Ce l'abbiamo fatta!! Abbiamo sopportato stoicamente l'uso delle mascherine per un paio d'ore, giusto il tempo per mettersi in fila e guardare i film che tanto amiamo. Ma è stato questo gran sacrificio? Non eravamo incatenati ad una galera e tantomeno nelle viscere della terra ad estrarre minerali. Questa Mostra che molti considerano il primo grande festival post Covid 19 e che io considero piuttosto come il primo grande festival dell'era citata ci ha abituato a misurarci con le nuove necessità richieste dai tempi. In fondo era stato così nel 2002 quando d'un tratto gli allora presenti dovettero fare i conti con l'inasprimento, senza precedenti, delle misure di sicurezza richieste dagli attentati a New York e Washington dell'11 settembre 2001. Non andò diversamente nel 2016 quando furono adottati moduli jersey e muretti per evitare attacchi terroristici perpretati utilizzando mezzi pesanti sull'onda della strage di Nizza avvenuta pochi giorni prima dell'inizio della Mostra. Un po' come le accise straordinarie sui carburanti che ci siamo abituati a pagare, anche se nel frattempo erano finite le emergenze, ci siamo "educati", senza tanti patemi, ad indossare mascherine e disinfettare le mani, un po' meno a mantenere le distanze. Le novità introdotte dall'alto hanno aiutato ad evitare assembramenti e contatti. Via le biglietterie, prenotazioni on-line, posti alternati in sala, red carpet per le televisioni e i fotografi. Meno film, meno casini, qualche processo da rodare, per l'appunto, ma tutto sommato un'esperienza piú che positiva. Le pronatazioni on-line rappresentano sicuramente la novità maggiore ed è impossibile pensare che non abbia un futuro indipendentemente dalle emergenze sanitarie. Stendiamo un velo pietoso sulla maleducazione di molti che prenotavano i posti e poi restavano fuori. Una nota dolente, come sempre, l'educazione. Nell'anno della mela ho iniziato la Mostra con il film "Apples" in odore di Lanthimos e di nuovo cinema greco. A quanto pare il detto che una mela al giorno toglie il medico di torno è vera. Il protagonista ne va matto e la regolare assunzione del frutto gli stimola le sinapsi neuronali. "The wasteland" dell'iraniano Ahmad Bahrami è l'ennesimo esempio dell'eccellenza cinematografica del paese. Bahrami fotografa la realtà stratificata e polverosa della nazione sciita. "Amants" di Nicole Garcia, unico film francese a rischiare l'uscita autunnale, è un dramma passionale, un menage a trois ed anche una presa di coscienza (tardiva). La visione di "Tengo miedo torero" mi costringe ad un giretto notturno fino ai margini della Mostra. Per moltiplicare i posti la Biennale si fa prestare le salette del Cinema Astra a Santa Maria Elisabetta. Nella microsala erano più le persone di lingua spagnola che gli italiani. Un grande Alfredo Castro fa passare in secondo piano l'ora del ritorno e le poche ore di sonno della notte. Viaggetto meritato. "Quo vadis, Aida?" della bosniaca Jasmila Zbanic è una sobria rappresentazione della carneficina consumata a Srebrenica. Un colpo allo stomaco per una pagina di storia recente non ancora assorbita e già dimenticata. Ma prima di questo mi gusto il lungo corto di Pedro Almodovar. La donna sull'orlo di una crisi di nervi è Tilda Swinton, primo Leone dalla rassegna, che brandisce la mannaia in "Human voice". Tornano le mele in "Pieces of a woman". Vanessa Kirby ne sente il profumo e ne ripone i semi a germogliare in frigorifero mentre la sua vita cade a pezzi. Se ho snobato gli italiani, che spero di vedere in sala prossimamente, non ho potuto fare a meno di "Miss Marx" in lingua inglese. Romola Garai con la sigaretta è in cantevole. Mi sono innamorato delle sue labbra o di quelle della combattiva, anticonvenzionale e malinconica Eleonor. Come spesso succede dopo tanti drammoni un film spensierato spezza la monotonia. "Gaza mon amour" arriva dalla Palestina con un carico di leggerezza e poesia che si libra nell'aria tra le esplosioni della Striscia. Un po' come "Tel Aviv on Fire" qualche anno fa. Non c'è velo che possa coprire il fascino di Hiam Abbass coprotagonista del film dei Nasser Brothers. In una scuola per ragazzini di strada, "I figli del sole" di Majid Majidi combattono per non affogare nelle fogne della città dove scorre l'indifferenza degli adulti. Il piccolo protagonista buca lo schermo con gli occhi chiari incastonati tra le lenteggini ma il film è più convenzionale rispetto a quello di Bahrami. "The world to come" della norvegese Mona Fastvold è un dramma saffico nell'America campestre del XIX secolo. Il maschio e la natura rendono la vita impossibile alle donne. Emozionante. Ed ecco l'oggetto più strano del concorso. Pare che dal 2025 non nevicherà più in Europa. Il duo Szumowska-Englert non sembra avallare l'opinione generale e manda uno "spirito della foresta" a compiere il miracolo in "Non ci sarà mai più la neve". Una nuova giornata si apre tuonando "Cari compagni". Il nuovo bianco e nero del maestro Konchalovsky restituisce luce su un pezzo di storia sepolto nella censura sovietica. Siamo nel 1962 e già pare iniziata la parabola discendente del socialismo reale. Giornata di pioggia, spiaggia impraticabile, butto lì un titolo imprevisto. La scelta ricade su "Zanka Contact". Ambarabà cici Cocò... Un'imprevedibile sorpresa rock. Vorrei partire per Casablanca ma devo prima fare tappa in un localino sotto il Monte Carmelo. "Laila in Haifa" mi aspetta in una galleria d'arte che sembra più lo studio di uno psicologo. Amos Gitai mi piace una volta sì, una volta no. Stavolta è quella no. E siamo arrivati al secondo Leone alla Carriera. Anne Hui approda al Lido con una storia poco edificante di virtù rubate e amori non corrisposti. Elegante ed amaro "Love After Love" nella Hong Kong degli anni Quaranta. Dal Messico approda in Orizzonti la "Selva tragica" di Yulene Olaizola. Una metafora maya sull'uomo che distrugge se stesso per avidità nella natura virginale della giungla. Affascinante. "Wife of a spy" del giapponese Kurosawa sembra la risposta nipponica al film di Lou Ye passato in concorso lo scorso anno. Una spy story revisionista negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Torna Uberto Pasolini andando ad arricchire una densa sezione di Orizzonti con il bellissimo "Nowhere special" James Norton getta bibbia e collettto e si riempie di tatuaggi. Le rondini sul collo lo aiutano a volare via dal dolore mentre il piccolo Daniel Lamont conquista il Lido con la sua innocenza. L'ultimo giovedì veneziano inizia all'insegna del "Nuevo orden". Nel Messico distopico di Michel Franco i poveri si ribellano e cercano di abbattere l'ordine costituito. Intensa e terribile descrizione di un America Latina sempre uguale a se stessa. Recupero "Le sorelle Macaluso" che avrei potuto vedere nelle sale a breve. Una bella sorpresa. Emma Dante in regia ci sa fare. Il film mi è piaciuto. È l'11 settembre. Giornata di memoria. Gli americani sembrano averla persa. Il "Furore" di Steinbeck in chiave moderna lo restituisce Chloé Zhao nell'attesissimo "Nomadland" che, indubbiamente, non tradisce le attese. Lav Diaz ha i suoi tempi. Lo sapevo e non posso recriminare sulla lunghezza. Grandi dormite intorno a me. Soddisfatto a metà per "Lahi, hayop". Il tedesco "Und Morgen die gantze Welt" farà discutere ed è giusto sia così quando si parla di fascismo ed estremismi, di cui la Germania è satura.. È sabato e la Mostra finisce. Ho il tempo per l'ultimo bagno e l'ultimo film ovvero "In between dying". Dove c'è Rayagadas non c'è nulla di scontato. Qui produce e sponsorizza una metafora sulla condizione della donna in Azerbaijan e del percorso che porta all'amore. Poetico e criptico. Dei premi ne leggerete abbastanza nei prossimi giorni. Per chi era in sala, durante la serata di chiusura, ed ha visto all'inizio della cerimonia una serie di fotografie scattate dalla Biennale probabilmente avrà visto un bambino in compagnia di un cane poliziotto. Il leoncino del futuro con la maglietta blue che accarezzava il labrador era il mio. Ultima chicca della Mostra nr. 77.
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