorporato naturalmente nell’organismo. In esso trabocca una vita molteplice di diavolo ghignanti, una doppia maschera, sia sul petto che sul dorso. Teste su zampe e zampe su colli, musi e volti deformi si uniscono in un medesimo organismo, questo, davanti ai miei occhi, nella scatola entomologica. Come le bordure di un antico salterio gotico, il volto umano si profila sul petto del Diaperis. Come i Blenni descritti da Plinio. Appare piuttosto un essere stetocefalo, individuo che ha la faccia posizionata sullo stomaco. E quindi più propriamente, come conseguenza diretta di ciò, della perdita della ragione e dello spirito individuali, l’Acefalo: sono finalmente libero di somigliare a tutto ciò che non è me nell’universo.
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