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Miike Takashi (三池 崇史) - Parte II: Gli anni '00
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Miike Takashi (三池 崇史) - Parte II: Gli anni '00

A due mesi (e qualche giorno) di distanza dalla prima 'puntata' giunge finalmente dopo vari rallentamenti e procrastinazioni varie questa seconda parte della mia 'retrospettiva' dedicata alla Filmografia di Miike.

Come avevo anticipato nell'articolo sugli anni '90, il primo decennio del nuovo millennio è a parer mio la fase più intrigante nell'evoluzione stilistica e poetica dell'Autore. In particolare la prima metà, oltre a conservare un ritmo forsennato (su imdb sono segnati una trentina di titoli tra il 2000 e il 2005, tra cui qualche corto e serie tv), vede una numerosa presenza di Opere che, più o meno 'instantaneamente', sono diventate dei Cult, con tanto di presentazione a Festival di enorme rispetto come Venezia o Cannes: per citare solo quelli che credo siano più noti, in questo periodo abbiamo gli ultimi due capitoli della Trilogia di "Dead or Alive", i controversi "Visitor Q" e "Koroshiya Ichi", il folle "Katakuri-ke no kôfuku" (The Happiness of the Katakuris), gli yakuza movie 'tradizionali' "Araburu tamashii-tachi" (Agitator) e "Shin jingi no hakaba" (Graveyard of Honor), il grottesco "Gozu", l'horror (apparentemente) più convenzionale "Chakushin ari" (The Call), per non parlare dell'estremamente ambizioso e anti-razionale "Izo", da molte persone (me incluso) considerato una sorta di Summa del Cinema Miikeano e che personalmente reputo uno dei più grandi Capolavori usciti dopo il 2000, nonché uno dei miei Film preferiti in assoluto. Dopo il 2005 il ritmo lavorativo di Miike si 'calma' (la media si assesta più o meno stabilmente sui 2-3 titoli annuali, che non son certo pochi ma se li confrontiamo ai 7-8 titoli del 2001 il calo è drastico), ma soprattutto nel biennio 2006-2007 il Regista propone Opere molto interessanti come l'Episodio estremo di "Masters of Horror" (serie antologica ideata da Garris a cui han partecipato Autori come Carpenter, Argento, Dante, Landis, il compianto Gordon e così via) "Imprint", il poetico "46-okunen no koi" (Big Bang Love, Juvenile A) e "Sukiyaki Western Django", uno dei pochissimi Film di cui Miike ha firmato direttamente la sceneggiatura nonché anticipatore di altri Omaggi agli Spaghetti Western tra cui il "Django Unchained" di Tarantino (che tra l'altro appare nell'Opera del Cineasta giapponese).

Dal 2004 in poi, con "Zebraman", il Regista inizia a proporre diversi lavori indirizzabili ad un pubblico di famiglie, tra cui l'interessante "Yôkai daisensô" (The Great Yokai War, altro progetto di cui firma la sceneggiatura) e l'adattamento live action della serie anime "Yattâman". Analogamente a Robert Rodriguez, anche Miike nei suoi Film 'per ragazzini/e' mantiene un approccio personale e folle, ma a differenza del collega texano-messicano il giapponese riesce a tenere una qualità mediamente più alta, o così almeno sembra a me (ma sono assai di parte).

Il decennio per Miike si chiude, tra progetti più o meno riusciti, col Dittico di "Crows Zero" (in realtà prima parte di una Trilogia conclusa da Toyoda), con il quale l'Autore torna a parlare di Violenza giovanile con toni più 'mainstream friendly' ma comunque mantenendo, pure qui, un approccio molto personale e di notevole impatto.

Chiudo questa introduzione, che spero non sia risultata troppo 'elencativa', per lasciare il posto alle analisi dei singoli Film. Come per la prima parte, anche qui mi concentrerò sui Titoli indicati da Imdb come lungometraggi cinematografici limitandomi a qualche accenno rapido per gli altri lavori come corti e serie tv, magari approfondendo un attimo quelli che personalmente reputo più interessanti. Anche l'ordine da me seguito sarà, per comodità mia, quello indicato come cronologico da Internet Movie DataBase, ma alcuni film segnati come 'distinti' da quel sito verranno da me accorpati: mi riferisco a progetti come i dittici "Family" e "Yurusarezaru mono", per me palesemente dei film unitari sdoppiati nella distribuzione tant'è che pure FilmTV, non proponendo schede per le 'parti seconde', credo li interpreti in questo modo.

Le varie riflessioni, come sempre, sono frutto soprattutto di rielaborazioni di miei 'commenti' e 'recensioni' passate, alcune delle quali già pubblicate in questo sito, cercando di rimanere sotto i 3000 caratteri con qualche eccezione per Opere da me ritenute 'imperdibili' e Capolavori: l'anomalia più vistosa sarà "Izo", di cui intendo proporre integralmente la rielaborazione 'unitaria' delle diverse riflessioni costruite nel tempo.

Credo non ci sia più altro da dire 'in generale' per il decennio: lascio quindi lo spazio ai singoli titoli, sperando di non ripetere troppo gli stessi concetti. Piccola avvertenza: possono esserci vari SPOILER su finali o altri passaggi importanti delle trame, anche se cercherò di avvertire di volta in volta (nel caso comunque se leggete termini come 'nel Finale' e avete paura di rovinarvi la sorpresa saltate al titolo successivo).

Buona lettura.

Playlist film

The City of Lost Souls

  • Azione
  • Giappone
  • durata 103'

Titolo originale Hyôryuu-gai

Regia di Takashi Miike

Con Teah, Michelle Reis, Patricia Manterola, Mitsuhiro Oikawa, Koji Kikkawa

The City of Lost Souls

HYÔRYÛ-GAI

Miike parla ancora una volta di Immigrazione (in particolare da Brasile e Cina) con un Dramma action sentimentale con con innesti di yakuza e grottesco.
Tratto da un romanzo di Seishu Hase, "Hyôryû-gai" racconta la storia d'amore tra un brasiliano (Mario) e una cinese (Kei) che spingerà la coppia, aiutata dalla comunità brasiliana di Shinjuku e in particolare da due amici del Protagonista maschile, a rubare gli incassi di scontri tra galli (coreografati con gusto kitsch in cgi parodiando "The Matrix"), ma per errore prenderanno una partita di coca in fase di scambio tra una banda yakuza e una della triade cinese.
Miike mette in scena squisite esagerazioni (come la caduta incolume della coppia da un elicottero, il cui impatto scatena un polverone per una intera via) contrapposte ad un gusto para-documentaristico della macchina a spalla, Violenza esasperata e folle a cui si oppone una rappresentazione realistica dei Sentimenti, sequenze caratterizzate da un montaggio frenetico e alternato e per contro piani-sequenza sfiziosi ma mai autoreferenziali: tra questi mi colpisce sempre notevolmente quello in cui la mdp, accompagnata fuori campo dal dialogo tra Mario, Kei e Carlos (uno dei due complici della rapina), si sposta dall'interno di un negozio al terrazzamento sopra l'edificio dove sta avvenendo la discussione.
Interessante il modo in cui la storia si sviluppa palesemente in medias res, illudendoci quasi dell'esistenza di un Film precedente non visto da noi Individui Spettatori e i cui antefatti (come l'amore del boss cinese Ko per Kei) vengono accennati in modo parziale durante la narrazione.
Nel Finale, quando ormai tutto sembra andare per il meglio, ecco che sulla Spiaggia che dovrebbe portarli finalmente alla Felicità, dopo aver compiuto dei virtuosismi calcistici di fronte ad un ammirato bambino, Mario viene ucciso: Kei guarda verso la fonte dello sparo e vediamo Lucia, prostituta che bada a Carla (bimba cieca rapita dallo yakuza Fushimi per catturare il brasiliano), armata di fucile la quale, dopo una breve alternanza di sguardi, ricarica l'arma per sparare alla cinese. Il controcampo su Kei sanguinante è negato, al suo posto vediamo la squadra di sbirri che stava dietro al traffico di droga, la quale per assurdo sente assieme al pubblico lo sparo e il capo, che nel Film esprime spesso argomentazioni razziste, si volta e commenta il vendicativo sangue latino per poi tirare un calcio ad un barattolo che si schianta contro la mdp rompendone il vetro, scelta questa affine agli imbrattamenti (soprattutto con sangue) della camera che Miike spesso usa per "giocare" con la quarta parete.
Nei titoli di coda vediamo lo scagnozzo di Fushimi e lo scagnozzo di Ko in giro per le strade di Tokyo in atteggiamenti assai intimi, con tanto di bacio in bocca finale: nel Prologo frenetico, tra l'altro, si intravedevano stralci di questo Epilogo.
Forse imperfetto, "Hyôryû-gai" è a mio parere l'ennesimo Gioiellino di Miike Takashi, da vedere e rivedere in continuazione.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Guys from Paradise

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 114'

Titolo originale Tengoku kara kita otoko-tachi

Regia di Takashi Miike

Con Koji Kikkawa, Mai Oikawa, Nene Otsuka, Weng Rong Hua

The Guys from Paradise

TENGOKU KARA KITA OTOKO-TACHI
Nello stesso anno d'uscita di "Hyôryû-gai", "Dead or Alive 2", il documentario su "Sôseiji" (Gemini) di Tsukamoto e la miniserie televisiva 'MPD Psycho' esce anche "Tengoku kara kita otoko-tachi" (The Guys from Paradise), un'Opera apparentemente alquanto particolare nella Filmografia di Miike Takashi: obiettivamente siamo di fronte a qualcosa di lontano dalla Follia grottesca e dalla Violenza estrema per cui l'Autore è noto e molto più vicini al lirismo, non privo di auto-ironia, di un "Chûgoku no chôjin" (The Bird People in China), con la quale condividerebbe tra l'altro una produzione svolta fuori dal Giappone e in ambienti "impervi", lì la Cina più "selvatica" e qui un carcere filippino.
Se si conosce un po' meglio la Poetica di Miike, però, la Mano dell'Autore si nota benissimo, a partire dall'estetica, volta a sfruttare al meglio le relativamente ristrette risorse a disposizione, puntando su una messa in scena "grezza", sporca ma reale. Troviamo anche un abbondante utilizzo di macchine a spalla e l'alternanza di momenti concitati e tranquilli, mescolando inoltre realismo e surrealismo senza quindi farsi fagocitare dal didascalismo di certo social-dramma (carcerario) ma allo stesso tempo portando avanti un discorso profondo e intelligente sulla società.
Come in "Rainy Dog", anche qui il Tema miikeano dello sradicamento culturale, solitamente sviluppato con immigrati (o discendenti di migranti) in Giappone, viene ribaltato: gli "sradicati" qui sono i giapponesi, i quali però più che l'emarginazione ottengono una sorta di trattamento privilegiato rispetto agli altri carcerati in generale, con celle a parte e la possibilità di arricchirsi, vivere nel lusso e addirittura uscire di tanto in tanto dalla prigione per fare affari, il tutto ovviamente grazie alla corruzione delle autorità carcerarie.
Approfondendo il background del Protagonista vediamo un parallelismo tra il mondo interno e quello esterno alle sbarre: seppure innocente per il possesso di eroina di cui è accusato, Kôhei per conto della sua agenzia doveva dare un'ingente mazzetta ad alcune istituzioni locali per influenzare le elezioni a proprio vantaggio.
La "fauna di caratteri" dentro il carcere, per quanto "specchio" della società esterna, procedendo con la visione assume caratteri più sinceri ed empatici rispetto ai personaggi al di fuori, dalla yakuza alla gente "perbene". Anche le maschere indossate dai detenuti, come quella del "gangster" Yoshida, nascondono una spontaneità di Sentimenti quasi sconosciuta al mondo fuori tant'è che, invece di voler ripulire le apparenze, servono a "sporcarle" per darsi toni da duri celando la sensibilità interiore.
Il Finale, per quanto da un lato possa sembrare un happy ending forzato, è un'apertura alla Speranza di Riscatto che anima praticamente sempre i Personaggi delle Opere di Miike Takashi e, forse, va interpretato come un miraggio "miracoloso".
Un altro Gioiellino a parer mio imperdibile per chi vuole approfondire a 360° il Cinema di Miike.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Dead or Alive 2: Birds

  • Gangster
  • Giappone
  • durata 89'

Titolo originale Dead or Alive 2: Tôbôsha

Regia di Takashi Miike

Con Riki Takeuchi, Show Aikawa, Edison Chen, Kenichi Endo, Masato

Dead or Alive 2: Birds

DEAD OR ALIVE 2: TÔBÔSHA
Secondo Capitolo della Trilogia di "Dead or Alive", come è noto i legami con il Titolo precedente e quello successivo si limitano sostanzialmente alla coppia di Attori Protagonisti (Takeuchi Riki e Aikawa Shô) e Miike alla Regia con qualche suo collaboratore come il montatore Shimamura Yasushi. Abbiamo però elementi di distacco già nella troupe, a partire dalle Musiche in cui, al posto del fidato Kôji Endô, troviamo Ishikawa Chu, compositore di "Fudo" e di "Tetsuo". Per la direzione della fotografia Yamamoto Hideo viene sostituito da Kazunari Tanaka, mentre la sceneggiatura è firmata da Nakamura Masa (gli altri capitoli del Trittico sono scritti da Ichiro Ryu). Le trame invece non hanno nessun punto di contatto, non diretto almeno.
Concentrandoci su "Tôbôsha" (let. 'uccelli'), probabilmente siamo di fronte ad una delle Opere in cui l'Anima 'violentemente folle' e quella 'intimisticamente lirica' dell'Autore trovano maggiori punti d'incontro: pur parlando ancora di criminalità organizzata e reietti, qui le strategie di potere e le guerre tra Yakuza e Triade hanno un ruolo secondario e la Violenza stessa viene nella parte centrale quasi totalmente accantonata prediligendo toni molto pacati.
La Nostalgia e il Desiderio di Riscatto si fondono nel ricongiungimento dei Protagonisti Mizuki e Shûichi e, soprattutto, nel Ritorno all'isola dove si trova l'orfanotrofio in cui son cresciuti insieme al terzo amico Kôhei, portando alla luce i lati più umani dei due killer e spronandoli a trasformare la propria attività omicida per il bene dei bambini poveri.
L'Atto finale dunque vede i nostri Anti-Eroi ritornare sulla terraferma impegnati nella loro crociata 'umanitaria', giustificando ulteriormente le proprie azioni con la non-innocenza delle proprie vittime, tutte bene o male legate alla criminalità organizzata. Il Film sembra benedire le loro attività 'angelizzandone' l'aspetto con un paio di ali di uccelli, ma soprattutto si enfatizza la sostanziale 'ingenuità infantile' di Mizuki e Shûichi alternando Aikawa e Takeuchi con gli interpreti delle loro controparti in età pre-adolescenziale, visti in flashback precedentemente.
Come spesso accade nel Cinema di Miike (SPOILER!), la Speranza di Redenzione e Riscatto è condannata a finire in Tragedia, tant'è che Shûichi più volte accusa dolori e sputa sangue rivelando una grave condizione medica, ma ad uccidere i due Amici è un terzetto di giovani sicari, i quali pure verranno 'mutati' ad un certo punto in bambini, rivelando l'analogia tra gli Anti-Eroi e gli Antagonisti.
Nonostante la fatalità dei colpi ricevuti, Mizuki e Shûichi, come Ryuichi e Anita in "Nihon kurosahai" o Umino in "Tengoku kara kita otoko-tachi", riescono inverosimilmente a sopravvivere abbastanza a lungo da poter ritornare sull'isola d'origine, mangiando sulla nave i noodles seguendo il rituale d'infanzia. Sull'isola Shûichi, il più duro e allo stesso tempo sotto sotto il più sensibile tra i due, trasporterà con tenerezza il corpo dell'amico su una collina, entrambi seguiti dalle loro versioni bambinesche. L'Opera si chiude col figlio neonato di Kôhei e di un'altra compagna d'orfanotrofio portato in casa dai genitori: la scritta "Where Are You?", più volte apparsa nella Pellicola, è qui rimpiazzata da un "Where Are You Going?" aperto al Futuro.
Un Capolavoro delicatissimo, dove Miike porta avanti dei contenuti e una storia magnifica con trovate di messa in scena geniali.

 

 

 

Il 2000 per Miike si chiude con il documentario corto "Tsukamoto Shin'ya ga Ranpo suru", ovvero il making of di "Sôseiji" (Gemini) di appunto Tsukamoto il quale era apparso in "Dead or Alive 2" nei panni del gangster-prestigiatore e interporeterà poi in "Koroshiya Ichi" il 'manipolatore' Jijii, e la miniserie "Tajuu jinkaku tantei saiko - Amamiya Kazuhiko no kikan", ispirata alla serie manga di Eiji Ohtsuka.

Il documentario ancora mi manca (come il Film di Tsukamoto), ma ho invece visto la miniserie, seppure in una versione (dolmen) censurata.
Anche se si vede, soprattutto a livello fotografico, la natura televisiva del Progetto, l'Autore riesce a gestire la costruzione visiva con uno stile assai personale, proponendo Inquadrature alquanto sperimentali e intriganti e gestendo brillantemente le limitazioni produttive insite nel mezzo televisivo. Miike poi mixa sempre assai bene Toni e Atmosfere diverse, dal Dramma all'Ironia, dalla Violenza alla Poesia, dall'Eleganza al Kitsch, dando sempre l'impressione di voler dire qualcosa in ogni scelta: la Pioggia perenne (e 'finta'), i continui riferimenti all'approssimarsi della fine dell'era Showa, gli Occhi coi codici a barre, la Nascita, la Reincarnazione delle Personalità ecc. Si sente sempre la Riflessione di Miike per l'Angoscia che avvolge l'Individuo Umano quando affronta la Morte e come sempre non è possibile distinguere nettamente i "buoni" dai "cattivi". Le scelte sonore e musicali si sposano magnificamente con le Immagini (indimenticabile il brano "Strange New World"), gli inserti animati acuiscono i Dubbi (in positivo), il Montaggio è ben ritmato, il Cast è tutto in parte...
Insomma, una Serie straordinaria, che spero di rivedere presto.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Family

  • Fantasy
  • Giappone
  • durata 111'

Titolo originale Family

Regia di Takashi Miike

Con Kôjirô Hongô, Kôichi Iwaki, Taishu Kase, Ryuuji Katagiri, Kazuya Kimura

Family

FAMILY
Dittico diretto da Miike da una sceneggiatura di Hisao Maki, che come consuetudine appare anche in un ruolo semi-secondario, "Family" e "Family 2", secondo imdb il primo uscito anche al cinema mentre il secondo, che parte ripetendo gli ultimi minuti del predecessore, invece distribuito soltanto direct-to-video (secondo altre fonti invece le due parti avrebbero ricevuto una distribuzione iniziale unitaria per poi venire distribuiti divisi in home video) sono per me e, vista la scarsa considerazione di cui godono, per molte altre persone tra i film minori in assoluto dell'Autore.
Le debolezze maggiori risiedono innanzitutto nella sceneggiatura. Hisao Maki ha avuto un ruolo importante nella crescita filmografica di Miike e tra i due sembra esserci stato sempre un buon rapporto, come testimoniano le diverse collaborazioni diluite nel tempo e l'iscrizione del Regista alla scuola di karate del mangaka-sceneggiatore. Però, a parte qualche eccezione come la trasposizione di un romanzo di Maki e del fratello Ikki Kajiwara "46-okunen no koi" (sceneggiato però da Nakamura Masa, che col Cineasta aveva già collaborato, ad esempio, nel dittico "Kishiwada shônen gurentai" e in "Dead or Alive 2"), solitamente quando Miike mette in scena qualcosa scritta da Maki non ottiene risultati esaltanti. In questo caso specifico abbiamo una trama assai convenzionale e banalina di intrighi interni alla yakuza e di vendette, con intermezzi di allenamenti karate piuttosto buttati lì e scene d'azione fracassone.
Purtroppo anche la regia di Miike, che solitamente rielabora il materiale di partenza infilando della Follia artistica o comunque la sua Personalità inconfondibile, qui e in altri lavori scritti da Maki appare visibilmente spenta, tradendo una natura direct-to-video e proponendo una messa in scena spoglia (e non minimalista in senso buono), poco graffiante e, nelle scene di violenza (tra cui uno stupro), incapace stranamente di sconvolgere e coinvolgere l'Individuo Spettatore.
Non è brutto, qualche elemento interessante volendo cercare si trova (il carro armato, alcune dinamiche umane come la matrigna della fidanzata del fratello minore che prima tradisce la coppia e poi si sacrifica per salvarla), ma per il resto "Family" e "Family 2" formano un dittico decisamente evitabile per chi non fosse intenzionato a sviscerare il Cinema di Miike in tutti i suoi aspetti, anche a costo di sorbirsi (come ho fatto io) la notoriamente fastidiosa pratica russa di sovrapporre il doppiaggio alla lingua originale.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Visitor Q

  • Commedia
  • Giappone
  • durata 84'

Titolo originale Bizita Q

Regia di Takashi Miike

Con Kenichi Endo, Shungiku Uchida, Kazushi Watanabe, Shoko Nakahara

Visitor Q

BIJITÂ Q
Parte finale della serie "Love Cinema", raccolta di film direct-to-video nati con lo scopo di sperimentare le potenzialità del digitale a basso costo, "Visitor Q" è tra le Opere più controverse in assoluto di Miike Takashi.
Accostato spesso a "Teorema", dal Film di Pasolini riprende l'idea di un ospite misterioso che sconvolge pian piano e impassibilmente un sistema-famiglia, non per distruggerla come suggerirebbe un'ottica 'normale' (o borghese) ma per 'salvarla' risvegliando i caratteri autentici delle Protagoniste e dei Protagonisti e liberandole dalle proprie frustrazioni e meschinità. In comune con Pasolini troviamo anche una certa abbondanza di Sessualità non di rado morbosa, carattere non insolito per Miike stesso ma qui forse portato ai più estremi livelli.
Per i temi trattati, per la sua morbosità e per la patina 'grezza' e quasi 'amatoriale' conferita dal digitale l'Opera non è certo di facile fruizione, nonostante la breve durata, e alcuni errori (difficile non notare il boom di un microfono in varie scene nella camera della Madre) potrebbero portare a ritenere inficiata la qualità del Film. Alla mia prima visione, inoltre, fui inizialmente assalito da una certa titubanza in cui aleggiava il sospetto che Miike fosse realmente un misogino e che questo film fosse un porno pervertito geniale solo nella follia.
L'evoluzione del personaggio della Madre però gradualmente lavò i miei dubbi non solo sulla Pellicola ma sull'Autore e la sua filmografia: da sottomessa e passiva, vittima della frustrazione violenta del figlio (a sua volta bullizzato) e ignorata dal giornalista fallito suo marito - che all'inizio del film ha un rapporto sessuale con la figlia-prostituta (la parentela, esplicitata solo qualche scena dopo con la foto in casa della ragazza, viene anticipato dalla didascalia iniziale "L'hai mai fatto con tuo padre?") e che in passato è stato sodomizzato con il microfono durante un servizio sulla violenza giovanile - grazie all'arrivo di un provvidenziale e anonimo visitatore scopre di poter produrre ancora latte (che spruzza come un'eiaculazione), arrivando a ricostruire un nucleo famigliare matriarcale delirante ma finalmente solido.
Il latte materno è, forse, metafora della Divinità della Donna e della Vita (ma anche della Liberazione Sessuale), e il Finale è poetico, con la Madre che allatta marito e figlia ritornata.
Il Digitale viene sfruttato brillantemente da Miike e il suo direttore di fotografia Yamamoto conferendo alla 'Pellicola' (anche se questo termine sarebbe auto-contraddittorio) un tono documentaristico rafforzato dagli inserti mockumentaristici (ovvero i filmati del padre).
Gli ambienti sono spesso inquadrati posizionando la mdp appena al di fuori delle varie stanze, come se si adottasse il punto di vista di uno "spione": questa scelta è ricorrente nel Cinema di Miike ma qui, forse per l'Analogia-Differenza con il "Visitor Q" del Titolo, l'espediente sembra assumere una rilevanza maggiore e 'programmatica'.
Per me l'ennesimo Capolavoro estremo e profondo dell'Autore, chiuso liricamente con le note della struggente canzone "Bubbles of Water". Imperdibile e impossibile da dimenticare e inevitabile da discutere, che lo si ami e/o che lo si odi.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Ichi the Killer

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 129'

Titolo originale Koroshiya 1

Regia di Takashi Miike

Con Nao Omori, Tadanobu Asano, Shinya Tsukamoto, Alien Sun

Ichi the Killer

KOROSHIYA 1
Il 2001 è tra gli anni più intensi per Miike Takashi sia per il numero di titoli realizzati sia per la notevole presenza di Cult.
"Koroshiya Ichi" è, in questo senso, una delle Pellicole più rappresentative e note del Cinema dell'Autore. Ispirato alla serie manga di Yamamoto Hideo (omonimo di uno dei più frequenti direttori di fotografia di Miike), il Film ha ottenuto negli anni uno status di autentico Culto lanciando ulteriormente l'Immagine di Miike come Regista estremo e spingendo ad altri due adattamenti del Fumetto di partenza, uno animato (con Miike doppiatore nei panni di Kakihara) e un vagamente interessante ma mediocre prequel live action (con Nao Ohmori di nuovo nei panni del Protagonista). Per la forte presenza di Violenza efferata ed esplicita l'Opera ha inevitabilmente causato controversie, tra censure e contestazioni, e per questo probabilmente molte persone odiano il Cinema del Regista, essendo qui la Brutalità molto più insistita rispetto ai già non proprio soft (salvo eccezioni) titoli del passato.
Personalmente, "Koroshiya 1" è stata tra le prime Opere a confermare la mia Adorazione per la Poetica di Miike, anche se forse all'epoca ciò che apprezzavo maggiormente erano la Violenza e l'Assurdità, aspetti che approvo anche oggi ma approfondendo altre importanti Tematiche.
"Koroshiya 1" è un allucinante Viaggio nella Follia, nella Violenza, nel Dolore, nel Sadismo e nel Masochismo. I codici degli yakuza/gokudô-eiga, già ampiamente affrontati e manipolati dal Cineasta, vengono qua abbondantemente contaminati con elementi sessualmente morbosi e tocchi dal sapore orrorifico-grottesco. Come spesso accade nel Cinema miikeano, la Violenza alterna momenti in cui è presentata con toni da 'cartoon per adulti', con intenti quindi sadicamente divertenti e divertiti, a momenti in cui gli effetti della brutalità vengono mostrati in tutta la loro drammaticità. In diversi casi questo passaggio dal Dark Humour alla Tragedia avviene repentinamente, mescolando le due Atmosfere in modo tale da mettere l'individuo spettatore di fronte ad una spiacevole (ma importante) presa di coscienza di propri lati più morbosi e malati.
Da questa considerazione si può passare ad osservare la presunta 'misoginia' del Film: anche se gli uomini, in quanto più numerosi nel racconto, subiscono i trattamenti più crudeli, le torture inflitte alle donne risultano emotivamente più sottolineate, in particolare quando entrano in relazione con Ichi. Per me questo, lungi dal voler stimolare fantasie femminicide, sprona invece a riflessioni e messe in discussione intense riguardo ai più oscuri e occulti aspetti maschilisti che la società in cui viviamo, nonostante la recente e crescente 'ripulita' esteriore, abbondantemente incentiva.
Importanti nel Film sono anche i Temi della Speranza, che tutti i Personaggi nutrono ma che nessuno riesce a concretizzare, nonché dell'Innocenza distrutta, soprattutto durante l'Infanzia, e la prepotenza del Potere nei confronti dei più deboli.
Stilisticamente il Film è raffinato, ma non mancano tocchi (volutamente) kitsch, provocazioni e alcune imperfezioni (specialmente nella CGI). Ottima la Colonna Sonora sperimentale dei Karera Musication e straordinario il Cast, in particolare la Tripletta Asano, Ômori e Tsukamoto (già diretto da Miike in "Dead or Alive 2" e a sua volta noto Regista folle).
Uno dei Capolavori più rappresentativi del Cinema di Miike Takashi.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Agitator

  • Azione
  • Giappone
  • durata 150'

Titolo originale Araburu tamashii-tachi

Regia di Takashi Miike

Con Mickey Curtis, Yoshiyuki Daichi, Hakuryu, Masatô Ibu, Takashi Miike

Agitator

ARABURU TAMASHII-TACHI
Forse è il Film più lungo di Miike, se non contiamo le serie superiori ai due episodi: la versione cinematografica dura 150 minuti, quella televisiva ben 200. Io le ho viste entrambe ma, a causa della rilevante distanza temporale tra la prima e la seconda visione, non saprei fare un paragone approfondito.
Scritto da Shigenori Takechi, "Araburu tamashii-tachi" è uno Yakuza Movie 'classico', senza 'intrusioni' Surreali, nemmeno onirici. Questo però non si traduce in un realismo pretenzioso: le uccisioni e le torture, pur rimanendo nell'ambito del verosimile, vengono messe in scena con esasperazione psicologica sembrando più brutali ed estreme rispetto a quel che viene effettivamente mostrato (a parte alcune censure 'sfocate', molte violenze non vengono infatti mostrate direttamente).
Il Sapore è 'europeo', grazie soprattutto ad una Colonna Sonora, composta dal fidato Kôji Endô, che suggerisce l'immagine di un'unione tra Giappone e Francia. Lo Stile registico è sempre riconoscibilissimo, dalla Fotografia sporca agli scoppi improvvisi di Violenza, passando per l'alternanza di sequenze adrenaliniche all'insegna del miglior Cinema Action a sequenze dominate da una Tranquillità assai pacata. Troviamo inoltre diverse sperimentazioni più volte adottate da Miike nella sua Filmografia, come l'uso della macchina a spalla, non solo in senso 'documentaristico' ma anche per sporcare ulteriormente la resa visiva della Pellicola con i suoi movimenti traballanti, rafforzando la drammaticità delle scene violente. A questo si contrappongono inquadrature fisse dove l'azione 'accade', quasi come a teatro ma con un gusto squisitamente cinematografico. Troviamo poi l'utilizzo di didascalie che lanciano spunti di riflessione interni alla psicologia dei protagonisti, tecnica già usata in "Dead or Alive 2" o nel 'coetaneo' "Visitor Q" (da cui riprende anche la sodomizzazione con microfono, qui compiuta da Miike stesso in un cameo) e che richiama moltissimo l'Estetica pasoliniana.
Pur non credendo in tutta onestà di trovarci di fronte ad un Capolavoro, per me si vede che Miike ha sempre qualcosa di importante e personale da dire e la sua visione della Violenza e dei mondi che la perpetrano è sempre drammatica e demistificatoria, priva di pretese giustizialiste e moralistiche: nessuno viene giudicato, tranne forse gli 'adepti' del potere per la freddezza con cui trattano la Morte degli altri come se fosse soltanto una questione d'affari.
Il Cast è Magnifico ed ogni attore riesce a tirare fuori il meglio di sé per il proprio personaggio, le Musiche sono struggenti e come sempre intimamente correlate alle Immagini, le Scenografie sono 'autentiche', il Montaggio è intimo e sorregge la Forza delle Riprese.
Non un Capolavoro per me, lo ripeto, ma l'ennesimo Tassello immancabile per ogni amante dell'Autore.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Happiness of the Katakuris

  • Musicale
  • Giappone
  • durata 113'

Titolo originale Katakuri-ke no kôfuku

Regia di Takashi Miike

Con Kenji Sawada, Keiko Matsuzaka, Shinji Takeda, Naomi Nishida

The Happiness of the Katakuris

KATAKURI-KE NO KÔFUKU
Nel 1998 il coreano Kim Jee-woon, futuro Autore di Opere cult come "Janghwa, Hongryeon" (Two Sisters) o "Joheunnom nabbeunnom isanghannom" (Il buono, il matto, il cattivo), esordisce alla regia cinematografica con "Choyonghan kajok" (The Quiet Family), brillante Commedia nera scritta dal Regista stesso e incentrata su una famiglia alquanto disastrata che, aprendo una locanda in mezzo ai monti, vede morire i primi clienti per le ragioni più disparate.
Tre anni dopo, nel 2001, Miike Takashi, con una sceneggiatura scritta dal Kikumi Yamagishi, ne dirige un remake stravolgendo però il materiale di partenza per estremizzarne i lati assurdi e grotteschi e sperimentare un folle mix di Generi.
Questo viene 'dichiarato' fin dai primissimi minuti con un prologo decisamente weird (e quasi totalmente estraneo al resto della narrazione) in cui assistiamo ad un grottesco 'ciclo alimentare' che parte da un mostriciattolo alato 'innamorato' dell'ugola di una giovane donna intenta a mangiare una zuppa in un ristorante. Nei contenuti e nello Stile, oltre al Tema della Morte (trattato con toni leggeri ma non stupidi) e l'Assurdo, abbiamo qui il primo inserto in stop motion, costante nell'Opera per le scene più 'estreme': oltre ad aiutare nel mettere in scena sequenze 'grosse' evitando larghi dispendi di denaro e/o massiccio uso di effetti digitali, la tecnica dell'animazione a passo uno contribuisce a rafforzare il Senso di Delirio dell'Opera caricandone l'aspetto cartoonesco e sostituendo a volte i volti in plastilina con 'ritagli fotografici' dei volti degli interpreti 'in live action'.
Oltre all'Animazione, l'altro Genere che Miike introduce con toni folli nella struttura da Commedia nera di partenza è il Musical, scelta spiazzante (soprattutto in quel periodo) per il Regista, il quale però piega questo espediente stilistico in una chiave demenziale, implicitamente auto-parodistica e volutamente kitsch, sfruttando potenzialità espressive anti-realistiche ed esagerate e adottando pure il formato del karaoke nel ricordo romantico della relazione della Coppia padre e madre.
Analogamente a "Visitor Q", anche qui le Disavventure servono a riunire e rafforzare la Famiglia Protagonista, la cui armonia è inizialmente minata da sospetti e sfiducia interne (e interiori): dopo le morti tragicomiche degli ospiti, la seduzione truffaldina (e incredibile) di un falso marinaio ai danni della Figlia-madre single, possibili lavori nei pressi del lago in cui sono sepolti i cadaveri (che si rianimano in un sipario zombie-musicale), nel Finale (= SPOILER!) il gruppo dimostra la propria solidità affrontando la polizia (non interessata a loro), un uxoricida (vero obiettivo degli sbirri) che prende in ostaggio la Madre e infine un'Eruzione vulcanica da cui la Famiglia riesce fantasiosamente a salvarsi (cane compreso) finendo in una sorta di Eden. La narrazione della bambina ci annuncia però la futura morte del nonno (come accadrà in "Yôkai daisensô"), ma questa nota umana è inserita in un clima di sincera fiducia nella Vita e nelle Relazioni.
Forse un Capolavoro, "Katakuri-ke no kôfuku" è sicuramente un'Opera unica nel suo genere e imprescindibile per chi ama il Cinema di Miike Takashi.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Dead or Alive: Final

  • Fantascienza
  • Giappone
  • durata 90'

Titolo originale Dead or Alive: Final

Regia di Takashi Miike

Con Sho Aikawa, Maria Chen, Richard Chen, Josie Ho, Tony Ho

Dead or Alive: Final

DEAD OR ALIVE: FINAL
Capitolo conclusivo della Trilogia "Dead or Alive", rispetto ai Film precedenti questo probabilmente è il minore, ma resta comunque una Chiusura eccellente.
Abbandonando la Yakyza, "Dead or Alive: Final" opta per una storia fantapolitica folle e geniale, con diversi echi dickiani a partire evidentemente dall'immagine del Replicante: l'Androide, essere umanoide incapace di riprodursi per via sessuata, si concilia egregiamente col tema del controllo delle nascite e, in generale, del Controllo delle persone. Il Tema dell'Oppressione da parte del Potere viene trattato ribaltando provocatoriamente la società eteropatriarcale in una dittatura omosessuale e anti-riproduttiva (elementi che mi richiamano l'incompiuto "Porno-Theo-Kolossal" di Pasolini e il sottostimato “Hardware” di Stanley). I Toni giallognoli della Fotografia danno un look antiquato al Film, rafforzandone il contrasto tra l'ambientazione futuristica e la patina molto 'retrò' e povera. Il futuro non è messo in scena in modo grandioso, anzi si avverte un senso di sottrazione, ma invece di abbassare l'impatto ciò rafforza il coinvolgimento emotivo e al contempo consolida la visione decadente dell'avvenire. Abbiamo quindi un'Atmosfera molto underground, con edifici dall'apparenza abbandonata, con pochissimi ritocchi e mezzi: l'idea di futuro decadente e cupo è efficace nell'immagine quasi da baraccopoli, reale eppure per questo distante.
Troviamo interessanti riflessioni sui gruppi rivoluzionari e sovversivi, forzati a scendere a compromessi tra Idealismo e 'criminalità', indeboliti dalla limitatezza estrema dei numeri e dalla progressiva perdita di compagni e compagne. La Speranza di una Rivoluzione, come altre Speranze "di Riscatto" dei Protagonisti e delle Protagoniste Miikeane, sa fin da subito di Sconfitta, eppure sembra fondamentale lottare per un Mondo (personale) migliore.
In linea con lo Stile dell'Autore, i toni della pellicola cambiano dall'action fumettistico-caricaturale alla pacatezza lirica e drammatica, ma l'attenzione e la maestria di Miike restano sempre ai massimi livelli, costruendo numerose scene memorabili, come la performance del saxista, l'imboscata e il finale esagerato (con tanto di richiami a "Tetsuo"). Interessanti i titoli di coda posti sopra l'inquadratura fissa di un musicista di strada che canta e strimpella alla chitarra un motivetto tradizionale.
Magnifica la Colonna sonora di Kôji Endô che alterna sonorità noir jazz (ho avvertito echi al tema del Cronenberghiano "Naked Lunch"), accenni country da western, brani più rockeggianti e dinamici e intermezzi classici come Bach nel Flashback "trilogico" prima della resa dei conti finale.
Da non sottovalutare il Multilinguismo che pervade l'Opera, con cinese, giapponese e inglese parlati senza bisogno di traduzione per i Personaggi (come in "Star Wars", si potrebbe notare).
Un cast di livello e delle coreografie di lotta intriganti contribuiscono a rendere "Dead or Alive: Final" un altro Gioiellino di Miike da vedere e rivedere.

 

 

 

KUMAMOTO MONOGATARI
Nel 1996 a Miike vengono commissionati dei film per il museo di Storia di Kumamoto, progetto che si concretizzerà in questa Trilogia di mediometraggi completati nel 1998 ("Zuiketsu gensô - Tonkararin yume densetsu", 'Sogno Leggenda di Tonkararin' se prendiamo per buona la traduzione di una recensione di asianworld, distribuito nel 2001 secondo Imdb), 2000 ("Kikuchi-jô monogatari - sakimori-tachi no uta", La canzone dei difensori, per Imdb uscito sempre nel 2001) e 2002 ("Onna kunishuu ikki", 'Donne nella Rivolta dei Clan').
Il risultato consiste in tre prodotti dalla natura molto televisiva e 'nazional-popolare', ma si possono trovare motivi d'interesse, soprattutto per l'apprendimento di storie (reali e/o leggendarie) giapponesi. Ritroviamo anche, specialmente negli ultimi due mediometraggi, vari volti noti agli e alle amanti del Cinema di Miike, come Renji Ishibashi o Ken'ichi Endô.
Molto meno stimolante invece il risultato sul piano artistico, quasi inesistente, anche se sono presenti alcune trovate che, pur nella loro brevità e 'rarità', fanno sentire la presenza di Miike: l'invito, al contempo 'cringe' e auto-ironico, a togliere gli occhiali 3D dopo la scena della battaglia navale (con palese rottura della 4^ parete e della tensione drammatica), la teatralità di certe azioni (come nel primo episodio) e l'incontro col presente nell'epilogo del 3° episodio.
Come accennato, però, si tratta di scelte rare, affossate dalla fortissima televisività dell'operazione, osservabile soprattutto nella fotografia e nell'impersonalità sostanziale con cui Miike dirige il tutto.
Anche i temi sono alquanto impersonali: si avverte moltissimo una carica, appunto, 'nazional-popolare', con richiami quasi didattici alla cultura giapponese (dovuti alla natura "para-scolastica" del progetto) e la fortissima sensazione che proprio il popolo giapponese sia il pubblico di riferimento quasi esclusivo di questo progetto.
I bruttini effetti digitali sono sicuramente frutto di budget molto risicato, ma tutto sommato riescono a rientrare nella Poetica Miikeiana, soprattutto nell'abilità con cui il Regista riesce a far passare in secondo piano la loro scarsa qualità senza nasconderne la povertà.
Manca una profonda commistione tra toni e scelte stilistiche opposte.
Non saprei dire quale sia l'episodio più intrigante, ma forse l'ultimo è quello più vicino all'essere veramente riuscito.
Comunque ci troviamo innegabilmente di fronte ad uno dei lavori peggiori del prolifico Miike Takashi, consigliato soltanto a chi vuole recuperare il maggior numero di titoli della sua Filmografia.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Graveyard of Honor

  • Azione
  • Giappone
  • durata 131'

Titolo originale Shin jingi no hakaba

Regia di Takashi Miike

Con Narimi Arimori, Yoshiyuki Daichi, Hirotarô Honda, Harumi Inoue

Graveyard of Honor

SHIN JINGI NO HAKABA
Dopo il televisivo "Sabu" (che ancora devo vedere), Miike Takashi dirige "Shin Jingi no Hakaba", letteralmente traducibile come "La nuova tomba dell'onore" e remake del quasi omonimo "Jingi no hakaba" di Fukasaku Kinji, la cui base era un libro di Gorô Fujita ispirato ad una storia vera.
Aggiornando la vicenda alla fine degli anni '80 (l'ambientazione originaria è l'immediato dopoguerra), il Film di Miike conserva quel senso di Auto-Distruzione e Follia presente nell'Opera di partenza, spogliandola ulteriormente di elementi "mitizzanti" e sprofondando il Protagonista in un ulteriore Abisso di Irrazionalità e Degradazione. Per certi versi Rikuo anticipa realisticamente ciò che Izo diventerà "sovrannaturalmente", e potrebbe non essere un caso se pure il Folle Capolavoro del 2004 partirà da una sceneggiatura di Shigenori Takechi, che col Regista da "Araburu tamashiitachi" a "Yurusarezaru mono" realizza soprattutto yakuza-eiga, quasi tutti fortemente realistici (eccetto "Rekka").
La Tragedia Auto-distruttiva del Protagonista viene rafforzata sul piano dell'Angoscia grazie ad un ritmo sostanzialmente lento, con un uso dei piani sequenza forse ancora più insistito rispetto ad altri Lavori miikeani, conferendo nelle scene di violenza e di auto-umiliazione un senso di documentarismo sconvolgente. Indimenticabile a tal proposito (pur non essendo un vero piano sequenza a causa di inserti di dettagli sullo stereo) la scena in cui Rikuo striscia supino e strafatto per l'appartamento in cui è nascosto ascoltando un brano metalloso e agitandosi, sparando di tanto in tanto in aria da varie pistole disseminate per le stanze.
Il Cast è tutto straordinariamente in parte, specialmente Gorô Kishitani, eccellente nel sottolineare la Disperazione esistenziale, la Violenza esasperata e la Paranoia di Rikuo, con il volto apparentemente impassibile pervaso da sottili smorfie di Irrazionalità e Aggressività. La Follia vera e propria del Protagonista comincia sospettando infondatamente di essere 'abbandonato' dal proprio capo per poi sprofondare nella Droga e (SPOILER) nell'uccisione dell'unico suo vero amico. In realtà già prima dimostrava instabilità, basta vedere come colpisce l'aggressore (interpretato da Miike stesso) del boss yakuza che per questo poi lo farà entrare nella propria organizzazione bruciando subito diverse gerarchie; inoltre non bisogna dimenticare che inizia la relazione con la 'moglie' Chieko usandole violenza, la quale poi si tramuterà in mutua dipendenza malsana culminando nella condivisione della tossicodipendenza.
Le Musiche di Kôji Endô propendono qui per tonalità jazz da Noir desolato, mentre la Regia di Miike evita esagerazioni surreali (anche se il Suicidio Finale, anticipato nel Prologo, ha un che di Onirico, e più volte il Sangue viene caricato 'sopra le righe') sottolineando la vena "para-documentaristica" esplicata soprattutto dall'abbondante uso della macchina a spalla.
Un altro grande Gioiellino, per certi versi pesantemente sottostimato, dell'Autore di "Araburu tamashii-tachi", a cui secondo me è anche superiore.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Shangri-La

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 105'

Titolo originale Kin'yuu hametsu Nippon: Tôgenkyô no hito-bito

Regia di Takashi Miike

Con Shô Aikawa, Shirô Sano, Yuu Tokui, Midoriko Kimura, Kogan Ashiya

Shangri-La

KIN'YÛ HAMETSU NIPPON: TÔGENKYÔ NO HITO-BITO
Dal romanzo (secondo altre fonti manga) di Yûji Aoki, "Kin'yû hametsu Nippon: Tôgenkyô no hito-bito", che dovrebbe significare 'Il Giappone in bancarotta: Le persone di Togenkyô' (aka Shangri-La), è un Film 'atipico' per quelli che sono gli standard presunti (e pregiudiziali) di Miike, anche se già con "Chûgoku no Chôjin' (The Bird People in China) assistevamo ad una decisa riduzione della Violenza in favore di un senso di Umanità.
In realtà, per quanto Miike sperimenti spesso e volentieri Toni, Atmosfere e Generi diversi da quelli a cui è abituato, la sua Poetica è sempre estremamente riconoscibile, dall'uso documentaristico (ma anche anti-documentaristico) delle macchine a spalla all'alternanza di riprese 'lunghe' e montaggi serrati, movimenti 'marcati' di macchina e inquadrature statiche. Troviamo inoltre l'accostamento di Sfumature opposte, dalla Commedia 'stupida' (ma genuinamente popolare) alla Commozione Drammatica, dalla Parodia e dalla Satira (del potere economico, le cui bancarotte non colpiscono mai i pezzi grossi della finanza) alla Denuncia (della diseguaglianza tra ricchi e poveri e dall'ingiustizia della legge). Pur non essendoci momenti completamente assurdi, non mancano sequenze che sfidano il naturalismo integralista, ad esempio nella rivalsa dei barboni contro la gang di biker affiliati alla yakuza. Ma l'Elemento che più di tutti rivela la Mano di Miike è la Poeticità con cui vengono rappresentati i Sentimenti e i Rapporti Umani, qua ben rappresentati dalla comunità 'utopica' (spesso cercata dai Disperati miikeani e qui trovata dall'ex-sicario ora "Sindaco") di gente poverissima dove le persone, svincolate dalle preoccupazioni finanziarie proprio a causa dell'assenza di risorse finanziarie, pur con tutti i problemi che essere privi di denaro in un mondo dominato dal denaro comporta, riscoprono una convivialità ed un Altruismo commovente, che tocca profondamente i due co-Protagonisti non-senzatetto, ovvero il misterioso Personaggio eletto Vice-Sindaco e il proprietario di una tipografia colpito dalla bancarotta altrui. Come sempre, inoltre, la Morte viene trattata con il massimo Rispetto, mostrando sui Volti dei Personaggi tutti i Turbamenti intimi che l'Essere Umano prova di fronte alla Consapevolezza del termine della Vita.
"Kin'yû hametsu Nippon: Tôgenkyô no hito-bito" è dunque Un Film che merita di essere visto, forse uno dei (tanti) Capolavori di Miike, sicuramente tra le sue (numerosissime) Opere Migliori, che potrebbe piacere anche a chi 'normalmente' non si avvicinerebbe ai più famosi Lavori del Regista a causa della loro Violenza e/o della loro Assurdità, anche se magari il sottile tono grottesco e la povertà di mezzi potrebbe comunque provocare 'repulsione' da parte del pubblico medio.
Buone le Musiche di Koji Endo e straordinarie le Interpretazioni, tra le quali spicca sicuramente il 'Sindaco' interpretato da Sho Aikawa. Insomma, un'altra Opera Imperdibile del prolifico Maestro giapponese.

 

 

 

Prima di chiudere, secondo Imdb, il 2002 con "Jitsuroku Andô Noboru kyôdô-den: Rekka" (Deadly Outlaw Rekka), Miike realizza per il cantante e attore Kikkawa Kôji (antagonista principale di "Hyôryû-gai", The City of Lost Souls, e protagonista primario di "Tengoku kara kita otoko-tachi", The Guys from Paradise) questo video musicale piuttosto interessante ambientato in un mondo (a quanto pare) sospeso tra fantasy e distopia futuristica, anticipato da un misterioso prologo disegnato e chiuso in modo squisitamente delirante. 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Deadly Outlaw: Rekka

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 96'

Titolo originale Jitsuroku Andô Noboru kyôdô-den: Rekka

Regia di Takashi Miike

Con Riki Takeuchi, Ryôsuke Miki, Kenichi Endo, Mika Katsumura

Deadly Outlaw: Rekka

JITSUROKU ANDÔ NOBORU KYÔDÔ-DEN: REKKA
Andô Noboru, morto nel 2015, è stato uno yakuza che, abbandonata l'attività criminale negli anni '60, si dedicò alla recitazione in diversi film, tra cui "Jingi no hakaba" di Fukasaku.
"Satori", rilasciato nel '74, è il secondo Album della band Flower Travellin' Band e primo loro lavoro originale, e nel tempo è diventato uno dei più importanti dischi rock giapponesi di sempre.
Nel 2002, partendo da una sceneggiatura di Shigenori Takechi, Miike Takashi realizza "Jitsuroku Andô Noboru kyôdô-den: Rekka", noto internazionalmente come "Deadly Outlaw: Rekka" ma che letteralmente si tradurrebbe come "La vera storia fuorilegge di Noboru Ando: Fuoco feroce". Il Titolo originale dunque cita Noboru Andô, che infatti ha svolto un ruolo di supervisione della lavorazione, mentre "Satori" viene usato come colonna sonora della Pellicola, includendo pure la bonus track "Map" per i titoli di coda. Inoltre due membri dei Flower Travellin' Band, il cantante Yamanaka Joe e il produttore/ideatore Uchida Yûya, appaiono in ruoli brevi ma importanti, rispettivamente interpretando il proprietario di un night club amico del Protagonista e il boss ucciso ad inizio Film.
Rispetto ai Capolavori di Miike "Rekka" è, forse, più insistentemente interessato ad intrattenere con un'escalation di Follia e Violenza, senza apparentemente voler proporre riflessioni particolari. Per certi versi potrebbe sembrare quasi un gigantesco videoclip dell'Album Cult dei FTB, come sembrerebbe dimostrare l'attenzione per il ritmo dedicata nel montaggio di Shimamura Yasushi, fino al 2008 assiduo collaboratore del Regista, con rallenty e alternanza di scene. Di notevole impatto, in questo senso, l'intro con l'uccisione di Uchida "sentita" da Kunisada mentre è fermato dalla polizia, scatenando nel Protagonista una furia incontrollabile che lo porta a sfasciare il vetro divisorio e lottare contro diversi sbirri.
Comunque, sotto l'apparente divertissement ed estetismo "fine a sé stesso", "Rekka" propone una progressiva discesa negli Inferi della Vendetta intrecciata con gli intrighi di potere all'interno delle cosche yakuza, motivo decisamente in linea con la Poetica miikeana e in particolare con le Opere per lui scritte da Shigenori.
Inoltre l'Epilogo (SPOILER), con le coppie avversarie Arata & Eiichi e i killer Sudo e Tabata che invece di morire (come le ferite dovrebbero portare a credere) vivono tranquillamente le rispettive esistenze, mi ha portato alla mente un connubio tra l'immortalità impossibile dei Protagonisti di "Dead or Alive 2" e i titoli di coda di "Hyôryû-gai" (non scritti da Shigenori).
Altra tematica fondamentale è quella migratoria, essendo il Protagonista di origini coreane, come le ragazze di cui lui e il socio si innamorano.
Chiudendo, "Jitsuroku Andô Noboru kyôdô-den: Rekka" non è per me tra i (tanti) Capolavori di Miike ma, comunque, è il suo ennesimo Cultone, impregnato di squisiti sbalzi umorali tra Tragedia e Ironia, Violenza e Sentimenti, Realismo e Assurdo, Frenesia e Quiete.
Consigliato molto vivamente.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Man in White

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 149'

Titolo originale Yurusarezaru mono

Regia di Takashi Miike

Con Masaya Sato, Shôko Aida, Naomi Akimoto, Ken'ichi Endô, Masaya Katô

The Man in White

YURUSAREZARU MONO
Dopo aver chiuso il 2002 con il televisivo "Paato-taimu tantei" (da me non visto), Miike apre il 2003 proseguendo la collaborazione con lo sceneggiatore Takechi Shigenori realizzando "Yurusarezaru mono" (tradotto in inglese con 'The Man in White' ma letteralmente traducibile in 'L'imperdonato' e per questo omonimo del remake di "The Unforgiven" di Eastwood). Il film è uno Yakuza movie diviso, per esigenze distributive, in due parti, "Daiisshō shishi no kessen" (let. 'Capitolo 1: La battaglia decisiva del leone') e "Dainishō shishi-tachi no chinkonka" ('Capitolo 2: Requiem per i leoni').
La prima parte fu da me vista diversi anni fa per poi essere rivista due mesetti fa recuperando, finalmente, anche il "sequel": per questo motivo procederò ad "analizzare" i due segmenti in modo semi-separato.
La revisione del Capitolo 1, a causa probabilmente di stanchezza mia personale e interruzioni non volute, mi ha convinto in misura sensibilmente inferiore rispetto alla prima volta. L'impressione è stata quella di un film molto più convenzionale e vicino ai gokudô-eiga direct-to-video girati in passato da Miike, con alcuni momenti di stanca e delle dinamiche forse troppo riecheggianti i precedenti "Rekka" e 'Agitator'.
Resta comunque un buon (mezzo) film gangsteristico, con un intrigante tema musicale 'francesista' e un ottimo inserimento dei flashback sull'infanzia del protagonista, con un epilogo in cui si pongono le basi 'tenere' del rapporto d'inimicizia tra il protagonista e il fratellastro.
Un ottimo cast, una buona sceneggiatura e le grandi capacità registiche di Miike contribuiscono a rendere interessante anche questo Film dell'Autore, ma è con la seconda parte che il Discorso diventa più interessante e profondo, secondo me.
Dopo 15 minuti iniziali in cui si mostrano prologo ed epilogo della prima parte, 'The Man in White Part 2: Requiem for the Lion' sviscera le tematiche abbozzate nel 'prequel' rendendo la visione molto più convincente e complessa.
In particolare il legame tra il protagonista e il killer/fratellastro, colpevole di avergli ucciso sia il padre naturale sia quello 'spirituale', assume qui una forte rilevanza ribaltando le carte in tavola (SPOILER): Azusa, in particolare, mitigherà gradualmente l'odio per Gunji e quando nel finale lo ucciderà sarà non per vendetta ma per pietà, essendo il fratello colpito da un sicario inviato dai capi yakuza per uccidere i due 'reietti'. Proprio questo assassino, a cui nel corso della trama viene ammazzato il nipote, creerà un ulteriore twist etico scegliendo di non eliminare il Protagonista per sparare invece il colpo alla propria testa.
Oltre al rafforzamento dei Contenuti, mi è parso di trovare nella seconda parte maggiori sperimentazioni visive in aggiunta all'uso esclusivo della camera digitale a mano: particolarmente impressa mi è rimasta l'apposizione della mdp su un piatto semovente e rotante in una scena ambientata in un ristorante.
Un dittico più che consigliato quindi da parte mia.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Gozu

  • Grottesco
  • Giappone
  • durata 125'

Titolo originale Gokudô kyôfu dai-gekijô: Gozu

Regia di Takashi Miike

Con Hideki Sone, Sho Aikawa, Kimika Yoshino, Shôhei Hino, Keiko Tomita, Harumi Sone

Gozu

GOKUDÔ KYÔFU DAI-GEKIJÔ: GOZU
Gokudô kyôfu dai-gekijô: Gozu (let. 'Il Teatro Gokudô/Yakuza degli Orrori: Gozu'), ritenuto da Miike tra le sue Opere più importanti in quanto "film fatto di disperazione", nasce dal rifiuto, più unico che raro, di una sceneggiatura consegnatagli dal produttore/attore Sone Harumi: il Cineasta così fa cambiare lo script di partenza affidando la riscrittura a Sato Sakichi ("Koroshiya Ichi"). Il risultato è uno dei Capolavori massimi dell'Autore, presentato con successo alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes nel 2003 e per questo distribuito nelle sale (nonostante originariamente fosse pensato per l'home video).
Partendo dal Genere Yakuza, il Film mescola con delirante genialità Horror, Sesso e Grottesco, con richiami in particolare al Grotesque europeo e, in specifico, francese, come sottolinea la Musica, in bilico tra Oriente e occidente.
Il Viaggio di Minami, il Protagonista (interpretato da Sone Yûta, figlio del produttore Harumi, che a sua volta interpreta il fratello della locandiera), è un Precipitare lento e travagliato nei recessi più nascosti della Mente: i Desideri nascosti e le Paure più radicate si fondono proponendo tentazioni disgustose (il latte della vecchia, eco di 'Visitor Q'), incontri caratterizzati da dialoghi non dialogati dove la Ripetizione e la Miseria di concetti dominano incontrastati (il Loop dell'avventore che dice sempre "ieri faceva più caldo", il vecchio yakuza della discarica che continua a chiedere "di chi ti vuoi disfare"...), Immagini Mitologiche da Incubo sporcate di Quotidianità (il Gozu, ovvero quella specie di 'minotauro' indicato nel Titolo) eccetera.
Tutti questi (ed altri) elementi girano intorno ad un Unico, ma dalle molteplici sfumature, Turbamento nell'Animo del Protagonista, ovvero il Legame intimissimo col 'fratello yakuza' Ozaki: incaricato di ucciderlo perché completamente schizzato e incontrollabile, lo ammazza (o così crede) involontariamente con una botta in auto, lo 'perde' entrando in un ristorante, lo cerca per tutto il villaggio e lo ritrova 'mutato' in una ragazza. Quindi, tutto il delirante Viaggio precedente e quello successivo a questo Ritrovamento, che in realtà è una Rivelazione, si configura come proiezione dell'Attrazione sessuale che il Protagonista ha per il suo 'fratello maggiore', un'Attrazione che non è né omosessuale né eterosessuale. Qui il Sesso non ha 'gender' come non lo ha in Cronenberg, e col Regista canadese Miike condivide la declinazione dell'Eros in una chiave grottescamente corporale e carnale, dove le perversioni si esplicitano senza vergogna e il Piacere e il Dolore si fondono in un Amplesso Mistico.
Fondamentale (ma estremamente SPOILEROSA) la scena Cult della Rinascita di Ozaki 'maschio' dalla vagina della sua Alter-Ego femminile dopo il travagliato rapporto sessuale con Minami. L'Epilogo ci 'consola' con l'Immagine speranzosa del Trio-Duo finalmente ricongiunto, intervallando le micro-sequenze (inquadrature) con dissolvenze in nero.
L'ultimissima Immagine (e Suono) prima dei titoli di coda è la Risata inquietante in primo piano del tipo ossessionato dal caldo, poi il Tema musicale accompagna i crediti riassumendo nel Testo, già anticipato dal misterioso inserto televisivo (girato ad hoc) osservato da Ozaki all'inizio, lo Spirito e forse anche la Narraione del Film.
Ennesimo Capolavoro di Miike, da studiare e ristudiare sia sul Piano Artistico sia su quello Concettuale, consapevoli però che non si tratta di un'Opera per tutti i gusti (anzi).

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Yakuza Demon

  • Azione
  • Giappone
  • durata 100'

Titolo originale Kikoku

Regia di Takashi Miike

Con Mikkî Kâchisu, Ken'ichi Endô, Renji Ishibashi, Kôichi Iwaki

Yakuza Demon

Dopo il maestoso "Gozu", sempre nel 2003 Miike dirige il direct-to-video "Kikoku" (Yakuza Demon) e il televisivo "Kôshônin" (Negotiator). Il secondo ancora mi manca da vedere, ma il primo l'ho guardato già due volte (la seconda in preparazione di questa retrospettiva), quindi ne parlerò un attimo più approfonditamente.
Yakuza movie partito da una sceneggiatura di Shigenori Takechi, "Kikoku" è un lavoro più tradizionale e realistico per Miike, anche se pare esista un finale alternativo à la "Dead or Alive". Comunque la Mano del prolifico Cineasta è sempre riconoscibile nella Messa in scena e nello Stile delle inquadrature (con largo uso di macchina a spalla), nonché nelle Tematiche, tra cui spicca la caratteristica Riflessione sul rapporto tra Individuo e Morte, oltre che sulla follia, sulla demistificazione dei codici gangster e sulla critica al potere.
Non tra i migliori titoli in assoluto di Miike, ma sempre un gran bel Film, condito da ottime prove attoriali e da una maestosa Colonna sonora di notevole impatto poetico, con diversi interventi dal sapore "sacro".
Un'opera molto interessante da riscoprire.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Call. Non rispondere

  • Horror
  • Giappone
  • durata 112'

Titolo originale Chakushin ari

Regia di Takashi Miike

Con Shin'Ichi Tsutsumi, Kou Shibasaki, Kazue Fukiishi, Atsushi Ida, Anna Nagata

The Call. Non rispondere

CHAKUSHIN ARI
Nel 2003 di Miike esce anche "Chakushin ari", la cui traduzione inglese (One Missed Call) pare molto più azzeccata rispetto all'italiano "The Call" (e orribile sottotitolo), ispirato all'omonimo romanzo di Akimoto Yasushi e sceneggiato da Daira Minako (o Miwako).
Per il motivo narrativo della catena maledetta inviato da uno spettro femminile rancoroso tramite apparecchi tecnologici (qua il cellulare) e per certe atmosfere il Film è stato paragonato a "Ringu" e derivati: per questo probabilmente è stato il primo e forse ad oggi ancora unico lungometraggio di Miike ad ottenere una vera distribuzione nelle sale cinematografiche italiane con relativa puntualità, ottenendo internazionalmente un buon successo commerciale da cui sono nati due sequel (non brutti ma evitabili), una serie tv (che ancora mi manca) e l'immancabile remake hollywoodiano (piattissimo).
Per le affinità con "Ringu" e per la sua maggiore commerciabilità, "Chakushin ari" viene solitamente considerato uno dei lavori minori del Regista, e personalmente neanch'io lo ritengo tra le sue Opere 'imperdibili', non solo per la sua 'derivatività' dal Cult di Nakata ma soprattutto per la maggiore aderenza ai canoni del Genere Horror a discapito del mescolamento di Toni e Atmosfere che generalmente caratterizza la Poetica dell'Autore.
Fatta questa premessa, mi distacco da chi reputa il film un lavoretto (se non lavoraccio) sostanzialmente alimentare per il Regista: infatti, seppure indubbiamente meno personale e 'sovversivo' rispetto a Pellicole come il citato coetaneo "Gozu" (il cui Tema musicale sembra riecheggiare nell'intreccio di suonerie su cui si apre questo Film), in "Chakushin ari" l'Autore conserva, oltre all'immancabile abilità tecnica, la propria Mano e il proprio Sguardo, gestendo brillantemente i ritmi e costruendo sapientemente la tensione sia 'nascondendo' sia 'mostrando' l'Orrore.
Non mancano riprese lunghe realizzate senza intenti esibizionistici, inserti mockumentaristici e, nonostante una serietà costante in superficie, è possibile avvertire la sottile Ironia del Cineasta, pronta ad emergere improvvisamente anche in momenti particolarmente tesi. La mia impressione è che Miike, analogamente a Fulci, segua gli stilemi dell'Horror 'fantasmatico' (nipponico) per giocare coi suoi topoi imponendo all'Individuo Spettatore una messa in discussione del suo modo di vedere il Cinema.
Al di là di questi 'dilemmi', la Poetica di Miike, nei contenuti, si può trovare nella critica al sistema (con i media intenzionati a sfruttare le tragedie e una massa sempre più schiava dei cellulari), nell'indecifrabilità dell'Epilogo con mescolamento tra Realtà e Sogno e, soprattutto, nel Tema 'miikeano' della Solitudine dell'Individuo di fronte alla Morte.
Insomma, "Chakushin ari" non è sicuramente tra i Capolavori del grande Miike Takashi ma, se si ama l'Autore e/o il Filone 'fantasmi tecnologici giapponesi', non si può a parer mio non ritenerlo un Gioiellino importante e caldamente consigliabile.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Zebraman

  • Commedia
  • Giappone
  • durata 115'

Titolo originale Zebraman

Regia di Takashi Miike

Con Sho Aikawa, Kyouka Suzuki, Teruyoshi Uchimura, Yui Ichikawa

Zebraman

ZEBRAMAN
Giunto al suo 100° film, l'attore Shô Aikawa ne affida la Regia a Miike, con il quale ha spesso lavorato in passato, lasciandogli carta bianca a partire dal soggetto ma sperando in un qualcosa di adatto ad un pubblico infantile. L'Autore quindi chiama Kudô Kankurô per scrivere la sceneggiatura, da cui poi nascerà "Zebraman".
Sulla carta ci troviamo di fronte ad un semplice omaggio a certe serie supereroistiche giapponesi degli anni '70 (in particolare ai cosiddetti tokusatsu come "Ultraman") con tanto di squarci televisivi girati in 16mm e la consulenza musicale di Ichiro Mizuki, cantante che curò diverse sigle di vari programmi del periodo compreso l'Anime 'Capitan Harlock'.
Miike, però, non si limita ad una pedissequa obbedienza ai cliché del genere, detonando la sua esplosiva Personalità esagerata e schizzata, con volontari affondi grotteschi nel Kitsch e senza dimenticare la Violenza (fumettistica e goliardicamente accettabile anche per individui piccini, ma sempre piuttosto estrema se ci si ferma un attimo a pensare), ma soprattutto impregnando l'opera col suo Sguardo poetico e attento ai Sentimenti umani.
Ichikawa/Zebraman è uno sfigatello qualunque (Miike ha dichiarato di aver sperimentato nella sua vita un complesso d'inferiorità) che si veste da eroe televisivo del passato e che all'improvviso diventa un Supereroe quasi invincibile, senza spiegazione alcuna: per certi versi è un incrocio tra un Ash Williams molto più imbranato e il pater familias proposto in 'Visitor Q', con un costume logoro e scalcinato. Nonostante queste enormi debolezze e la profonda insicurezza da 'giapponese medio', il Protagonista tenta con tutte le forze di essere quell'Eroe che ha sempre sognato di essere, motivato dall'incontro con un nuovo alunno (paralizzato da uno shock) con cui condivide la passione per lo Zebraman televisivo.
Lo Stile di Miike è sempre riconoscibile: troviamo passaggi caratterizzati da un ritmo cinetico sia nel montaggio (in alcune scene ellittico) sia nella ripresa (ad esempio l'uso della macchina a mano) e per contro lunghe inquadrature prive stacchi e filmate con macchina fissa; sequenze ricolme di effetti speciali digitali (anche mal invecchiati, eppure resi digeribili dal Regista grazie al suo tocco auto-ironico) e momenti invece dove domina la realtà delle Emozioni Umane; sequenze piene di suoni, rumori e musiche forti e 'casiniste' e scene invece caratterizzate dal Silenzio; momenti di goliardia anche molto infantile e confronti drammatici sull'Umanità.
Concludendo, ritengo "Zebraman" un altro grande Film del Maestro Miike, per certi versi alquanto sottovalutato, come il suo sequel.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Three... Extremes

  • Horror
  • Hong Kong, Giappone, Corea del Sud
  • durata 125'

Titolo originale Saam gaang yi

Regia di Fruit Chan, Takashi Miike, Chan-wook Park

Con Bai Ling, Pauline Lau, Tony Leung Ka Fai, Meme Tian, Miriam Yeung Chin Wah

Three... Extremes

Nel 2004, tra "Zebraman" e "Izo" (secondo Imdb), Miike dirige il televisivo "Paato-taimu tantei 2" e l'episodio "Box" in "Sam gang 2" (Three... Extremes), secondo film di un Dittico antologico (tre episodi per 'capitolo') di produzione internazionale asiatica in cui furono coinvolti, tra gli altri, anche i sudcoreani Kim Jee-woon (nel primo) e Park Chan-wook (nel secondo).
"Paato-taimu tantei 2", come il suo predecessore, ancora mi manca da vedere, mentre "Sam gang 2" lo vidi integralmente quasi 4 anni fa per poi rivedere singolarmente, nella mia maratona miikeana, il contributo diretto appunto da Miike. Tutti gli episodi dell'opera mi piacquero molto (più di quelli contenuti nel 'prequel', comunque valido), ma "Box" di Miike, sicuramente anche per ragioni 'di faziosità', è di gran lunga il mio preferito. Sospeso nel tempo e nello spazio, nel corto assistiamo alla continua ripetizione di un Sogno e del Risveglio da esso, entrando ed uscendo da un passato infantile dominato dai Sentimenti di Amore, Gelosia e Sessualità. Sicuramente l'episodio di Miike è quello più criptico, nebuloso, surreale dell'Antologia, e per questo, assieme all'atmosfera più onirica e poetica che 'strettamente Horror', forse è quello meno apprezzato da una certa parte di pubblico, ma invece io lo preferisco proprio per questi motivi. Come gli altri episodi contenuti nel Film, anche "Box" ha, tra i suoi temi, quello dell'infanzia distrutta e minacciata. Un Gioiellino che consiglio vivamente.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Izo

  • Azione
  • Giappone
  • durata 128'

Titolo originale Izo

Regia di Takashi Miike

Con Mikkî Kâchisu, Ken'ichi Endou, Daisaku Akino, Chisato Amate

Izo

IZO
Il 2004 per Miike si chiude con "Izo".
Proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione "Orizzonti", secondo un aneddoto in mezzo al pubblico attonito ricevette gli applausi soltanto da Quentin Tarantino.
La genesi del Film è stata narrata da Miike come «l'idea di uno sceneggiatore [Takechi Shigenori, qua alla sua ultima collaborazione con il Regista dopo diversi yakuza movie] costretto a scrivere per anni sceneggiature “tradizionali”, costruite su stereotipi tragici o comici. Quando questo sceneggiatore mi confessò di aver scritto una sceneggiatura “ribelle”, che sovvertiva tutte le regole del cinema, ho voluto leggerla. Ho pensato che il film si potesse fare, così ho cominciato a girare. Durante le riprese ho cambiato quello che volevo, aggiungendo Anarchia ad Anarchia, arrivando ad avere un prodotto del tutto inclassificabile. Personalmente amo molto IZO, perché ha rappresentato una grande valvola di sfogo.»
Come dissi nella mia non-recensione (teoricamente in continuo aggiornamento) di 3-4 anni fa, è assai arduo parlare di un Film come questo, perché la sua Natura rende necessario vedere, anzi vivere la Visione per poter recepire nell'Animo la molteplicità di Significati, di Domande, di Accuse che pone al nostro Io. Anticipo che le mie riflessioni conterranno diversi SPOILER, quindi chi non volesse rovinarsi la Visione stia molto attento prima di leggere queste mie righe.
Partendo dalla Figura storica del sanguinario samurai Okada Izo, la cui vita era già stata portata al Cinema da Gosha Hideo nel '69 con "Hitokiri" (ancora non visto) e il cui finale pare coincidere con l'inizio della Pellicola di Miike, l'Autore di "Koroshiya Ichi" (a cui il Film venne paragonato nel materiale promozionale, generando probabile confusione) trasforma il Personaggio in un Simbolo di Irrazionalità, forse la Chiave di Lettura dell'Opera, costruita in modo illogico proprio per mettere in scena al meglio la sua Ricerca Esistenziale.
"Izo" è un Film talmente frenetico e senza respiro nel ritmo in cui si susseguono le scene da risultare statico; talmente irrazionale nell'ordinare le varie sequenze da essere perfettamente lineare; talmente imperfetto nella costruzione tra 'errori' (come l'ombra della mdp in un'inquadratura dedicata al Cantautore) e trovate 'kitsch' (come effetti digitali finti) da rivelarsi palesemente ricercato fino al minimo dettaglio. Un Film così pieno di Generi da non avere un Genere diventando egli stesso un Genere; così intriso di Violenza e Follia (ma incredibilmente meno estremo graficamente rispetto ad altre Opere di Miike) da far notare la sua Poeticità drammatica e tragicamente Umana.
Con "Izo" abbiamo un'Opera intimamente Sovversiva, che tratta Temi Filosofico-esistenziali e Politici senza però proporre una bussola etica per giudicare il Protagonista, i suoi (pochi) Alleati e i suoi (innumerevoli) Avversari. "Izo" non vuole dare risposte: Miike vuole bombardare letteralmente gli spettatori e le spettatrici di Domande e, per questo, il Film non lascia un attimo di respiro saltando da un'epoca all'altra, da una scena all'altra senza fermarsi mai se non quando lascia spazio alla Poesia Filosofica urlata di Tomokawa Kazuki.
La Figura del Cantautore è sicuramente uno dei Simboli più intriganti e misteriosi dell'Opera: apparentemente egli osserva il Protagonista commentandone le azioni con canzoni (di cui solo "Pistol", il tema semi-finale e del trailer, è scritto appositamente per la Pellicola mentre le altre fan parte da più o meno tempo del repertorio del Musicista) che parlano soprattutto di Perdita, senza limitarsi a fare da sottofondo (tranne forse nella scena della Madre Terra) ma monopolizzando quasi l'attenzione con tanto di piani-sequenza fissi e zoomati sul suo volto. Nel Finale, però, ecco che egli sprona Izo a 'punire' i gestori del Potere, quindi è naturale chiedersi: «Qual'è il suo Ruolo?».
Molto importanti risultano anche le Figure femminili, in particolare la citata Madre Terra con cui Izo ha un rapporto sessuale (conclusosi dolorosamente) e la Seguace enigmatica che lo accompagna nelle ultime sofferte Stragi invitando le vittime a lasciar passare il Protagonista/Demone, per poi ri-partorirlo nell'Epilogo come neonato lucente che subito si riforma nell'Izo adulto. Alcuni non-flashback (Izo si sposta fisicamente nel Tempo) lascerebbero intendere che lei sia stata amata dal Protagonista, ma potrebbe anche essere, come credo di aver letto in giro, un alter ego dell'Anti-Eroe del Titolo.
È interessante notare che l'Interprete del Personaggio, Nakayama Kazuya, rivesta nel corso della narrazione altri ruoli misteriosi (un soldato in partenza, un imputato...) osservati con stupore da Izo, probabilmente perché Specchi della sua stessa Anima.
Il Film è pieno di Simboli, rimandi alla Storia e alla Cultura giapponesi (molti dei quali non son riuscito ancora a decifrare), filmati di repertorio (della Seconda Guerra Mondiale), scontri ripetitivi e futili (Izo vince per forza e per forza soffre) e Dibattiti metafisici.
La lotta disperata che Izo combatte contro ogni pedina del Potere è squisitamente Anarchica nel suo scalare con violenza le gerarchie per cercare di colpire la Cima, ovvero l'Imperatore (che però sembra incarnare più un concetto filosofico, per alcuni il karma, che non un ruolo istituzionale), ma per contro la sua Furia si traduce anche in Oppressione e Prepotenza quando si scaglia contro innocenti, rei soltanto di intralciare il suo Cammino.
Tra i pochi non colpiti dalla sua Furia omicida, oltre alla Donna misteriosa, il Cantautore, la Dea Madre e l'Imperatore, abbiamo un misterioso spadaccino che, definendosi un Demone uguale ad Izo, in due occasioni lo colpisce senza ricevere risposta. Abbiamo anche un vecchio circondato da bambini che commenta la Sofferenza di Izo nell'uccidere, più delle entità presumibilmente incarnate in dei fiori che lo scherniscono.
"Izo" è un'Opera che non può lasciare indifferenti e che non riesce a farsi dimenticare, un Capolavoro del Maestro Takashi Miike, forse la sua Vetta Artistica, dove la sua Poetica della Morte, del Sangue, della (Ri)Nascita viene espressa in ogni Sequenza, in ogni Inquadratura, in ogni Fotogramma con lo Stile tanto 'scarno' nei mezzi quanto elaborato nella costruzione che, in modo artisticamente e spiritualmente molto 'Anarchico', caratterizza l'Autore.
Un Film non per tutti i palati (anzi, probabilmente è solo per pochissime menti 'folli') e che non si lascia gustare con facilità, un'Opera che mette in Difficoltà stimolando soltanto Dubbi, ma proprio per questo, a parer mio, è fondamentale per capire il Cinema di Miike e non solo.
Si potrebbe parlare per ore e ore di questo Film e, personalmente, lo rivedrei in Loop senza sosta o quasi, come l'Infinito che Izo si ritrova a percorrere sul Finale prima di squarciarne la parete e affrontare il suo "creatore", ma ora chiudo qui le mie riflessioni affermando che, tra tutti i (per me) numerosi Capolavori di Miike (e non solo di Miike), "Izo" è quello che più amo e, di conseguenza, la sua visione è da me ritenuta praticamente 'imperdibile'.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Yôkai daisensô

  • Horror
  • Giappone
  • durata 124'

Titolo originale Yôkai daisensô

Regia di Takashi Miike

Con Ryuunosuke Kamiki, Hiroshi Aramata, Kiyoshirô Imawano, Chiaki Kuriyama

Yôkai daisensô

YÔKAI DAISENSÔ
A sorpresa, il film cinematografico che nel 2005, dopo uno spettacolo teatrale ("Yasha-ga-ike") e una serie tv ("Urutoraman Makkusu", non visto come la pièce precedente), segue quel concentrato di Violenza e Filosofia che è "Izo" è questo "Yôkai daisensô", fiaba adatta ad un pubblico preadolescenziale.
Ispirato al romanzo "Teito monogatari" di Aramata Hiroshi, a qualche film precedente (nel '68 c'è l'interessante omonimo diretto da Kuroda Yoshiyuki) e attingendo nel Folclore giapponese, il Film potrebbe ad un'occhiata superficiale sembrare un Miike 'spersonalizzato', nonostante abbia dichiaratamente messo mano direttamente alla sceneggiatura (forse per la prima volta nella sua carriera), non solo per il suo rivolgersi ad un target 'infantile' e per famiglie (già affrontato con "Zebraman") ma anche per la produzione visibilmente più ingente rispetto al solito.
In realtà anche qui troviamo quell'Unione di Emozioni, Tecniche, Scelte Stilistiche e Ritmi opposti che danno allo Stile di Miike un'aria di 'schizofrenia' polarizzante e intrigante, mescolando Follia esasperata e realismo, Frenesia adrenalinica e pacatezza quasi statica, Rumori e Silenzi, Violenza/Odio e Commozione/Amore, cadute pesanti (e 'preterintenzionali') nel Kitsch e momenti di Poesia, Epicità e Goliardia, Orrore e Bellezza, Tripudio di effetti speciali 'spettacolari' e momenti di rilassata semplicità, Sequenze di Caoticità estrema e Momenti di 'pulito' ordine registico. In ogni caso la Ricerca poetica e stilistica di Miike verte sempre sulle Pulsioni e i Timori dell'Individuo verso la Morte e, di conseguenza, il rapporto con la vita propria e altrui: fondamentali a tal proposito i destini del Nonno e del tenero Sunekosuri.
Gli Yokai del Titolo sono decisamente fantasiosi e affascinanti, molti realizzati con attori e attrici truccate o pupazzi meccanici e ciascuno sviluppato con efficacia. Inoltre, come il Finale ben mostra, sono degli incredibili cazzoni, come è evidente nel 'Festival della Rissa' (che in realtà sarebbe la grande guerra degli Yokai indicata dal Titolo).
Degne di nota, anche se magari non approfondite per bene, le Tematiche ecologiste e di condanna degli sprechi (l'Antagonista usa la rabbia degli oggetti abbandonati per lanciare il suo attacco contro l'Umanità) sposate con riflessioni tradizionali sulla Spiritualità, e il Tema dell'Inutilità della guerra (che, come dice uno Yokai nel finale, rende avidi).
Chiudendo, pur non essendo magari uno dei Capolavori di Takashi Miike "Yôkai daisensô" rientra a parer mio tra le sue Opere più particolari e interessanti, e, personalmente, lo consiglierei a tutti e tutte, anche a chi magari non apprezza solitamente il suo Stile, seppure poi potrebbe non apprezzarlo ugualmente (come nemmeno gli e le amanti della Violenza miikeana).
Insomma per me anche questo è un altro grande Lavoro, quasi imperdibile, del mio Autore preferito e le impressioni al riguardo migliorano soltanto ripensandoci.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Big Bang Love, Juvenile A

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 85'

Titolo originale 46-okunen no koi

Regia di Takashi Miike

Con Masanobu Ando, Tadanobu Asano, Renji Ishibashi, Shunsuke Kubozuka

Big Bang Love, Juvenile A

46-OKUNEN NO KOI
Ispirato ad un romanzo di Ato Masaki (ossia i fratelli Kajiwara Ikki e Maki Hisao) e sceneggiato da Nakamura Masa, "46[yon-ju roku]-okunen no koi" (letteralmente '4600 milioni di anni d'Amore') è, a parer mio, uno dei Capolavori più significativi, personali, profondi e intimi di Miike Takashi.
Un'autentica Opera d'Arte che richiama moltissimo la struttura del Teatro, specialmente nelle Scenografie, restando però fortemente ancorato all'Arte Cinematografica, grazie in particolare ad un Montaggio non lineare ma tutt'altro che casuale.
Come in una Tragedia Classica, il Film si apre con una 'proemio' dove, su uno sfondo rosso vuoto, un ragazzino viene invitato da un vecchio a scegliere l'uomo che intende diventare per incontrarlo e, successivamente, questo Uomo Ideale, con un Tatuaggio che gli ricopre la schiena e il braccio destro, danza freneticamente finché giunge il ragazzino. Dopo il Titolo, il Film inizia la sua narrazione partendo dall'omicidio di un detenuto, Kazuki, di cui è fortemente sospettato un altro prigioniero, Ariyoshi, un ragazzo che lavora in un bar gay colpevole dell'uccisione brutale di un uomo che aveva tentato di violentarlo. Il giovane, trovato da una guardia con le mani sul collo della vittima, confessa ripetutamente il delitto e perciò la sua colpevolezza parrebbe inequivocabile.
Inizia quindi l'Indagine, ma il segno di una corda sul collo dell'assassinato apre forti dubbi sulle accuse contro il principale indiziato e, tra flashback, flashforward e inserti di domande (spesso sotto forma di didascalie) poste a vari personaggi, si mostra man mano la storia di Ariyoshi e Kazuki, le rispettive biografie, gli intrecci con altri personaggi e, soprattutto, il particolarissimo rapporto omoerotico (mai carnale) che si sviluppa tra loro due, il primo estremamente introverso e taciturno, con un rapporto problematico con la propria Sessualità (è omosessuale? è 'asessuato' come pare dichiarare in un dialogo? è qualcos'altro?), e il secondo invece violento e rissoso, con un passato di abusi subiti e perpetrati.
Pur focalizzandosi su questi due Protagonisti il Film segue una struttura corale, un Mosaico di Tragedie umane che si intersecano tra di loro come in una Spirale, figura mostrata esplicitamente con una scala a chiocciola (ad un certo punto ripresa roteando la camera di 90° occupando così quasi interamente lo Schermo), dove ogni Dolore causato e subito si lega al Dolore altrui, in un Ciclo infinito di azioni ripetute, enfatizzato dal Montaggio che, spesso, ripete le stesse scene e le stesse battute mostrando diverse angolazioni degli stessi fatti.
La Poesia aleggia per tutta la Pellicola e la Ricerca di sé stessi e delle altre Persone è mostrata eliminando per certi versi la solidità fisica degli spazi, mentre all'esterno abbiamo due Strutture ideali, un Tempio antichissimo e un'Astronave tecnologica, Simboli forse di Morte e di Conoscenza, ma anche di molto altro ancora.
La Violenza non manca, in quanto espressione del Turbamento interiore e al contempo di Vitalità, ma è anche sintomo di una Pulsione auto-distruttiva, di un Desiderio disperato di Morte come Salvezza, e così via. In ogni caso, la Poetica di Miike è sempre indirizzata verso l'Indagine sui rapporti umani, tra Conflitto e Amore, non di rado strettamente collegati tra loro, e, come l'Autore spesso e volentieri dichiara, verso la Solitudine con cui ogni Individuo deve vivere e affrontare l'Intimità della propria Morte...
Per me uno dei Massimi Capolavori dell'Autore, da vedere 'assolutamente'.

 

 

 

WARU
A poche settimane di distanza dalla (prima) proiezione di "46-okunen no koi" all'Internationale Filmfestspiele Berlin, il 25 febbraio del 2006 in Giappone (secondo Imdb) esce anche "Waru". Oltre ad anno, regia, qualche attore (in particolare Ishibashi Ryo) e forse altri elementi, i due film hanno in comune l'essere ispirati da lavori letterari di Maki Hisao, nel primo caso un romanzo scritto insieme al fratello e nel secondo un manga tutto suo. Qui, però, Maki è coinvolto direttamente nella sceneggiatura e, inoltre, si ritaglia il ruolo piuttosto importante del mentore semi-invincibile del protagonista.
In questo sta forse il segreto dell'abisso qualitativo che separa le due pellicole: la Sperimentalità Poetica di "46-okunen no koi" lascia in "Waru" il posto per un mezzo ritorno ai tecnicamente discreti ma artisticamente (in buona parte) mediocri V-movie (film 'da cassetta') da lui realizzati nella sua fase esordiente, ma anche alla parentesi piuttosto bassa per un'annata (il 2001) assai ricca per Miike quale il dittico "Family". Tra l'altro l'uscita a pochi mesi di distanza di "Waru" di un sequel (sempre di Miike e da me ancora non visto) instilla il sospetto che pure questo sia stato progettato come un dittico e l'epilogo spalancato ad un proseguimento parrebbe confermare questa impressione.
Visivamente, il film sembra molto 'para-televisivo' (pur avendo, a quanto pare, ottenuto una distribuzione cinematografica), le trovate (narrative e spettacolari) sono poco graffianti (cliché yakuza triti e ritriti, erotismo spicciolo e da immaginario vagamente maschilista, elemento estraneo al Miike migliore ma familiare assai nelle collaborazioni con Maki...), la messa in scena è poco personale e la recitazione è ai minimi termini nonostante il cast di grandi attori: anche Aikawa è qua alquanto sottotono. Kazuya Nakayama, mitico Protagonista del Supremo "IZO", invece riesce in pochissime scene a oscurare il resto del cast.
Va detto che il film non annoia pur non catturando mai veramente l'attenzione, nella sua sostanziale mediocrità resta discretamente realizzato, qualche trovata visiva interessante ci viene fornita dal pur sempre tecnicamente validissimo Miike e la musica, per quanto non eccelsa, funziona quanto basta per smussare i vari difetti (pur non coprendoli).
Insomma, uno dei tanti prodotti usa-e-getta della sterminata Filmografia di Miike, consigliabile solo agli individui super-aficionados del Regista.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Masters of Horror. Sulle tracce del terrore

  • Horror
  • USA, Giapone
  • durata 63'

Titolo originale Imprint

Regia di Takashi Miike

Con Youki Kudoh, Billy Drago, Michie Ito, Toshie Negishi

Masters of Horror. Sulle tracce del terrore

Nel 2006, secondo imdb, tra "Waru" e "Taiyô no kizu" Miike realizza l'episodio "Imprint" per la serie antologica ideata da Garris "Masters of Horror" (senza però essere poi trasmesso regolarmente perché troppo 'estremo') e "Waru: kanketsu-hen". Il secondo ancora mi manca ma il primo è stata la mia introduzione personale alla Poetica di Miike Takashi, motivo per cui ho provato enorme piacere nel rivederlo, finalmente in inglese, durante la mia 'maratona' dedicata al Regista, confermando e rafforzando l'ottimo ricordo che avevo del Film.
Miike, assieme a Carpenter, è tra gli Autori che prende con maggiore serietà il progetto "Masters of Horror" e, ispirandosi ad un romanzo (che intendo leggere), realizza uno degli Episodi in assoluto migliori della Serie, se non il migliore in assoluto, tra rimandi e auto-rimandi cinematografici, Violenza efferata che genera altra Violenza efferata ma che può essere usata anche in senso pietoso, manicheismo completamente inesistente con continui ribaltamenti etici dei Personaggi (alla fine il 'peggiore' è tale per la sua ipocrisia), distorsione costante della Realtà, finta misoginia che in realtà si rivela ben presto condanna del patriarcato ed esaltazione della forza (anche nel sadismo) delle Donne, Immagini ricercatissime sul piano visivo e fotografico, commento sonoro (firmato dal fidatissimo Endô Kôji) stupendo, Cast straordinario, Costumi e Scenografie magnifiche, Montaggio intrigante e Messa in scena impeccabile.
Per me un Capolavoro, e forse non soltanto in ambito televisivo.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Sun Scarred

  • Azione
  • Giappone
  • durata 117'

Titolo originale Taiyô no kizu

Regia di Takashi Miike

Con Shô Aikawa, Aiko Satô, Ken'ichi Endô, Sei Hiraizumi, Hiroshi Katsuno, Tôru Kazama

Sun Scarred

TAIYÔ NO KIZU
Il 2006 per Miike si chiude con un'altra Opera alquanto particolare per lui, un Noir molto drammatico dove la solita Auto-Ironia dell'Autore viene quasi completamente accantonata per mettere in risalto l'intensità tragica della vicenda.
"Taiyô no kizu" (che dovrebbe significare 'Le cicatrici del Sole') ci trascina in un vortice di Violenza, di Vendetta, di Dolore e di Follia, dove il Sangue sparso, per cause comprensibili o per puro diletto malsano, richiama sempre altro Sangue. In linea con la Poetica di Miike, non abbiamo realmente un preciso indice morale: Katayama, il Protagonista, ha una visione molto brutale, quasi fascistoide, della giustizia e l'Individuo Spettatore non sa se simpatizzare per la sua sofferenza, se criticarlo per il suo estremismo o se compatirlo nel suo essere posseduto dalla brama di vendetta. Il film inoltre mostra nella messa in scena e nella direzione degli attori più giovani (inquietantissimi alcuni) il Disagio che sta dietro alla violenza giovanile, aiutato da una pesante 'anestetizzazione' dell'omicidio, una sorta di lavaggio del cervello generazionale che porta all'eliminazione dell'empatia. Neanche i personaggi 'non violenti' escono 'bene': la polizia è schiava del suo sistema legale, i media distorcono i fatti trasformando le vittime in carnefici e viceversa, l'assistenza sociale non riesce né a rieducare né a proteggere i giovani (spinti dalla società ad uccidere la propria innocenza) e così via. Sembra che ogni gesto, compiuto anche con le migliori intenzioni e seguendo le proprie etiche personali, porti soltanto a peggiorare la situazione, a partire dall'intervento iniziale del Protagonista.
Sul piano formale si costruisce l'Immagine con una cura artistica, valorizzando le Ombre e gli ambienti scuri (soprattutto nella sequenza conclusiva). Interessante l'intermezzo in bianco e nero, iniziato (SPOILER) col suicidio della moglie del protagonista e concluso con il ritorno del padre della bambina uccisa 'a casa', con montaggio serrato di flashback vari (alcuni 'impossibili' dal punto di vista del Personaggio). Le Musiche del fidatissimo Endô sono in linea con il Tono disperato del Film, le interpretazioni sono tutte di alto livello e la messa in scena di Miike riesce a convincere l'Individuo Spettatore, grazie anche ad un tocco 'documentaristico' nel caratteristico uso della camera a spalla.
Il Tema della Morte è, come sempre, presente e sprona a ulteriori riflessioni, intrecciandosi con le domande sulla Violenza e sulla 'giustizia', senza però mai dare risposte.
Chiusura drastica, aperta ma alla Disperazione: non c'è Redenzione per Kamiki, la cui folle anti-etica omicida ormai è incurabile (forse non è mai stata 'curata', o forse è stato il ritorno del padre della sua vittima a risvegliare la sua Pazzia, come potrebbe suggerire il ritorno del chupa chupa), e nemmeno per Katayama c'è Serenità una volta compiuta la propria Vendetta.
Un Gioiellino che merita di essere visto almeno una volta (ma anche di più).

 

 

 

RYÛ GA GOTOKU: GEKIJÔ-BAN
Dopo aver svolto il ruolo di produttore esecutivo di (almeno) un corto promozionale ispirato alla serie videoludica "Ryû ga gotoku" aka "Yakuza" (ma la traduzione corretta parrebbe 'Like a Dragon'), Miike Takashi nel 2007 ne dirige una trasposizione cinematografica che, se non sbaglio, segna anche la sua prima prova con l'adattamento di un videogioco, impresa non facile nel Cinema (soprattutto mainstream).
Pur non trovandoci sicuramente di fronte ad una delle migliori Opere dell'Autore, "Ryû ga gotoku: Gekijô-ban" (letteralmente 'Like a Dragon: Movie version') è un lavoro molto interessante nella Filmografia di Mike, superiore rispetto alle mie aspettative pre-prima visione e con giudizio confermato dopo la seconda.
Non posso fare un confronto con il materiale di partenza non avendo giocato al videogioco d'origine (né avendo visto i corti promozionali vari), ma il Cineasta qui concentra, pur controllando in parte il proprio estremismo, i caratteri più celebrati del proprio Cinema, dalla Violenza insistita (seppur in misura minore rispetto ad altri suoi Lavori) specialmente nel Personaggio di Goro Majima ben interpratato dal Kishitani di "Shin jingi non hakaba, alla Poesia, in particolare in certi toccanti chiusure nel Finale; dal Kitsch (la bevanda 'rigenerante') alla Raffinatezza (lo scontro semi-conclusivo tra il protagonista principale Kazuma e Goro immerso in Colori vividi); dall'Iper-Cinetismo con Montaggio frenetico alla Tranquillità di piani sequenza (o quasi) anche fissi.
Come nell'ultimo "Hatsukoi", abbiamo una Chiusura temporale (motivo ulteriore di apprezzamento per me, da estimatore dello schema 'one crazy night') inversamente proporzionale alla Coralità della Narrazione: diverse storie con diversi Protagonisti e diverse Protagonista si alternano, si intrecciano e si contrappongono, uniti da un Caldo opprimente come Filo conduttore, da cui derivano poi la Violenza, l'Illegalità e la Follia.
Come sempre, non ci sono buoni o cattivi, ma Individui con Personalità fortemente marcate, a volte bizzarre a volte eroiche, sospese tra finzione e spontaneità, tra realismo e impossibile.
L'Infanzia, qui incarnata da una bambina alla ricerca della madre, è minacciata, coerentemente con la Poetica di Miike: a salvaguardarla troviamo lo yakuza gentile Kazuma, ma inaspettatamente anche il folle Majima ferma un suo scontro con l'avversario per lasciar passare incolume la ragazzina.
Abbiamo anche un coreano impegnato con una missione misteriosa, Personaggio che non può non ricordare i vari 'stranieri' miikeani.
Chiudendo, "Ryû ga gotoku: Gekijô-ban" non è certo un Capolavoro imperdibile ma, se si ama Miike o si cerca un buon action, direi che una e più visioni le merita, anche per l'ottimo uso nella Colonna Sonora di alcuni brani dei Crazy Ken Band.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Sukiyaki Western Django

  • Western
  • Giappone
  • durata 121'

Titolo originale Sukiyaki Western Django

Regia di Takashi Miike

Con Quentin Tarantino, Hideaki Ito, Kaori Momoi, Masanobu Ando

Sukiyaki Western Django

In streaming su Timvision

SUKIYAKI WESTERN DJANGO
Sempre nel 2007 Miike realizza questo "Sukiyaki Wester Django" che, come il successivo "Joheunnom nabbeunnom isanghannom" (Il buono, il matto, il cattivo) del coreano Kim Jee-woo, dichiaratamente intende essere un omaggio in salsa orientale agli Spaghetti Western che l'Autore guardava spesso in tv col padre.
Presentato in concorso alla 64^ Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica a Venezia, il Film dovrebbe essere stato distribuito in Italia soltanto nel 2013, direttamente in dvd e quasi certamente sulla scia del "Django Unchained" di Tarantino, che nell'Opera di Miike interpreta il mitico Piringo a cui spetta il compito d'introdurre la Narrazione e, nell'atto finale, rifornire di armi la fazione del Protagonista.
Dopo "Yôkai daisensô", questo sarebbe il secondo Film di cui Miike firma anche la sceneggiatura, qui insieme al fidato Nakamura Masa. Solitamente questo dato suggerirebbe una forte partecipazione personale e autoriale eppure, leggendo opinioni varie, l'impressione è che "Sukiyaki Western Django" non sia considerato tra i migliori Lavori dell'Autore ma bensì un semplice divertissement.
Sicuramente l'idea alla base dell'Opera è celebrare i Titoli e gli Autori che hanno reso di culto lo Spaghetti Western, in particolare Corbucci e Leone: di quest'ultimo per certi versi Miike realizza un parziale remake non dichiarato di "Per un Pugno di Dollari", a sua volta rifacimento apocrifo del "Yôjinbô" di Kurowasa. Io però credo che Miike, seppure con le intenzioni di onorare (auto)ironicamente il Western all'italiana, poi costruisca un'Opera personale e sentita, sia nella versione di 98 minuti sia in quella di 2 ore.
Innanzitutto, stilisticamente la Messa in scena dell'Autore mantiene la sua tipica compresenza di Toni e Atmosfere all'apparenza inconciliabili: il Prologo anticipa, con un set palesemente disegnato, l'impostazione teatrale, irreale del Film, in cui elementi giapponesi tradizionali si fondono con l'estetica dell'Western, mentre invece i movimenti di macchina in diversi casi sposano un approccio 'para-documentaristico'. Inoltre, alla Violenza e al Caos della Lotta si contrappongono momenti di Pace e Tranquillità, spesso commentati da una dolce musica lontana. Altra forte contrapposizione si ha nei colori, in particolare nel Rosso e nel Bianco, ma anche tra le scene della linea narrativa principale ('normali') e quelle dei flashback e del prologo (marcatamente saturati).
Contenutisticamente, oltre all'immancabile Tema della Morte, troviamo la Critica all'Assurdità della Violenza del Potere, a cui Miike contrappone nel Protagonista quello che per me è una sorta di Individualismo etico, volto a rifiutare la limitatezza di un sistema (bi)partitico cercando di soddisfare la propria persona, mosso da un desiderio di vendetta (giustamente mai chiarito) che, nel corso del Film, confluirà nell'aiuto delle persone oppresse, in particolare del piccolo orfano 'meticcio', Speranza per un Futuro migliore.
Interessanti le Figure Femminili, dalla tragica Madre 'bianca' del bambino alla leggendaria Bloody Benten/Ruriko, interpretata da Momoi Kaori.
Chiudendo, "Sukiyaki Western Django" è, a parer mio, un Film estremamente sottovalutato nella Filmografia di Miike, tra le sue Opere da me identificate come 'capolavori' e superiore al comunque magnifico "Django Unchained" tarantiniano.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Detective Story

  • Commedia
  • Giappone

Titolo originale Tantei monogatari

Regia di Takashi Miike

Con Kai Ato, Tomoharu Hasegawa, Pâko Hayashiya, Pê Hayashiya, Steven Haynes, Harumi Inoue

Detective Story

TANTEI MONOGATARI
Tra "Sukiyaki Western Django" e "Crows Zero" Miike, da una sceneggiatura di Shirado Tsutomu, si cimenta con un noir a basso budget, proponendo ancora una volta un mix di Generi diversi e alternando toni più drammatici a toni più auto-ironici.
Il Tema dominante è ancora la Morte e il rapporto con cui gli Individui si avvicinano ad essa, più conseguenti angosce interiori riguardo a cosa può esserci dopo il decesso, se c'è qualcosa dopo il decesso, con riferimenti anche espliciti a varie filosofie sulla spiritualità, in particolare Steiner (che non conosco). Seguono SPOILER sul Finale.
Il Rapporto tra Arte e Spirito si coniuga con la teoria di una sopravvivenza dell'Anima nell'Arte, declinandosi nella Pittura con Sangue e Organi. L'idea radicale portata avanti dal Pittore autentico è quella di immortalare la donna amata, morta per cause naturali, su tela usandone il corpo, ma questo progetto viene esasperato dal figlio, il quale si impegnerà in una serie di omicidi di donne per completare l'Opera paterna. La deviazione della visione 'artistica' da parte del figlio, che (richiamando "Psycho") per 'diventare' il padre ne indossa i capelli e gli abiti, invece di proseguire la Poetica paterna la distrugge e la tradisce nel profondo, trasformando un Inno alla Vita in un'Esibizione di Morte, un movente per giustificare l'omicidio seriale. Non avendo talento artistico, il figlio uccide il padre per prenderne il posto ma, non condividendone la Spiritualità, la sua imitazione del padre è falsata sia nello stile pittorico sia nell'interpretazione fisica del genitore.
Altro tema, suggerito dalla reinterpretazione del pittore da parte del figlio, può essere la ricerca dell'identità e l'utilizzo dei codici del 'giallo' aiuta a costruire questo percorso riflessivo.
Miike, anche se sa costruire momenti di grande drammaticità e intensità tragica, capisce che è meglio evitare di prendersi troppo sul serio. Intrigante in questo senso è il contrasto tra la forte ironia del Protagonista e la forte drammaticità insita nella macabra vicenda sui cui egli indaga.
Stilisticamente Miike e il fidato Shimamura Yasushi alternano nel montaggio passaggi rapidi e serrati a minimalismi, inserendo diverse ellissi. La Fotografia, curata da Tanaka Kazunari, vede ancora una volta un largo uso di camere a spalla più particolari scelte visive come almeno un momento in cui il bilanciamento bianco assume tonalità 'bluastre'. Il Cast è ottimo, in particolare il protagonista Kazuya Nakayama ("IZO"), mentre sempre di grande impatto scenico è Yûya Uchida. Il Commento sonoro jazzeggiante del fidatissimo Endô Kôji richiama moltissimo la personalità Noir del Film e funziona assai bene tanto nelle scene più ironiche quanto nelle scene più drammatiche, nonché in quelle più macabre. Gli effetti macabri sono, infine, piuttosto impressionanti, anche se alcuni particolari vistosamente (auto?)censurati.
Non un Capolavoro ma un'Opera interessante, soprattutto per gli e le amanti del Cinema di Miike.

Rilevanza: 1. Per te? No

Crows Zero

  • Azione
  • Giappone
  • durata 129'

Titolo originale Kurôzu zero

Regia di Takashi Miike

Con Shun Oguri, Kyôsuke Yabe, Meisa Kuroki, Takayuki Yamada, Sansei Shiomi, Ken'ichi Endô

Crows Zero

In streaming su Timvision

KURÔZU ZERO
Miike 'chiude' il 2007 mettendo in scena un prequel della serie manga anni '90 "Crows" (di cui pare esistevano già un paio di OAV).
Con "Kurôzu zero", ovvero "Crows Zero" il Regista torna su un racconto d'Adolescenza violenta, richiamando ad esempio il Dittico "Kishiwada shônen gurentai" (Young Thugs) e soprattutto, per lo scontro tra due fazioni studentesche guidate da due leader carismatici, il semi-sconosciuto direct-to-video "Kenka no hanamichi". Volendo però possiamo trovare altri richiami interni alla Filmografia del Regista di Osaka, come "Blues Harp" per l'importanza scenica data a momenti di concerto, mentre fuori dalle Opere miikeane mi vengono in mente 'parentele' vaghe con "Aoi haru" (Blue Spring) di Toyoda Toshiaki, e forse non è un caso se a questi verrà affidata la regia di "Kurôzu Explode".
Tornando al primo "Crows Zero", pur essendo visibilmente meno 'impegnato' rispetto alle sue Opere migliori Miike dimostra un'altra volta di prendere seriamente il progetto riuscendo a tenere il passo con gli stilemi contemporanei (in particolare dell'Action e del Cinema 'per adolescenti') senza però scadere nella banalità e nella finta spettacolarità da blockbuster, sfruttando con intelligenza tecniche come il rallenty, ottimo nell'amplificare il pathos evitando la tamarraggine tronfia, e il digitale, con brillante ironia in scene come il bowling umano.
Ad impreziosire l'Opera sotto il divertimento 'giovanile' troviamo molteplici spunti di riflessione, molto più profondi di quanto potrebbero sembrare a prima vista: in particolare, la lotta per la supremazia al Suzuran tra Genji e Serizawa supera le logiche di dominio e ambizione (che invece caratterizzano la Yakuza, presente nel Film, al contempo intrecciata e separata dalle vicende dei giovani) per portare a galla le tensioni interiori dei Protagonisti e dei loro Alleati.
Seguono SPOILER!
Questa interpretazione, a parer mio, viene enfatizzata nella straordinaria Battaglia conclusiva sotto la Pioggia (con ombrelli presto buttati via in quanto inutili), eseguita sulle note di "Into the Battlefield" (molto simile a "Kashmire" dei Led Zeppelin) e alternata all''esecuzione' di Ken (l'amico yakuza di Genji colpevole di aver disobbedito all'ordine del suo boss di uccidere il proprio protetto, figlio del leader avversario) e all'operazione di Tokio (amico d'infanzia di Genji ma ora migliore amico di Serizawa). Anche se alla fine entrambi i Personaggi per cui i Protagonisti lottano sopravvivono, l'Idea della Morte aleggia nell'Opera, per poi essere approfondita nel sequel, sempre diretto da Miike.
Interessante vedere come gli adulti vengano tenuti ai margini della narrazione, escludendo quasi totalmente gli insegnanti che, dopo l'inizio della Pellicola (in cui li vediamo terrorizzati dai violenti studenti), non appariranno più nel Film.
Pur non essendo uno dei Capolavori di Miike, "Kurôzu zero" è un signor Cult fondamentale nell'evoluzione stilistica del Regista, come il (primo) intrigante Sequel.

 

 

 

KAMISAMA NO PAZURU
Nel 2008, dopo la serie tv "Kêtai sôsakan 7" e la pièce teatrale "Miike Takashi × Aikawa Shô: Zatôichi" (nessuna delle due da me ancora viste), Miike dirige la versione cinematografica del romanzo "Kamisama no pazuru" di Kimoto Shinji. Ritenendo il libro assai arduo da trasporre sullo schermo e non capendo egli stesso molto di fisica quantistica il Regista, con il ben 'collaudato' sceneggiatore Namakura Masa, sdoppia il protagonista in due gemelli, entrambi interpretati da Ichihara Hayato, 'esiliando' lo studioso di fisica in uno sconclusionato viaggio in India dai risvolti spirituali ed eleggendo come Personaggio principale il suo fratello 'sfigato', chiamato a sostituirlo in università pur non sapendo niente degli argomenti studiati dal consanguineo. Questo, almeno, è quel che ho letto in merito alla genesi pre-produttiva della pellicola.
Inizialmente, alla prima visione, temevo di incorrere in una delusione, sia per la forma 'internettara' del click per introdurre flashback e fantasie, sia per lo spirito da teen romantic drama, sia per i contenuti sospesi tra esaltazione della scienza e buonismo "religioso".
Miike però rivela man mano la sua visione mettendo in scena il tutto con il suo tipico Gusto 'per opposti', teoria filosofica tra l'altro espressa esplicitamente nel Film stesso. Si alternano quindi momenti esistenziali a momenti d'intrattenimento, raffinatezze registiche a trovate squisitamente 'ignoranti', rappresentazione contenuta e 'realistica' ad esagerazioni tanto assurde e inspiegabili quanto straordinariamente efficaci. Di quest'ultimo caso penso, come esempio, all'improvviso allestimento nel finale (SPOILER) di un piccolo show musicale, con tanto di microfono comparso dal Nulla (e potrebbe non essere casuale in un Film dove ci si domanda come possa l'Universo essere nato dal Nulla), sorta di richiamo all'apparizione del bazooka nel Finale di "Dead or Alive" (ma questa volta la Distruzione/Annichilimento del Mondo/dell'Universo viene evitata da questa manipolazione delle leggi del realismo).
Non mancano Riflessioni sulla Morte, sia nella possibilità di annientare l'intero universo sia nel suicidio di un personaggio secondario nell'epilogo, ma non solo.
Sicuramente non ci troviamo di fronte ad una delle Opere migliori e imperdibili dell'Autore, specialmente per certe 'banalità' che emergono da alcune situazioni e da alcuni 'messaggi' individuabili, nonché per alcuni difetti tra cui l'impressione che ci siano diversi buchi di trama. Ciò nonostante, "Kamisama no pazuru" è per me un Film dove la Poetica di Miike si vede e si sente. Personalmente non ne sono rimasto deluso, nemmeno alla seconda visione, e per questo lo consiglierei tutto sommato a chi vuole approfondire aspetti meno noti della Filmografia del Regista.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Yattaman - Il film

  • Fantascienza
  • Giappone
  • durata 119'

Titolo originale Yattâman

Regia di Takashi Miike

Con Sho Sakurai, Sadao Abe, Kyoko Fukada, Saki Fukuda, Shingo Ippongi, Kendô Kobayashi

Yattaman - Il film

YATTÂMAN
Il 2009, dopo "Kamisama no pazuru", si apre per Miike con la trasposizione in live action della serie anime "Yattâman", di cui il film riprende in linea di massima la struttura degli episodi della serie originale (almeno stando alle prime puntate da me viste).
Il risultato è una sorta di grande 'fumettone' dove lo Stile di Miike è sacrificato all'operazione ma comunque, una volta entrati nello Spirito del film, questo riesce a coinvolgere e divertire egregiamente, grazie anche ai numerosi siparietti 'ormonali' disseminati qua e là (molto adolescenziali nell'approccio ma comunque spassosi).
Non si avverte tanto il Tema della Morte assai caro al Regista ma già dall'inizio si mostrano scenari di Distruzione che, pur nella loro 'fumettosità innocua', hanno un sapore alquanto 'brutale', richiamando per certi versi lo scenario con cui si apriva (in flashforward) "Yôkai daisensô".
Non mancano invece i gustosi Eccessi e i continui 'Sbalzi umorali' (cioè i vari mutamenti drastici di Toni e modalità di rappresentazione) tipici della Poetica dell'Autore, e i numerosi rimandi alla serie originale sono assai graditi anche per chi, come me, la conosce poco, proponendo persino delle divertenti prese in giro, come nel cameo dei doppiatori originali ma soprattutto nelle scene di viaggio degli Yattaman (colpiti in continuazione da disagi vari come schizzi d'acqua o colpi di vento).
Le Scenografie sono assolutamente fantasiose, così come i Costumi che giocano anche sulla Finzione (si mostra ad un certo punto come il naso di Boyaki sia finto), le Musiche rimandano alle Colonne sonore originarie con tanto di ripresa delle stesse canzoni arrangiate in chiave più contemporanea, gli Effetti Speciali tradiscono in certi punti una natura digitale ma come sempre Miike riesce a non rendere fastidioso questo aspetto rafforzando l'Irrealismo cartoonesco dell'operazione e il cast funziona assai bene, con quasi tutti gli attori e tutte le attrici alquanto calate nei rispettivi Ruoli, specialmente il Trio Drombo.
Proprio il Terzetto Antagonista propone i Personaggi che, a parer mio, escono meglio a livello caratteriale: Doronjo, Boyaki e Tonzuraa non sono dei veri malvagi ma tre Individui umani pieni di Sentimenti, e i loro Scontri con gli Yattaman non arrivano mai al vero e proprio Odio ma sembrano più dei Giochi tra nemici-amici (come del resto mi è parso accadesse anche negli Anime). Il 'male' alla fin fine è rappresentato dal potere e da chi vuole ottenerlo sfruttando e assoggettando gli Esseri Viventi: ironicamente impressionante l'inglobamento (pare) 'rettale' dell'archeologo da parte di Dokurabei.
Concludendo, "Yattâman" è palesemente uno dei film meno personali dell'Autore di "IZO", ma la sua Classe è sempre molto alta, la sua Mano si nota e alla fine il risultato è un lavoro che punta all'Intrattenimento riuscendoci pienamente grazie al suo Spirito fortemente cartoonesco.
Non imperdibile ma consigliato.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Crows Zero 2

  • Azione
  • Giappone
  • durata 133'

Titolo originale Kurôzu zero II

Regia di Takashi Miike

Con Shun Oguri, Kyôsuke Yabe, Meisa Kuroki, Nobuaki Kaneko, Haruma Miura, Sosuke Takaoka

Crows Zero 2

In streaming su Timvision

KURÔZU ZERO II
A due anni di distanza da "Crows Zero", Miike Takashi ne dirige il sequel, sempre scritto da Mutô Sgôgo.
L'apertura degli scontri da una dimensione interna alla Suzuran ad una esterna coinvolgendo un'altra scuola da un lato amplia lo Scenario allargandolo ad una prospettiva più estesa ma, dall'altra, rischia in certi punti di rendere meno coinvolgente il discorso, e il ridimensionamento di alcuni personaggi potrebbe allontanare ulteriormente questo coinvolgimento. Questi dubbi comunque non danneggiano la Qualità del Film ma, anzi, per assurdo potrebbero valorizzarne la Forza.
Intrigante l'Atmosfera quasi 'decadente' del Film, dove tanto il vincitore Genji, ossessionato dalla volontà di sconfiggere a tutti i costi l'ultimissimo studente 'esule' dal suo dominio, quanto lo sconfitto Serizawa si presentano come privi di un orizzonte etico a cui ambire.
A drammatizzare ulteriormente il tutto troviamo una radicalizzazione della Violenza: fin da subito, in un flashback, assistiamo ad un'uccisione, movente principale dell'astio tra le due scuole. La 'guerra tra scuole' si fa sempre meno 'gioco perché non è più una questione semplicemente di lotta per il 'potere' ma volontà di Vendetta e forse anche scontro tra valori.
Tutte le diverse tensioni interne provocano quasi una 'staticità' nella prima parte del Film: non c'è un continuo sommovimento diretto verso una conquista di qualcosa, c'è praticamente solo l'Attesa degli attacchi della scuola avversaria. La situazione (SPOILER) si sblocca con l'incendio alla Suzuran, provocato da un ex-studente che cerca di passare dall'altra parte ma invano. Qui parte quindi lo Scontro tra le due scuole con tanto di compattamento del Suruzan, proponendo una scalata verso il tetto della scuola nemica che a me in parte ha ricordato "Serbuan maut" (The Raid).
La conclusione, seppur vittoriosa, è macchiata dalla consapevolezza della fine della Suzuran come era allora: l'ultimo scontro con la 'testa dura' della scuola è, praticamente, un addio da parte di Genji, ma il discorso non è ancora chiuso e il Duello Finale viene bloccato come nel Film precedente, spalancando la Porta all'ultimo capitolo della Trilogia, che però non sarà diretto da Miike.
Miike dimostra ancora una volta di essere un Regista di altissimo Livello tecnico, anche con operazioni meno personali, e anche se di Eccessi Grotteschi non ce ne sono molti e nemmeno di grossi 'sbalzi emotivi', troviamo lo stesso il suo Stile volto a contaminare e mescolare Toni e Atmosfere differenti. Non manca la Poetica fondamentale della Morte e del rapporto problematico e solitario che ogni Individuo stringe con essa.
Chiudendo, "Crows Zero II" è un degnissimo sequel di "Crows Zero", forse meno 'nuovo' ma per certi versi proprio per questo assai efficace, visto che comunque si vanno a riprendere gli elementi Migliori dell'Opera precedente, dalla Dimensione Corale alla riproposizione dei vari Temi Musicali, con Titoli di Testa praticamente identici.
Un altro Cult, per me.

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