Quest’anno di Cinema d’autore ne è mancato parecchio soprattutto a causa della pandemia di coronavirus che ha letteralmente messo in ginocchio l’intera industria hollywoodiana e non solo.
L’unico vero eroe che ha voluto rischiare il tutto per tutto in questo caos globale è stato Christopher Nolan, regista d’autore che col suo particolare cinema d’intrattenimento si è contraddistinto col suo stile unico coniugando elementi tradizionali della Settima Arte con elementi più moderni ancorati alla nostra epoca che latita sempre di più di pellicole sperimentali e di spessore, soprattutto sul campo dei blockbuster.
Il suo sacrificio con l’uscita di Tenet nelle sale, aldilà del giudizio finale sul film, è dunque da ammirare e da supportare visto il desertico vuoto che ci ha lasciato questo 2020, che ha accelerato dinamiche già presenti negli anni scorsi e che quest’anno potrebbe affossare definitivamente il Cinema stesso.
Mi sento dunque di riproporvi sotto forma di playlist, le mie recensioni scritte su filmtv atte a sviscerare la poetica di questo importante autore del XXI Secolo, con l’aggiunta della classica breve introduzione alla retrospettiva che spero vi possa invogliare oltre a rispolverare un mio vecchio scritto, anche a recuperare un suo film se ancora non l’avete fatto.
Buona lettura e alla prossima play ;)
RETROSPETTIVA CHRISTOPHER NOLAN
Christopher Nolan è di sicuro uno dei registi più amati e famosi del nostro tempo, tanto da surclassare i grandi nomi del passato, che ormai cominciano a svanire nell’immaginario collettivo con l’avanzare della contemporaneità, introiettata sempre di più sullo star-system, sui film-marchio e i franchise campioni di incassi. Questa grandissima popolarità la confermano, oltre gli strepitosi incassi miliardari dei suoi film e la critica sempre unanime nel promuovere le sue opere (almeno quella d’oltreoceano), anche la sua vastissima rete di fan sul Web che vengono chiamati ironicamente “nolaniani”. Quest’ultimi si fanno sentire a gran voce attraverso miliardi di video su YouTube ma, soprattutto, su tutti i siti dedicati al cinema come per esempio IMDb, in cui piazzano in quarta posizioneIl Cavaliere Oscuro nella top 250 migliori film di sempre e nella seconda e terza posizione due suoi film (Il Cavaliere Oscuroe Inception) per numeri di voti superando tranquillamente la “modesta” cifra di due milioni. Questa grande fama di cui gode guadagnando sempre più proseliti nel pubblico generalista a ogni anno che passa, porta inevitabilmente anche all’effetto opposto, ovvero una sempre più crescente schiera di detrattori pronti a stroncare ogni suo film additandogli le peggio critiche.
In occasione dell’uscita di Tenet, ho deciso così anch’io di dire la mia su questo regista molto discusso, e chiaramente non mi colloco in nessuna fazione, anche perché è alquanto inutile entrare in tifoserie da stadio deprimenti e ridicole che portano soltanto ad un impoverimento della discussione critica e cinematografica ma, soprattutto, ad un radicalismo nelle proprie opinioni che rende poco obiettiva poi la propria analisi su ogni singolo regista.
Christopher Nolan è un regista che personalmente apprezzo e di cui ho amato parecchi suoi film, soprattutto perché riesce sempre a realizzare blockbuster d’autore che uniscono sinergicamente sia l’intelletto che l’intrattenimento filmico, un pregio che ormai comincia a latitare nel cinema mainstream, in cui tutto ormai si abbandona alla caciara e all’ignoranza delle scene d’azione e degli effetti visivi, azzerando così il valore riflessivo intrinseco che una storia può trasmettere ad uno spettatore occasionale e non. Partendo dal cinema indipendente inglese, infatti, il regista londinese si è sempre contraddistinto per la sua particolare narrazione concentrata su svariati temi inerenti all’irrazionalità e alle contraddizioni dell’essere umano che, in un mondo apparente perfetto da un punto di vista razionalistico, ogni suo protagonista scoprirà, invece, tutte le sue imperfezioni crollando nella sua voglia di interpretare univocamente ciò che lo circonda, in quanto la realtà circostante spesso è sfuggente e indecifrabile. Non è un caso che Nolan racconti spesso storie non lineari nel tempo riflettendo sulle distorsioni spazio-temporali, sullo sdoppiamento dell’identità, su leggi scientifiche che regolano la nostra natura, sul contrasto tra sogno e realtà, sulla problematicità dei ruoli genitoriali e sulla costante ambiguità morale dell’essere umano. Tutte componenti chiaramente complesse e problematiche nell’interpretazione oggettiva della realtà, che il regista infatti inserisce in mondi freddi, apatici, algoritmici, crepuscolari insieme ai suoi personaggi che dovranno affrontare tutte queste variabili razionali e irrazionali in gioco, munendosi, di conseguenza, di un coraggio e di un dinamismo emotivo necessari per scardinare le opprimenti equazioni del sistema che li schiacciano, seguendo così la pura logica dell’irrazionalità emozionale, dettata sempre ed esclusivamente dalla loro irrinunciabile – e spesso folle – soggettività. E non sempre il risultato è un lieto fine.
La poetica del regista nella sua “freddezza” nel riprendere dilemmi amletici di portata esistenzialista, in realtà contiene una forte componente emotiva molto calorosa e profondamente umana nel rappresentare le varie sfaccettature dell’essere umano, che vengono enfatizzate dalla sua scrittura e dalla sua regia attraverso intrecci narrativi spesso abbastanza complessi per rendere al meglio lo stato confusionale di una lotta alla fine interiore con sé stessi. Anche nelle sue opere più commerciali, Nolan è sempre riuscito ad infondere la sua poetica plurisfaccettata e morbosamente attaccata al mezzo “tecnico” del Cinema, che per il regista britannico rappresenta un vero e proprio dogma imprescindibile per regalare uno straordinario spettacolo al suo pubblico, affidandosi spesso ad effetti speciali analogici e girando in pellicola tutti i suoi lungometraggi. L’attaccamento tecnico e “razionale” al complesso industriale della Settima Arte, lo rende di fatto un artista molto ambizioso nei suoi progetti audiovisivi, in cui cerca sempre di sperimentare nuove tecniche per “spettacolarizzare” il suo Cinema. Nelle sue opere migliori, dunque, ottiene risultati eccelsi in termini di drammaturgia quando l’intrattenimento filmico è di altissimo livello tra grande perizia tecnica e solida scrittura volta sviscerare la filosofia dei suoi personaggi, ma quando la “tecnica/forma” si sbilancia a sfavore della “scrittura/sostanza”, ecco che l’ambizione pionieristica nolaniana svilisce la stessa scrittura, che a quel punto diventa schiava di una messa in scena che si traduce automaticamente in un mero esercizio di stile, in cui i personaggi diventano mere pedine anonime di una storia inutilmente complicata.
La maledizione del regista sta dunque nella sua eccessiva ambizione di risultare cervellotico e spettacolare anche quando non dovrebbe, rigettando così la semplicità di un soggetto per abbracciare una storia più complessa (o confusa?) e stratificata, senza però riuscire ad esaltarne completamente tutte le sue potenziali virtù tematiche e filosofiche, se non addirittura visive. La sua natura sempre più macchinosa e cerebrale nell’approcciare il mezzo cinematografico, concentrandosi così più sull’intreccio narrativo che all’effettiva drammaturgia della storia narrata, mi fa pensare ad una vera e propria radicalizzazione della sua poetica, votata sempre di più ad esaltare lo spettacolo visivo piuttosto che a raccontare una storia pregna di un vero significato, capace quindi di donare sia un abile gioco di prestigio cinematografico, sia una riflessione interiore capace di scuotere l’anima e la mente dello spettatore.
Il sospetto che mi sorge spontaneo è che forse la penna migliore – o comunque il giusto bilanciere tra forma e sostanza – sia proprio suo fratello Jonathan Nolan, che quando collabora in sede di sceneggiatura (Memento, The Prestige, Il Cavaliere Oscuro, Interstellar), regala infatti le opere che più ho apprezzato di Christopher Nolan, che guarda caso sono le più empatiche senza però perdere la loro complessità di fondo.
Riassumendo, Christopher Nolan è di sicuro un regista con un grandissimo talento che regala un cinema d’intrattenimento sempre intellettualmente stimolante sia da vedere sia da “sentire”, che ha regalato almeno due capolavori alla Settima Arte e una forte influenza estetica al (post)moderno Cinema contemporaneo. Peccato che le sue eccessive ambizioni – comunque sperimentali e meritevoli di essere visionate in sala – mescolino a volte malamente, soprattutto negli ultimi anni, l’approccio analitico-tecnico con quello sensoriale-allegorico-drammaturgico, incagliandosi perciò in un limbo cinematografico in cui la drammaturgia fatica a restituire tutto il suo potenziale creativo, perdendosi in incastri narrativi spesso futili e destinati ad un pubblico “nerdoide” amante degli enigmi impossibili (quest’ultimi spesso campati in aria) su uno sfondo tecnico di primordine ma alla fin fine vuoto.
Ed è forse per questo motivo che sarà per sempre legato al cinema commerciale piuttosto che a quello d’essai, in quanto morbosamente legato ad uno sperimentalismo visivo e narrativo che richiede ingenti capitali che, però, produce il paradosso di dover spiegare poi ogni minima cosa al grande pubblico, ossia il suo principale target di riferimento che gli consente di sopravvivere come regista. Insomma, un’eterna maledizione autoriale/artistica – o benedizione se si guarda al suo portafoglio – che forse spiega come mai ritornare al livello dei suoi massimi capolavori – Mementoe The Prestige – sia ormai quasi impossibile, in quanto opere concettualmente e fortemente indipendenti a partire dal budget, che impone a qualsiasi regista di dover realizzare un piccolo prestigio, ossia quel colpo di genio necessario per arrivare all’olimpo tanto agognato dei capolavori della Settima Arte. Staremo a vedere, a partire dal recente Oppenheimer, in cui forse forma e sostanza stanno finalmente ritornando sinergicamente unite.
L’opera prima di Christopher Nolan è un concentrato di bianco e nero calato in un moderno noir-thriller che fa emergere sin da subito l’inquietudine generale del regista sul mondo e sul Cinema stesso, che attraverso un budget bassissimo confeziona una struttura complessa e stratificata nei meandri dell’irrazionalità dell’uomo.
Per i completisti e gli ammiratori, questo “Following” è assolutamente da recuperare anche solo per capire come si possa fare del grande Cinema con mezzi limitatissimi.
Con Guy Pearce, Carrie-Anne Moss, Joe Pantoliano, Stephen Tobolowsky
Nolan riprende le tematiche affrontate nella sua terra natia (il Regno Unito) per trasportarle ed aggiornarle con maggior foga direttamente ad Hollywood, in cui basandosi sul racconto di suo fratello Jonathan, costruisce un capolavoro istantaneo di regia, montaggio e sceneggiatura, portando all’estremo l’irrazionalità intrinseca dell’uomo mostrandone tutte le sue sfaccettature attraverso una narrazione anarchica e meritevole di più revisioni per comprenderne l’elaborato schema cinematografico che non si abbandona ad uno sterile esercizio di stile.
Incredibilmente, dopo il capolavoro schizzato quale era Memento, Nolan decide di accettare la direzione di un marchettone hollywoodiano di nome “Insomnia”, facendone un remake che non rivoluziona affatto l’originale film “scandinavo” e che si salva unicamente per l’ormai maturato virtuosismo della sua regia, oltre che per le ottime interpretazioni di Al Pacino e Robin Williams.
Da questo film in poi si noterà sempre di più la vena più ingorda ed affarista del regista ,che gli sarà funzionale per compiere quel “salto di qualità” nel dirigere blockbuster con budget abbastanza alti e dal successo garantito al botteghino.
Un’altra volta Nolan si butta su un progetto commerciale affidatogli dalla “madrina” Warner, ma questa volta all’operazione “affarista” Nolan gli vuole donare una sua “profondità”, riscrivendo la grammatica cinematografica allora vigente sull’uomo pipistrello per dargli un un timbro più psicologico, maturo, oscuro e realistico, ripartendo dalle sue origini e mettendo in luce tutti gli stilemi che poi diventeranno il cardine dell’intera trilogia batmaniana.
Grazie al successo dei vari “film su commissione”, Nolan decide di buttarsi su un progetto più personale insieme al fratello nel trasporre non solo una storia fantascientifica ambientata nell’Ottocento, ma anche la sua opera più autobiografica come artista, che identificandosi nel duello a colpi di illusioni dei due protagonisti illusionisti, denuda completamente la sua idea di Cinema mostrandoci la bellezza e la maledizione dell’Arte e di essere artisti.
The Prestige è l’altro capolavoro di Nolan insieme a Memento, grazie ad una solida regia e scrittura avulse dalla logica di guadagno degli studios, riportando una genuina spontaneità nel regista nel dirigere una pellicola, che forse qui come non mai si è sentito libero dalla pressione del pubblico e dalla sua stessa “grandezza” come regista.
Un sequel doveva per forza arrivare da Batman Begins, e forte del suo “patto d'acciaio” con la Warner, Nolan gode di una quasi totale libertà nel sfogare la sua ormai maturata autorialità per questo secondo capitolo chiamato “Il Cavaliere Oscuro”, optando per uno stacco netto dal primo capitolo, decidendo così di andare ancora in maggior profondità nella psiche dell’uomo pipistrello e tirando fuori tutti i suoi demoni interiori, decostruendo in questo modo la sua figura iconografica con l’inserimento del Joker, interpretato magistralmente da un compianto Heath Ledger, villain che si mangia la pellicola e tenuto a bada da una regia di stampo noir-gangsteristico che rimanda in primis al “Heat” di Michael Mann.
Uno dei migliori cinecomic che ci sono a giro che inserisce direttamente la trilogia su Batman nolaniana all’interno della trinità “autoriale” Singer-Raimi-Nolan.
Fiero del suo enorme successo con “The Dark Knight”, Nolan decide nuovamente di buttarsi su un progetto ancor più personale di “The Prestige”, indagando con “Inception” il mondo onirico dei sogni e ampliando la sua poetica caratterizzata da una forte “ricerca” dell’irrazionalità "inconscis" nella razionalità "conscia".
Il risultato, a mio parere, seppur molto ambizioso, non raggiunge i livelli di profondità che il regista voleva ottenere, inceppandosi in una trama troppo cervellotica e per certi versi “semplicistica” nei suoi risvolti finali. Resta comunque un buon film, ma a tratti pretenzioso e primo sintomo di una voglia di “sorprendere ad ogni costo senza prima ben costruire l’attesa di quella "sorpresa”.
La consacrazione come artista “genio” è ormai a livello globale (almeno da parte del pubblico) e così il terzo capitolo batmaniano era inevitabile, realizzando non solo il più alto incasso della sua carriera, ma anche uno splendido capitolo finale che chiude egregiamente il mito iconografico nolaniano su Batman, che con l’arrivo del nuovo villain “Bane”, verrà provato sul piano spirituale e fisico.
Per molti una ciofeca difettosa, per me un grande affresco “umano” e di “riscatto morale”.
Amato o odiato, Interstellar, a parer mio, è un altro grande passo in avanti di Nolan che decide di trattare a modo suo la fantascienza, caricandoci in una sorta di “odissea spaziale” profondamente antropocentrica e dunque di forte impatto emotivo che non può lasciare indifferenti, dove l’uomo sarà in balia dello spazio profondo per portare avanti la sua catartica lotta per la sopravvivenza.
Il viaggio interstellare è meravigliosamente girato e musicato dal duo Nolan-Zimmer, che per il sottoscritto hanno confezionato un cult istantaneo.
Sarà poi la Storia del Cinema a darmi ragione o a darmi torto. Intanto io me le sono goduto per quello che è: un profondo blockbuster d’autore.
Dunkirk a mio parere è il film più ambiguo di Christopher Nolan (dopo Tenet, ma lì l’ambiguità secondo me è più narrativa che autoriale) perché intanto ha messo d'accordo per la prima volta anti-noliani e nolaniani e la quasi totalità della critica mondiale, e inoltre perché, a mio parere, il war-movie nolaniano si muove in un ambiguo piano tra retorica britannica repressa e ultra realismo che cozza ingenuamente con la realtà storica degli eventi.
Questa problematica ambiguità mi ha parecchio disturbato nel corso della visione della pellicola, a cui riconosco però un grande esercizio di stile con una messa in scena “analogica” da togliere il fiato, oltre che per il condivisibile messaggio pacifista dichiarato.
Semplicemente ciò non mi basta per apprezzarlo totalmente questo Dunkirk, che se confrontato anche con film di guerra più recenti, perde di parecchi punti.
Ma potrei benissimo essere io dalla parte del torto e ricredermi in futuro.
Tenet è l’ultimo film che ci ha regalato Christopher Nolan per una visione cinematografica in sala (oggigiorno non più scontata ormai), e nonostante i forti dubbi e perplessità sul risultato finale della pellicola, non mi sento di demolirla completamente perché l’impianto tecnico è molto godibile e il messaggio finale non troppo banale.
Di sicuro è l’opera più cervellotica e schizzata di Nolan dopo Memento, ma che secondo me reitera i suoi temi classici triti e ritriti che mette in chiara luce gli evidenti difetti di un regista che ha fatto “il passo più lungo della sua gamba” e che secondo me inizierà una nuova fase nella sua filmografia, anche in vista della sfida terribile che la pandemia sta lanciando all’intera industria cinematografica mondiale.
Sperando che in futuro ci regali un nuovo prestigio degno del suo nome, magari con un budget anche più contenuto, che aiuta di solito a sprigionare il vero genio di un artista.
Nolan dopo l'insuccesso di Tenet dovuto principalmante alla pandemia, rompe il sodalizio con la "madrina" Warner per passare alla Universal, in cui dimezza il suo budget rispetto alla precedente opera fantascientifica e decide di ritornare ad affrontare una vicenda storica stavolta attraverso i codici narrativi del biopic. Concentrandosi unicamente sulla figura del padre della bomba atomica nel suo scontro con Strauss e la costruzione del primo ordigno nucleare, Nolan si allontana finalmente dallo spettacolo pirotecnico della pura forma di Dunkirk e dalla cervellotica struttura narrativa di Tenet, confezionando così finalmente un lungometraggio in cui forma e sostanza ritornano - finalmente- sinergicamente unite. L'affresco che ne esce è infatti un monito nei confronti dell'umanità perennemente autodistruttiva nei suoi deliri di onnipotenza qui espressi sia dalla scienza che dalla politica, in cui Nolan gioca abilmente su un montaggio non lineare e ad un alternarsi tra scene in bianco e nero e a colori per denudare la psicologia di Promoteo che cambiato per sempre la storia dell'umanità (nel bene e nel male), come lo testimonia la spendida inquadratura finale che fissa l'oblio di una nuova era.
Il doppio processo nella seconda parte del film e la logorrea piena di nomi e nomiglioni a mio avviso ammazza un po' il ritmo e la fruizione di un biopic che non può diventare un trattato storico, ma in ogni caso a parte questa sbavatura e un po' un montaggio "manierista" alla Memento, Nolan finalmente ritorna ad un cinema più umano e centrato sul dramma emozionale del racconto, che mi fa ben sperare per un futuro più "umile" e meno "megalomane" del regista in una ritrovata "seconda giovinezza" della sua carriera come regista-autore.
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