"Souvenirs Entomologiques - Etudes sur l'Instinct et les Moeurs des Insectes - Première Série” di Jean-Henri Fabre (1879).
“Ecco come andarono le cose.”
Se inizi in questo modo un racconto:
- hai preso all’amo il lettore,
- non devi deluderlo,
- sei consapevole delle tue capacità, e
- meglio per te che questa cognizione si basi su prove oggettive.
Poco al di là delle Alpi, lungo il Bacino del Rodano, vicino ad Avignone, mentre un poco più a sud Nimes ed Arles portano alla Camargue, sorge Orange, con l’alveo ciottoloso dell’Eygues e, nei dintorni, Carpentras e Sérignan. In quei luoghi, per tutta la metà dell’ottocento e fino alla nascita del Secolo Breve, a cavallo tra illuminismo e modernità, Darwin e Freud (declinato all’entomologia), si muove la sete di conoscenza di Jean-Henri Fabre.
«Ho adorato i “Ricordi Entomologici” di Fabre. Per la passione dell'osservazione, per l'amore sconfinato verso l'essere vivente, questo libro mi sembra ineguagliabile, infinitamente superiore alla Bibbia. Da molto tempo vado dicendo che porterei soltanto questo libro con me su un'isola deserta. [Oggi ho cambiato idea: non ne porterei alcuno.]» - Luis Buñuel
La Bibbia degli entomologi?
La Bibbia, punto.
La "vera" Recherche.
E un Harmas, ovvero - in provenzale - un angolo di terra incolta e semi-selvaggia, voluto, cercato, desiderato, costruito, in vece di una Madeleine, capitata.
Con tutti i suoi difetti: il non aver letto Darwin, o il non averlo letto bene, o l'averlo letto di riporto e seconda mano, o l'averlo letto e non averlo compreso, o l'averlo letto e compreso ma rifiutato (mentre lo stesso Darwin, e con lui gli altri suoi più o meno contemporanei Bergson, Hugo, Jünger, Maeterlinck, Mallarmé, J.S.Mill, Rostand - e, immagino, oggi, Edward O. Wilson -, ne apprezzeranno il lavoro).
Una certa tendenza spiritualista nell’intravedere dietro all'ordine delle cose naturali in generale e animali nello specifico (e di conseguenza umane) una correlazione tra i fatti-così-come-sono e un disegno/ordine divino che li svolge e caratterizza.
E un’idiosincrasia - dettata dalla propria esperienza personale, perciò condizionata da un bias di conferma - verso i laboratori scientifici puri e le tassonomiche collezioni museali, luoghi contrapposti all’esplorazione en plein air con contemplazione del comportamento (istinto e sapienza innati) del soggetto vivente e non spillato o sotto formalina, libero nel suo ambiente naturale.
Mentre l'imputargli una qual certa umanizzazione dei soggeti entomologici è una considerazione del tutto arbitraria, miope, sciocca e sbagliata, perché i passaggi incriminati (riferendosi qui al comportamento sociale di alcuni imenotteri del genere Sphex messi di fronte a degli imprevisti naturali e artificiali: "...questi rivoluzionari, adatti al progresso, sono la minoranza; la maggioranza, la folla, sono glia altri, i conservatori abbarbicati a vecchi usi e costumi...") esprimono evidentemente un intendimento metaforico e giocoso - ma sempre molto serio - rispetto alla materia trattata: non vi è alcuna antropomorfizzazione in atto.
«Niente è difficile per l’istinto, fintantoché l’atto non si allontana dal ciclo immutabile assegnato all’animale; e niente è facile per l’istinto, se l’azione deve discostarsi dai canoni seguii abitualmente. Lo stesso insetto che incanta e ci lascia sgomenti con la sua grande perspicacia, un istante dopo, davanti al fatto più semplice ma estraneo alla pratica consueta, ci stupisce per l’ottusità.» - Jean-Henri Fabre
«Il calabrone entra nella stanza illuminata, va a battere velocemente contro la lampada, le pareti, i mobili. Rumore secco delle sue zuccate. Dopo un po' si acquatta per riprendere le forze. Ricomincia contro la lampada, le pareti, i vetri, e daccapo contro la lampada. Infine cade sul tavolo, zampe all'aria, e la mattina dopo è secco, leggero, morto. Non ha capito niente, ma non si può dire che non abbia tentato.» - Ennio Flaiano
E i suoi immensi, smisurati pregi: una passione illimitata e totale verso la “Creazione”.
Una prosa sottilmente arguta e sagace (ma mai gratuitamente divertente o forzatamente spiritosa), tanto penetrante ed espressiva quanto semplice e diretta (ma capace di organizzare periodi articolati di senso compiuto in rado di stendere un moderno laureato in giurisprudenza), degna dello stesso Charles Darwin (lo scienziato-poeta), di Ernst Jünger (Cacce Sottili), di Vladimir Nabokov (Guarda gli Arlecchini!), o, per rimanere in ambito cinematografico e, in questo caso, puntando l’attenzione sull’ambito prettamente divulgativo e non specialistico, di Alastair Fothergill & Co. (BBC, Discovery, National Geographic).
E un'impressionante perspicacia logico-deduttiva al meglio applicata - con acume, discernimento, e raziocinio - tanto durante l'osservazione diretta sul campo quanto successivamente elaborando alla scrivania dello studio i dati raccolti: ad esempio quando sfata, dati alla mano raccolti personalmente dall’autore in decenni di studio dal vivo, le deduzioni dei suoi predecessori (pur riconoscendo loro tutto il valore che meritano, in generale, per i pionieristico, immane lavoro svolto), specialmente per quanto riguarda quel tipo di intelligenza consapevole che in un insetto è dettata dall’istinto, m’altresì in esso è relegata: lo scarabeo stercorario non comprende la natura del mondo intorno a lui, non chiama a raccolta i suoi consimili per farsi aiutare a trasportare la palla di letame che fungerà da dispensa personale o da scorta di cibo per la larva: se più individui si accalcano attorno a una sfera di letame per farla rotolare in modo che superi una duna di sabbia non si tratta di un raduno di amici ma di un ognun per sé con un vincitore alla fine (discorso ben differente si ha con le comunità aggregate e specializzate degli insetti sociali: api, formiche, termiti).
Riguardo a ciò, trascrivo qui per intero un breve brano esplicativo in tal senso, ché ne vale la pena…
Ma, prima di tutto, sgombriamo il campo da un errore ricorrente nei libri. Nella splendida opera di Emile Blanchard, “Métamorphoses, Moeurs et Instinct des Insectes”, leggo queste parole: «Talvolta il nostro insetto viene a trovarsi davanti a un ostacolo insormontabile: la sua pallottola è caduta in una buca. E qui l’ateuco [sinonimo di scarabeo] rivela una comprensione davvero stupefacente della situazione, e una ancor più sbalorditiva facilità nel comunicare con gli individui della sua stessa specie. Preso atto dell’impossibilità di superare l’ostacolo con la palla, l’insetto vola via dando l’impressione di abbandonarla. Se siete sufficientemente dotati della grande e nobile virtù chiamata pazienza, restate vicino alla pallottola abbandonata: dopo un po’, l’ateuco tornerà sul posto, e non da solo; lo seguiranno due, tre, quattro, cinque compagni che piomberanno tutti sul punto indicato e uniranno gli sforzi per sollevare il fardello. L’ateuco è andato a cercare rinforzi, ed ecco perché, in mezzo a campi aridi, si vedono così spesso diversi ateuchi riuniti per trasportare una sola pallottola.»
Leggo infine sul “Magazin fur InsektenKunde” di Illiger: «Mentre costruiva la palla di sterco destinata a racchiudere le uova, un ginnopleuro pillolare la fece rotolare in una buca, da cui cercò a lungo di estrarla da solo. Vedendo che perdeva tempo in vani tentativi, corse a un vicino mucchio di letame a cercare tre individui della sua stessa specie, i quali, unendo le loro forze alle sue, riuscirono a estrarre la palla dalla buca in cui era caduta, e poi tornarono a lavorare il loro letame.»
Chiedo scusa al mio illustre maestro Blanchard, ma di certo le cose non vanno in questo modo. Innanzitutto, i due brani concordano a tal punto da far supporre un’origine comune. Illiger ha esposto l’avventura del suo ginnopleuro sulla scorta di un’osservazione troppo limitata nel tempo per meritare una cieca fiducia; e lo stesso fatto è stato estesi agli scarabei perché, effettivamente, capita molto spesso di vederne due che faticano insieme per far rotolare una pallottola o per farla uscire da una situazione critica. Ma lo sforzo congiunto di due individui non dimostra affatto che lo stercorario in difficoltà sia andato a chiedere aiuto ai compagni. Ho avuto, in larga misura, la pazienza raccomandata da Blanchard; ho vissuto parecchi giorni in intimità, potrei dire, con lo scarabeo sacro; ho cercato in tutti i modi di veder chiaro, per quanto possibile, nei suoi usi e costumi e di studiarli dal vivo, e non ho mai rilevato nulla che facesse sia pur lontanamente pensare a una richiesta di aiuto. Come riferirò tra poco, ho sottoposto lo stercorario a prove ben più severe di quella costituita da una buca in cui fosse caduta la pallottola; l’ho messo davanti a difficoltà più serie di un pendio da salire, quasi un gioco per quel Sisifo ostinato che sembra divertirsi al duro cimento dei declivi da superare, come se la pallottola, diventando così più compatta, acquistasse valore; ho creato di proposito situazioni in cui l’insetto avesse estremo bisogno di aiuto, e mai ho avuto la minima dimostrazione di una collaborazione fra compagni. Ho visto predoni e depredati, nient’altro. Se intorno alla stessa pallottola si affollavano diversi stercorari, era perché se la contendevano. A mio modesto parere, quei racconti su compagni chiamati a dare manforte sono originati da alcuni scarabei riuniti con intenzioni predatorie intorno a una stessa palla. Osservazioni lacunose hanno trasformato un grassatore impudente in un collega servizievole che interrompe il proprio lavoro per rendersi utile.
Non è cosa da poco attribuire a un insetto una comprensione davvero stupefacente della situazione, e una ancor più sbalorditiva facilità nel comunicare con individui della stessa specie. Perciò insisto su questo punto. Ma come! Uno scarabeo in difficoltà concepirebbe l’idea di andare a cercare aiuto? Si metterebbe a esplorare in volo il territorio circostante per trovare suoi simili intenti a formare una pallottola di sterco e, dopo averli trovati, ricorrendo a una sorta di pantomima [♦], e soprattutto al movimento delle antenne, terrebbe loro pressappoco questo discorso: «Statemi a sentire, voialtri, il mio carico si è rovesciato in una buca; aiutatemi a tirarlo fuori. Vi ricambierò il favore alla prima occasione!»? E loro capirebbero! E, cosa ancora più pazzesca, pianterebbero subito il lavoro, abbandonando la pallottola cominciata, la loro cara pallottola, alla cupidigia altrui e al saccheggio certo in loro assenza, per andare a prestare aiuto al postulante! Tanta abnegazione desta in me una profonda incredulità, motivata da tutto quello che ho visto per anni e anni, non in barattoli da collezionista, ma direttamente sul posto di lavoro dello scarabeo. Fatta eccezione per le cure materne, nelle quali è quasi esemplare, l’insetto, a meno che non viva in società, come le api, le formiche e simili, pensa solo a sé stesso.
[♦] Potrebbe invece essere, anche se così non è, una “intelligente” strategia inconsapevole che, come già detto, nell’insetto è dettata dell’istinto e… plasmata dall’evoluzione. Fabre non la prende in considerazione (e dopotutto gli insetti sociali - certamente differenti in tutto e per tutto dal punto di vista comportamentale ed organizzativo dai solitari ed individualisti coleotteri scarabeidi -, che pure citerà più avanti, sono lì a dimostrarne la reale e concreta possibilità) perché troppo [♣] darwiniana?
[♣] E, a tal proposito, ancora…
Ogni zampa dell’insetto termina con una specie di dito o tarso, come viene chiamato, composto di una serie di sottili elementi paragonabili alle falangi delle nostre dita, con all’estremità un’unghia a uncino. Un dito per ogni zampa, questa è la regola; e il dito, almeno quello dei coleotteri superiori, e in particolare degli stercorari, comprende cinque falangi o giunture. Ora, per una strana eccezione, gli scarabei mancano di tarsi nelle zampe anteriori, mentre nelle altre due paia ne possiedono di molto ben configurati, con cinque giunture. Sono monchi, storpi, privi nelle appendici anteriori di ciò che, nell’insetto, rappresenta molto grossolanamente la nostra mano. La stessa anomalia si riscontra nell’Onistis e nel Bubas, sempre della famiglia degli stercorari. Da tempo l’entomologia ha registrato questa stranezza senza riuscire a darne una spiegazione soddisfacente. L’animale è monco dalla nascita, e viene al mondo senza le dita delle zampe anteriori? Oppure le perde accidentalmente nell’eseguire i suoi faticosi lavori?
Sarebbe semplice vedere in una simile mutilazione una conseguenza del duro lavoro dell’insetto. Frugare, scavare, rastrellare, sminuzzare ora nella ghiaia del terreno, ora nella massa filacciosa dello sterco, non sono attività in cui organi così delicati come i tarsi possano essere impiegati senza danno. E, circostanza ancor più grave: quando l’insetto fa rotolare la sua pallottola procedendo a ritroso, con il capo in basso, si puntella sul terreno con l’estremità delle zampe anteriori. Che ne sarebbe, in quel continuo sfregamento contro le asperità del suolo, delle fragili dita dell’insetto, sottili come un filo? Rivelatesi inutili, un semplice impaccio, sarebbero destinate a sparire prima o poi, schiacciate, strappate, logorate in mille incidenti. A forza di maneggiare attrezzi pesanti, di sollevare grossi carichi, troppo spesso, ahimè, i nostri operai finiscono per restare storpi; e così sarebbe diventato storpio lo scarabeo, facendo rotolare quella palla, fardello per lui troppo pesante. Le sue braccia monche sarebbero il nobile attestato di una vita operosa.
Ma a questo punto sorgono subito seri dubbi. Se tali mutilazioni sono fortuite conseguenze di un duro lavoro, allora costituiscono l’eccezione e non la regola. Che un operaio, molti operai restino privi di una mano, stritolata negli ingranaggi di una macchina, non significa che anche tutti gli altri operai siano senza una mano. Se spesso, anche molto spesso, facendo rotolare pallottole lo scarabeo perde le dita delle zampe anteriori, dovrebbe comunque esserci qualche scarabeo, più fortunato o più abile, ancora in possesso dei supi tarsi. Esaminiamo dunque i fatti. Ho osservato moltissime specie di scarabeo che abitano in Francia:lo scarabeo sacro, diffuso in Provenza; lo scarabeo semipunteggiato che non si allontana molto dal mare e frequenta le spiagge sabbiose di Cette, di Palavas e di Golfe-Juan; e infine lo scarabeo a collo largo, molto più diffuso degli altri due e che risale la valle del Rodano almeno fino a Lione. Per finire, le mie osservazioni si sono indirizzate verso una specie africana, lo scarabeo dalle cicatrici, rinvenuto nei dintorni di Costantina. Ebbene, la mancanza di tarsi nelle zampe anteriori è risultata un fenomeno costante in tutte e quattro le specie, senza alcuna eccezione, per lo meno nei limiti di quanto ho potuto osservare. Lo scarabeo dunque nascerebbe monco; questa sarebbe una caratteristica naturale, non dovuta al caso.
Tale affermazione trova del resto una prova supplementare in un altro ragionamento: se l’assenza delle dita anteriori dipendesse da una mutilazione accidentale, conseguenza di violente sollecitazioni, allora altri insetti, in particolare stercorari, che si dedicano a lavori di scavo ancora più faticosi di quelli dello scarabeo, dovrebbero a maggior ragione essere privi dei tarsi anteriori, appendici inutili, anzi addirittura ingombranti quando la zampa deve costituire un robusto attrezzo di scavo. I geotrupidi, per esempio, pienamente meritevoli del loro nome che significa “trapanatori del suolo”, scavano nel terreno battuto dei sentieri, fra ciottoli cementati dall’argilla, pozzi verticali talmente profondi da richiedere l’utilizzo di potenti strumenti fossori per arrivare alla cella terminale, e non sempre vi riescono. Ora, questi minatori per eccellenza, che si aprono con facilità lunghe gallerie in un terreno che lo scarabeo sacro potrebbe appena scalfire in superficie, hanno i tarsi anteriori intatti, come se perforare il tufo richiedesse delicatezza e non violenza. Tutto porta dunque a credere che osservando lo scarabeo, ancora novizio, nella sua cella natale, lo troveremmo monco e simile al veterano che ha attraversato il mondo e si è logorato nel lavoro.
Sull’assenza delle dita potrebbe fondarsi un ragionamento favorevole alle teorie oggi di moda, lotta per la vita e trasformazione della specie. Si potrebbe dire: «In origine gli scarabei possedevano tarsi un tutte le zampe, secondo le leggi generali dell’organizzazione degli insetti. Per un motivo o per l’altro, alcuni hanno perso le ingombranti appendici delle zampe anteriori, più dannose che utili; trovando comoda quella mutilazione che agevola il lavoro, si sono gradualmente imposti sugli altri, meno avvantaggiati; si sono riprodotti trasmettendo ai discendenti i moncherini senza dita, e alla fine l’insetto originario con le dita è diventato l’insetto monco dei nostri giorni.» Mi arrenderò di buon grado a queste ragioni se prima mi si spiegherà come mai il geotrupe, dedito a lavori analoghi e molto più duri, ha invece conservato i tarsi. Nell’attesa, continuiamo a credere che il primo scarabeo che fece rotolare la sua pallottola, magari sulla spiaggia di qualche lago in cui si immergeva il paleoterio, fosse privo di tarsi anteriori come il nostro.
Il “caso”, in un mondo osservato attraverso le lenti distorsive della “creazione divina”, non è contemplato. Ma anche quando sbaglia (le premesse che pone in essere per articolare il suo ragionamento contro-deduttivo soffrono tutte di un bias di conferma iniziale), Fabre è ammirevole.
Dei “Ricordi di un Entomologo - Studio sull'Istinto e i Costumi degli Insetti” di Jean-Henri Fabre (1823-1915) questo Volume Primo con le sue 680 pagine raccoglie le prime due serie (stampate rispettivamente nel 1879 e 1882 e composte la prima da 22 e la seconda da 17 capitoli) delle 10 in totale (in questa playlist tratto solo la prima: seguirà a breve la successiva), l’ultima delle quali vide la luce nel 1907: quindi si stima - si spera, si auspica! - che Adelphi andrà a pubblicare nella sua collana Biblioteca [anche se questi lavori non avrebbero certo sfigurato per importanza scientifica se fossero apparsi nella splendida sezione Animalia (come pure se fosse appartenuta al Ramo d’Oro o ai Casi): sono invece confluiti in uno dei due reparti maggiori, con Fabula, della casa editrice guidata da mezzo secolo da Roberto Calasso (che, dopo la vendita della sezione libri della RCS a Mondadori, ne ha riacquistato la maggioranza rendendola di nuovo indipendente), per la loro valenza letteraria] gli altri 4 volumi nel corso dei mesi e degli anni che verranno, andando così a completare ciò che la Einaudi lasciò in sospeso nei primi anni settanta quando - dopo l'edizione integrale in 11 volumi della Sonzogno degli anni '20, che comprendeva anche una "Vita di Jean-Henri Fabre" come 11° - licenziò per i Millenni le stesse prime due serie raccolte in un unico volume con cofanetto (ristampato ne gli Struzzi in versione economica nei primi anni ottanta) curato dall'indimenticato Giorgio Celli e da lui tradotto con la moglie Paola.
Colophon.
Jean-Henri Fabre - “Souvenirs Entomologiques - Etudes sur l'Instinct et les Moeurs des Insectes - Première et Deuxième Série” - 1879 e 1882.
Edizione italiana: Adelphi, 2020 - collana: Biblioteca, n. 713 - traduzione di Laura Frausin Guarino - supervisione scientifica di Lara Maistrello - prefazione di Gerald Durrell - copertina flessibile, rilegato filo refe - 680 pagg., 38.00 €.
Il libro è illustrato dalle fotografie del figlio Paul, ed è dedicato alla memoria di Jules, un altro dei suoi 6 figli, morto a soli 16 anni.
Poi, ho imparato tre parole nuove (le definizioni sono prese dalla Treccani):
- "Reòforo", s. m. [comp. di reo- e -foro]. – In elettrotecnica, nome generico (e oggi in disuso) di ogni adduttore di corrente, e in partic. di ogni conduttore metallico filiforme di corrente elettrica, di cui si possa trascurare lecitamente la resistenza elettrica, la capacità e l’induttanza e a cui si possa quindi attribuire la sola funzione di veicolo non reattivo e non dissipativo della corrente.
- "Pandiculazione" – In medicina, l’insieme dei movimenti sinergici (stiramento degli arti superiori ecc.) che di solito accompagnano lo sbadiglio.
- "Tèrebra", s. f. [dal lat. terĕbra «trapano, succhiello»]. – In zoologia, negli invertebrati, ogni organo allungato e perforante, e più in partic. l’ovopositore degli imenotteri terebranti.
Ma incominciamo. “Ecco come andarono le cose…”
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