Oggi è la “commemorazione dei defunti” o comunemente detto “giorno dei morti”, e devo dire che ormai la morte sembra abbattersi anche sul Cinema vista la brutta piega che sta prendendo la pandemia, anche se spero che a questa data non si debba commemorare la morte della Settima Arte nei prossimi decenni, visto che ormai l’Arte in generale sembra un optional facilmente sacrificabile in favore dei “settori più produttivi” in questa nichilistica “età della tecnica”.
Diciamoci anche un’altra verità: lo stesso Cinema, soprattutto oggigiorno e specchio/riflesso della nostra società, ha deciso di puntare sempre di più sui film “più produttivi e remunerativi” dove la “straordinarietà della tecnica” sembra farla da padrona denigrando la sostanza dei film stessi.
Questa logica contabile ed algoritmica ha creato dunque tanti “defunti” e “morti” nell’industria hollywoodiana tra cui l’ormai dimenticato Neill Blomkamp, regista di genere che si è visto stroncata la carriera proprio per il suo rifiuto a questa nuova scuola di pensiero manageriale all’interno di Hollywood.
Ho deciso così di sfruttare in modo macabro e provocatorio il “giorno dei morti” per commemorare questo talentuoso regista sudafricano ormai “morto e sepolto” da critica e pubblico, ma che con soli tre film ha fatto la storia del Cinema per la sua acuta e profonda disamina sulla società del nostro tempo attraverso un filtro fantascientifico che oserei definire “neo-neorealista”.
Di seguito seguirà una breve introduzione sul suo Cinema per poi riproporvi sotto forma di playlist le singole recensioni già pubblicate nei primi tempi qua su filmtv.
Buona lettura e alla prossima play ;)
RESTROSPETTIVA NEILL BLOMKAMP
Una delle promesse Sci-Fi più interessanti degli anni 2000 che col solo District 9 aveva già delineato un nuovo percorso per una futura fantascienza più adulta e riflessiva nei confronti della società. Purtroppo con l’avanzare degli anni il regista sudafricano si è visto eclissare la sua popolarità con le successive pellicole, riducendosi oggi a dirigere cortometraggi per la sua stessa casa di produzione indipendente, sperando un giorno di tornare a dirigere un film per il Cinema con un ipotetico sequel/revival di Alien. L’insuccesso sia di pubblico che di critica lo si può riscontrare quindi nell’evoluzione dei blockbuster degli ultimi anni, che essendo perlopiù sequel, revival o reboot di franchise già esistenti, fanno facilmente breccia nella nostalgia del pubblico e poco nel loro spirito critico. Neill Blomkamp si ritrova così disoccupato in una Hollywood priva di idee e più volenterosa nel finanziare progetti derivativi e nostalgici che economicamente risultano più sicuri e remunerativi, rigettando totalmente il rischio della creatività e della sperimentazione cinematografica.
Il regista sudafricano non può di certo scendere a facili compromessi con le major hollywoodiane, proprio perché si era contraddistinto per la sua fantascienza sporca, proletaria, urbana, semi documentaristica, dove analizzava perfettamente la società odierna nelle sue diseguaglianze e violenza nel trattare il prossimo. Difatti la sua poetica ispirata al Cinéma Vérité è ciò che lo contraddistingue nella sua peculiare messa in scena fantascientifica, che unendo sia le caratteristiche del documentario che quelle del Cinema, rende emotivamente vicine e similmente realistiche le vicende che si susseguono nei suoi lungometraggi.
L’approccio ibrido quasi d’inchiesta del regista nel raccontare il mondo che lo circonda, si coniuga perfettamente alla sua chiara critica socialista all’imperante neoliberismo del XXI secolo, dove quest’ultimo grazie allo sfruttamento dell’elevata tecnologia, troverà sempre un modo efficace per opprimere i ceti più poveri per guadagnare ancora più potere e ricchezza.
I mondi che Neill Blomkamp crea nei suoi film sono tristi, sporchi, logori e precari per i suoi protagonisti, mentre per i suoi antagonisti riserva sempre un ambiente pulito, agiato, tecnologico ma freddo, apatico, falso e sempre relegato ad una logica classista volta a schiacciare le pulsioni rivoltose del popolo insofferente per la sua estrema precarietà. Il contrasto è ciò che il regista vuole evidenziare attraverso il suo sguardo critico e per certi versi satirico nei confronti di un’apparente società moderna all’apice del suo progresso, ma che conserva al suo interno i germi di un crescente malessere sociale che prima o poi sovvertirà uno status quo ormai sempre più vicino ad un punto di rottura.
Tuttavia tutti questi sottotesti ricchi di spunti di riflessione non stimolano per nulla l’intelletto del pubblico contemporaneo, che preferisce privilegiare sempre di più un superficiale intrattenimento cinematografico nostalgico e sicuro, glissando completamente pellicole fantascientifiche che invece potrebbero essere tranquillamente puro intrattenimento veicolando però anche un messaggio sociopolitico non indifferente.
Spero un giorno che Neil Blomkamp possa ritornare nei circuiti cinematografici almeno con un’opera derivativa come il franchise di Alien, che rappresenterebbe comunque un buon compromesso per rilanciare la sua carriera e chissà, magari regalarci in futuro un’altra perla Sci-Fi originale fuori dagli schemi mainstream hollywoodiani.
L’opera prima del regista sudafricano diventa immediatamente un cult-capolavoro istantaneo mettendo in chiaro le contraddizioni e disuguaglianze della nostra società moderna, che ormai assuefatta da un capitalismo auto-distruttivo, ha bisogno di un “ribaltamento antropologico” per empatizzare finalmente col dolore di chi è in prima linea a subire le violenze di questo sistema corrotto. Finché non si è carne da macello, la gente vivrà nella bambagia e Neill Blomkamp questo l’ha capito perfettamente. District 9 pellicola immortale.
Dopo aver mostrato il Sudafrica odierno per quello che era ed è con parallelismi internazionali non di poco conto, Neill Blomkamp esplora le stesse dinamiche diseguali e violente della società americana ormai al collasso divisa tra ricchissimi e poverissimi.
Quello che dipinge il regista non è solo un’avventura fantascientifica in uno scenario distopico che in futuro lontano potrebbe concretizzarsi, ma anche una crudissima disamina sociopolitica che spinge forze di qualsiasi schieramento politico ad una vera e propria lotta di classe che potrà avere solo un unico vincitore: chi ricoprirà quel ruolo dipenderà solo dalle nostre singole scelte. La guerra per il predominio ideologico è ormai agli sgoccioli.
E si ritorna in Sudafrica, dove le intelligenze artificiali ormai hanno invaso le centrali di polizia e lo Stato sociale sembra attraversare una fase di relativa tranquillità.
Ma in una società tecnocratica che nasconde il marcio sotto il tappeto, esplode totalmente nel momento in cui il sistema tecnologico va in tilt e quando il demiurgo di quel sistema dona la facoltà di intendere e di volere ad un robot: sarà più umana l’intelligenza artificiale o sarà più disumano l’umano stesso, che non cela le sue pulsioni più barbare?
Chappie, il robot che ha conosciuto la natura umana in tutte le sue contraddizioni e che col suo volto robotico vale più di mille parole, capace di trasmettere emozioni che non potranno lasciarvi indifferenti.
La filmografia del regista sudafricano è stata breve, ma molto intensa, ed è con questa piccola gemma sentimentalista ed esistenzialista che Neill Blomkamp ci vuole lasciare.
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