Oggi (quando ho scritto l'introduzione ancora non era scattata la mezzanotte del 23 novembre) Terry Gilliam, tra gli Autori che ammiro più profondamente e da più tempo, ha compiuto 80 anni e, fortunatamente, riesco a dedicargli nella data 'giusta' direttamente una playlist retrospettiva dedicata alla sua intera Filmografia, soffermandomi soprattutto sui Lungometraggi ma proponendo anche delle riflessioni anche su altri suoi lavori. Approfitterò di questo spazio introduttivo per anticipare alcuni aspetti secondo me ricorrenti nella Poetica dell'Autore, sperando così di limare alcuni passaggi nelle riflessioni dedicate ai singoli Film in modo da evitare, oltre di 'sforare' troppo la lunghezza (intendo comunque in futuro ampliare alcune considerazioni con delle recensioni singole), soprattutto di ripetere troppo spesso i soliti concetti. Tra gli aspetti che più saltano all'occhio della Poetica e dello Stile Gilliameschi troviamo sicuramente un Gusto per l'Assurdo e per il Fantastico mescolato al Reale (o ad una 'coerente' versione distopica del reale). I Protagonisti (e le rare Protagoniste) del suo Cinema tendono, salvo rarissime eccezioni (forse soltanto Dennis in "Jabberwocky" e alcuni lavori non autonomi) ad avere un'Immaginazione piuttosto marcata che li porta a scontrarsi con la società dominante e i suoi amministratori. A volte, soprattutto in Opere con più di un Protagonista, può capitare che un Personaggio principale inizialmente sembri più o meno perfettamente inserito, anche mentalmente, nella logica della società in cui vive salvo poi, rafforzando gradualmente i rapporti con il Co-Protagonista 'fantasioso', aprire la propria Visione del Mondo liberandosi dalle proprie costrizioni: è il caso di Jack in "The Fisher King" o di Toby in "The Man Who Killed Don Quixote" (entrambi, tra l'altro, entrano in contatto con Personaggi per certi versi loro 'vittime', ovvero l'ex-insegnante Parry diventato vedovo in seguito ad un intervento radiofonico di Jack e l'ex-ciabattino Javier convinto di essere realmente Don Quixote in seguito al film giovanile di Toby), ma per certi versi anche Kathryn in "Twelve Monkeys" ('costretta' a mettere da parte le proprie certezze psichiatriche quando le profezie di James iniziano ad acquisire sempre più credibilità) o di Wilhelm in "The Brothers Grimm" (quando il mondo fiabesco in cui il fratello Jacob crede fermamente si concretizza nel villaggio di Marbaden). Come accennato, la capacità dei Protagonisti gilliameschi d'immaginare Mondi diversi e magici li porta a scontrarsi con la società reale e le sue autorità. Questo perché, tanto più è forte la Fantasia (e la Follia) di questi Personaggi, tanto meno riescono ad accettare quietamente la banalità dei costumi del posto in cui vivono né i codici castranti, improntati sul binomio produttività e conformismo. Il rifiuto di conformarsi alle regole del sistema e alla sua logica produttiva spinge quasi inevitabilmente allo scontro più o meno aperto con il potere e chi accetta di esserne ingranaggio, anche se magari il Desiderio principale può accontentarsi di ridursi ad una semplice Fuga, la quale però quasi sempre viene negata. Per questo non sono numerosi i Finali completamente lieti nel Cinema di Gilliam, e quando questi sembrano avverarsi è lecito chiedersi se siano 'reali' e, comunque, l'amarezza è sempre dietro l'angolo. Per contro, però, non si può secondo me dire nemmeno che i Finali gilliameschi siano realmente 'tragici': che si chiuda con la Morte o con la Follia o con altro, comunque si ha sempre l'impressione che, almeno nella Mente dei Protagonisti, si realizzi la Fuga agognata. Per i vari caratteri sopra esposti (spero non malamente), i Protagonisti del Cinema di Terry Gilliam risultano essere auto-ritratti dell'Artista, Sognatore estremo la cui Immaginazione supera, forse, le possibilità di essere messa in scena perfettamente, motivo per cui molti (o magari tutti i) suoi Film possono risultare imperfetti. Per me, però, questa Imperfezione è sintomo di un'Umanità, di una Vitalità, di una Personalità intensa che rende le sue Pellicole delle autentiche Opere d'Arte, quando non addirittura Capolavori ('soggettivi' o 'oggettivi'). Come i suoi Protagonisti, Terry Gilliam ha anche provato a 'fuggire' dalla chiusura mentale del suo paese di provenienza, ovvero gli Usa, emigrando negli anni '60 (quando negli states i capelloni come lui erano sempre più odiati e la guerra in Vietnam rischiava di arruolarlo contro la propria volontà) in Uk ottenendone nel 1968 la cittadinanza. Nel 2006 rinuncerà invece alla cittadinanza statunitense in protesta contro l'amministrazione Bush e per questioni di tassazione per la propria famiglia, ottenendo così delle restrizioni sul permesso di soggiorno annuale nel suo paese d'origine. Il controverso rapporto con gli Usa si rispecchiano perfettamente anche nelle complesse relazioni che il Regista instaura con Hollywood: sempre in sintonia coi propri Protagonisti (e con Autori come Orson Welles e Sam Peckinpah), molti set dei suoi Film si trasformano in 'guerre' con produttori ottusi che cercano, loro malgrado, di circoscrivere la Follia creativa del Cineasta in prodotti più facilmente digeribili dal grande pubblico. Memorabili, in questo senso, i conflitti per il final cut di "Brazil" (che in Usa verrà distribuito in una versione più all'acqua di rose), le liti con gli Weinstein per "The Brothers Grimm" e la quasi interminabile lavorazione di "The Man Who Killed Don Quixote" che, nel suo epilogo, ha visto quasi togliere i diritti all'Autore. Anche la sfortuna però ha messo a durissima prova diverse produzioni, in particolare "The Adventures of Baron Munchausen" e, nuovamente, "Don Quixote", e numerosi progetti gilliameschi sono rimasti fermi allo stadio pre-produttivo, come "Watchmen", "Good Omens", "Theseus and the Minotaur", "The Defective Detective", "A Scanner Darkly" (Dick è uno Scrittore piuttosto amato dal Regista) e persino "Harry Potter" (qua però il suo coinvolgimento di Gilliam si è aperto e chiuso con l'essere indicato come regista preferito per il film da Rowling per essere subito respinto dalla Warner). Ci sarebbero numerosissimi altri aspetti da trattare della Filmografia di Gilliam, a partire dagli inizi all'interno del sestetto comico dei Monty Python e nell'Animazione, così come si dovrebbe parlare anche di aspetti prettamente tecnici come la sua 'passione' per gli obiettivi grandangolari e le angolazioni dall'alto e dal basso (per 'ingigantire' e 'schiacciare' i personaggi), oltre che la presenza di numerosi Giganti e Nani nella sua Estetica, l'abitudine di creare un clima collaborativo e di evoluzione continua durante le varie fasi realizzative dei suoi Film e l'importanza di collaboratori come i direttori della fotografia Roger Pratt (per "Brazil", "The Fisher King" e "Twelve Monkeys") e Nicola Pecorini (fedelissimo al Regista da "Fear and Loathing in Las Vegas" in poi, fatta parziale eccezione per il licenziamento weinsteniano da "The Brothers Grimm",), il montatore Mick Audsley ("Twelve Monkeys", "The Imaginarium of Doctor Parnassus", il corto "The Wholly Family" e "The Zero Theorem") e la montatrice Lesley Walker ("The Fisher King", "Fear and Loathing", "Grimm", "Tideland" e "Don Quixote"), i co-sceneggiatori Charles McKeowns (Brazil", "Munchausen" e "Parnassus") e Tony Grisoni ("Fear and Loathing", "Grimm" non accreditato, "Tideland" e Don Quixote) e attori come Ray Cooper ("Brazil", "Munchausen", "Parnassus" e "Theorem") e Jonathan Pryce ("Brazil", "Munchausen", "Grimm" e "Quixote"), senza dimenticare la moglie truccatrice Maggie Weston e la figlia produttrice Amy. Ora però chiudo qui, bruscamente, per lasciare spazio alle singole Opere del Maestro Terry Gilliam.
Attenzione: potrebbero esserci diversi SPOILER, alcuni magari non segnalati. Comunque, se leggete parole termini come 'finale' ed 'epilogo o espressioni come 'alla fine', se volete evitare brutte sorprese (in caso di mancata visione del film) saltate.
Imdb come primissima regia gilliamesca segna questo "Storytime": in realtà si tratta di una raccolta di brevissimi corti animati realizzati da Gilliam tra il 1968 e il 1972. "Don the Cockroach", originariamente proiettato per il "The Marty Feldman Comedy Machine" (1971-1972), parte raccontando la routine di uno scarafaggio, presto eliminato per proporre una staffetta di personaggi assurdi che riporta alla storia di Don lo scarafaggio: il loop viene interrotto da una voce adirata che mena (fuori campo) il narratore e il corto si chiude con una didascalia di scuse. "The Albert Einstein Story", sempre proposto in "The Marty Feldman Comedy Machine", parla di un omonimo del geniale scienziato detestato da tutti per non aver scoperto la teoria della relatività: come nel precedente corto, anche qui si passa subito ad un'altra storia, riguardante le mani di 'Albert Einstein', storia che degenera in una metafora classista tra mani e piedi che si chiude con un assurdo spettacolo di varietà. Giunge infine "The Christmas Card", in realtà realizzato prima dei due segmenti precedenti nel 1968 per la serie "Do Not Adjust Your Set": ad un tizio arriva una cartolina gigantesca, da cui parte una serie di animazioni surreali di biglietti natalizi, diversi dei quali interagiscono tra di loro. La chiusura toglie al 'destinatario' la cartolina per via di un errore postale.
Con Graham Chapman, John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones, Michael Palin
MONTY PYTHON AND THE HOLY GRAIL
Dopo la 'trasposizione cinematografica' dei propri sketch con "And Now for Something Completely Different" (che non ebbe il successo sperato), i Monty Python decidono di scrivere e dirigere autonomamente un proprio film: durante la lavorazione, oltre a inevitabili cambiamenti nello script (il progetto iniziale vedeva un'alternanza tra Medioevo e presente), si assiste alla presa in mano della regia da parte dei due soli Terry, con Jones focalizzato nella direzione del cast e Gilliam nel lato tecnico (e nelle animazioni). La produzione dispone di un budget piuttosto modesto ottenuto soprattutto grazie all'intrattenimento di varie star musicali, ma le limitazioni economiche vengono superate grazie a brillanti stratagemmi auto-ironici, come l'uso delle noci di cocco battute da servitori per colmare l'assenza di cavalli e di set 'casalinghi' e modellini di castelli. Nonostante questi e altri problemi, "Monty Python and the Holy Grail" ottiene un grande successo, sia di critica sia di pubblico, mantenendo tutt'oggi uno status di Cult. Rispetto ai successivi film del Gruppo e, soprattutto, a quelli di Gilliam solista ci troviamo di fronte ad un lavoro visibilmente acerbo e probabilmente diversi riferimenti satirici oggi risultano datati e non immediati, rendendo più debole l'umorismo di alcune scene. Comunque la Comicità del Gruppo inglese riesce, nella versione originale (in italia il tutto è stato vergognosamente rovinato dal bagaglino con un approccio che definirei da 'horror vacui', come se la comicità non fosse contemplata senza battute più o meno sceme in ogni secondo di durata), a divertire moltissimo, soprattutto se si ama lo Stile pythoniano, e si intravedono anche diversi elementi caratteristici di Gilliam, tra scelte visive come la presenza di diverse inquadrature angolate dal basso o dall'alto, l'utilizzo di lenti grandangolari e così via. La Poetica gilliamesca si nota anche nella visione romanzata e sporca del Medioevo, deformato grottescamente per lanciare satiriche frecciatine al sistema: questo carattere 'contenutistico' è, in realtà, vicinissimo anche al Gusto collettivo dei Python, ma la derisione della regalità di King Arhtur (operata in scena da figure come i soldati francesi o gli anarco-sindacalisti), il classismo che divide cavalieri e servitori e altri particolari anticipano diverse critiche anarcoidi all'inconsistenza del potere e delle istituzioni che Gilliam, consapevolmente o meno, disseminerà nei suoi Lavori successivi. Chiudendo, "Monty Python and the Holy Grail" è un piccolo Cult che merita di essere visto e rivisto (rigorosamente in english) e, seppure Gilliam sia ancora profondamente 'incastrato' nell'estetica pythoniana (soprattutto perché non autonomo nella regia), già si possono capire alcune basi della sua Evoluzione registica.
Simpatico corto animato dove Gilliam ripropone visivamente il suo caratteristico stile animato, tipico dei suoi intermezzi per i Monty Python (si legge anche uno SPAM) ma sperimentato fin dai suoi inizi, raccontando una macro-storia di tentativi umani di spiccare il volo. Nel finale, e in altri momenti precedenti, sembra d'intravedere quel gusto distopicamente ironico che caratterizzerà molte delle sue Opere migliori.
Con Michael Palin, Harry H. Corbett, John Le Mesurier, Warren Mitchell
JABBERWOCKY
Dopo il corto animato "Miracle of Flight" Gilliam realizza, ispirandosi al poema omonimo di Lewis Carroll, "Jabberwocky", suo primo Lungometraggio 'in solitaria'. Lo Stile resta più acerbo e grezzo rispetto alla Raffinatezza dei suoi Capolavori e Cult successivi, ma il Legame coi Python, nonostante ancora non ufficialmente 'sciolto' e nonostante la presenza di Terry Jones e soprattutto Michael Palin nel cast, è già in una fase di distacco molto più marcata rispetto alle impressioni da me avute con la prima visione (e, a quanto pare, buona parte della critica del periodo). Gilliam mette in scena un Medioevo fantasioso e grottesco caratterizzato da una marcata sporcizia e brutalità con tanto di culi esposti e pisciate all'aria aperta, il tutto caricato in modo da sottolinearne la Comicità, aggiungendo diverse trovate gustosamente ridicole come il torneo mortale modificato nel gioco del nascondino. Su questo scenario medieval-distopico, analogamente ai futuri di Opere come "Brazil", "Twelve Monkeys" e "The Zero Theorem", si basa la critica satirica del Regista alla civiltà capitalista occidentale contemporanea, con mercanti (e clero) intenzionati a sfruttare la crisi del Mostro per rafforzare i propri affari, autorità assetate inutilmente di sangue (con alcune secchiate di emoglobina che, durante il torneo, finiscono addosso allo spalto regale), senza risparmiare fanatici ossessionati dal dolore, mendicanti rassegnati che 'gioiosamente' si amputano gli arti per racimolare pietose elemosine, principesse ingenue senza contatti con la realtà eccetera. Non è esente da irrisione neppure il protagonista (Palin), giovane "proto-yuppie" diseredato in punto di morte dal padre bottaio per la sua mentalità affarista: egli crede nel progresso commerciale ma si rivela spesso molto più imbranato e ingenuo di quanto pensi, venendo sballottato da un pasticcio all'altro per salvarsi sempre per caso e mai per merito fino a diventare (SPOILER) senza farlo apposta l'eroe che uccide il mostro e sposa la principessa, già 'innamorata' scambiandolo per un principe fiabesco (che tra l'altro arriva pure alla finestra della ragazza per poi precipitare miseramente nel vuoto completamente ignorato) durante la sua fuga all'interno del castello. Quello che sembra un lieto fine in realtà, dal punto di vista del protagonista, è una beffa del destino che, come per tutto il film, sembra 'decidere' per lui, incapace di creare attivamente il proprio percorso: infatti il giovane è innamorato dell'opportunista figlia di un avido pescivendolo suo compaesano che più volte nella narrazione risponde con indifferenza alle sue dichiarazioni d'amore (arrivando a cacciarlo con disappunto in una scena) salvo poi corrergli dietro con tutta la famiglia nel momento del trionfo. Come detto in apertura, Gilliam qui è ancora acerbo ma la sua Poetica Grottesca, Fiabesca, Visionaria e Anarchica inizia già a delinearsi con una certa precisione.
Dopo aver partecipato al secondo Film dei Monty Python "Life of Brian" sia come attore e sceneggiatore insieme agli altri del gruppo, sia come scenografo e responsabile delle animazioni (ma anche regista della sequenza in cui il Protagonista finisce in uno scontro starwarsesco), Gilliam realizza il suo secondo Lungometraggio 'autonomo' puntando, dopo un primo 'blocco' a "Brazil" causa insoddisfazione del primo trattamento scritto insieme a Charles Alverson, su una storia per ragazzi e ragazze, ovvero "Time Bandits", co-prodotto da George Harrison (che compone anche la canzone "Dream Away" per i titoli di coda) e co-sceneggiato dal Regista insieme a Michael Palin, a cui viene affidato inoltre un piccolo ruolo insieme a Shelley Duvall. Spinto dal co-produttore O'Brien Gilliam inserisce nel cast un altro pythoniano, ovvero John Cleese. Pur non mancando le imperfezioni (in particolare secondo me ogni tanto il ritmo rischia di perdersi), con "Time Bandits" Gilliam realizza un altro importante passo nella propria Evoluzione registica, imbastendo il primo tassello di quella che definirà "Trilogy of Imagination": seguita da "Brazil" e "Munchausen", in ogni capitolo troviamo un protagonista diverso per ogni età umana (bambino-adulto-anziano) ma sempre contraddistinto da una forte propensione, appunto, per l'immaginazione, in contrasto col gretto materialismo del mondo che lo circonda. Gli scenari (fanta)storici, con evidenti e intenzionali anacronismi e invenzioni, sono costruiti con grande inventiva e col Gusto tipico di Gilliam, dal Teatro semi-distrutto in cui troviamo Napoleon alla nave dell'Orco (e cappello del Gigante), passando per il MedioEvo di Robin Hood e, soprattutto, il Castello dark fantasy (che a me ricorda la futura Moria del jacksoniano "The Lord of the Rings") di Evil, nel cui antro possiamo vedere una caricatura infernale del mondo tecnologico e gabbie sospese nel vuoto. Non mancano squisite frecciatine satiriche, soprattutto contro il potere nelle sue varie forme: Napoleon fissato con la statura, Robin Hood affabile nella forma ma terribilmente snob una volta allontanatosi il gruppo protagonista, Evil insofferente alle critiche, ma anche lo stesso Supreme Being pare un banale direttore d'azienda. Il Film, inoltre, mette in guardia anche sulle tentazioni autoritarie in gruppi 'libertari' come quello dei Nani (secondo alcune interpretazioni riferimento ai Monty Python), e pure la benevolenza paterna di Agamennon pecca di ingenuità. Nelle domande che Kevin rivolge al Supreme Being troviamo inoltre spunti di riflessione arguti sul perché esiste il Male, giustamente senza dare né risposte né rassicurazioni. Grandissimo Cast, Effetti, Costumi e Scenografie sublimi, Sceneggiatura intelligente ed Epilogo cattivello per un piccolo Gioiellino del grandioso Terry Gilliam, che perfezionerà la propria Poetica già nel corto "The Crimson Permanent Assuranc. A quanto pare una serie televisiva sarebbe in avvicinamento.
Con Sydney Arnold, Guy Bertrand, Andrew Bicknell, Ross Davidson, Myrtle Devenish
Durante la realizzazione di "The Meaning of Life", consacrazione (a Cannes) e sostanziale chiusura delle attività dei Monty Python, Gilliam viene 'incaricato' di realizzare uno sketch animato da inserire nel Film, ma poi convince gli altri membri del gruppo a lasciarglielo dirigere in live action, il quale però durante la produzione s'ingrossa nei tempi e nei budget (provocando qualche piccolo scontro) fino a diventare un corto autonomo e, in quanto tale, poi proposto prima del Lungometraggio, in cui comunque viene citato. Nonostante la sua collocazione, "The Crimson Permanent Assurance" prosegue il distacco stilistico di Gilliam dai Python proiettandosi nel successivo "Brazil". Come succederà altre volte nel Cinema dell'Autore, anche qui l'Assurdo s'introduce nel Quotidiano (emozionante il disancoramento dell'edificio) proponendo un fantasioso attacco (di vecchi) all'arroganza e allo strapotere dei giganti finanziari e degli yuppie rampanti. Forse il primo (seppur piccolo) Capolavoro gilliamesco, sicuramente un Gioiellino Artistico da rivedere spesso e volentieri.
Con Jonathan Pryce, Kim Greist, Robert De Niro, Bob Hoskins, Michael Palin
In streaming su Rakuten TV
BRAZIL
Concepito da Gilliam prima di "Time Bandits", una volta trovati i finanziamenti sfruttando la proiezione a Cannes di "The Meaning of Life" la sceneggiatura viene fatta passare dal Regista a Tom Stoppard prima e successivamente a Charles McKeown. Durante la post-produzione incontra un sofferto rimaneggiamento da parte dei distributori statunitensi che mutarono il finale in positivo, motivo per cui questo cut è chiamato "Love Conquers All": fortunatamente in Europa abbiamo visto sempre il Director's Cut". "Brazil" è diventato col tempo uno dei più importanti Cult del Cinema distopico, nonché forse l'Opera migliore dei Terry Gilliam o, perlomeno, il suo Capolavoro più compiuto e riuscito. Il titolo, "Brazil", rimanda alla Canzone "Aquarela do Brazil" la cui Musica è Tema principale della Pellicola, ritornando più volte in varie versioni. Contrastando la desolazione del futuro distopico messo in scena da Gilliam, "Brazil" parrebbe indicare una Condizione mentale, una volontà di Fuga da una realtà grigia e opprimente che annichilisce l'Individuo, imprigionato in una labirintica rete burocratica soffocante che, con la scusa di assicurare precisione, impedisce in realtà lo sviluppo di opere e azioni realmente efficaci. Non è quindi un caso se il pericoloso terrorista Tuttle sia ricercato dal Ministero dell'Informazione in quanto lavoratore indipendente. Oltre che dalla burocrazia, in cui la gente viene costantemente incoraggiata a rimbalzare responsabilità da un settore all'altro ostacolando passivamente qualsiasi richiesta di aiuto, l'Individuo è prigioniero di un incessante bombardamento mediatico e propagandistico volto a stimolare una mentalità 'infamante' e un'ossessiva brama di cose, di regali inutili (ironicamente il Film è ambientato in periodo natalizio). Le predicazioni consumistiche non possono non stimolare, oltre ad un'ossessione morbosa per l'aspetto esteriore con tanto di divismo dei chirurghi plastici, anche un culto osceno per il carrierismo il quale, invece di produrre meccanismi 'meritocratici' e 'progressisti', incentiva inevitabilmente un dilagante uso e abuso di raccomandazioni, che non può non tradursi in un iper-conservatorismo di classe e gigantesche disparità sociali tra ricchi e poveri. In tutto questo Sam Lowry, il Protagonista, pur essendo parte del sistema burocratico che lo imprigiona, fin da subito tradisce il suo potenziale sovversivo: disinteressato ad ogni prospettiva carrieristica e infastidito dal vuoto edonismo di cui la madre si 'nutre', egli è animato da Sogni fantastici di Volo e di Amore. Proprio la 'concretizzazione' della propria Musa in Jill, una donna interessata a far luce su un errore burocratico che è costato la vita ad un poveraccio, spinge Sam in una serie di azioni che lo trascineranno ad un graduale percorso di presa di coscienza che lo porterà ad inimicarsi il Sistema per cui ha sempre lavorato. Nel Finale sembra avversarsi la Rivoluzione, con insurrezione nel palazzo degli interrogatori (torture), ma poi si entra quasi in un Incubo che si risolvenella romantica fuga di Sam e Jill. L'happy ending però è frutto della mente del Protagonista distrutta dalle torture dell'"amico"-collega supervisionato dal vice-ministro (Helpmann, nome palesemente ironico). La Regia di Gilliam è straordinaria nel mettere in scena una Distopia 'acronistica', allo stesso tempo futuristica, 'presentistica' e 'passatistica', riempiendo le scenografie di tubi infernali e specchi, di televisori e telecamere moventi, di palazzi dall'aspetto simile a schedari o con ingressi enormi, ascensori che non si fermano mai nel punto giusto, costumi assurdi, ristoranti che servono poltiglia accompagnata da immagini 'utopiche' dei cibi serviti, e il cielo (vero) visto raramente. Forse la storia d'amore poteva essere migliorata, ma per me questa piccola imperfezione rafforza la Qualità dell'Opera che non posso non ritenere un Capolavoro assoluto del Cinema, da rivedere in continuazione senza stancarmi mai.
Titolo originale The Adventures of Baron Munchausen
Regia di Terry Gilliam
Con John Neville, Sarah Polley, Eric Idle, Oliver Reed, Uma Thurman, Jonathan Pryce
In streaming su Infinity Selection Amazon Channel
THE ADVENTURES OF BARON MUNCHAUSEN
Dopo aver visto "Baron Prasil" di Karel Zeman e aver letto il libro di Rudolph Erich Raspe, Gilliam decide di realizzare una sua versione delle avventure del Barone Munchausen. abbozzando con Charles McKeown un primo trattamento durante la battaglia con la Universal per "Brazil". "The Adventures of Baron Munchausen" vive una produzione estremamente travagliata, rischiando di saltare completamente e di vedere le proprietà di Gilliam e moglie pignorate da un'agenzia di assicurazioni, e quando il Film esce finalmente nelle sale ottiene un fragoroso flop al botteghino. Chiudendo la Trilogia dell'Immaginazione, iniziata con "Time Bandits" e proseguita con il già citato "Brazil", Gilliam inizia a riflettere, superati i 45 anni, sulla Vecchiaia proponendo un ritratto di anziano fuori dalla realtà che poi negli ultimi anni maturerà in Personaggi come il doctor Parnassus e, soprattutto, il Don Quixote rincorso a lungo dall'Autore con traversie produttive anche peggiori rispetto a quelle di Munchausen. Inseguito letteralmente dalla Morte, Munchausen è un egocentrico ma nel modo simpatico e 'buono' tipico di un bambino, ritratto a parer mio ben riuscito della Vecchiaia, che il Protagonista riesce a 'invertire' trascinato dall'Avventura per poi ri-precipitarvi bruscamente quando lo Sconforto e la Malinconia lo abbattono. Importante nel mantenere accesa la luce del suo ottimismo è il ruolo di Sally, bambina figlia di un regista teatrale: intraprendente e animata da una Fantasia quasi pari a quella del Barone, la bambina avrà il compito sia di riportare il Protagonista all'obiettivo principale (aiutare la città assediata) quando questi si distrae sia di riaccenderne la Forza quando questa sembra svanire. Per questo, nel momento di scoramento generale della compagnia d'avventura immediatamente precedente la battaglia, al primo (e unico) segnale di pessimismo di Sally il Barone risponde vigorosamente con «You mustn't say that! Not you!» Ancora una volta la Fantasia indica la strada per raggiungere un'autentica e sovversiva Libertà attirando inevitabilmente l'astio del potere, la cui fanatica fiducia nel cosiddetto 'realismo' e nella presunta logica porta a conseguenze molto più assurde e irrazionali (come ad esempio la guerra e il suo 'galateo') rispetto all'Idealismo dell'Immaginazione. Non è un caso che il compito di uccidere l'invincibile Munchausen spetti al tetro burocrate Horatio Jackson, satira spietata della mentalità anti-creativa (e anti-idealista) delle istituzioni e delle autorità e per certi versi simile, anche se qui più 'misero', al General Delatombe di "The Brothers Grimm", sempre interpretato da Jonathan Pryce. Scenografie meravigliosamente pittoriche, Cast tutto straordinario, Musiche coinvolgenti, sceneggiatura brillante e, soprattutto, la Regia visionaria di Gilliam aiutata da una Fotografia volta a distorcere (e ingigantire) gli Spazi e un Montaggio perfetto nel ritmare le sequenze (come il ballo tra Munchausen e Venus alternato musicalmente all'assedio della città) contribuiscono a rendere quest'Opera l'ennesimo Gioiellino 'imperdibile' di uno dei più grandi Autori cinematografici viventi, rientrando forse tra i suoi Capolavori.
Dopo la fatica (e il flop commerciale) di "The Adventures of Baron Munchausen", Gilliam è in cerca di progetti nuovi, quando incappa nella sceneggiatura, scritta da Richard LaGravenese, di "The Fisher King", che lo colpisce al punto di accettare di dirigere per la prima volta un lavoro 'non suo', allontanandosi inoltre da produzioni di Genere (fantasy) bisognose di grandi effetti speciali e completando anche il taglio con gli altri Monty Python (qui tutti assenti a differenza delle Opere precedenti). Nonostante le premesse, Gilliam non è intenzionato minimamente a svolgere un banale lavoro 'di commissione' e inietta tutta la sua Poetica nel Film, con il quale ancora una volta realizza una gustosa 'apologia' della Libertà mentale e dei Folli, facendoli scontrare con la grettezza e il cinismo della società liberista e in particolare dell'élite edonista yuppie. Proprio da questo mondo, nonostante l'atteggiamento 'ribelle' e 'nichilista' (ma filtrato dalla superficialità del successo in era reaganiana), 'nasce' il Protagonista Jack, 'auto-prigioniero' (come sembrano indicare le ombre simil-sbarre proiettate nel suo studio radiofonico ripreso vorticosamente da un'angolazione a piombo) tanto del culto della propria immagine e del proprio successo quanto del ruolo di cinico guru dell'anti-socialità. Il suo prologo si chiude apprendendo la notizia di una strage compiuta da un uomo disturbato mentalmente e fomentato dalle parole aggressive del dj: con un salto temporale di 3 anni ritroviamo Jack 'derelitto', nonostante l'amore di una videotecara (nel cui negozio Gilliam infila locandine di "Brazile" e "Munchausen"), ma sempre misantropo, solo che in questa misantropia ora infila soprattutto sé stesso, in un ribaltamento in negativo del proprio egocentrismo (che comunque sempre egocentrismo rimane). L'incontro con Parry, senzatetto ex-insegnante impazzito dopo l'uccisione della moglie provocata da Jack, sbatte sulla faccia dell'ex-conduttore radiofonico le conseguenze delle proprie azioni sulle vite altrui. Inizia così per lui un graduale percorso di maturazione profonda che, inizialmente, sembra focalizzato ancora su un desiderio di auto-liberazione dal senso di colpa con cui riaccendere la propria autostima, ma via via diventa sempre più evidente che il proprio 'tornaconto' (psicologico, emotivo...) viene scalzato da un genuino affetto per Parry e per il resto del mondo in generale, tanto da arrivare a rinunciare al ritorno al successo quando si rende conto di essere sul punto di rivestire gli abiti del cinismo carnefice di un tempo, decidendo così di compiere l'impresa cavalleresca affidatagli dal nuovo amico, ovvero recuperare il 'Grail'. A muovere Jack è forse sempre un egoismo, ma stirnerianamente è un egoismo 'altruistico', compiere un gesto simbolico non per lavarsi la coscienza ma per per aiutare il prossimo a realizzare il proprio Sogno. Forse certi passaggi stonano un po' insieme a certi sentimentalismi (generalmente odiati da Gilliam) e probabilmente non ci troviamo di fronte ad un Capolavoro 'effettivo', ma l'intensità genuina dei Sentimenti trattati, lo straordinario lavoro svolto da attrici e attori, la sempre brillante e personalissima Regia 'folle' di Gilliam e tutto l'apporto tecnico contribuiscono a rendere "The Fisher King" un Gioiellino. Inoltre l'affetto profondo che nutro per quest'Opera, tra le primissime da me viste del Regista se non la prima in assoluto, mi basta per considerarlo un 'capolavoro soggettivo.
Dopo "The Fisher King" (e il fallito in pre-produzione progetto di trasposizione di "Watchmen" prodotto da Joel Silver) a Gilliam viene offerta, dall'Universal ('nemica' per il cut di "Brazil"), la possibilità di mettere in scena una sceneggiatura di David e Janet Peoples, remake dello sperimentalissimo "La Jetée" di Chris Marker, Mediometraggio francese del '62 (in piena Nouvelle Vague, di cui Marker era esponente nella 'fazione' più politicamente impegnata, a sinistra, detta Rive Gauche) composto quasi interamente da fotografie/fotogrammi salvo una breve ma emblematica sequenza filmata. Come per il suo film precedente ("The Fisher King"), Gilliam non si limita a realizzare un prodotto 'su commissione' ma interiorizza e rielabora il Materiale (a quanto pare partendo solo dalla sceneggiatura della coppia Peoples e non dal Film di Marker, che il Regista avrebbe visto soltanto all'anteprima parigina del proprio Film) seguendo il proprio riconoscibilissimo Gusto visivo, proponendo una sorta di evoluzione delle atmosfere distopiche del suo Capolavoro Assoluto, ovvero "Brazil": non mancano quindi critiche profonde al nostro sistema occidentale e a come esso porterà l'Umanità ad una (meritata?) Rovina. Lo Spirito Anarchico dell'ex-Python si respira a pieni polmoni nella condanna, satirica e demonizzante, dell'autorità e degli ordini, e gli errori di spedizione temporale operati dall'élite di scienziati che governa l'umanità sotterranea del 2035, uniti all'incapacità di questi futuri governanti di ammettere le proprie falle, richiama a parer mio moltissimo la satira anti-burocratica del Film del 1985. Anche qui, inoltre, l'Amore (strutturato in modo più credibile rispetto al Capolavoro orwelliano precedente), i Sentimenti, la Vita sono visti come la Via più efficace per una giusta Sovversione dell'Esistente: la Visionarietà esasperata di Gilliam sembra limitarsi alla messa in scena dell'Incubo, senza una controparte Fiabesca e Magica di stampo positivo (i film non scritti dal Regista, tranne il penultimo "The Zero Theorem", tendono ad essere più seri degli altri), ma questo perché il Bello, il Magico viene individuato, dal Protagonista, nelle "cose" Naturali, Vive del nostro Mondo. Ci sarebbero sicuramente moltissime altre cose da dire di questa Opera, come le critiche alla psichiatria (che rischia di scivolare nel dogmatismo e/o ridursi a escludere socialmente chi è improduttivo) e alla scienza capitalistizzata (il virus parte da un laboratorio) ma anche a certo animalismo naïve, oltre a riflessioni sulla ricerca 'edipica' della propria identità (con richiami espliciti a "Vertigo") e senza dimenticare apprezzamenti tecnici a Fotografia, Cast Musiche, Scenografie, Montaggio eccetera, ma preferisco fermarmi qui. "Twelve Monkeys", pur non rientrando forse tra le Opere migliori in assoluto di Gilliam, rappresenta il suo ennesimo Gioiellino 'imperdibile', nonché un SuperCult della Fantascienza anni '90 che, qualche anno fa, ha avuto l'onore/onere di essere remakeizzato sotto forma di serie tv (da me ancora non vista).
Con Johnny Depp, Benicio Del Toro, Christina Ricci, Tobey Maguire, Ellen Barkin
In streaming su Infinity Selection Amazon Channel
FEAR AND LOATHING IN LAS VEGAS
Contattato dall'illustratore Ralph Steadman per adattare "Fear and Loathing in Las Vegas" di Hunter S. Thompson, Gilliam è costretto a rinunciarvi inizialmente con l'arrivo alla regia di Alex Cox: quando questi abbandona il posto l'Autore di "Twelve Monkeys", insieme a Tony Grisoni, riscrive la sceneggiatura partendo direttamente dal Libro non essendo soddisfatto dello script di Cox e Tod Davies. Dopo vari passaggi, tra cui un incremento di budget e l'importante incontro con il direttore di fotografia Nicola Pecorini, il Film vede finalmente la luce debuttando a Cannes nel 1998. I risultati iniziali sono alquanto deludenti, con la critica del tempo che stronca la Pellicola mentre gli incassi al di sotto del budget ne fanno un flop. Inoltre Gilliam deve lottare duramente con il Writers Guild of America per accreditare sé e Grisoni come sceneggiatori soppiantando Cox e Davies, dovendosi accontentare alla fine di condividere nei titoli la firma con gli sceneggiatori originari. Nonostante l'iniziale insuccesso, con gli anni "Fear and Loathing in Las Vegas" (letteralmente 'Paura e disgusto a Las Vegas') è diventato un autentico Cult. Il Film è un'epopea surreale all'interno della mentalità drogata del Protagonista (straordinario Johnny Depp, diventato amico di Thompson mentre si preparava alla parte) dove, oltre a raccogliere numerosi momenti di assurdo divertimento, si propone per contrasto una satira lucidamente alterata della società statunitense nel periodo di 'restaurazione morale' che seguì il movimento culturale di protesta del '68 con l'elezione di Richard Nixon (e proseguito dai suoi successori, soprattutto i sempre più reazionari repubblicani da Reagan in poi). Un Ritratto desolante di una controcultura schizzata e in decadenza che, forse, non ha mai avuto davvero quella forza rivoluzionaria di cui il (proprio) 'mito' l'ha rivestita limitandosi ad essere una mera esaltazione 'religiosa' della Droga. Sicuramente però la coppia protagonista Duke/Gonzo e ciò che rappresentano, nonostante varie contraddizioni e storture (tra cui SPOILER un grave caso di violenza psicologica ai danni di una cameriera da parte dell'avvocato), ha quella forza e quella simpatia che la civiltà perbene con la sua ridicola polizia (qua anti-droga soprattutto) e la sua spocchiosa mentalità capitalista non poteva, non può e mai potrà avere, perché il potere, lo status quo e chi lo supporta è incapace di comprendere ciò che è estraneo ai propri dogmi morali, e per questo è ossessionato dalla repressione di ciò che è 'deviato', non conforme, contestatorio. Forse il libro di Thompson, stando a quel che ho 'studiato' riguardo al Film (non avendo ancora letto il romanzo originario), 'mangia' il Surrealismo prettamente gilliamesco in favore della propria Allucinazione, ma comunque secondo me ci troviamo di fronte all'ennesimo Cult in cui Gilliam mescola Realtà e sua Deformazione con un Gusto straordinario, sorretto dalle ottime interpretazioni del Cast e da una Colonna Sonora a dir poco magnifica.
Dopo il flop commerciale di "Fear and Loathing in Las Vegas" bisognerà aspettare 7 anni per poter vedere un altro film di Terry Gilliam, ma finalmente nel 2005 ne escono ben 2: "The Brothers Grimm" e "Tideland". In mezzo c'è tanta sfiga per l'Autore, che vede naufragare "Good Omens" (tratto dal libro di Pratcher e Gaiman) e soprattutto il primo tentativo di realizzare "The Man Who Killed Don Quixote" a riprese avviate. Purtroppo con "The Brothers Grimm" proseguono i casini grazie al dispotismo dei suoi produttori, ovvero i fratelli Weinstein, i quali sembrano essersi affidati all'Autore senza conoscerne lo Stile e pensando di poterlo controllare, ma non bastano imposizioni di cast e il licenziamento del direttore di fotografia Pecorini per domare Gilliam, così tra liti durante le riprese e una diatriba per il final cut (che fa slittare così tanto la post-produzione da permettere al Cineasta di girare nel mentre "Tideland"), alla fine il film riesce a vedere una distribuzione, anche se la WGA rifiuterà di accreditare la sceneggiatura al Regista e al fidato Grisoni nonostante la forte rielaborazione dello script originale di Ehren Kruger. Il risultato finale, stando alle parole di Gilliam, non ha soddisfatto né lui né i nemici Weinstein, e in effetti mi pare evidente che ci troviamo di fronte ad uno dei lavori in assoluto meno riusciti e personali del visionario Autore, se non il suo film minore in assoluto, eppure per contro è assai arduo incasellare l'opera nei canoni del fantasy mainstream. Si crea così un paradosso, dove da un lato la creatività solitamente incontrollabile dell'Artista appare decisamente più spenta ma dall'altro i codici del cinema hollywoodiano vengono stravolti in trovate bizzarre. Nei contenuti, la satira contro il potere e la fredda 'razionalità' anti-immaginifica appare appena abbozzata eppure non è possibile trovare una morale tranquillizzante: in questo è emblematico l'epilogo (SPOILER), al contempo 'buonista' nel suo essere un lieto fine ma per contro 'sovversivo' nella non risoluzione monogamica dell'amore dei Fratelli per Angelika. Anche nei toni e nel target di riferimento assistiamo ad una contraddizione non chiarita: troppo oscuro e 'spaventoso' per essere classificato come un prodotto 'per famiglie' ma troppo leggero e 'fiabesco' per essere veramente adulto. Comunque, nonostante i suoi (enormi) problemi e la sua scissione d'intenti tra Opera Autoriale Gilliamesca e prodotto d'intrattenimento hollywoodiano (o forse proprio per questo), continuo a ritenere "The Brothers Grimm" un film piuttosto interessante nella Filmografia dell'Artista, oltre ad essergli particolarmente affezionato in quanto tra i suoi primissimi lavori da me visti nonché l'unico fino ad oggi 'vissuto' al Cinema. Inoltre ritengo il lavoro svolto da Cast e Crew ottimo, anche se gli effetti digitali sono invecchiati maluccio. Non imperdibile ma, se si ama il Regista, una o più visioni le merita.
Durante la (lunga) post-produzione del travagliato "The Brothers Grimm" Terry Gilliam realizza "Tideland", adattamento dell'omonimo romanzo di Mitch Cullin (che intendo leggere) sceneggiato dal Regista insieme al fidato Tony Grisoni e con l'altrettanto fidato Nicola Pecorini alla direzione della fotografia. Alla produzione non abbiamo gli orribili Weinstein ma il grande Jeremy Thomas e questo si traduce in una forte libertà creativa per l'Autore, che infatti realizza un'Opera nettamente più personale rispetto al lavoro suo 'coetaneo'. Come in "Time Bandits" abbiamo un punto di vista 'preadolescenziale' con una Protagonista, Jeliza-Rose (la magnifica Jodelle Ferland, mia coscritta e in parte simile alla Sally di Baron Munchausen), la cui Fantasia squilibra e deforma la Realtà creando un Mondo immaginifico che è al contempo Incubo e Sogno. Come spesso accade con Gilliam, assistiamo ad un Incrocio (nel contempo attraente e repellente) tra Realtà e Fantasia, 'Degrado' e 'Bellezza', Vita e Morte, Amore e Violenza, Creazione e Distruzione, Sentimenti e Perversioni. Un Ibrido, a differenza di "The Brothers Grimm" qui volontario e interno alla Poetica dell'Autore, che rifiuta stupide e banali contrapposizioni manichee in favore di un'Armonia dissonante, come se Gilliam volesse non tanto unire gli opposti ma superarne le barriere poste dalle convenzioni sociali. Il Risultato Estetico è decisamente Grottesco, Magico e Favoloso eppure Decadente e Marcio. Anche i Personaggi seguono quest'impostazione, nei costumi e nell'aspetto fisico, e così nella Bruttezza c'è sempre qualcosa di attraente e, viceversa, nella Bellezza c'è sempre qualcosa di disgustoso; nella Sporcizia si avverte una fortissima Purezza e invece nel Candore si avverte un qualcosa di Marcio, come nella casa ridipinta di Bianco e nel vestito 'nuziale' di Jeliza-Rose. Sul piano etico il Film tira la corda morale del pubblico, specialmente per la morbosità di certi Sentimenti (tra necrofilia e pedofilia) o la Brutalità insita in certi passaggi: pur senza mai scadere in derive 'imperdonabili', sul piano concettuale aleggia una morbosità innocente che può turbare, trattandosi dell'Innocenza della Perversione, della Follia, della Dipendenza. Questi sono i motivi probabilmente per cui "Tideland", che ha per protagonista una Bambina, è finora l'unica Opera di Gilliam in cui abbia visto comparire il divieto per i minori di 14 anni, e questi sono i motivi per cui, tra tutte le Visionarie Opere dell'ex-Monty Python, questa probabilmente rientrerà tra le meno accessibili. Gilliam però non è minimamente interessato a shockare per il gusto di farlo né a proporre Visioni Folli solo per darsi un tono di Artista. Tutto è funzionale alla sua Poetica dell'Immaginazione nata dalla Decadenza e da ciò che la società perbene (e quindi conservatrice, anche e soprattutto quando si 'vanta' del proprio liberalismo) bolla come 'Degrado': cadaveri, rottami, bambole rotte, case diroccate, stimolano la Fantasia della Protagonista creando Avventure straordinarie e Legami intensi. Sul piano tecnico, un grandissimo Cast, dei Costumi Magnifici, delle Musiche straordinarie, una Fotografia squisitamente deformata (grandangoli e punti di riprese esagerati abbondano), una Sceneggiatura grandiosa, un Montaggio impeccabile e la Regia personalissima di Gilliam rendono "Tideland" un'Autentica Opera d'Arte, per me un vero e proprio Capolavoro.
Dopo "The Brothers Grimm" e "Tideland", Gilliam ritorna lavorativamente in contatto (a più di 15 anni di distanza da "Munchausen") con Charles McKeown per lavorare sulla sceneggiatura di "The Imaginarium of Doctor Parnassus", costruendo il Protagonista del Titolo in maniera autobiografica e ispirandosi a Tony Blair per il quasi omonimo Tony Shepard, ovvero 'pastore', e da gente che in "Brazil" ha chiamato il vice-ministro dell'informazione 'Helpmann' non bisogna per me aspettarsi coincidenze nei cognomi. Durante una breve pausa dalle riprese, come è noto, avviene la tragica morte di Heath Ledger, interprete di Tony, e questo fatto, oltre a sconvolgere emotivamente cast e crew, mette a rischio la produzione del Film, poi salvata da un arrangiamento nello script volto a permettere la sostituzione dell'Attore da parte di tre colleghi (Depp, Law e Farrell) nelle scene dentro lo specchio. Come se non bastasse, poco dopo le riprese muore anche il co-produttore William Vince per un cancro. Al di là delle tragiche condizioni in cui è nato, il Film è, a parer mio, una delle Opere più interessanti e personali di Terry Gilliam, nonché una delle sue più sottovalutate e, soggettivamente parlando, un Capolavoro. "The Imaginarium of Doctor Parnassus" è, come detto, un Film che nasce travagliatamente e che porta le cicatrici umane di due dipartite inaspettate e premature, le quali rafforzano la Determinazione trasformando l'Opera in un Monumento alla Memoria. Come accennato in apertura, Parnassus è modellato su Gilliam stesso, un anziano (anche se l'Autore non aveva ancora toccato i 70 anni) 'cultore' dell'Immaginazione ma dimenticato dal mondo e sconfitto dai servitori del profitto. Tutte le lotte affrontate da Gilliam con la difficoltà a mettere in scena i suoi progetti (Quixote in primis) e la limitatezza mentale di produttori vari riecheggiano nel Film, assieme (forse) al timore di soccombere al finto aiuto di figure meschine e ambigue, qua incarnate da Tony Shepard il quale fin dall'inizio, sotto una maschera di affabilità e volontà di aiutare, tradisce un qualcosa di profondamente losco e opportunistico, che poi verrà man mano svelato nei vari attraversamenti dello specchio fino al finale risolutivo (ma conservando, giustamente, alcuni misteri). Gilliam critica e deride anche il resto della società consumistica (sempre più distante dal suo Cinema) in varie sfumature, e non mancano frecciatine pungenti contro la polizia (spassoso il balletto organizzato dalla mente del Dottore per convincere dei gangster russi a scegliere la violenza legale della polizia), il potere politico (oltre a basare Tony Shepard su Tony Blair, il presidente interpretato da Stormare richiama evidentemente F.D. Roosevelt) e persino la religione, tra suore tentate dal Diavolo e la stessa figura di Satana, un azzeccatissimo Tom Waits, costruita come un antagonista 'onesto' dell'Alter Ego del Regista. Stilisticamente il Film è Gilliam purissimo, dal Gusto distorcente delle Inquadrature (grazie alla Fotografia di Pecorini, sempre sintonizzata col Gusto del Regista) alle Musiche dei fratelli Danna, passando per il grandioso Cast e finendo con le Scenografie vicine ai Disegni del Regista, che infatti co-firma l'Art Direction. Un Capolavoro 'soggettivo' che rivedrei continuamente in loop.
Con Cristiana Capotondi, Douglas Dean, Nicolas Connolly, Sergio Solli, Renato De Maria
Tra "The Imaginarium of Doctor Parnassus" e "The Zero Theorem" Gilliam realizza due cortometraggi, entrambi finanziati da marchi commerciali: "The Legend of Hallowdega" e "The Wholly Family".
Il primo, partito da una sceneggiatura di Aaron Bergeron e finanziato da AMP Energy Juice (con co-produzione RadicalMedia) è un simpatico mockumentary (con diversi 'strappi' ai limiti del modello, specialmente nel montaggio) su una gara automobilistica assai pericolosa, forse maledetta da fantasmi, ma forse il problema è qualcos'altro (ad una certa s'intuisce quale possa essere la causa). "The Legend of Hallowdega" non è niente di trascendentale e la mano di Gilliam si sente poco (alla fotografia non abbiamo il fidato Pecorini), ma nel complesso è divertente e David Arquette è squisito nei panni del macchiettistico cacciatore di fantasmi.
Il secondo, "The Wholly Family", è scritto personalmente da Terry Gilliam, il quale riprende come collaboratori il fidatissimo Nicola Pecorini alla fotografia e Mick Audsley al montaggio. Girato a Napoli e finanziato da pasta Garofalo, nonostante il committente il Corto non è una mera pubblicità della marca di pasta e l'Autore ha ricevuto totale libertà creativa nella sua realizzazione. Non ci troviamo di fronte ad un Capolavoro (nemmeno soggettivo), soprattutto per la natura quasi di divertissement dell'opera, e il doppiaggio italiano del terzetto protagonista non aiuta (a quanto pare nell'edizione inglese vengono lasciati i dialoghi dei personaggi napoletani). Comunque, nella sua 'modestia d'intenti', "The Wholly Family" è un Film decisamente gilliamesco, con una parte centrale, ambientata nei sogni del bambino con numerosi Pulcinella, davvero straordinaria. Da (ri)scoprire.
Dopo "The Imaginarium of Doctor Parnassus" e due corti Gilliam ritorna alla regia puntando su una sceneggiatura non sua, nello specifico di Pat Rushin. Il Film in italia è arrivato assai tardi, quasi 'di nascosto', e accolto senza troppo entusiasmo, come del resto quasi tutti gli ultimi Lavori dell'ex-Monty Python: in particolare ho visto paragoni in negativo con "Brazil" e "12 Monkeys", i quali con "The Zero Theorem" potrebbero formare una sorta di trittico 'orwelliano'. Per me, invece, questa è l'ennesima Opera personalissima e artistica di Gilliam, diversa dai Lavori precedenti (e per questo forse può deludere) ma allo stesso tempo evoluzione della sua passata Filmografia. Forse è un Film imperfetto, ma la Teoria alla base del Film stesso si fonda sull'Imperfezione, sull'Inspiegabilità del Tutto e del Niente. È l'Insoddisfazione Concettuale delle Domande senza Risposta, dei Dubbi che arrivano ad indagare i Dilemmi Esistenziali nostri ma che partono se vogliamo anche dalla messa in discussione della Qualità del Film stesso. È l'Imperfezione del Finale, chiuso nell'Irreale e nella mancata rivelazione della sua natura: è un Lieto Fine? è un Finale negativo? Non si sa, e proprio per questo è l'Epilogo ideale dell'Opera. "The Zero Theorem" rifiuta di dare Risposte e forse per questo ha deluso, perché non è un rompicapo che, nella difficoltà di soluzione, presenta comunque la possibilità di venirne a capo (come fa una parte della filmografia nolaniana). È un Dialogo tra Spettatore/Spettatrice e Opera Artistica, dove si discute interiormente su Temi vari, come l'Invasività della Tecnologia e le sue Tentazioni, l'Isolamento dell'Invidivuo nella Massa e l'affermazione dello stesso Individuo tramite Contatti Umani (ma anche Animali), il Tema del Controllo del Potere e la necessità di Libertà, l'uso strumentale della Religione e la Religiosità, e così via con vari incroci di queste Tematiche, ad esempio con la promessa tecnologica di superare la Realtà con la virtualità quando invece si arriva ad eliminare il contatto fisico tra Individui proponendone la Simulazione (questo aspetto, tra l'altro, è drammaticamente attualissimo). Non manca la ricerca di una Fuga in un posto 'esotico', elemento che rafforza il legame con "12 Monkeys" (le Florida Keys) e "Brazil" (il Titolo e il Tema musicale). Sta all'Individuo Spettatore prendere una Posizione sui vari Argomenti, senza però chiudersi in un facile manicheismo ma problematizzando le proprie Contraddizioni e le proprie Inquietudini. Visivamente siamo di fronte ad un Gilliam estremamente personale, nella Fotografia grandangolare di Pecorini (con peculiare aspect ratio dagli angoli arrotondati, scelta precisa del Regista per evitare modifiche altrui al formato in edizioni home video varie e ottimo nel dare un tono 'retro' all'Opera), nella direzione 'libertaria' del Cast e della Crew, nelle Scenografie e nei Costumi al contempo futuristici e antiquate, distopicamente utopistiche (divertimento spaparanzato ma evidentemente iper-consumistico, e c'è spazio per un "Arbeit Macht Fun") e realisticamente degradate. Chiudendo, come chiudevo la mia recensione di due anni fa, «"The Zero Theorem", se non è un Capolavoro, è un'Opera Imperdibile che necessita di essere vista e seriamente dibattuta, in quanto Opera d'Arte di un Genio Artistico, quale è Terry Gilliam.» Aggiungerei che, per me, a costo di sembrare troppo generoso e 'fan' per essere credibile, questo è l'ennesimo Capolavoro gilliamesco da rivedere in continuazione.
Come è noto, il Progetto di Don Quixote è stato una sorta di chimera per Gilliam, un po' come lo fu anche per Orson Welles. Letto per la prima volta il Romanzo di Cervantes nel 1989, Gilliam da allora inizia a lavorarci a varie riprese rielaborando il materiale di partenza. Una prima parvenza di avvio del progetto si ha negli anni '90, ma dopo diverso tempo speso nella preparazione Gilliam decide di rinunciare ritenendo insufficiente il budget offertogli. Nel 1998 l'Autore ritorna sul progetto, coinvolgendo Tony Grisoni nella sceneggiatura: qui inizia forse a prendere davvero forma "The Man Who Killed Don Quixote", che infatti già inizia ad intitolarsi in questo modo proponendo come protagonista un certo Toby (scherzosamente Grisoni come il co-sceneggiatore) scaraventato indietro nel tempo e scambiato per Sancho Panza da Quixote. La lavorazione viene avviata con fondi totalmente europei, il francese Jean Rochefort nel Ruolo del Titolo e Johnny Depp in quello di Toby, oltre ad avere alla Fotografia il fidato Pecorini, ma la produzione fallisce dopo sei giorni di riprese, come ben documenta l'unmaking of "Lost in La Mancha" di Keith Fulton e Louis Pepe (che recentemente han realizzato un 'sequel' intitolato "He Dreams of Giants"). Tra il 2003 e il 2016, comunque, Gilliam tenta di riprendere in mano il progetto mentre realizza altri Film e il progetto cervantesco subisce nel tempo diverse modifiche, sia nella sceneggiatura sia nel cast, arrivando finalmente nel 2016, dopo un'altra breve parentesi critica (con il produttore Paulo Branco, che poi cercherà di bloccare la distribuzione del film realizzato con altri produttori), al Film definitivo. Il Cast questa volta vede Adam Driver nei panni di Toby (ora Grummett) e Jonathan Pryce in quelli di Don Quixote che, nel mentre, è stato mutato, con l'abbandono del viaggio nel tempo, in un vecchio ciabattino spagnolo (in realtà di nome Javier) che, dopo essere stato preso come interprete del Cavaliere dalla Triste Figura in un film giovanile di Toby, ora crede di essere davvero il Protagonista del Romanzo cervantesco. In "The Man Who Killed Don Quixote" Gilliam riflette su sé stesso, sul suo Ruolo di Artista, sdoppiandosi nei due Protagonisti maschili. Egli è infatti Javier/Quixote, pazzo visionario che guarda il Mondo con occhi fantasiosi, infantili, idealizzanti, ma è anche Toby, il quale affronta un lungo percorso di maturazione interiore per capire (SPOILER), 'uccidendo' don Quixote, di essere lui stesso il Cavaliere dalla Triste Figura. Il Film inoltre sulle possibili responsabilità dell'Arte sull'Animo umano, sia di chi è coinvolto nella sua lavorazione sia in chi la osserva (e le due figure possono coincidere), però alla fine la Follia di Don Quixote (sostanzialmente un Simbolo fino alla fine della Pellicola e oltre) incarna l'Ideale del Visionario e la sua Lotta contro l'Arroganza della Società e dei suoi dominatori. Gilliam, infatti, non risparmia con la sua irriverente critica satirica il Potere e la sua meschinità: chi ha potere si sente proprietario della vita e dell'animo delle persone 'sottoposte', usandole come giocattoli per il proprio tornaconto e/o divertimento per poi abbandonarle quando non ne sentono più il bisogno o l'attrazione. "The Man Who Killed Don Quixote" è una Commedia Drammatica realisticamente fantastica, per certi versi il Testamento Spirituale di Terry Gilliam, sperando però di poterlo vedere di nuovo dietro ad un folle Progetto cinematografico.
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