.IV.
Au hasard Bassottina-Popò-HotDog-Cancro.
Con la sua limpida, basica, retorica (due mani...), netta, prevedibile, elementare (...che si cercano...), misteriosa, ri(s)cattatoria, stupefacente (...e si trovano) scrittura filmica, didascalica (i dialoghi sono carveriani nello spirito ma non nella sintassi, più ellroyana), prorompente ed inventiva (questo film è letteratura contemporanea: postmoderna, e, nel suo minimalismo, a tratti massimalista), Todd Solondz, compendio a e nemesi di P.T.Anderson, ha licenziato quella che forse se non la è certamente tra le sue opere migliori (siamo senz'altro sui livelli di “StoryTelling” e “Palyndromes”), supportato dall'impeto cromatico di Ed(ward) Lachman, alla seconda collaborazione col regista dopo “Life During WarTime”, che annega le ombre (negli esterni in pieno sole, negli interni naturali, e ad esempio proponendo un'elettro-traslucida nuit americaine bluastra vera come la finzione, tanto quanto il falso effetto retroproiezione ottenuto con l'intarsio a chiave colore dell'intermezzo ramingo) in una satura tavolozza pescante nell'acido e nel pastello colorandole di luce e mette tutto a fuoco in un quadro profondo, luminoso e netto.
La vita è una ballata, e allora, giovane sopravvissuto, adulto alle soglie di una nuova vita e sull'orlo di un cambiamento, e anziano circondato da fantasmi quantistici, muoviti, cammina, danza (e presta attenzione al traffico, guarda a sinistra, a destra e ancora a sinistra, quando attraversi la strada), finché ce n'è.
Il cinema di Todd Solondz è permeato da una crudele, feroce, insaziabile, insopprimibile, rassegnata e consapevole meccanica di disperante, fisiologica speranza.
Life: INTERMISSION.
Recensione.
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