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Miike Takashi (三池 崇史) - Parte I: Gli anni '90
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Miike Takashi (三池 崇史) - Parte I: Gli anni '90

Finalmente è giunto per me il momento di parlare di uno degli Autori che amo di più in assoluto, probabilmente il mio Regista preferito tra tutti e tutte: Miike Takashi, infatti, compie oggi 60 anni! Devo ammettere, con vergogna, che nonostante quest'anno abbia trascurato altri Autori, anche importanti e a me cari, per preparare questa retrospettiva, e nonostante abbia fatto partire con largo anticipo la mia "maratona" scremandola da diversi titoli non cinematografici (soprattutto degli esordi), non sono riuscito a completare bene il lavoro sui vari film. Però, considerata la mole immensa di Opere realizzate in soli trent'anni di carriera da parte del prolifico Autore giapponese (contando solo i lungometraggi cinematografici approdiamo a quota 60), ho pensato potesse avere senso dividere questo omaggio alla Filmografia in tre "puntate", suddividendo i suoi lavori per decennio. Rispetto ai progetti di playlist "rimandati", in questo caso intendo seriamente completare in tempi brevi questa impresa, possibilmente con delle uscite "settimanali". Comunque, inizierei questo "viaggio" con una presentazione generale del Cinema di Miike Takashi e dei caratteri principali della sua Poetica, per inquadrare poi le sue singole Opere evitando troppe ripetizioni concettuali (che comunque molto probabilmente ci saranno), approfondendo poi in ogni "numero" di questa "trilogia retrospettiva" con delle osservazioni specifiche sulle singole decadi. Dopo le introduzioni, ovviamente, analizzerò i singoli Film del Cineasta con delle riflessioni di media lunghezza ottenute, in buona parte, dalla rielaborazione di appunti, riflessioni e recensioni varie da me accumulate di visione in visione. Ho trovato molto utile negli ultimi mesi la lettura di diversi articoli e recensioni varie, molti scovati in questo stesso sito, altri su piattaforme come Asianfeast e Asianmoviepulse (valido quest'ultimo soprattutto per recepire informazioni sui dietro le quinte) e altri ancora leggendo la raccolta di saggi "Anime perdute", a cura di Dario Tomasi (mi mancano ancora 4-5 contributi): avrei voluto studiare direttamente anche "Agitator" e "Re-Agitator" di Tom Mes, il critico più citato quando si parla di Miike, ma purtroppo non ce l'ho fatta. Mi sarebbe piaciuto recuperare anche l'Autobiografia del Regista ("Kantoku chūdoku Miike Takashi"), ma pare esista soltanto in giapponese.
La scelta dei Titoli, come accennato in qualche parentesi, si focalizzerà sui lungometraggi cinematografici prendendo Imdb come indice di riferimento (anche per l'ordine di uscita): per i vari lavori televisivi e, soprattutto, direct-to-video (praticamente esclusivi nei primi 5 anni della carriera registica di Miike) proporrò degli accenni veloci, magari con qualche commento più approfondito per i Titoli (a mio avviso) più interessanti, ovviamente tra quelli da me visti (una decina circa tra direct-to-video degli esordi, film tv e miniserie varie ancora mi mancano purtroppo). Però forse è meglio chiudere qui questa dichiarazione programmatica e iniziare a parlare dell'Autore in sé.

 

A volte definito «il Tarantino d'Oriente», specialmente in materiale promozionale, per me il paragone artistico più azzeccato per Miike Takashi sarebbe con Lucio Fulci, con il quale condivide, oltre ad un'estrema prolificità (più marcata nell'Autore nipponico) e alla violenza estrema con cui vengono associate le rispettive Filmografie, una considerazione per certi versi "artigianale" del proprio mestiere di Regista, un Gusto per la Contaminazione tra i vari Generi, una profonda Auto-Ironia e un interesse riflessivo per il Tema della Morte, rappresentata non solo dall'Intrattenimento Gore ma anche da una profonda Drammaticità. Però identificare un Cineasta X come "il nuovo Cineasta Y", per quanto potenzialmente interessante per trovare "affinità e divergenze", rischia di banalizzare le Poetiche di entrambi creando una poco piacevole "gerarchia" tra "vecchio" e "nuovo", quindi mettiamo Fulci da parte e concentriamoci su Miike.
Oltre ai già citati aspetti in comune con il Terrorista dei Generi, il Cinema Miikeano è caratterizzato da una predilezione per Personaggi "reietti", perché rigettati dalla società, ostili ai codici imposti (tradizionalmente), relegati ai margini del sistema, non di rado "sradicati" dai propri luoghi di origine o addirittura senza una vera origine unitaria. Diversi Film di Miike, soprattutto a cavallo tra gli anni '90 e '00, sono popolati da Individui multietnici, immigrati o figli di immigrati, zanryu koji (ovvero persone figlie di ex-coloni giapponesi sparsi nell'Asia poi ritornati in Giappone) e a volte giapponesi in terra straniera. Questo multiculturalismo, che non mi pare così sdoganato nel Cinema (più o meno mainstream) giapponese, per diverse persone estimatrici e/o studiose dell'Autore (e io tendo a concordare con loro) pare nascere dalle sue stesse origini, in quanto figlio di un giapponese nato a Seoul e cresciuto in una zona di Osaka ad alta densità migratoria, oltre ad aver lavorato (durante la scuola di cinema) come barista in un locale di Yokohama frequentato da soldati americani.
Il crocevia di culture ed etnie che è il mondo raccontato nelle Opere di Miike non può non tradursi, in diverse occasioni, in un intreccio di lingue, dal giapponese al mandarino (e svariati dialetti cinesi) passando per l'inglese, il portoghese, il filippino e così via.
Più che con le lingue parlate, però, è con i volti e soprattutto con le azioni fisiche che i Personaggi Miikeani comunicano: in questo senso vanno interpretate la forte presenza di Violenza e Sesso, non di rado mescolati tra loro, per i quali l'Autore è principalmente noto. Come si vede, però, queste sono conseguenze dei mondi narrati nei Film di Miike e non le cause. Il Sesso e la Violenza esprimono la Corporalità dell'Essere Umano, inscindibile dalla sua sfera psicologica e al contempo strettamente collegato con la sua collocazione sociale e relazionale.
Il Sesso in Miike può essere brutale o dolce, castrato o esasperato, "normalizzato" o svincolato da ogni limite: in ogni caso crea dei rapporti tra i vari personaggi, o instaurando delle gerarchie (soprattutto quando è violento) o sancendo complicità. Importanti sono le "effrazioni" rispetto ai tradizionali codici dell'eteronormatività: l'omosessualità (esplicita o latente), la transessualità ("Gozu"), le relazioni multiple ("Ley Lines"), il sadomasochismo ("Koroshiya Ichi"), il ribaltamento del patriarcato ("Audition" e "Bijitâ Q") eccetera, si trovano nei Film di Miike con una certa frequenza, a volte con toni normalizzati e altre volte in conflitto più o meno aperto con la società. In questo senso per me vanno interpretate, tranne alcune eccezioni tra i lavori più alimentari del Cineasta, le violenze, gli stupri e le molestie subite dalle donne, per il quale l'Autore viene di tanto in tanto accusato di misoginia: al di là della miopia di questa imputazione, ferma ad una visione superficiale delle opere filmiche, gli abusi subiti dai Personaggi femminili nel Cinema di Miike a parer mio intendono sì provocare l'Individuo Spettatore ma non per eccitarne i lati perversi (soprattutto se maschi) ma bensì per sbattere in faccia gli aspetti maschilisti in cui la società (giapponese ma anche "occidentale") ci ha allevati.
La Violenza, invece, anche nei momenti in cui è trattata con tonalità ironiche e cartoonesche, non è mai esibita con compiacimento para-snuff (tant'è che in realtà il Regista si affida al fuori campo e al non visto in dosi molto superiori rispetto a quanto parrebbe a prima vista) ma trasuda sempre Sofferenza e non si nasconde la consequenzialità tra un atto di forza e l'altro. Lo Scontro fisico però è visto anche come un qualcosa di naturale e, in certe occasioni, potenzialmente liberatorio, purché non si lasci trascinare da logiche di potere e da un ciclo di Vendetta inutile.
Il fine dei Personaggi, e in particolare dei Protagonisti, della Filmografia di Miike però è un desiderio di riscatto e/o di redenzione, la ricerca di una Felicità che in molti casi (non tutti) si rivela illusoria e impossibile, ma non per questo quando si ha la possibilità di assaporarla essa perde il suo carico di dolcezza, e questo anche quando l'esito tragico delle vicende narrate è già noto.
Un altro Tema fondamentale del Cinema di Miike è la contrapposizione e fusione di caratteri opposti, motivo che ben si delinea nello Stile dell'Autore, il quale alterna e mescola tonalità alquanto diverse, passando dalla Frenesia alla Staticità, dal Rumore al Silenzio, dal Grottesco al Dramma, dal Kitsch alla Poesia e così via.
Il Montaggio (fino al 2008 curato prevalentemente da Yasushi Shimamura, poi da Kenji Yamashita) passa con disinvoltura da sequenze in cui si alternano numerose scene in pochi minuti a momenti quasi totalmente privi di stacchi; inoltre è difficile, se non quasi impossibile, trovare una pellicola di Miike totalmente lineare, priva di flashback o flashforward, nemmeno in lavori più "convenzionali".
Interessante, sul piano fotografico, è l'abbondante utilizzo della macchina a spalla, che conferisce alle Pellicole un tocco para-documentaristico senza però mai piegarsi ad un naturalismo piatto e snob. Ho notato anche una frequente scelta di riprese, soprattutto in interni, in cui la mdp viene posizionata dietro a elementi "d'impallo", ad esempio stando al di fuori delle stanze in cui avviene l'azione e/o riprendendola da dietro un muro: l'effetto è, per l'Individuo Spettatore, di spiare "in diretta" le scene, rafforzando il coinvolgimento emotivo (disagio incluso), ed è una tecnica che sto amando sempre di più col passare del tempo.
Ci sono numerosissimi altri elementi importanti della Poetica e dello Stile di Miike (gli schizzi sugli obiettivi, l'Infanzia), sul suo metodo di lavoro frenetico (molto più ridotto negli ultimi anni) e sulla scelta di non scrivere quasi mai direttamente le sceneggiature dei propri film senza però seguire pari passo gli script di partenza usandoli più che altro come fonte d'ispirazione. Sarebbe inoltre interessante osservare i frequenti collaboratori di cui si circonda, dal Cast alla Troupe, in particolare nelle Colonne Sonore del fidatissimo Kôji Endô. Però credo sia meglio chiudere intanto qui e lasciare il posto alle considerazioni sulle varie fasi "decennali" dell'Autore e soprattutto alle singole opere, di cui alcune potrei in futuro proporre delle riflessioni ampliate.

 

 

Prima di parlare del primo decennio della carriera registica di Miike penso sia utile analizzare brevemente il suo percorso precedente.
Riportando molto brevemente alcuni cenni biografici (ripresi da "Anime perdute"), Takashi Miike nasce a Yao, nei pressi di Osaka, da un padre saldatore e madre sarta; da giovane passa molto tempo giocando a pachinko e andando in moto con gli amici, molti dei quali morirono in vari incidenti. Non volendo un lavoro a tempo pieno (la "pigrizia" è stata dal Regista paradossalmente indicata come motivo principale della sua prolificità), si iscrive alla Yokohama Eiga Senmon Gakkō (una scuola di Cinema) perché non prevedeva nessun esame di ammissione. Stando alle dichiarazioni di Miike, egli non si sarebbe quasi mai presentato a lezione lavorando in un locale frequentato da soldati americani, ma il secondo anno approfitta della possibilità fornita dalla scuola di lavorare come assistente volontario per una serie televisiva e da lì in poi si inserisce stabilmente nel mondo del Cinema. Negli anni successivi svolge diversi ruoli, soprattutto come assistente alla regia, per autori vari, tra cui il direttore della sua scuola Imamura Shôhei: tra alti e bassi impara diversi aspetti del mestiere finché nei primi anni '90 non ottiene la possibilità di lavorare come regista per il cosiddetto V-Cinema, ovvero quelle produzioni direct-to-video che, durante la bubble economy, iniziano a spopolare grazie alla possibilità degli studio di guadagnare facilmente spendendo molto poco e senza doversi quindi preoccupare delle scelte artistiche prese dai singoli registi, elemento questo molto utile nel favorire la libertà creativa poiché la limitatezza dei budget non mette particolarmente a rischio il risultato economico (con parecchi milioni invece è difficile che qualche studio abbia voglia di lanciarsi in esperimenti stilistici più o meno azzardati). Sui primi cinque anni circa di esperienza registica nel mercato home video parlerò poi più approfonditamente.
Nel 1995 invece avviene per Miike il debutto nelle sale cinematografiche: lui stesso non ricorda se sia stato distribuito prima "Daisan no gokudô" (The Third Yakuza, segnato come "video" su Imdb e da me ancora non visto causa mancata riuscita nel reperirlo) o "Shinjuku kuroshakai: Chaina mafia sensô". Comunque è quest'ultimo che lo porta gradualmente a farsi conoscere e apprezzare come Autore e da qui in poi un numero sempre maggiore di suoi lavori entra nelle sale, portando Miike a farsi notare anche fuori dal Giappone sperimentando vari generi. In questa fase "di maturazione" realizza la Kuroshakai Sanbusaku (Black Society Trilogy), il Dittico "Kishiwada shônen gurentai" (Young Thugs) e altre Opere 'delicate' come "Chûgoku no chôjin" (The Bird People in China) o "Blues Harp", aprendo inoltre l'altra sua importante Trilogia (Dead or Alive) e influenzando notevolmente l'Horror con "Ôdishon", tra i suoi Film forse più celebri e apprezzati e probabilmente l'"amo" con il quale l'individuo cinefilo (in particolare horrorofilo) viene trascinato nel Cinema di Miike.
Anche se la fase più intrigante e artisticamente ricca nella Filmografia dell'Autore è, per me, quella immediatamente successiva (in particolare tra il 2000 e il 2004 con guizzi importanti nel biennio 2006-2007), dal 1995 al 1999 Miike consolida e matura la sua Poetica, consolidando i caratteri peculiari già sperimentati durante la fase prettamente direct-to-video e continuando ad approfittare della fondamentale libertà creativa garantita dalla relativa ristrettezza economica di budget.
Ma andiamo ora ad analizzare i vari film.

 

Attenzione: potrebbero esserci SPOILER!

 

 

 

 

Playlist film

Bodyguard Kiba

  • Azione
  • Giappone
  • durata 93'

Titolo originale Bodigaado Kiba

Regia di Takashi Miike

Con Hisao Maki, Masaru Matsuda, Daisuke Nagakura, Ren Osugi, Megumi Sakita, Shinobu Tanaka

Bodyguard Kiba

Anche se il primo lavoro girato da Miike è stato "Redi hantaa: Koroshi no pureryuudo" (Lady Hunter: Prelude to Murder), il primo ad essere distribuito è "Toppuu! Minipato tai - Aikyacchi Jankushon" (Eyecatch Junction), commedia poliziesca di medio(-basso) livello pieno di 'giapponesate standard' con qualche strizzata d'occhio sexy (anche se Miike, a differenza di altri Registi suoi "coetanei", non ha mai diretto pinku-eiga, ovvero film erotici soft). Artisticamente mediocre (l'Autore non pensava seriamente di poter far carriera come regista), il film ha comunque qualche elemento di interesse, soprattutto nell'aggiunta di una sottotraccia serio-drammatica (con il tema della prostituzione sfruttata dalla yakuza) all'interno di una struttura altrimenti convenzionalmente comica.

 

Come accennato, il primo film diretto dal Regista è stato 'Lady Hunter: Prelude to Murder', che per qualche ragione ero convinto nascesse come pilot per una serie tv ma quasi sicuramente mi confondevo con il successivo "Silver - shirubaa". Il film, comunque, per quel che ricordo sembra quasi un episodio lungo di un qualche serial, soprattutto per la patina televisiva data dai mezzi risicati; è difficile inoltre riconoscere la Mano di Miike, la scelta di una protagonista donna è portata avanti con modalità tradizionali e la noia in diversi punti si fa sentire. Ci sono però alcuni momenti in cui si possono vedere squarci della Poetica dell'Autore, in particolare nel Finale violento e tragico. Come il coetaneo 'Eyecatch Junction', anche questo film è sostanzialmente evitabile, ma se si ama Miike e si desidera approfondire a 360° la sua Filmografia direi che una visione è praticamente obbligatoria.

 

Nel 1992 Miike inizia una delle sue collaborazioni più durature, ovvero quella con il mangaka/sceneggiatore/allenatore di arti marziali Hideo Maki, fratello di Ikki Kajiwara, un altro celebre mangaka. Purtroppo la coppia Miike & Maki (il Regista tra l'altro si iscrisse in futuro alla palestra di karate dello sceneggiatore) non è praticamente mai garanzia di qualità, tra storie piuttosto convenzionali e banali e una messa in scena spesso piattina. "Ningen kyôki: Ai to ikari no ringu" (A Human Murder Weapon), inizio di questa collaborazione, non fa eccezione (anche se, per onestà intellettuale, devo dichiarare di aver visto la pellicola senza sottotitoli, non avendone trovato alcuno): tratto da un fumetto di Kajiwara e Nobuo Nakano, il film è sostanzialmente una sequela di incontri di lotta in diverse occasioni con generi misti. Riesce a divertire (in questo forse aiutato, per quanto possa sembrare assurdo, dalla mancata comprensione dei dialoghi), ma poi si lascia facilmente dimenticare.

 

Dopo un film televisivo, "Rasuto ran: Ai to uragiri no hyaku-oku en - shissô Feraari 250 GTO", che ancora debbo vedere, nel 1993 Miike collabora nuovamente con Maki, trasponendo ancora una volta un manga del fratello (scritto insieme a Ken Nakagusuku) già portato in modo convincente sul grande schermo negli anni '70 da Tatsuichi Takamori con protagonista Sonny Chiba. La trama del film di Miike è piuttosto differente rispetto a quella del film di Takamori, ma la sostanza resta più o meno similare: il karateka Kiba presta la sua arte di combattimento come guardia del corpo, la clientela è invischiata in loschi affari e ciò costringe Kiba a scontarsi contro alcuni yakuza, nel mentre il bodyguard approfondisce la conoscenza di chi l'ha assunto scoprendo determinate sfumature umane, nel finale c'è qualcosa di drammatico. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad action movies d'intrattenimento e i registi prestano la loro capacità tecnica alla riuscita dell'operazione. Concentrandoci sul film del '93, Miike continua a dimostrare una forte acerbità nello Stile e nella Poetica in favore di logiche più di consumo. Però, rispetto ai lavori precedenti e ad altre collaborazioni con Maki, qui la qualità è sensibilmente migliore e si inizia a costruire maggiormente quello che sarà il suo Gusto e la sua Visione Artistica, dalla fotografia sporca all'intelligente sfruttamento dei pochi mezzi a disposizione, iniziando anche a proporre Tematiche come la yakuza, la droga e il sesso (incluso lo stupro), mostrando anche Personaggi Femminili molto forti e solo apparentemente 'secondari'. Quindi, pur non essendo un capolavoro, questo 'Bodigaado Kiba' è un prodotto piuttosto godibile che potrà risultare più che interessante per gli estimatori e le estimatrici di Takashi Miike, e onestamente non capisco perché non l'abbia inserito nella mia maratona di revisioni.

 

Sempre nel '93 esce il dittico "Oretachi wa tenshi ja nai", di cui non son riuscito a vedere niente, mentre nel '94 Miike realizza "Shinjuku autoroo" (Shinjuku Outlaw) e il primo sequel di "Bodigaado Kiba". Il primo dei due film è un altro titolo che rimpiango di aver saltato nelle mie revisioni, visto che nei miei appunti successivi alla prima visione lo valuto come il migliore tra i film diretti da Miike fino ad allora, nonostante la permanenza di un'acerbità stilistica. Già troviamo diversi elementi che caratterizzeranno la successiva Poetica del Geniale Regista giapponese, dal Tema della Rinascita alla visione 'documentaristica' della Violenza, con alcuni momenti che sembrano anticipare il Primo Capitolo della Trilogia di "Dead or Alive".

 

Il secondo invece, "Bodigaado Kiba: Shura no mokushiroku" (Bodyguard Kiba: Apocalypse of Carnage), è importante perché è il primo lavoro di Miike girato fuori dal Giappone, nello specifico a Taiwan, affidandosi alla troupe del produttore locale Chang Hwa-Kun. Rispetto al predecessore questo primo sequel di "Bodigaado Kiba" è un filmettino molto minore che a volte sembra più lungo dell'effettiva durata (soltanto un'oretta circa), ma qua e là aveva dei punti d'interesse e nel complesso mi ha intrattenuto, pur non restandomi molto impresso nella memoria.

 

Nel 1995 esce il primo "Daisan no gokudô" (The Third Gangster), a quanto pare il primissimo film di Miike ad avere una distribuzione in sala (limitatissima): purtroppo ad oggi non son riuscito ancora a recuperarlo, spesso confuso con il primo sequel e arduo da trovare pure in dvd (nella ricerca vengo subissato dai molteplici seguiti). In ogni caso l'internet movie database lo considera "[direct-to-]video" e su FilmTV manca una scheda relativa, quindi, seppure a malincuore, passiamo oltre, sorpassando anche "Bodigaado Kiba: Shura no mokushiroku 2" (Bodyguard Kiba: Apocalypse of Carnage 2), secondo sequel di "Bodigaado Kiba" (o seconda parte del primo sequel?) che ancora debbo vedere.

 

Chiudiamo quindi questa prima carrellata di lavori "non cinematografici" di Miike con "Naniwa yuukyôden" (Osaka Tough Guys), trasposizione di un manga di Dôkuman. A differenza di "Bodigaado Kiba" e "Shinjuku Outlaw", che col senno di poi avrei voluto inserire nelle mie revisioni, questo film invece è entrato (anzi, ha aperto) questa maratona per essere significativamente da me ridimensionato. Stilisticamente l'Autore propone un'estetica già squisitamente esagerata dipingendo la yakuza in modo grottesco e demenziale, demitizzandone i membri e i riti facendoli passare come dei perfetti sfigati e deficienti. Purtroppo, però, oltre ad un mancato riscatto della povertà di mezzi, ci sono caratteri che indeboliscono notevolmente il film. Innanzitutto non si può perdonare tanto facilmente l'uso comico dello stupro in diverse scene con Daimon, e il fatto che a Keiko, perché amata da uno dei protagonisti, venga risparmiata da questa sorte per certi versi aggrava la situazione. La stupidità, inoltre, è troppo scema e non bilanciata da un'attenzione per temi drammatici come la Morte, qui sostanzialmente assente.
Comunque per Miike è pronto il terreno per il "primo" vero e proprio debutto cinematografico, con il quale inaugura anche una delle sue Trilogie più importanti.

Rilevanza: 1. Per te? No

Shinjuku Triad Society

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 100'

Titolo originale Shinjuku kuroshakai: Chaina mafia sensô

Regia di Takashi Miike

Con Takeshi Caesar, Yukie Itou, Kyosuke Izutsu, Ren Oosugi, Kippei Shiina

Shinjuku Triad Society

SHINJUKU KUROSHAKAI: CHAINA MAFIA SENSÔ
Oltre a segnare definitivamente l'approdo di Miike al Cinema, 'Shinjuku Triad Society' apre la Kuroshakai Sanbusaku, ovvero la Black Society Trilogy: come la successiva Trilogia di "Dead or Alive", anche qui ci troviamo di fronte non ad una consequenzialità narrativa ma, oltre alla permanenza di Tomorowo Taguchi nel cast principale di tutti e tre i film, ad una ideale linea tematica, mettendo in scena storie di individui lontani dal paese d'origine e legati con le Triadi cinesi e/o la Yakuza giapponese.
In "Shinjuku kuroshakai: Chaina Mafia Sensô" (letteralmente 'Shinjuku Black Society [o Underworld]: China Mafia War') seguiamo le vicende di Kiriya, poliziotto dai metodi controversi e figlio di zanryu koji, impegnato in indagini che coinvolgono tensioni tra la Yakuza del quartiere di Tokyo Shinjuku e la gang in ascesa dell'Artiglio del Drago guidata dall'efferato taiwanese Wang, il quale spesso prova a lavarsi le mani da del sangue che, poi, rivelerà essere quello del padre (quindi un'allucinazione che richiama Lady Macbeth). Il coinvolgimento di Kiriya si fa più caparbio quando scopre che il fratello Yoshihito lavora come avvocato per Wang, spingendo lo sbirro ad indagare con maggiore intensità nella vita e negli affari del gangster fino ad essere venduto a questo dalla Yakuza.
Il Tema dell'Immigrazione e della discriminazione, che affiora in diversi dialoghi, si lega alla Criminalità organizzata, privata di qualsiasi aurea mitica. I gangster miikeani vogliono essere 'leggendari' e affascinanti figure epiche portatrici di valori tradizionali e onorevoli, ma si rivelano individui spietati e disgustosi, evidenziando la ridicola contraddizione con le proprie pretese.
Importante in questo senso l'uso spregiudicato della Sessualità che, a differenza dei più canonici Yakuza-eiga, da Miike viene esplicitata massicciamente, associata spesso alla violenza (anche con sfumature scorrettamente ironiche) e allo sfruttamento (non credo ci siano scene erotiche consensuali al di fuori della prostituzione). In particolare la Sessualità è declinata fin da subito in chiave omosessuale, con apertura sul corpo nudo di Zhou, narratore del Film, steso su un letto. L'attenzione per l'omosessualità, oltre a 'smitizzare' ulteriormente la criminalità organizzata sporcandone la conservatrice morale etero-virile, costituisce uno dei primi fondamentali tasselli nelle riflessioni su orientamento sessuale e identità di Genere nel Cinema di Miike.
A tal proposito, lo stesso protagonista è ambiguo nella propria sessualità, tant'è che non sembra mai particolarmente favorevole ad avere rapporti sessuali con la prostituta ricorrente nella narrazione, picchiandola con una sedia durante l'interrogatorio iniziale (dove lei gli chiede di scoparla in cambio di informazioni) e sodomizzandola in hotel (a detta sua perché non vuole passare dove è stato uno yakuza).
Chiudo bruscamente le riflessioni con alcuni rapidi appunti sullo Stile, dall'intro in medias res che condensa rapidamente diverse azioni sostenuto da Musiche incalzanti (tecnica ripetuta e migliorata nelle opere successive dell'Autore) all'alternanza di momenti concitati e sequenze tranquille, dall'uso ampio di macchine a spalla alle numerose riprese fisse, e così via.
Un Gioiellino che spalanca le porte alla Carriera di Miike Takashi.

 

 

 

Nel '96 escono "Shin daisan no gokudô - boppatsu Kansai gokudô sensô" e "Shin daisan no gokudô II", primi sequel di "Daisan no gokudô": il secondo mi manca ancora, ma il primo invece son riuscito a vederlo. Miike "torna" in una condizione di sostanziale acerbità però, anche se minore assai rispetto ad altre sue opere, il film ha un suo perché e alcuni giochi di luci e colori, come anche alcune inquadrature e movimenti di macchina, sono interessanti e già lasciano presagire la Poetica dell'Autore.

 

Nello stesso anno esce anche "Jingi naki yabô" (Ambition Without Honor), prodotto e interpretato da Haromi Sone che, nel film, inserisce anche il figlio Hideki (poi Protagonista, tra gli altri, di "Gozu"). I livelli sono nuovamente medio-bassi, ma la Mano di Miike si fa sentire con sempre maggiore convinzione e le riflessioni tragiche sulla violenza, sulla morte e sulla vendetta sono interessanti. Ci sono anche diversi tocchi stilistici che fan presagire il Miike che verrà, e nel complesso il film può meritare una visione, anche se forse bisogna essere estimatori ed estimatrici del Regista per poter affrontare la ricerca di titoli come questo. Un altro film che dovrei rivedere prima o poi.

 

Ancora nel '96 escono "Rakkasei: Piinattsu", che ancora mi manca (ma che, dalla locandina, mi ispira), "Kenka no hanamichi: Oosaka saikyô densetsu" (The Way to Fight) e "Gokudô sengokushi: Fudô" (Fudoh: The New Generation), quest'ultimo uscito al cinema (e quindi poi ne parlerò più approfonditamente in un paragrafo a parte).
"Kenka no hanamichi: Oosaka saikyô densetsu", nel suo essere direct-to-video, è un'opera estremamente interessante e, a parer mio, fin troppo sottostimata. Per certi versi anticipa il dittico "Crows Zero", anche se c'è una differenza sostanziale nella presenza, qua, di una cornice narrativa ambientata nel presente (gli anni '90), in cui un pugile e un westler sono sul punto di lottare tra di loro in diretta tv. La narrazione principale si sviluppa all'interno di un flashback, ambientato negli anni '70, in cui avremo modo di conoscere, in una costruzione corale, i due Protagonisti sfidanti e i Personaggi con cui si sono relazionati. Come sempre o quasi nei Film di Miike non c'è una divisione tra "buoni" e "cattivi", nemmeno parziale o vagamente indicativa. La Scena Migliore per me è quella della rissa collettiva: non credo di aver mai visto la Violenza rappresentata in un modo così genuinamente allegro e spensierato, mettendo in scena con tale spudoratezza il suo carattere liberatorio e soddisfacente, non solo nel "darla" ma anche nel "riceverla". Uno dei lavori direct-to-video migliori realizzati da Miike.

Rilevanza: 2. Per te? No

Fudoh: The New Generation

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 98'

Titolo originale Gokudô sengokushi: Fudô

Regia di Takashi Miike

Con Shosuke Tanihara, Kenji Takano, Marie Jinno, Tamaki Kenmochi

Fudoh: The New Generation

GOKUDÔ SENGOKUSHI: FUDÔ
Tratto da un manga di Hitoshi Tanimura, "Gokudô sengokushi: Fudô" (inizialmente pensato per l'home video ma poi distribuito nelle sale per la sua qualità) è tra i primi lungometraggi di Miike ad ottenere una certa attenzione da critica e pubblico internazionali.
Ancora una volta, il visionario e prolifico Regista giapponese prende il Genere Yakuza (o, meglio, Gokudô, il filone più economico ed estremo, con cui è famigliare) e lo reinventa col suo Stile riconoscibile e sorprendente.
Siamo di fronte ad una Tragedia famigliare e Sociale: la Vendetta e i giochi di potere partono da un delitto contro-natura (un padre uccide il proprio figlio perseguendo una strategia di potere) e non possono non finire contro-natura (l'altro figlio ucciderà il padre, dopo essersi scontrato con un fratello 'bastardo' di cui ignorava l'esistenza). Per arrivare a ciò, il Sangue dovrà scorrere a litri, colpendo prima la vecchia generazione di boss yakuza, poi la gang di Riki composta da studentesse, studenti, un ermafrodita e bambini (due dei quali moriranno per primi).
Tutto questo è anticipato da un prologo con una partita a baseball in slow motion tra i due fratelli Fudoh seguita dall'omicidio adrenalinico di un uomo di Ryu, il fratello maggiore, da parte di membri del clan rivale (poi uccisi). La Pellicola viene chiusa da un epilogo bruscamente interrotto, in linea con diverse altre Chiusure Miikeane.
Troviamo diversi Temi cari al Regista. Innanzitutto, i rapporti famigliari sono corrotti dalla sete di potere tipici della Yakuza (ma specchio di un'intera società). L'infanzia è costantemente minacciata dalla Violenza e dalle lotte per il dominio, e chi è in questa fase della vita si ritrova inglobato in un Mondo di Orrori, a cui si abitua e in cui spesso soccombe, e il Protagonista stesso è "corrotto" a inizio Film assistendo all'uccisione del fratello da parte del padre.
La Sessualità è estranea ai codici dell'eteronormatività, in particolare nel Personaggio dell'ermafrodita, e l'Opera mostra come la Diversità possa provocare Sofferenze, incitando però anche a prendere in mano la propria vita scegliendo il proprio percorso.
Abbiamo, infine, il Tema che lo stesso Autore ha sempre affermato di caratterizzare le sue Opere, cioè le Reazioni dell'Individuo Umano di fronte alla Morte (imminente): anche se diversi Personaggi sfuggono in modo assurdo a decessi certi e anche se le Teste mozzate sembrano avere ancora margini di animo, la Fine della Vita incombe angosciosamente e colpisce improvvisamente chiunque, nelle modalità più crudeli e senza rispetto per nessuna persona.
Grazie a varie scelte nelle soluzioni visive e tecniche, Miike mette in scena al meglio la sua Visione: ingegnosi i movimenti di macchina per mostrare i gemelli gangster anziani e significativa la ripetizione significativa di scene come quelle dei pasti tra padre e figli in casa Fudoh (ma anche quella con il figlio illegittimo di origini cinesi).
Non sarà un Capolavoro, ma comunque resta un'opera imperdibile e fondamentale nell'Evoluzione estetica del Regista. Esistono un paio di sequel, nessuno diretto da Miike.

Rilevanza: 2. Per te? No

Young Thugs: Innocent Blood

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 108'

Titolo originale Kishiwada shônen gurentai: Chikemuri junjô-hen

Regia di Takashi Miike

Con Kôji Chihara, Seiji Chihara, Moeko Ezawa, Marie Kikuchi

Young Thugs: Innocent Blood

KISHIWADA SHÔNEN GURENTAI: CHIKEMURI JUNJÔ-HEN
Tratto da un romanzo autobiografico di di Riichi Nakaba, "Kishiwada shônen gurentai: Chikemuri junjô-hen" (Young Thugs: Innocent Blood) è un caso più unico che raro per Miike di sequel di un film altrui (che ancora mi manca).
Il Film è diviso in due "lati": "Side A: for winter" è narrato da Ryôko, la ragazza nel quartetto d'amici protagonisti, mentre "Side B: for summer" è narrato da Riichi, il violento del gruppo. In entrambe le narrazioni introduttive abbiamo ancitipazioni sulla morte di Yuji, il cui appartamento fa da base per il gruppo e che nel corso della narraziona stabilisce una relazione sentimentale con Masae, amica e collega di Ryôko.
Il Film mostra uno spaccato di giovinezza dove la Violenza ha un ruolo importante ma non nelle modalità solitamente associate all'Autore, prediligendo i Sentimenti. Ciò nonostante la Pellicola è profondamente miikeana nella forma e nei contenuti, e questo per tre punti sostanziali.
Primo, perché comunque gli squarci assurdi e volutamente sopra le righe non mancano. Brillante, a parer mio, la sequenza in cui Yuji e Masae si imbattono in un goniometro e il primo racconta l'episodio di una sua fissazione con un angolo "introvabile: la narrazione è immaginata da Masae come un'avventura fumettistica e si conclude con il volto di Yuji cresciuto sorridente sopra una sagoma di cartone di un bimbo trionfante. Non mancano inoltre esagerazioni e forzature della realtà, come la scena del ballo della donna in rosso (che torna pure nel racconto sopra citato) in un bar culminante con l'infarto del proprietario alternata al mesto viaggio in treno "di Ryôko "cornificata" da Riichi.
Secondo, perché anche qui troviamo l'alternanza repentina tra momenti drammatici e comici, adrenalinici e 'statici', a volte all'interno delle stesse sequenze. L'Individuo Spettatore è costantemente in bilico tra divertimento e riflessione, risate e commozione, come si vede nel Finale: la Morte di Yuji infatti è l'Esempio lampante di questo aspetto immancabile nella Poetica di Miike, in quanto improvviso (seppure ampiamente annunciato) e tragicomico nella rappresentazione.
Terzo, perché Miike ha sempre prestato molta attenzione sui Sentimenti e sulle Contraddizioni umane, in particolare concentrandosi sul Rapporto con la Morte e sul difficile passaggio della Crescita, in cui rapporti vecchi e nuovi si allacciano, slegano e riallacciano. La Sofferenza per il decesso di Yuji, il più goffo tra gli amici ma anche il più sincero, provoca reazioni differenti, dalla disperazione di Masae allo sbigottimento di Riichi e Ryôko, ma poi apre la possibilità ad una nuova considerazione della vita lasciando schiuso il Finale ad ogni scenario.
Importanti nella Pellicola alcune Immagini ricorrenti, dal palloncino rosso che apre e chiude il Film al Goniometro, dalle Foto da bruciare alla Canzone intonata da Ryôko, dalla donna in rosso ad un festival tradizionale trasmesso nella tv di un bar.
Un Gioiellino particolare e fondamentale nella Filmografia di Takashi Miike, a cui seguirà un prequel altrettanto interessante e importante.

Rilevanza: 1. Per te? No

Rainy Dog

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 95'

Titolo originale Gokudô kuroshakai

Regia di Takashi Miike

Con Sho Aikawa, Chen Lianmei, Tomorowo Taguchi, Sau Leung 'Blacky' Ko

Rainy Dog

GOKUDÔ KUROSHAKAI
Nel 1997, dopo "Jingi naki yabô 2" (che ancora mi manca), giunge per Mike il secondo capitolo della Kuroshakai Sanbusaku (a.k.a. Black Society Trilogy), trilogia ideale dedicata al mondo dei bassifondi e alla difficile convivenza interculturale. Qui troviamo uno yakuza giapponese "confinato" a Taipei (situazione per certi versi affine al dietro le quinte, visto che Miike ha girato il Film a Taiwan con una troupe quasi interamente locale, già "sfruttata" per "Bodigaado Kiba 2") alle prese con un figlio muto rifilatogli d'improvviso da una vecchia fiamma: impegnato in attività di sicario, col bambino che lo "pedina", ad un certo punto il Protagonista si imbatte in una prostituta che poi porterà con sé fuggendo dal fratello della sua ultima vittima, mentre un altro giapponese misterioso gli dà la caccia.
Rispetto a "Shinjuku kuroshakai", "Gokudô kuroshakai - Rainy Dog" è impostato su un ritmo decisamente molto più lento, evitando sostanzialmente "tentazioni" action in favore di sfumature più drammatiche. Miike qui ha modo di sviscerare quel suo lato artistico appreso da un Cinema, orientale ma non solo, "impegnato" nel senso tradizionale del termine, mettendo (nuovamente) in luce la sua grandissima abilità anche in questo campo troppo spesso sottovalutato nella sua Poetica.
La Pioggia, "impedendo" psicologicamente al Protagonista di uscire e compiere le sue azioni da sicario (una di queste compiuta di fronte al figlio della vittima), segna pause importanti nel ritmo della narrazione, "imprigionando" i Personaggi in una stasi in cui spesso domina un Silenzio contemplativo, allo stesso tempo melanconico e speranzoso.
La Violenza è sempre in agguato, pronta ad emergere quando il tempo è sereno, ma qui non c'è un lato ironico nella Morte e l'Epilogo tragico sotto la pioggia (che alla fine porta davvero sfortuna come crede il Protagonista) coniuga la Crudeltà degli omicidi con la Melanconia delle precipitazioni.
C'è però anche un momento in cui, in senso opposto, il bel tempo non porta Morte ma anzi rende possibile una visione di Speranza, ovvero quando il terzetto killer-bambino-prostituta, prima di fuggire dal rifugio sulla spiaggia ormai scoperto dagli inseguitori (il Pericolo comunque è sempre in agguato), estrae una moto dalla sabbia e su di essa, incredibilmente, riesce a sfrecciare sulle strade. Il Film qui esplica il Tema della Redenzione e del Tentativo di raggiungerla: questo bisogno nasce quasi "per caso", nel Protagonista tramite l'inaspettato arrivo del figlio (toccante quando finalmente, durante un momento di pioggia, decide di accoglierlo in casa), ma anche la Prostituta si fionda, irrazionalmente e proprio per questo "vivissimamente", a seguire il Sicario, con la Speranza di uscire finalmente dalla propria condizione.
Il Finale, come anticipato, distrugge queste Illusioni rimarcandone la natura appunto immaginifica, ma il Sogno di Felicità è esso stesso un bagliore prezioso di Serenità che dà un senso all'altrimenti inutile Dramma della Morte.
Un autentico Gioiellino, oserei dire Capolavoro, importante per approfondire il Lato "sentimentale" (ma "duro") di Takashi Miike e per questo credo possa tranquillamente essere inserito tra le sue Opere migliori.

Rilevanza: 1. Per te? No

Full Metal gokudô

  • Commedia
  • Giappone
  • durata 102'

Titolo originale Full Metal gokudô

Regia di Takashi Miike

Con Tsuyoshi Ujiki, Tomorowo Taguchi, Takeshi Caesar, Kazuki Kitamura, Yuichi Minato

Full Metal gokudô

Il 1997 per Miike si chiude con un'altra piccola Perla direct-to-video, "Full Metal gokudô" (Full Metal Yakuza), in cui l'Autore fonde i codici dei gokudô-eiga agli stilemi del CyberPunk con richiami tanto all'Oriente ("Akira", "Tetsuo") quanto all'Occidente (in particolare al Cinema Cronenberghiano). Siamo di fronte ad un Action-Splatter d'Intrattenimento e Tragicommedia Post-moderna sulla Condizione Umana, una spensierata carrelata di Sequenze Folli e Geniali dove la Frenesia regna a momenti dove la Tranquillità quasi immobile favorisce il raccoglimento di Emozioni e Riflessioni drammatiche. Si può leggere tutto e di più in questa Pellicola: meccanicizzazione dell'Individuo, conflitto tra la razionalità fredda dei doveri e la Sensibilità Umana, unione tra elementi opposti (il Protagonista Kei, yakuza perdente, viene fuso con il cazzuto Tosa, il corporeo si mescola con il tecnologico) eppure correlate (da Sentimenti come l'Amore o l'Onore), resa possibile tramite il 'collante' della Tecnologia, lascia spazio a queste e molte altre riflessioni. Un Gioiellino, dunque, meritevole di (ri)scoperta. 

Rilevanza: 2. Per te? No

The Bird People in China

  • Azione
  • Giappone
  • durata 118'

Titolo originale Chûgoku no chôjin

Regia di Takashi Miike

Con Masahiro Motoki, Renji Ishibashi, Mako, Yuuichi Minato, Wang Li Li

The Bird People in China

CHÛGOKU NO CHÔJIN
Da una sceneggiatura di Masa Nakamura (con le quali Miike ha realizzato e realizzerà, dal 1996 al 2008, alcune dei suoi Lavori più intimisti) a sua volta ispirata ad un romanzo di Makoto Shiina, "Chûgoku no chôjin", a quanto pare quasi correttamente tradotto con 'The Bird People in China' e girato tra diverse difficoltà (lungo viaggio per arrivare alle location e una grave alluvione) nella provincia cinese dello Yunnan, è tra le Opere più Sorprendenti, almeno da un punto di vista semi-esterno, della Filmografia di Miike Takashi.
Ci troviamo di fronte, infatti, ad un Film drasticamente più pacato ed esplicitamente lirico rispetto ai Toni con i quali solitamente è associato l'Autore, con una Violenza nettamente moderata e una insistita attenzione sui Drammi umani. In realtà chi conosce bene il Cinema di Miike, oltre ad avere ben presente altri casi più o meno affini alla Pellicola in questione (c'era già ad esempio il precedente di "Kishiwada shônen gurentai: Chikemuri junjô-hen", pure scritto da Nakamura come il prequel "Bôkyô", coetaneo di "Chûgoku no chôjin"), non può secondo me non notare in tutta la sua Filmografia la presenza di momenti rilassati dove i Sentimenti, l'Intimità dei Personaggi e i Dubbi interiori vengono sottolineati con grandi doti drammatiche. Qua però obiettivamente l'Intimità è più esplicita (per certi versi anche rispetto agli altri Lavori "visibilmente umanisti" realizzati in questo periodo dal Cineasta, come il citato dittico 'Young Thugs') e domina pressoché integralmente la Pellicola: si potrebbe dire che il Cuore Poetico di Miike qui si vede chiaramente anche nella Pelle.
Per contro, comunque, la Violenza ha modo anche qui di scoppiare in improvvisi lampi di Follia, soprattutto grazie al Personaggio di Ujiie (superbo Renji Ishibashi alla sua prima collaborazione cinematografica con Miike), decisamente più interessante del protagonista-narratore Wada: lo yakuza, attraverso il viaggio a contatto con la "pre-civiltà" del villaggio cinese, ha modo di percorrere un cammino di Redenzione che lo trasformerà in un Sognatore.
Non mancano nemmeno momenti dal Sapore squisitamente surreale ed onirico, come nella sequenza dei funghi allucinogeni o l'incubo gangsteristico di Ujiie, toccando nel Finale sfumature romantiche con un gruppo di bambini e bambine che spicca il Volo seguito dall'ormai anziano ex-yakuza.
Stilisticamente Miike, come suo solito (ed è uno dei motivi per cui lo adoro), alterna tecniche e toni differenti e contrastanti, passando dal Realismo alla (Auto)Caricatura, da "virtuosismi" come la velocizzazione del prologo a "minimalismi" come il piano-sequenza fisso (o quasi) del primo scontro dialettico (e fisico) tra Ujiie e Wada, mettendo in scena sempre con brillante capacità le Immagini e i Suoni suggeriti dalla storia.
Musiche emozionanti del fidatissimo Kôji Endô, Cast decisamente in parte, intelligenza nel trattare il Tema del confronto tra Mondi diversi e il Talento di Miike nello sfruttare al massimo i mezzi a disposizione contribuiscono a fare di "Chûgoku no chôjin" un Gioiellino cinematografico, tra le migliori e più significative Opere dell'Autore e, per me, tra i suoi (tanti) Capolavori.

Rilevanza: 2. Per te? No

Andromedia

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 109'

Titolo originale Andoromedeia

Regia di Takashi Miike

Con Hiroko Shimabukuro, Eriko Imai, Takako Uehara, Hitoe Arakaki

Andromedia

ANDOROMEDIA
Da un romanzo di Kozy Watanabe sceneggiato in coppia, con lo pseudonimo Kurio Kisaragi, dai fidati Itaru Era e Masa Nakamura, "Andoromedia" nasce sostanzialmente per pubblicizzare le due 'girl e boy band' Speed e Da Pump, i cui membri recitano pure in ruoli principali nel film.
La pellicola è stata definita da Tom Mes come "il film più smaccatamente commerciale" di Miike e, per conto mio, non posso negare che si tratti di uno dei lavori meno personali e brillanti in assoluto del prolifico Maestro giapponese.
Lo spunto in realtà è estremamente interessante: si parla del rapporto tra l'Umano e il Virtuale, attraverso la clonazione del cervello di una ragazza morta investita da un camion. Le possibili riflessioni sulla Tecnologia e su come essa possa cambiare la vita umana sembrerebbero servite su un piatto d'argento e, nonostante qualche "entusiasmo virtualista" qua e là, non si scade (a mio avviso) nel transumanismo convinto, anzi si avverte qualche critica a questo modello e si specifica la differenza tra la persona umana e la sua copia digitale.
Purtroppo però il film scivola negli schemi triti e ritriti praticamente di tutti i generi che segue, dalla fantascienza cybernetica alla love story adolescenziale, dal thriller action d'intrighi al dramma (sempre adolescenziale), senza che la messa in scena di Miike riesca a farsi sentire fortemente né a catturare l'interesse dell'Individuo Spettatore nascondendo le sue 'banalità' narrative. Come risultato il film scorre addosso senza lasciare particolari tracce nella memoria, arrivando quasi ad annoiare (e ciò mi capita assai raramente con il Maestro).
Però sul piano prettamente tecnico il film è curato con la dovuta competenza, e qua e là qualche piccolo accenno della Poetica assurda e intimista dell'Autore si avverte, specialmente quando si parla di Morte, in particolare all'inizio (con le reazioni al decesso di Mai) e alla fine (con Ai, la copia digitale, che chiede a Yuu di "ucciderla" trascinandola in mare).
Comunque nel complesso non è un film da buttare via, ma sicuramente Miike ha fatto molto meglio e pure in grande quantità e, soggettivamente, dubito vorrò rivedere questo "Andoromedia" una terza volta, almeno nei prossimi anni.

Rilevanza: 1. Per te? No

Blues Harp

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 90'

Titolo originale Blues Harp

Regia di Takashi Miike

Con Hiroyuki Ikeuchi, Huntley Nicholas, Mickey Curtis, Daisuke Iijima

Blues Harp

BLUES HARP
Un'altra Opera (apparentemente) particolare per Miike Takashi il quale, pur prendendo ancora una volta elementi tipici degli Yakuza eiga, li incrocia con gli stilemi di un Cinema di Formazione drammatico.
Il Film si apre e si chiude con l'inquadratura in campo lunghissimo di un'isola e all'interno di questa cornice abbiamo la storia di un'amicizia particolare tra due giovani: Kenji, uno yakuza ambizioso con un'omosessualità latente, e Chûji, un nippo-afroamericano ancora incerto sulla propria vita, divisa tra il lavoro di barista e il piccolo spaccio part-time di droga.
Dopo un prologo in cui si mostra uno spaccato significativo dell'infanzia di Chûji, semi-ignorato dalla madre prostituta e appassionato dell'armonica, l'Opera inizia con una meravigliosa doppia "videoclip live" alternata alla fuga di Kenji ferito che si risolverà nel casuale incontro tra i due: Chûji decide di nascondere Kenji agli inseguitori, farlo curare da Tokiko (una ragazza salvata dal barista da attenzioni moleste) e ospitarlo nel proprio appartamento.
Da qui nasce l'amicizia tra i due, le cui storie poi, fatta eccezione un paio d'incontri, procederanno distintamente fino al termine della Pellicola. Kenji è, sicuramente, il "Dannato" della coppia, in quanto yakuza ambizioso ma soprattutto per via della sua natura omosessuale, mai esplicitata a parole ma evidenziata da Miike grazie a squisiti dettagli visivi, come l'osservazione in soggettiva del corpo semi-nudo e addormentato di Chûji (scelta che può ricordare una scena di "Ossessione" di Visconti) o la sua ossessione per la pulizia dentale dopo i rapporti sessuali con la donna del capo a cui intende fare le scarpe.
Chûji invece parte da una condizione di apatia nei riguardi del proprio futuro per poi sviluppare una graduale maturazione, aiutato dalla relazione sentimentale che instaura con Tokiko e dal graduale successo come armonicista. Però, nel momento in cui sembra poter approdare ad un Riscatto (la fidanzata è incinta, un talent scout lo nota e il giovane decide di chiudere con lo spaccio) il legame con Kenji si ritorce contro al musicista. Infatti uno dei sottoposti dello yakuza, geloso del legame tra i due Protagonisti, vende il barista alla gang rivale come tassello sacrificabile nell'eliminazione del boss. Si arriva così al drammatico Atto finale, dove Kenji soccorre l'amico e, gravemente ferito, lo accompagna nel locale in tempo per il concerto-audizione, ma il lieto fine è presto negato per entrambi.
Prima dell'Inquadratura finale vediamo un toccante flashback di Chûji bambino che si incammina in un campo con il padre, poi una dolce canzone accompagna i titoli di coda.
La messa in scena di Miike è sempre molto personale e riconoscibile, alternando come suo solito toni concitati e violenti a momenti di tranquillità e intimità, rafforzati da un Montaggio poliedrico, da una Colonna Sonora straordinaria curata da Atsushi Okuno (che interpreta il cantante della band nel bar di Chûji) e da un Cast magnifico.
Un Gioiellino forse imperfetto ma da vedere e rivedere.

Rilevanza: 2. Per te? No

Young Thugs: Nostalgia

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 94'

Titolo originale Kishiwada shônen gurentai: Bôkyô

Regia di Takashi Miike

Con Setsuko Karasuma, Yuki Nagata, Toshikazu Nakaba, Akihiro Shimizu

Young Thugs: Nostalgia

KISHIWADA SHÔNEN GURENTAI: BÔKYÔ
L'anno successivo a "Kishiwada shônen gurentai: Chikemuri junjô-hen" Miike ne dirige una sorta di prequel, sempre ispirandosi ad un romanzo autobiografico di Riichi Nakaba, riadattato anche qui da Masa Nakamura.
Seppure semi-sconosciuto rispetto ad altre Opere dell'Autore, "Bôkyô", la cui traduzione "Nostalgia" parrebbe corretta, è tra i Film maggiormente apprezzati da Miike, che lo considera(va) il suo Lavoro preferito in assoluto, stando almeno ad una citazione riportata sulla copertina di un dvd. Diversi estimatori e studiosi della Poetica del Regista sembrano concordare con lui nel ritenere la Pellicola un Gioiellino da riscoprire, e io sono tra questi.
Come in altri Film "delicati" di Miike, la vena lirica e "sentimentale" dell'Autore ha modo di esprimersi con maggiore evidenza, senza per questo rinunciare alla Violenza che, comunque, è sempre strettamente legata alla Dimensione Umana.
Ritornando a "Bôkyô", diverse persone hanno visto spiegato la predilezione di Miike per quest'Opera con una dimensione autobiografica e nostalgica: in effetti, anche se come detto alla base di questo Dittico ci sono romanzi autobiografici di Riichi Nakaba (che appare come attore qui nei panni di un pescatore-pittore e nel predecessore come capo di uno dei personaggi principali), il Regista, solo di un annetto più giovane dello scrittore, ha vissuto l'infanzia nello stesso periodo (fine anni '60) in cui il Protagonista e i suoi amici vivono la loro, mentre la Storia vedeva la partenza dell'Apollo XI alla volta della Luna (uno shuttle avrà un ruolo simbolico nel successivo "46-okunen no koi") e il proliferare di contestazioni piuttosto animate. Ancor più che nell'Opera precedente, qui gli eventi storici, riprodotti dagli schermi televisivi e visti dai Personaggi, non si limitano a fornire una semplice indicazione temporale "di contesto" ma si collegano strettamente alle vicende del giovanissimo Riichi e della sua cerchia relazionale, indicando al contempo Sogni di Speranza nel Futuro e necessità di crescere. Il Tema della Crescita assume qui un ruolo primario, correlato alla Violenza e alle Difficoltà sociali, ma anche alla scoperta della Sessualità, affrontata direttamente senza scadere mai nella scabrosità, dalle riviste pornografiche all'attrazione di Riichi per la maestra Ito, sublimandosi nell'auto-ironica, semi-grottesca eppure poetica scena di masturbazione al rallentatore commentata da "Goodnight Baby" dei King Tones.
Troviamo anche l'immancabile Tema della Morte e del Lutto nel Personaggio della Nonna di un amico del Protagonista, a cui il clan di bambini (e anche alcuni loro nemici) decideranno di regalare degli strumenti per dipingere vincendo un contest scolastico incentrato sulla ricostruzione dell'Apollo XI.
E chiudo qui, intanto, le mie riflessioni su questo Gioiellino sottostimato di Miike Takashi, complementare al precedente "Chikemuri junjô-hen" ma al contempo autonomo, nonché Opera fondamentale per comprendere al meglio le Sfaccettature più intime della Poetica dell'Autore.

Rilevanza: 1. Per te? No

Ley Lines

  • Drammatico
  • Giappone
  • durata 105'

Titolo originale Nihon kuroshakai

Regia di Takashi Miike

Con Sho Aikawa, Samuel Pop Aning, Yukie Itou, Dan Li, Michisuke Kashiwaya

Ley Lines

NIHON KUROSHAKAI
Nel 1999, dopo la miniserie televisiva "Tennen shôjo Man" (che ancora non ho visto), arriva il capitolo conclusivo della Kuroshakai Sanbusaku (Black Society Trilogy), "Nihon kuroshakai - Ley Lines": il titolo giapponese si tradurrebbe con "La società nera del Giappone" mentre quello inglese si riferisce al concetto paranormale di linee geografiche d'energia in base al posizionamento di determinati punti di riferimento.
Alla prima visione mi parve l'opera minore del Trittico, ma riguardandolo mi chiedo come sia possibile, visto che ci troviamo di fronte forse alla più matura delle tre, specialmente sul piano stilistico.
Il Film mette in scena, ancora una volta, un mondo di migranti costretto dalle circostanze a piccoli reati: l'avventura di due fratelli e un amico di origini cinesi si interseca, a causa di un furto, alla vicenda di una prostituta maltrattata e sfruttata dal proprio pappone; i membri del Quartetto protagonista, diversi per carattere, sognano tutti una sorta di riscatto che però, passando in mezzo alla violenza della criminalità organizzata, alla fine non potrà realizzarsi sfociando in Tragedia. I Protagonisti Miikeani, almeno nelle sue Opere più disperate, sono vittime impotenti che tanto più cercano di attivarsi per ribaltare la propria condizione sociale, tanto più finiscono per cadere nella Violenza venendo poi "repressi" da chi ha in mano il potere.
Prigionieri in vita dei codici ingiusti imposti dalla società, che relega i suoi reietti (specialmente migranti, donne e maschi "non virili") ai propri margini senza praticamente concedere possibilità di riscatto se non nella criminalità, questi outcasts hanno però la possibilità di "evadere" dalle "punizioni" ricevute in seguito alle proprie "effrazioni di ruolo" abbattendo non solo le regole della società ma anche della realtà stessa. In questo senso va letto, secondo me, quel barlume di speranza "ultraterrena" dell'Epilogo, con la coppia superstite (Ryuichi e Anita, la prostituta) intenta a remare, nonostante le ferite mortali, su una barchetta diretta (probabilmente) verso il Brasile, cantando una melodia. Anticipando il poetico Finale di "Dead or Alive 2", la Fuga post-mortem dei due giovani individui potrebbe essere letta come un accenno spirituale ad un concetto di paradiso o come un'illusione, ma io preferisco vederla come la metaforizzazione di una Vittoria ideale che segue infatti l'uccisione del boss (sempre migrante) intenzionato a punire il Quartetto che ha osato sfidarlo.
"Nihon kuroshakai" è quindi un altro Gioiellino del Miike "anni '90", impreziosito dalle Musiche delicate di Kôji Endô, dalla grandiosa Fotografia di Naosuke Imaizumi che in certe inquadrature assume tonalità cromatiche marcate (in particolare rosso e giallo, specialmente nel Prologo) e dalla capacità di Miike di posizionare la Macchina da Presa in punti "inusuali" ma estremamente efficaci, sia muovendola per pedinare i personaggi sia tenendola ferma. In questo senso mi ha colpito notevolmente la ripresa, in piano sequenza, di uno dei vari scontri (impari) tra Anita e il suo pappone, dove i personaggi umani sono posizionati sullo sfondo mantenendo in primo piano l'immagine di un tombino.
Il grandissimo Cast e la brillante Sceneggiatura di Ichiro Ryu completano il tutto ottenendo quello che per me è un altro Capolavoro del "mio" Maestro principale.

Rilevanza: 2. Per te? No

Silver - Shirubaa

  • Fantasy
  • Giappone
  • durata 79'

Titolo originale Silver - Shirubaa

Regia di Takashi Miike

Con Kenji Haga, Shinobu Kandori, Rumi Kazama, Hisao Maki, Fujio Matsushima

Silver - Shirubaa

Miike torna a lavorare su una sceneggiatura di Hiseo Maki, tratta questa volta da un suo manga, realizzando un'altra pellicola direct-to-video di qualità modesta, originariamente pensata come pilot per una serie tv mai realizzata.
Miike propone comunque alcune scelte interessanti, dalle inquadrature all'uso delle luci, dal montaggio delle scene alla proposizione, enfatizzando tra le altre cose l'erotismo sadomasochista. Non particolarmente memorabile, potrei però dargli una seconda occhiata.

Rilevanza: 1. Per te? No

Audition

  • Horror
  • Giappone, Corea del Sud
  • durata 110'

Titolo originale Ôdishon

Regia di Takashi Miike

Con Renji Ishibashi, Eihi Shiina, Ryo Ishibashi, Tetsu Sawaki, Jun Kunimura

Audition

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ÔDISHON
Dall'omonimo Romanzo di Ryû Murakami, "Audition" ha rivoluzionato l'Horror contemporaneo, assieme ad altri Film orientali del Genere. È anche il Film che, dopo "Imprint", ha fatto scattare in me la Scintilla d'Amore per il Cinema di Takashi Miike.
L'Opera parte con un'atmosfera molto posata da film sentimentale, ma da alcune inquadrature dopo l'Audizione del Titolo, in cui vediamo Asami immobile in una stanza spoglia con un sacco "in movimento" sullo sfondo, già capiamo che qualcosa è destinato ad andare storto. Durante gli appuntamenti, Miike inserisce pure degli scavalcamenti di campo visibilmente intenzionali e il montaggio salta palesemente diversi passaggi.
È nella seconda metà del Film comunque, dopo l'incontro sessuale tra i due (di cui vediamo solo l'inizio e la fine), che la situazione degenera, prima con la Ricerca di Asami e del suo Passato e poi con le Tortura e l'accumulo di Sogni. Da qui in poi capiamo che "Audition" è un'Opera dove il Tempo non esiste, è confuso, e nel suo rimescolarsi e riassemblarsi esso decostruisce e incastra la Realtà con l'Inconscio, così quando giunge l'inaspettata conclusione non possiamo dire di sapere con certezza cosa sia realmente accaduto.
Le piccole bugie di Aoyama, che approfitta di un'Audizione per cercare moglie, gli si ritorcono contro quando sceglie Asami e il suo Mistero, e scoprendo il tragico passato di abusi della ragazza egli dovrà affrontare i fantasmi di tutti gli altri imbrogli di cui è responsabile.
La ripetizione con variazioni di alcune scene, soprattutto quelle relative agli appuntamenti con Asami, svelano sempre maggiori dettagli sulla storia: interessante notare qua una delle più importanti differenze con il Libro, dove invece gli abusi subiti durante l'infanzia dalla donna venivano raccontati linearmente (Aoyama infatti si "innamorava" soprattutto per la serenità apparente con cui la giovane affrontava il proprio Passato). Il Film invece decide, appunto, di spezzare le informazioni, creando la dissonanza tra la prima metà romanticamente solare e la seconda in cui si ricostruiscono le devianze psicologiche della Protagonista, il tutto messo in scena da Miike con uno stile decisamente onirico e surrealista.
Paradossalmente, più si approfondisce la conoscenza di retroscena della Coppia protagonista e più ci allontaniamo da una Verità limpida e chiara. Aoyama, dal vedovo empatico dell'inizio, si rivela man mano un uomo poco onesto, pur non diventando mai "cattivo": il suo comportamento poco sincero non è consapevole e alla fine sembra capire le ragioni della donna. Asami, invece, nel suo sadismo riesce a rafforzare la nostra simpatia in quanto (Anti)Eroina tragica: la sua Solitudine e l'irrazionale sensazione di tradimento del proprio Amore ci muovono a pietà e quasi ad approvare le torture che infligge sul suo partner, esprimendo una Filosofia (affine al barkeriano "Hellraiser") per certi versi convincente: non a caso, la brutalità delle Torture che infligge all'uomo è forse la cosa più realistica messa in scena in tutto il Film, altrimenti intriso di un Surrealismo macabro e cruento, pur senza esagerare nello splatter (anzi, proprio perché non esagera con la Violenza grafica).
La Fotografia stupenda con Passaggi quasi Monocromatici (in particolare il Blu nei flashback con lo "zio"), il Montaggio non lineare, le intense interpretazioni del Cast e le ottime Musiche rafforzano la Qualità di un'Opera che, per me, può tranquillamente essere definita Capolavoro.

Rilevanza: 4. Per te? No

Dead or Alive

  • Fantascienza
  • Giappone
  • durata 105'

Titolo originale Dead or Alive: Hanzaisha

Regia di Takashi Miike

Con Riki Takeuchi, Sho Aikawa, Renji Ishibashi, Hitoshi Ozawa

Dead or Alive

DEAD OR ALIVE: HANZAISHA
Primo capitolo della Trilogia ideale di "Dead or Alive" (a parte i due Protagonisti, ovvero i "due Grandi" del V-Cinema Takeuchi e Aikawa alla loro prima collaborazione, e alcuni rimandi interni le trame sono infatti completamente staccate tra di loro), "Hanzaisha" è probabilmente una delle Opere che più hanno contribuito a forgiare l'Immagine stilistica di Takashi Miike, oltre ad essere stata una delle mie prime Esperienze con il Cinema di questo Autore.
Dopo una breve introduzione in cui i due Protagonisti, accovacciati su un molo, contano in inglese fino a 3, la Pellicola parte brutalmente in medias res con un inizio concitato e quasi "videoclipparo" (topos dell'Autore che qui raggiunge forse il suo punto qualitativo massimo). Il Film si sposta poi continuamente verso direzioni imprevedibili, alternando sequenze d'azione violenta con inserti grotteschi a momenti in cui prevale l'attenzione per l'Intimità umana dei Personaggi, senza dimenticare l'Ironia ma sottolineando il Dramma, arrivando poi a proporre momenti di Tragedia in cui la Violenza perde ogni istanza "ludica" esplicitandone la Sofferenza. Importantissimo, in questo senso, il Legame tra Ryuuichi (il gangster) e il fratello Toji: dopo l'emozionante scena piovana al "cimitero", la presa di coscienza delle attività criminali di Ryuuichi e in particolare l'uccisione di un membro della gang per tradimento spinge Toji ad allontanarsi rabbiosamente dal fratello. I due si ricongiungeranno verso il finale, quando a sorpresa il più giovane si unisce alla gang durante il massacro al ristorante dei leader di yakuza e triade, ma qui Toji incontra la morte per mano di uno sbirro, padre di un bambino.
Anche Jojima (il detective) ha una complessa vita familiare, con la figlia bisognosa di un intervento chirurgico e la moglie focalizzata sul bisogno di soldi per l'operazione. Tra le donne e l'uomo pare esserci una sorta di distanza emotiva e anche qui il riavvicinamento sentimentale sul finale viene bruscamente distrutto da una bomba messa nell'auto del poliziotto su cui però salgono la moglie e la figlia, morendo.
Il Finale è notoriamente assurdo e, per questo, non facile da digerire: a me invece ha sempre colpito molto positivamente, sia per la sua carica "anarcoide" sia per il suo essere un'esplosione iperbolica in cui il Tema dell'Autodistruzione ha modo di esplicitarsi con un Gusto decisamente irreale (e "saturato"). Paradossalmente, un finale in linea con il tono semi-realistico dell'Opera avrebbe stonato: il film, incipit aggressivo escluso, procede sempre più carico, sempre più esagerato ed estremo, improvviso, shockante, da esigere uno scontro finale (annunciato da Ryuuichi) di proporzioni epiche, iperboliche, apocalittiche.
Oltre al Tema della Morte il Film parla molto di Concetti come il Conflitto, correlato con il motivo sopra-citato dell'Autodistruzione: i due Protagonisti si scontrano eppure paiono molto simili tra di loro, sia nell'essere fuori dalle righe sia negli obiettivi (entrambi vogliono scardinare il dominio dei Clan Yakuza e della Triade).
Sul piano stilistico Miike propone un attento studio delle inquadrature, alternando piani sequenza alternati a montaggi concitati. I dialoghi sono ridotti all'essenziale preferendo in molti casi il Silenzio, il tutto condito da Immagini desolanti, rafforzati in questo da una fotografia sporca, non ritoccata ma al contempo scenica.
Per me l'ennesimo Capolavoro di Miike Takashi.

Rilevanza: 3. Per te? No

White Collar Worker Kintaro

  • Fantasy
  • Giappone
  • durata 110'

Titolo originale Sarariiman Kintarô

Regia di Takashi Miike

Con Kanako Enomoto, Michiko Hata, Naoki Hosaka, Toshiaki Megumi

White Collar Worker Kintaro

SARARIIMAN KINTARÔ
Tratto da una serie manga di Hiroshi Motomiya, "Sarariiman Kintarô" è un film sicuramente minore nella Filmografia di Miike, quasi direct-to-video nonostante (a quanto pare) abbia avuto una distribuzione nelle sale cinematografiche: comunque il lungometraggio dovrebbe essere uscito tra due delle stagioni della serie tv e forse per questo ha un po' un sapore televisivo.
Nonostante la lunghezza (110') non annoia veramente, ma purtroppo non riesce neanche a catturare fino in fondo l'attenzione dell'individuo spettatore.
Contenutisticamente, il mondo rappresentato è poco vicino alla mia sensibilità: non è un ambiente che odio troppo (come le strutture del potere), ma sicuramente "gli uffici" non sono il mio modello ideale di vita. Si avverte però una carica vagamente sposabile con idee anarchiche, soprattutto nel finale: Kintaro si scontra contro il potere corrotto dell'influente politico che sta mettendo i bastoni nelle ruote della sua compagnia (per giochi di potere, ma forse anche per "ripicca" contro un intervento anti-molestia da parte del protagonista), il quale dispiega delle forze sia malavitose sia istituzionali (come la polizia). Quasi si anticipa la Furia sospesa tra anti-autoritarismo e nichilismo (con forti derive auto-distruttive) di Izo, specialmente nello scontro tra il singolo Kintaro e la massa sbirresca. Tutto questo comunque è trattato con toni moderati, giustificati dalla necessità di difendere la famiglia (e la compagnia) e legittimato quindi dal potere giuridico perché in contrasto con le frange "marcie" del sistema.
Il bagno di folla finale anticipa, invece (e pare che anche altre persone l'abbiano notato), un po' il finale di "Zebraman", con il protagonista eroe per il "popolo" anche se alla fine quel che conta davvero è essere un Eroe per il proprio figlio.
Stilisticamente troviamo alcune inquadrature interessanti (una in profondità di campo con il dialogo tra il politicante e funzionari vari mentre, sullo sfondo in esterni, una bambina gioca con il killer assoldato dal villain), diversi movimenti di macchina particolari (come le scene "mosse" per i motociclisti), esagerazioni in linea col Gusto del Regista (ancora la massa di bikers), buone scene di lotta e tocchi di montaggio brillantemente "bizzarri" (su tutti l'esplosione di un ufficio mostrata "bruciando" anche la pellicola). Nonostante questi elementi, però, lo stile di Miike è decisamente molto più trattenuto e anonimo rispetto alle sue Opere migliori, e fa un certo effetto pensare che nello stesso anno (1999) di suo uscivano "Nihon kuroshakai", "Audition" e "Dead or Alive: Hanzaisha". Cast discreto con l'eccezione di uno straordinario Tsutomu Yamazaki nei panni del ruvido Igoh.
Chiudendo, "Sarariiman Kintarô" è un film per nulla imperdibile nella Filmografia di Miike, ma comunque non è male.

 

Gli anni '90 per Miike si chiudono con il film televisivo "Tennen shôjo Man next: Yokohama hyaku-ya hen", che però ancora non ho visto. 

Rilevanza: 1. Per te? No
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