Un chien andalou
- Grottesco
- Francia
- durata 15'
Titolo originale Un chien andalou
Regia di Luis Buñuel, Salvador Dalì
Con Pierre Batcheff, Simone Mareuil, Luis Buñuel
“Ecco come andarono le cose.”
Se inizi in questo modo un racconto:
- hai preso all’amo il lettore,
- non devi deluderlo,
- sei consapevole delle tue capacità, e
- meglio per te che questa cognizione si basi su prove oggettive.
Poco al di là delle Alpi, lungo il Bacino del Rodano, vicino ad Avignone, mentre un poco più a sud Nimes ed Arles portano alla Camargue, sorge Orange, con l’alveo ciottoloso dell’Eygues e, nei dintorni, Carpentras e Sérignan. In quei luoghi, per tutta la metà dell’ottocento e fino alla nascita del Secolo Breve, a cavallo tra illuminismo e modernità, Darwin e Freud (declinato all’entomologia), si muove la sete di conoscenza di Jean-Henri Fabre.
«Ho adorato i “Ricordi Entomologici” di Fabre. Per la passione dell'osservazione, per l'amore sconfinato verso l'essere vivente, questo libro mi sembra ineguagliabile, infinitamente superiore alla Bibbia. Da molto tempo vado dicendo che porterei soltanto questo libro con me su un'isola deserta. [Oggi ho cambiato idea: non ne porterei alcuno.]» - Luis Buñuel
La Bibbia degli entomologi?
La Bibbia, punto.
La "vera" Recherche.
E un Harmas, ovvero - in provenzale - un angolo di terra incolta e semi-selvaggia, voluto, cercato, desiderato, costruito, in vece di una Madeleine, capitata.
Con tutti i suoi difetti: il non aver letto Darwin, o il non averlo letto bene, o l'averlo letto di riporto e seconda mano, o l'averlo letto e non averlo compreso, o l'averlo letto e compreso ma rifiutato (mentre lo stesso Darwin, e con lui gli altri suoi più o meno contemporanei Bergson, Hugo, Jünger, Maeterlinck, Mallarmé, J.S.Mill, Rostand - e, immagino, oggi, Edward O. Wilson -, ne apprezzeranno il lavoro).
Una certa tendenza spiritualista nell’intravedere dietro all'ordine delle cose naturali in generale e animali nello specifico (e di conseguenza umane) una correlazione tra i fatti-così-come-sono e un disegno/ordine divino che li svolge e caratterizza.
E un’idiosincrasia - dettata dalla propria esperienza personale, perciò condizionata da un bias di conferma - verso i laboratori scientifici puri e le tassonomiche collezioni museali, luoghi contrapposti all’esplorazione en plein air con contemplazione del comportamento (istinto e sapienza innati) del soggetto vivente e non spillato o sotto formalina, libero nel suo ambiente naturale.
Mentre l'imputargli una qual certa umanizzazione dei soggeti entomologici è una considerazione del tutto arbitraria, miope, sciocca e sbagliata, perché i passaggi incriminati (riferendosi qui al comportamento sociale di alcuni imenotteri del genere Sphex messi di fronte a degli imprevisti naturali e artificiali: "...questi rivoluzionari, adatti al progresso, sono la minoranza; la maggioranza, la folla, sono glia altri, i conservatori abbarbicati a vecchi usi e costumi...") esprimono evidentemente un intendimento metaforico e giocoso - ma sempre molto serio - rispetto alla materia trattata: non vi è alcuna antropomorfizzazione in atto.
«Niente è difficile per l’istinto, fintantoché l’atto non si allontana dal ciclo immutabile assegnato all’animale; e niente è facile per l’istinto, se l’azione deve discostarsi dai canoni seguii abitualmente. Lo stesso insetto che incanta e ci lascia sgomenti con la sua grande perspicacia, un istante dopo, davanti al fatto più semplice ma estraneo alla pratica consueta, ci stupisce per l’ottusità.» - Jean-Henri Fabre
«Il calabrone entra nella stanza illuminata, va a battere velocemente contro la lampada, le pareti, i mobili. Rumore secco delle sue zuccate. Dopo un po' si acquatta per riprendere le forze. Ricomincia contro la lampada, le pareti, i vetri, e daccapo contro la lampada. Infine cade sul tavolo, zampe all'aria, e la mattina dopo è secco, leggero, morto. Non ha capito niente, ma non si può dire che non abbia tentato.» - Ennio Flaiano
E i suoi immensi, smisurati pregi: una passione illimitata e totale verso la “Creazione”.
Una prosa sottilmente arguta e sagace (ma mai gratuitamente divertente o forzatamente spiritosa), tanto penetrante ed espressiva quanto semplice e diretta (ma capace di organizzare periodi articolati di senso compiuto in rado di stendere un moderno laureato in giurisprudenza), degna dello stesso Charles Darwin (lo scienziato-poeta), di Ernst Jünger (Cacce Sottili), di Vladimir Nabokov (Guarda gli Arlecchini!), o, per rimanere in ambito cinematografico e, in questo caso, puntando l’attenzione sull’ambito prettamente divulgativo e non specialistico, di Alastair Fothergill & Co. (BBC, Discovery, National Geographic).
E un'impressionante perspicacia logico-deduttiva al meglio applicata - con acume, discernimento, e raziocinio - tanto durante l'osservazione diretta sul campo quanto successivamente elaborando alla scrivania dello studio i dati raccolti: ad esempio quando sfata, dati alla mano raccolti personalmente dall’autore in decenni di studio dal vivo, le deduzioni dei suoi predecessori (pur riconoscendo loro tutto il valore che meritano, in generale, per i pionieristico, immane lavoro svolto), specialmente per quanto riguarda quel tipo di intelligenza consapevole che in un insetto è dettata dall’istinto, m’altresì in esso è relegata: lo scarabeo stercorario non comprende la natura del mondo intorno a lui, non chiama a raccolta i suoi consimili per farsi aiutare a trasportare la palla di letame che fungerà da dispensa personale o da scorta di cibo per la larva: se più individui si accalcano attorno a una sfera di letame per farla rotolare in modo che superi una duna di sabbia non si tratta di un raduno di amici ma di un ognun per sé con un vincitore alla fine (discorso ben differente si ha con le comunità aggregate e specializzate degli insetti sociali: api, formiche, termiti).
Riguardo a ciò, trascrivo qui per intero un breve brano esplicativo in tal senso, ché ne vale la pena…
Ma, prima di tutto, sgombriamo il campo da un errore ricorrente nei libri. Nella splendida opera di Emile Blanchard, “Métamorphoses, Moeurs et Instinct des Insectes”, leggo queste parole: «Talvolta il nostro insetto viene a trovarsi davanti a un ostacolo insormontabile: la sua pallottola è caduta in una buca. E qui l’ateuco [sinonimo di scarabeo] rivela una comprensione davvero stupefacente della situazione, e una ancor più sbalorditiva facilità nel comunicare con gli individui della sua stessa specie. Preso atto dell’impossibilità di superare l’ostacolo con la palla, l’insetto vola via dando l’impressione di abbandonarla. Se siete sufficientemente dotati della grande e nobile virtù chiamata pazienza, restate vicino alla pallottola abbandonata: dopo un po’, l’ateuco tornerà sul posto, e non da solo; lo seguiranno due, tre, quattro, cinque compagni che piomberanno tutti sul punto indicato e uniranno gli sforzi per sollevare il fardello. L’ateuco è andato a cercare rinforzi, ed ecco perché, in mezzo a campi aridi, si vedono così spesso diversi ateuchi riuniti per trasportare una sola pallottola.»
Leggo infine sul “Magazin fur InsektenKunde” di Illiger: «Mentre costruiva la palla di sterco destinata a racchiudere le uova, un ginnopleuro pillolare la fece rotolare in una buca, da cui cercò a lungo di estrarla da solo. Vedendo che perdeva tempo in vani tentativi, corse a un vicino mucchio di letame a cercare tre individui della sua stessa specie, i quali, unendo le loro forze alle sue, riuscirono a estrarre la palla dalla buca in cui era caduta, e poi tornarono a lavorare il loro letame.»
Chiedo scusa al mio illustre maestro Blanchard, ma di certo le cose non vanno in questo modo. Innanzitutto, i due brani concordano a tal punto da far supporre un’origine comune. Illiger ha esposto l’avventura del suo ginnopleuro sulla scorta di un’osservazione troppo limitata nel tempo per meritare una cieca fiducia; e lo stesso fatto è stato estesi agli scarabei perché, effettivamente, capita molto spesso di vederne due che faticano insieme per far rotolare una pallottola o per farla uscire da una situazione critica. Ma lo sforzo congiunto di due individui non dimostra affatto che lo stercorario in difficoltà sia andato a chiedere aiuto ai compagni. Ho avuto, in larga misura, la pazienza raccomandata da Blanchard; ho vissuto parecchi giorni in intimità, potrei dire, con lo scarabeo sacro; ho cercato in tutti i modi di veder chiaro, per quanto possibile, nei suoi usi e costumi e di studiarli dal vivo, e non ho mai rilevato nulla che facesse sia pur lontanamente pensare a una richiesta di aiuto. Come riferirò tra poco, ho sottoposto lo stercorario a prove ben più severe di quella costituita da una buca in cui fosse caduta la pallottola; l’ho messo davanti a difficoltà più serie di un pendio da salire, quasi un gioco per quel Sisifo ostinato che sembra divertirsi al duro cimento dei declivi da superare, come se la pallottola, diventando così più compatta, acquistasse valore; ho creato di proposito situazioni in cui l’insetto avesse estremo bisogno di aiuto, e mai ho avuto la minima dimostrazione di una collaborazione fra compagni. Ho visto predoni e depredati, nient’altro. Se intorno alla stessa pallottola si affollavano diversi stercorari, era perché se la contendevano. A mio modesto parere, quei racconti su compagni chiamati a dare manforte sono originati da alcuni scarabei riuniti con intenzioni predatorie intorno a una stessa palla. Osservazioni lacunose hanno trasformato un grassatore impudente in un collega servizievole che interrompe il proprio lavoro per rendersi utile.
Non è cosa da poco attribuire a un insetto una comprensione davvero stupefacente della situazione, e una ancor più sbalorditiva facilità nel comunicare con individui della stessa specie. Perciò insisto su questo punto. Ma come! Uno scarabeo in difficoltà concepirebbe l’idea di andare a cercare aiuto? Si metterebbe a esplorare in volo il territorio circostante per trovare suoi simili intenti a formare una pallottola di sterco e, dopo averli trovati, ricorrendo a una sorta di pantomima [♦], e soprattutto al movimento delle antenne, terrebbe loro pressappoco questo discorso: «Statemi a sentire, voialtri, il mio carico si è rovesciato in una buca; aiutatemi a tirarlo fuori. Vi ricambierò il favore alla prima occasione!»? E loro capirebbero! E, cosa ancora più pazzesca, pianterebbero subito il lavoro, abbandonando la pallottola cominciata, la loro cara pallottola, alla cupidigia altrui e al saccheggio certo in loro assenza, per andare a prestare aiuto al postulante! Tanta abnegazione desta in me una profonda incredulità, motivata da tutto quello che ho visto per anni e anni, non in barattoli da collezionista, ma direttamente sul posto di lavoro dello scarabeo. Fatta eccezione per le cure materne, nelle quali è quasi esemplare, l’insetto, a meno che non viva in società, come le api, le formiche e simili, pensa solo a sé stesso.
[♦] Potrebbe invece essere, anche se così non è, una “intelligente” strategia inconsapevole che, come già detto, nell’insetto è dettata dell’istinto e… plasmata dall’evoluzione. Fabre non la prende in considerazione (e dopotutto gli insetti sociali - certamente differenti in tutto e per tutto dal punto di vista comportamentale ed organizzativo dai solitari ed individualisti coleotteri scarabeidi -, che pure citerà più avanti, sono lì a dimostrarne la reale e concreta possibilità) perché troppo [♣] darwiniana?
[♣] E, a tal proposito, ancora…
Ogni zampa dell’insetto termina con una specie di dito o tarso, come viene chiamato, composto di una serie di sottili elementi paragonabili alle falangi delle nostre dita, con all’estremità un’unghia a uncino. Un dito per ogni zampa, questa è la regola; e il dito, almeno quello dei coleotteri superiori, e in particolare degli stercorari, comprende cinque falangi o giunture. Ora, per una strana eccezione, gli scarabei mancano di tarsi nelle zampe anteriori, mentre nelle altre due paia ne possiedono di molto ben configurati, con cinque giunture. Sono monchi, storpi, privi nelle appendici anteriori di ciò che, nell’insetto, rappresenta molto grossolanamente la nostra mano. La stessa anomalia si riscontra nell’Onistis e nel Bubas, sempre della famiglia degli stercorari. Da tempo l’entomologia ha registrato questa stranezza senza riuscire a darne una spiegazione soddisfacente. L’animale è monco dalla nascita, e viene al mondo senza le dita delle zampe anteriori? Oppure le perde accidentalmente nell’eseguire i suoi faticosi lavori?
Sarebbe semplice vedere in una simile mutilazione una conseguenza del duro lavoro dell’insetto. Frugare, scavare, rastrellare, sminuzzare ora nella ghiaia del terreno, ora nella massa filacciosa dello sterco, non sono attività in cui organi così delicati come i tarsi possano essere impiegati senza danno. E, circostanza ancor più grave: quando l’insetto fa rotolare la sua pallottola procedendo a ritroso, con il capo in basso, si puntella sul terreno con l’estremità delle zampe anteriori. Che ne sarebbe, in quel continuo sfregamento contro le asperità del suolo, delle fragili dita dell’insetto, sottili come un filo? Rivelatesi inutili, un semplice impaccio, sarebbero destinate a sparire prima o poi, schiacciate, strappate, logorate in mille incidenti. A forza di maneggiare attrezzi pesanti, di sollevare grossi carichi, troppo spesso, ahimè, i nostri operai finiscono per restare storpi; e così sarebbe diventato storpio lo scarabeo, facendo rotolare quella palla, fardello per lui troppo pesante. Le sue braccia monche sarebbero il nobile attestato di una vita operosa.
Ma a questo punto sorgono subito seri dubbi. Se tali mutilazioni sono fortuite conseguenze di un duro lavoro, allora costituiscono l’eccezione e non la regola. Che un operaio, molti operai restino privi di una mano, stritolata negli ingranaggi di una macchina, non significa che anche tutti gli altri operai siano senza una mano. Se spesso, anche molto spesso, facendo rotolare pallottole lo scarabeo perde le dita delle zampe anteriori, dovrebbe comunque esserci qualche scarabeo, più fortunato o più abile, ancora in possesso dei supi tarsi. Esaminiamo dunque i fatti. Ho osservato moltissime specie di scarabeo che abitano in Francia:lo scarabeo sacro, diffuso in Provenza; lo scarabeo semipunteggiato che non si allontana molto dal mare e frequenta le spiagge sabbiose di Cette, di Palavas e di Golfe-Juan; e infine lo scarabeo a collo largo, molto più diffuso degli altri due e che risale la valle del Rodano almeno fino a Lione. Per finire, le mie osservazioni si sono indirizzate verso una specie africana, lo scarabeo dalle cicatrici, rinvenuto nei dintorni di Costantina. Ebbene, la mancanza di tarsi nelle zampe anteriori è risultata un fenomeno costante in tutte e quattro le specie, senza alcuna eccezione, per lo meno nei limiti di quanto ho potuto osservare. Lo scarabeo dunque nascerebbe monco; questa sarebbe una caratteristica naturale, non dovuta al caso.
Tale affermazione trova del resto una prova supplementare in un altro ragionamento: se l’assenza delle dita anteriori dipendesse da una mutilazione accidentale, conseguenza di violente sollecitazioni, allora altri insetti, in particolare stercorari, che si dedicano a lavori di scavo ancora più faticosi di quelli dello scarabeo, dovrebbero a maggior ragione essere privi dei tarsi anteriori, appendici inutili, anzi addirittura ingombranti quando la zampa deve costituire un robusto attrezzo di scavo. I geotrupidi, per esempio, pienamente meritevoli del loro nome che significa “trapanatori del suolo”, scavano nel terreno battuto dei sentieri, fra ciottoli cementati dall’argilla, pozzi verticali talmente profondi da richiedere l’utilizzo di potenti strumenti fossori per arrivare alla cella terminale, e non sempre vi riescono. Ora, questi minatori per eccellenza, che si aprono con facilità lunghe gallerie in un terreno che lo scarabeo sacro potrebbe appena scalfire in superficie, hanno i tarsi anteriori intatti, come se perforare il tufo richiedesse delicatezza e non violenza. Tutto porta dunque a credere che osservando lo scarabeo, ancora novizio, nella sua cella natale, lo troveremmo monco e simile al veterano che ha attraversato il mondo e si è logorato nel lavoro.
Sull’assenza delle dita potrebbe fondarsi un ragionamento favorevole alle teorie oggi di moda, lotta per la vita e trasformazione della specie. Si potrebbe dire: «In origine gli scarabei possedevano tarsi un tutte le zampe, secondo le leggi generali dell’organizzazione degli insetti. Per un motivo o per l’altro, alcuni hanno perso le ingombranti appendici delle zampe anteriori, più dannose che utili; trovando comoda quella mutilazione che agevola il lavoro, si sono gradualmente imposti sugli altri, meno avvantaggiati; si sono riprodotti trasmettendo ai discendenti i moncherini senza dita, e alla fine l’insetto originario con le dita è diventato l’insetto monco dei nostri giorni.» Mi arrenderò di buon grado a queste ragioni se prima mi si spiegherà come mai il geotrupe, dedito a lavori analoghi e molto più duri, ha invece conservato i tarsi. Nell’attesa, continuiamo a credere che il primo scarabeo che fece rotolare la sua pallottola, magari sulla spiaggia di qualche lago in cui si immergeva il paleoterio, fosse privo di tarsi anteriori come il nostro.
Il “caso”, in un mondo osservato attraverso le lenti distorsive della “creazione divina”, non è contemplato. Ma anche quando sbaglia (le premesse che pone in essere per articolare il suo ragionamento contro-deduttivo soffrono tutte di un bias di conferma iniziale), Fabre è ammirevole.
[Jean-Henri Fabre ritratto da Nadar.]
Dei “Ricordi di un Entomologo - Studio sull'Istinto e i Costumi degli Insetti” di Jean-Henri Fabre (1823-1915) questo Volume Primo con le sue 680 pagine raccoglie le prime due serie (stampate rispettivamente nel 1879 e 1882 e composte la prima da 22 e la seconda da 17 capitoli) delle 10 in totale (in questa playlist tratto solo la prima: seguirà a breve la successiva), l’ultima delle quali vide la luce nel 1907: quindi si stima - si spera, si auspica! - che Adelphi andrà a pubblicare nella sua collana Biblioteca [anche se questi lavori non avrebbero certo sfigurato per importanza scientifica se fossero apparsi nella splendida sezione Animalia (come pure se fosse appartenuta al Ramo d’Oro o ai Casi): sono invece confluiti in uno dei due reparti maggiori, con Fabula, della casa editrice guidata da mezzo secolo da Roberto Calasso (che, dopo la vendita della sezione libri della RCS a Mondadori, ne ha riacquistato la maggioranza rendendola di nuovo indipendente), per la loro valenza letteraria] gli altri 4 volumi nel corso dei mesi e degli anni che verranno, andando così a completare ciò che la Einaudi lasciò in sospeso nei primi anni settanta quando - dopo l'edizione integrale in 11 volumi della Sonzogno degli anni '20, che comprendeva anche una "Vita di Jean-Henri Fabre" come 11° - licenziò per i Millenni le stesse prime due serie raccolte in un unico volume con cofanetto (ristampato ne gli Struzzi in versione economica nei primi anni ottanta) curato dall'indimenticato Giorgio Celli e da lui tradotto con la moglie Paola.
Colophon.
Jean-Henri Fabre - “Souvenirs Entomologiques - Etudes sur l'Instinct et les Moeurs des Insectes - Première et Deuxième Série” - 1879 e 1882.
Edizione italiana: Adelphi, 2020 - collana: Biblioteca, n. 713 - traduzione di Laura Frausin Guarino - supervisione scientifica di Lara Maistrello - prefazione di Gerald Durrell - copertina flessibile, rilegato filo refe - 680 pagg., 38.00 €.
Il libro è illustrato dalle fotografie del figlio Paul, ed è dedicato alla memoria di Jules, un altro dei suoi 6 figli, morto a soli 16 anni.
Poi, ho imparato tre parole nuove (le definizioni sono prese dalla Treccani):
- "Reòforo", s. m. [comp. di reo- e -foro]. – In elettrotecnica, nome generico (e oggi in disuso) di ogni adduttore di corrente, e in partic. di ogni conduttore metallico filiforme di corrente elettrica, di cui si possa trascurare lecitamente la resistenza elettrica, la capacità e l’induttanza e a cui si possa quindi attribuire la sola funzione di veicolo non reattivo e non dissipativo della corrente.
- "Pandiculazione" – In medicina, l’insieme dei movimenti sinergici (stiramento degli arti superiori ecc.) che di solito accompagnano lo sbadiglio.
- "Tèrebra", s. f. [dal lat. terĕbra «trapano, succhiello»]. – In zoologia, negli invertebrati, ogni organo allungato e perforante, e più in partic. l’ovopositore degli imenotteri terebranti.
Ma incominciamo. “Ecco come andarono le cose…”
* * * * ¾ (*****)
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Ultime playlist pubblicate della serie “Libri A(ni)mati”:
- #41: "the Queen's Gambit" (la Regina degli Scacchi) di Walter Tevis (1983)
- #40: "A Darkling Sea" (Abisso Profondo) di James L. Cambias (2014)
- #39: “Olive, Again” (Olive, Ancora Lei) di Elizabeth Strout (2019)
- #38: “the Flame Alphabet” (l’Alfabeto di Fuoco) di Ben Marcus (2012)
- #37: “I’m Thinking of Ending Things” (Sto Pensando di Finirla Qui) di Iain Reid (2016)
- #36: “If It Bleeds” (Se Scorre il Sangue) di Stephen King (2020)
Titolo originale Un chien andalou
Regia di Luis Buñuel, Salvador Dalì
Con Pierre Batcheff, Simone Mareuil, Luis Buñuel
Titolo originale L'âge d'or
Regia di Luis Buñuel
Con Gaston Modot, Lya Lys, Max Ernst, Pierre Prévert, Lionel Salem, Caridad de Laberdesque
Titolo originale El espíritu de la colmena
Regia di Victor Erice
Con Fernando Fernan Gomez, Ana Torrent, Isabel Telleria, José Villasante, Teresa Gimpera
Titolo originale Kaze no tani no Naushika
Regia di Hayao Miyazaki
Titolo originale Microcosmos
Regia di Claude Nuridsany, Marie Pérennou
Titolo originale A Bug's Life
Regia di John Lasseter
Titolo originale Earth
Regia di Alastair Fothergill, Mark Linfield
Titolo originale Hmyz
Regia di Jan Svankmajer
Con Jirí Lábus, Jan Budar, Kamila Magálová, Jaromír Dulava, Ivana Uhlírová
Titolo originale David Attenborough: A Life on Our Planet
Regia di Alastair Fothergill, Jonathan Hughes, Keith Scholey
Con David Attenborough
Titolo originale Lord of the Flies
Regia di Peter Brook
Con James Aubrey, Tom Chapin, Hugh Edwards, Roger Elwin, Tom Gaman, Roger Allan
Insieme ai tentativi di allevamento in gabbia, portavo avanti ricerche sul campo, i cui risultati erano lontani dai miei desideri. Ritenni necessario procurarmi alcuni aiutanti. Un’allegra banda di ragazzini attraversava per l’appunto l’altopiano. Era giovedì. Dimenticate la scuola e le noiose lezioni, arrivavano dal paese vicino, Les Angles, con una mela in mano e un pezzo di pane nell’altra; andavano a setacciare la collina brulla dove finiscono i proiettili sparati dalla guarnigione durante le esercitazioni di tiro. L’obiettivo della spedizione mattutina erano alcuni frammenti di piombo che, se messi insieme, non valevano più di un soldo. I fiorellini rosa dei gerani costellavano i prati che si premuravano di ingentilire per un istante quell’Arabia Petrea; la monachella, metà bianca e metà nera, svolazzava giuliva qua e là da una cuspide di roccia all’altra; sulla soglia di tane scavate ai piedi dei cespugli di timo, i grilli diffondevano tutt’intorno la loro monotona sinfonia. E i ragazzini erano felici di quella festa di primavera, e ancor più felici per la prospettiva di ricchezza, quel soldino, premio per i proiettili recuperati, che la domenica seguente avrebbe permesso loro di comprare due caramelle alla menta dalla rivenditrice davanti alla porta della chiesa, due grosse caramelle da due soldi l’una.
Mi avvicino al più grande, la cui espressione sveglia mi fa ben sperare; continuando a sgranocchiare la mela, i piccoli fanno cerchio intorno a noi. Espongo la cosa, mostro lo scarabeo sacro che rotola la sua palla e dico loro che in quella palla, nascosta da qualche parte sottoterra, ma non so dove, a volte ci dev’essere una nicchia e, nel cuore di quella nicchia, una larva. Frugando qua e là a caso, tenendo d’occhio le manovre dello scarabeo, bisogna trovare la pallottola in cui abita la larva. Le palle senza larva non contano. E per allettarli con una somma favolosa che sottraesse a favore delle mie ricerche il tempo che avrebbero altrimenti dedicato alla raccolta di pochi centesimi di piombo, promisi un franco, una bella moneta nuova di zecca da venti soldi, per ogni pallottola abitata. All’annuncio di questa somma, gli occhi si sgranarono con adorabile candore. Quotando un po’ di sterco a quel prezzo folle, avevo messo in crisi i loro princìpi economici. Poi, a conferma della serietà della mia proposta, distribuii qualche spicciolo come caparra. Mi sarei trovato la settimana seguente, stesso giorno, stessa ora, nel medesimo posto per compensare lealmente secondo quanto pattuito tutti quelli che avessero fatto la preziosa scoperta. Istruiti i ragazzini nei modi dovuti, li congedai. «È tutto vero!», dicevano tra loro allontanandosi; «È tutto vero! Potremmo guadagnare una moneta a testa!» E con il cuore gonfio di una dolce speranza, facevano tintinnare nel cavo della mano gli spiccioli della caparra. Dimenticati i proiettili schiacciati dagli obici, si dispersero sotto i miei occhi nella pianura e si misero alla ricerca.
Titolo originale The White Diamond
Regia di Werner Herzog
I segreti del regno animale, invece, non quelli della struttura anatomica, bensì quelli della vita nel suo svolgersi, e soprattutto dell’istinto, mettono l’osservatore in condizioni ben altrimenti difficili e delicate. Lungi dal poter disporre del proprio tempo, egli è schiavo della stagione, del giorno, dell’ora, dell’istante stesso. Se si presenta l’occasione, deve coglierla al volo, senza esitare, perché forse non si presenterà più per un bel po’. E poiché di solito l’occasione si presenta quando uno meno se lo spetta, non ha preparato nulla per poterne trarre profitto. Deve mettere insieme in fretta e furia l’occorrente per la sperimentazione, abbozzare un programma. Elaborare una tattica, inventare degli stratagemmi; e può dirsi fortunato se l’ispirazione arriva in tempo per permettergli di trarre qualche frutto dall’opportunità offerta. L’opportunità, del resto, si offre solo a chi la cerca. L’opportunità va spiata con pazienza per giorni e giorni, ora su pendii sabbiosi esposti alla vampa del sole, ora nell’afosa gola di un sentiero incassato tra profonde scarpate, o ancora su un dirupo di arenaria che non sempre ispira fiducia quanto a solidità. Se viene concesso di stabilire il vostro osservatorio sotto un gracile ulivo, che finge di proteggervi dai raggi del sole rovente, benedite il destino che vi tratta da sibarita: quello che avete avuto in sorte è un paradiso terrestre. Soprattutto, tenete gli occhi bene aperti. Il posto è buono e, chissà, da un momento all’altro potrebbe arrivare l’occasione.
E l’occasione è arrivata, anche se un po’ tardi, a dire il vero; ma è arrivata…
Titolo originale Alien
Regia di Ridley Scott
Con Sigourney Weaver, Tom Skerritt, Harry Dean Stanton, Veronica Cartwright, John Hurt
Voglio riferire uno degli efferati episodi rimasti impressi nella mia memoria. La scena si svolge davanti a un cantiere di filanti apivori, insetti scavatori che nutrono le larve con api domestiche catturate sui fiori al momento della raccolta del polline e del miele. Se il filanto sente che la preda è gonfia di miele, prima di immagazzinarla – lungo il tragitto, o sulla porta della tana – le preme immancabilmente il gozzo per farle rigurgitare il delizioso purè, e se ne abbevera leccando la lingua che l’infelice, agonizzante, protende dalla bocca in tutta la sua lunghezza. Questa profanazione di un morente, a cui l’uccisore schiaccia il ventre per svuotarlo e banchettare con il suo contenuto, ha qualcosa di turpe, che imputerei al filanto, se un animale potesse essere ritenuto responsabile di una colpa. Nel corso del suo orrendo festino, ho visto l’imenottero ghermito dalla mantide insieme con la sua preda: brigante depredato da un altro brigante. Particolare raccapricciante: trafitto dai denti della doppia sega con cui la mantide lo immobilizzava mentre già gli masticava il ventre, l’imenottero continuava a leccare il miele dell’ape, non potendo rinunciare a quella delizia neanche fra i tormenti della morte.
Titolo originale Jaws
Regia di Steven Spielberg
Con Robert Shaw, Roy Scheider, Richard Dreyfuss, Lorraine Gary
[Interessante interpretare questo passaggio parallelamente contrapposto alla darwiniana Teoria dell’Origine ed Evoluzione delle Specie per Mezzo della Seleziona Naturale.]
La natura ha dotato lo sphex soltanto delle facoltà necessarie a soddisfare gli interessi delle larve in circostanze normali; e visto che tali facoltà cieche, non modificabili dall’esperienza, sono sufficienti alla conservazione della razza, l’animale non sarebbe capace di andare oltre.
Terminerò dunque come ho iniziato. L’istinto sa tutto entro le immutabili vie che gli sono state assegnate; oltre quelle vie, ignora tutto. Ispirazioni sublimi per scienza o incoerenze sbalorditive per stupidità: ecco il destino, a seconda che agisca in condizioni normali o in condizioni inconsuete.
[La risposta è inscritta proprio nelle leggi dell’evoluzione: nel caso particolare in esame non vi è alcuna necessità per la sopravvivenza del singolo individuo e dell’intera specie di migliorare le risposte dell’insetto ad avvenimenti straordinari occasionali, e le possibili mutazioni casuali avvenute in tal senso sono morte sul nascere o si sono diluite sino a sparire nel tempo non avendo con il loro apporto fatto acquisire agli esemplari mutati capacità che le rendano indispensabili e nemmeno utili ad una potenziale maggiore capacità di adattamento, sopravvivenza e riproduzione degli individui.
La stupore nei confronti della Natura, poi, dovrebbe nascere, ad esempio, di fronte al ciclo riproduzione → deposizione → metamorfosi inteso proprio come un costrutto delle forze evolutive in azione permanente e non dell’ingegno superno di un creatore iniziale di specie immutabili e “perfette” sul nascere.]
Titolo originale Vivarium
Regia di Lorcan Finnegan
Con Imogen Poots, Jesse Eisenberg, Jonathan Aris, Eanna Hardwicke, Danielle Ryan
Con le bembix è tutt’altra cosa. Durante le due settimane dell’allevamento la madre entra continuamente nella tana; sa che la sua prole è in compagnia di numerosi intrusi che si appropriano della maggior parte dei viveri;e tutte le volte che porta da mangiare alla sua larva, tocca, sente in fondo al nido quei commensali famelici, i quali, lungi dall’accontentarsi degli avanzi, si gettano sui bocconi migliori; deve rendersi conto, per quanto limitate siano le sue cognizioni numeriche, che dodici sono più di uno, e del resto dovrebbe farglielo capire il consumo di viveri superiore alle sue risorse di cacciatrice; eppure, invece di acchiappare quegli sfrontati per la pelle del ventre e sbatterli fuori, li tollera pacificamente.
Ma semplicemente li tollera? Li nutre, gli dà l’imbeccata, e forse ha per gli intrusi la stessa tenerezza materna che ha per la larva. È una riedizione della storia del cuculo, ma in circostanze ancora più particolari. Che il cuculo, con la sua corporatura e la sua livrea quasi uguali a quelle dello sparviero, incuta un timore tale da poter introdurre impunemente il suo uovo nel nido della fragile capinera, forse soggiogata dall’aspetto terrificante del suo pargolo dal muso di rospo, accetti l’estraneo e gli prodighi le proprie cure, questo, al limite, può trovare una parvenza di spiegazione. Ma cosa diremmo della capinera che, diventata parassita, andasse con audacia proterva a deporre le uova nel nido del rapace, dello sparviero in persona, il suo feroce carnefice? E del rapace che accogliesse l’uovo e teneramente allevasse la nidiata di uccellini? È esattamente ciò che fa la bembix, predatrice di ditteri che si prende cura di altri ditteri, indefessa cacciatrice che dispensa cibo a uno stuolo di prede il cui ultimo banchetto sarà la sua larva sventrata. Lascio ad altri, più abili di me, l’interpretazione di questi rapporti stupefacenti.
[Recensione.]
Titolo originale Mother!
Regia di Darren Aronofsky
Con Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Ed Harris, Michelle Pfeiffer, Domhnall Gleeson
Ma c'è qualcosa di ancora più incredibile. Dopo lunghe esitazioni, la madre entra finalmente nel piccolo canale, residuo del corridoio originario[sventrato e scoperchiato dall’osservatore per il suo esperimento comportamentale]. Avanza, indietreggia, avanza ancora, assestando qua e là, senza fermarsi, qualche distratto colpo di scopa. Guidata da vaghe reminiscenze, e forse anche dall’odore di preda che emana il mucchio di ditteri, raggiunge il fondo della galleria, proprio il punto in cui giace la larva. Eccole insieme, madre e figlia. Nel momento dell’incontro, dopo tanti affanni, assistiamo forse a cure premurose, tenere effusioni, a una manifestazione qualsiasi di gioia materna? Chi lo credesse non ha che da ripetere i miei esperimenti per convincersi del contrario. La bembix non riconosce affatto la sua larva, cosa per lei di nessun valore, perfino ingombrante, puro intralcio. Nei suoi precipitosi andirivieni vi cammina sopra, la calpesta senza alcun riguardo. Se vuole tentare uno scavo in fondo alla cella, la scaccia a suon di calci; la spinge, la ribalta, la butta fuori. Non si comporterebbe diversamente con un ciottolo voluminoso che la ostacolasse nel suo lavoro. Così strapazzata, la larva pensa a difendersi. L’ho vista afferrare la madre per un tarso senza tante formalità, come avrebbe morso la zampa di un dittero, la sua preda. La lotta è stata violenta, ma alla fine le feroci mandibole hanno allentato la presa, e la madre è fuggita spaventata con un acuto e lamentoso stridere di ali. Questa scena contro natura, la figlia che morde la madre cercando forse di divorarla, è rara e si presenta in circostanze che all’osservatore non è possibile provocare; quello a cui invece è sempre possibile assistere è l’assoluta indifferenza dell’imenottero nei confronti della prole, e la sprezzante brutalità con cui tratta quella massa ingombrante che è la larva. Una volta esplorato con il rastrello il fondo del corridoio – questione di un istante -, la bembix torna al punto prediletto, la soglia di casa, dove riprende le sue vane ricerche. La larva, dal canto suo, continua a dimenarsi, a torcersi, là dove l’hanno spedita i calci materni. Morirà senza il minimo aiuto da parte della madre che, non avendo trovato il consueto passaggio, non è più in grado di riconoscerla. Se ripassiamo di là l’indomani, vedremo la larva in fondo al canaletto, mezzo bruciata dal sole e già preda di quelle stesse mosche che prima erano la sua preda.
Tale è il legame fra le azioni istintive; esse si richiamano l’una con l’altra secondo un ordine che neanche le circostanze più gravi possono turbare. In conclusione, che cosa cerca la bembix? La larva, ovviamente. Ma per arrivare alla larva deve entrare nella tana, e per entrare nella tana deve prima trovarne la porta. Ed è nella ricerca della porta che si accanisce la madre, caparbiamente, anche davanti alla galleria scoperchiata, davanti alle provviste, davanti alla sua stessa larva, in quel momento la casa in rovina e la prole in pericolo non contano nulla per lei; prima di ogni altra cosa deve trovare il noto passaggio, il passaggio attraverso la sabbia cedevole. E se non lo trova, tutto il resto può andare alla distruzione, abitazione e abitante! Le sue azioni sono come una serie di echi che nascono uno dall’altro in ordine fisso, e dove il seguente parla solo se ha parlato il precedente. La prima azione non può essere compiuta, non a causa di un ostacolo, dal momento che la casa è spalancata, bensì per mancanza dell’ingresso abituale. Tanto basta: non saranno compiute neanche le azioni successive; la prima eco è muta, e gli altri tacciono. Quale abisso separa l’intelligenza dall’istinto! La madre guidata dall’intelligenza corre dritta alla figlia attraverso le macerie della casa in rovina; la madre guidata dall’istinto si ferma caparbia là dove c’era la porta.
[Recensione.]
Regia di Ermanno Olmi
Con Raz Degan, Luna Bendandi, Amina Syed, Michele Zattara
[Per contrasto...]
…il mio libraio aveva in vendita una splendida opera sugli insetti: “Histoire Naturelle des Animaux Articulés”, di Castelnau, Blanchard e Lucas. Il testo era arricchito da un’infinità di illustrazioni molto attraenti, ma, ahimè, costava parecchio, eccome se costava! Pazienza: le mie cospicue entrate, i miei settecento franchi, non dovevano forse servire a provvedere al nutrimento del corpo come a quello dello spirito? Ciò che darò di più all’uno lo toglierò all’altro, equilibrio cui deve necessariamente rassegnarsi chiunque scelga la scienza per mestiere. Il libro fu dunque acquistato. Quel giorno, la mia prebenda universitaria subì un copioso salasso: sacrificai a quella spesa un intero mese di stipendio. Un miracolo di parsimonia avrebbe in seguito colmato l’enorme deficit.
Divorai il libro, letteralmente…
Regia di Emma Dante
Con Alissa Maria Orlando, Laura Giordani, Rosalba Bologna, Susanna Piraino, Serena Barone
Restano le giovani madri, le sole a farsi carico del futuro della famiglia. A quale di loro toccherà la casa, l’eredità del vecchio nido? In quanto sorelle, godono tutte di eguali diritti: così stabilirebbe la nostra giustizia, da quando il progresso si è emancipato dall’antico e barbaro diritto di primogenitura. Ma le calicodome sono ancora ferme al fondamento primo della proprietà: il diritto del primo arrivato.
Titolo originale Cube
Regia di Vincenzo Natali
Con Nicole DeBoer, Nicky Guadagni, David Hewlett, Andrew Miller
Ma ecco che intorno al nido si presenta un'altra barriera, la parete del cono; per forarla sarebbe necessario ripetere l'atto appena compiuto, quell'atto che l'insetto deve compiere una volta soltanto nella vita; sarebbe insomma necessario replicare ciò che per natura è unico, e l’insetto non può farlo, solo perché non ne ha la volontà. L’ape muraiola muore perché le manca il minimo barlume di intelligenza. E oggi è di moda vedere in questo bizzarro intelletto un rudimento della ragione umana! La moda passerà e resteranno i fatti, che ci riporteranno alle buone e vecchie idee sull’anima e i suoi immortali destini.
Titolo originale Phase IV
Regia di Saul Bass
Con Nigel Davenport, Lynne Frederick, Michael Murphy, Helen Horton
In questa operazione non è possibile usare guanti: per afferrare con delicatezza l'ape irrequieta e tenerla ferma senza stringerla brutalmente occorre tutta la destrezza delle dita. Avrete già capito che in questo mestiere si guadagnano, se non altro, parecchie punture. Un po’ di abilità permette di evitare l’aculeo, ma non sempre. Ci rassegnamo.
Regia di Alice Rohrwacher
Con Maria Alexandra Lungu, Sam Louwyck, Alba Rohrwacher, Sabine Timoteo, Luis Huilca
Ha volato per quattro chilometri, attraversato il mare di spighe, i campi di lupinella rosa, ed eccola tornare al nido dopo avere bottinato lungo il tragitto, perché arriva impavida con il ventre tutto giallo di polline. Tornare a casa dal limite dell’orizzonte è meraviglioso, tornarvi con la spazzola del polline piena di granuli è un capolavoro di economia. Per le api, un viaggio, sia pure imposto, è sempre una spedizione di raccolta.
[Recensione.]
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