Francamente, non capisco. Molte cose, chiaro: la fisica quantistica e la quantità di sticazzi che m'aizza ogni notizia esplosiva (“boom!”, “hype!”, “imperdibile!”, e via di seguito, sempre esagerando), esegesi dogmatiche a posteriori e funerali artistici senza il morto (tipo Woody Allen), allenatori di irredimibili reazioni bassoventrali (la critica snob, sob) e sobillatori/provocatori di professione (inutili come zanzariere in Antartide), le cariatidi della tv e i ggiovini del webbe, gli ebeti influncer (e youtuber, instagrammer, minchioner) e l'amicale geni(t)ale manovra fatta col cuore (o era col culo? Ai posteri – cioè noi fra un paio d'anni – l'ardua presa di coscienza rettale) … Ma, come forse il più astuto fra voi lettori avrà presunto, mi riferivo a qualcosa di specifico. Le classifiche di fine anno. Orbene, posto che questo post giunge a inizio anno, mi – e vi – chiedo: come si fa a stilare e pubblicare una qualsivoglia lista di preferenze quando alla fine (non all'Apocalisse, o al tanto bramato avvento di Cthulhu, s'intende) mancano giorni, o settimane? Qual è il senso? È preveggenza o boria? C'è sotto una manina o cosa? Comunque.
Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'yleh wgah'nagl fhtagn. Risolvo ogni dubbio: chissene. Pertanto ecco la mia. Immancabile come le dinamiche amorose che puntualmente finiscono a rotoli (di carta igienica, di quella urticante e brutta a vedersi), imperdibile (“boom”!) come una bomba che rilascia simpatico gas nervino, nevrotica come chiunque in un film di Muccino, incredibilmente acuta come un'appendicite indesiderata (perché, invece, se fosse desiderata …), seducente e indecifrabile come una minestra con le interiora, inappuntabile perché non c'è niente a cui appendersi (bando a facili ironie, di scemo basto io!), pazzesca come riuscire a farsi una foto con le assurdamente belle Giulia Pisani e Stefana Veljković, tossica giacché fatta da un maschio, figa in quanto sollecita parti nobili e organi semi-mobili. 49 milioni di motivi per leggerla, adorarla, odorarla (spalmata in 82 anni, giorno più giorno meno). Ok, potrei continuare per ore e ore; non lo farò solo per non turbare coscienze collettive nonché per cercare di non infliggervi dolorose iniezioni di disistima (e già, questo è il cruccio di noi intellettuali e turbopensatori del nuovo millennio: perdonatevi. Prego). O forse (forse, chissà), per non tediarvi oltremodo. Di seguito, dunque (come disse il tale che invece di venire al dunque venne al/in chiunque causando argutissimi equivoci alla Boldi&De Sica o alla Castelli&pianeta Terra), eccovi la mia lista di quanto meglio e di quanto peggio visionai nell'anno di grazia 2018. La mia. Non la vostra; o la loro, o la sua, o la mia. No, cioè, sì, la mia (così dissi, mi pare). Indiscutibile. E indiscutibilmente indissolubile da una pressoché perfetta ricerca della perfetta fetta di cotechino da infilare nel panino-ino-ino. Il criterio: film visti da me. E grazie alle trombe dell'oltretomba che suonano innominabili inni mortali, direte. Preciso: film regolarmente distribuiti nelle sale italiane, resi disponibili in streaming, captati on line, proiettati nei festival a cui ebbero l'onore di rendermi partecipe. Un buon ventaglio di opzioni, almeno per il sottoscritto. E sì: detesto chi pubblica solo il meglio, parla solo delle cose buone, e sono tutti bravi e tutti belli e tutti buoni, e ci vogliamo un sacco di bene, e questo lo dice lei, e del film del mio amico regista o attore o produttore casualmente ne parlo benissimo. Capolavoro. Rinascita del cinema. Alziamo la testa. Usciamo a testa alta. Ribadisco quant'ebbi già a esprimere in precedenza, in diverse sedi (tra le quali le infinite conversazioni tra me e il mio amico immaginario che interpreta me in infinite sedute alle nobili latrine): il critico vero (qualsiasi cosa ciò comporti) non deve familiarizzare con nessun addetto ai lavori, mai, deve essere solo come un cane a cui hanno rubato l'unico osso che gli era rimasto mentre fuori diluvia e un'autocisterna guidata da Immortan Joe sta per metterti sotto. Ci sta pure il peggio, acciderbolina: di merce avariata, puzzolente, putrescente, fatiscente, ammorbante e ammosciante ce ne sta a pacchi. Vengono fuori dalle fottute pareti (i film di merda, per chi non l'avesse afferrato). Infine, come da decennale, quasi mensile, tradizione mvaldemariana, per le mie inoppugnabili scelte ho scelto – laddove possibile – pensieri e giudizi di altri utentessi e altre utentesse dello spazio profondo filmtv.it per raccontarle. Andate a rompere gli archibugi a loro. Buon fottuto anno nuovo.
[Moral guidance: Danilo Toninelli]
--------------Division #1. Ma voi potreste eseguire un notturno su un flauto di grondaie?-------------
“Phantom Thread” è, anche, e collateralmente - ma in fondo mica poi così tanto - uno dei relativamente pochi film in cui sono presenti dei magnifici, realistici ridestarsi: tanto Daniel Day-Lewis (Reynolds Woodcock) quanto Vicky Krieps (Alma) -- narratrice (e si potrebbe azzardare un "sceneggiatrice", come la sua semi-omonima Alma Lucy Reville, Mrs. Hitchcock) tanto limitatamente onnisciente quanto parzialmente inaffidabile, che, con quel ricamo di accento straniero in fuga, entra in campo per la prima volta (o, meglio: nel campo visivo di Reynolds) arrossendo, e l'iperemia non abbandonerà, più, lo spettatore per le successive due ore --, entrambi 2 volte e forse anche 3, ognun di loro, si svegliano o vengono svegliati dal sonno (onirico, allucinato, o senza sogni e incubi), e lo fanno in una maniera eccelsa, commoventemente verista. [mck]
Ma non è forse lì il segreto degli amori, duraturi? Eterni? Desiderarsi e separarsi…per poi desiderarsi nuovamente come e più di prima. Qui Pawel non osa, a mio parere volutamente, per non correre il rischio di scivolare, in questo film nato per i festival, nel mero esercizio di stucchevole e passionale romanticismo. Quello che lo spettatore deve comprendere è che questo è un amore esposto, ma non vissuto in platea, anelato e non realizzato, razionalmente rappresentato, seppur nella sua celata grandezza di sentimento. Fino a giungere all’ultima dimensione; lì dove pare che tutto possa definitivamente avverarsi. [Tex61]
Sempre misurato, invece di far esplodere la drammaticità della storia, riesce al contrario a veicolare potenti emozioni attraverso toni sommessi e scelte minimaliste, come ad esempio il primo piano sul monologo della madre Nobuyo (eccellente performance dell’attrice Ando Sakura ) L’attenzione incentrata sui piccoli dettagli della vita quotidiana, la pellicola si prende i suoi tempi per rivelarci a poco a poco il legami che uniscono i personaggi, prima di accelerare il passo nella parte finale quando la verità emerge alla luce, così lo spettatore è sempre più coinvolto emotivamente man mano che vengono alla luce i segreti. [port cros]
La ricerca della propria ispirazione artistica in Kurt si tramuta in elaborazione del lutto. Riesce a trovare la sua strada quando, riappropriandosi dei ricordi della zia Elizabeth, ricorda che la bellezza risiede nel vero e che non bisogna mai abbassare lo sguardo. La coerente follia tedesca non si tramuta in sregolatezza, rischio che i ritratti sugli artisti corrono quasi sempre. Il genio di Kurt emerge in tutto il suo splendore dopo un lungo processo che lo porta esteticamente a contatto con più forme d’arte ma è soprattutto la figura del professore Verten a fargli capire che trovare appiglio nella sua esperienza e restituire la propria prospettiva sul mondo. [Spaggy]
Con l'abituale, meraviglioso stile documentaristico che sembra strappare personaggi e esistenze dalla vita reale contemporanea nei quartieri più popolosi e poveri, Brillante Mendoza firma un thriller concitato e pieno di nervo che non dà tregua nel suo incalzante, velocissimo evolversi di azione e delle relative conseguenze spesso drammatiche e definitive. [alan smithee]
... appare ancora più straordinario come Anderson abbia sfruttato la sua incursione nel mondo della plastilina in stop motion per realizzare una riuscita e divertente satira politico-sociale. L'autore tratteggia con disincanto le macerie che lascerà il nuovo clima politico mondiale; ad essere presa di mira è senz'ombra di dubbio la demagogia di Donald Trump nella figura del sindaco Kobayashi, nemico della scienza capace di far dimenticare al popolo la virtù della solidarietà, in questo caso specifico l'amore per i cani. Non a caso, i soli personaggi ad essere doppiati dal giapponese sono quei pochi degni di essere ascoltati; agli altri resta giusto l'interprete per l'essenziale. [Malpaso]
Con sobrietà pudica, senza retorica, senza insistere nel racconto particolareggiato del dolore, senza prediche inutili, scorre davanti agli occhi degli spettatori la grande tragedia dei nostri giorni, ben simboleggiata dall’immagine straziante delle due manine intrecciate che non vogliono separarsi, e che nessuno dovrà separare in futuro, se davvero si vuole la fine dell’odio irrazionale e della paura insensata che sta avvelenando e distruggendo il nostro vecchio continente. [laulilla]
Jia Zhang-ke proclama la delusione per un processo di metamorfosi inarrestabile e il conseguente pessimismo verso il futuro di una nazione troppo estesa e indirizzata per essere interrogata pubblicamente sulla strada da prendere, in pratica un continente a parte dove occorre scendere al livello altrui per non affogare, reinventarsi velocemente per non finire in disparte, lottare con forza - e pelo sullo stomaco – per conquistare un barlume di speranza. [supadany]
Tramite una visione tarkovskiana quieta e un po' vintage dello spazio, cupo e insidioso, freddo ed ostile, ma anche suo malgrado accogliente, nella sua apparente inospitalità, come un immenso ventre oscuro, la Denis ci conduce verso il limite di un mistero universale che si rispecchia in qualche modo nei misteri della creazione che si annidano nelle viscere di un ventre materno nel suo compito di donare e propagare la vita. [alan smithee]
Nicola al meglio del suo peggio, al peggio del suo meglio; oltrepassa le gabbie dell'amletico, amniotico dubbio “ci è/ci fa/si fa?” per farsi maschera rossa portatrice di pestilenziale, salvifico trashume (...) Un'esperienza mistica. Il film. S'apre come (quasi) serio horror di atmosfera, abitato da una straordinaria Andrea Riseborough in vesti morticiaaddamsiane, poi vira di registro, si fa sempre più grottesco e fuori di testa, scodella fluidi tipici del revenge, assume e fa assumere dosi massicce di satanismo e fanatismo religioso, versa drogatissime, psichedeliche pennellate cromatiche, mitraglia citazioni goduriose e dialoghi strafatti e nudi frontali, convoglia le note ad hoc del fu Jóhann Jóhannsson (...), eccede in scenografie malate, in inquadrature malate, in sequenze malate, in un ritmo progressivamente sempre più indiavolato, in una estetica della violenza e in una narrazione che vanno dalla cialtroneria al genio al nonsense. E che finale. E che bravo Panos Cosmatos (...). E che Cage. Eccheccage. [M Valdemar]
Senza parole o quasi, con la macchina a passo d'uomo spesso puntata sui volti angosciati ed in lacrime delle due attrici protagoniste, la regista sudcoreana Gyeol Kim, qui alla sua opera d'esordio, filma i dettagli insistiti e cruciali di una drammatica via Crucis che si trasforma in un labirinto ove chi sopravvive, per questioni di istinto, più che di convinzione, finisce per addossarsi tutte le disperazioni. Smarrimento, disperazione, irritazione, sentimenti che il film, spigoloso e anti-narrativo, contrario a qualsiasi accomodamento o mediazione/concessione, riesce a trasmettere sullo spettatore, smarrito e costretto a vivere sulla propria sensibilità, il senso di angoscia che esula da convenzioni spazio/temporali, portando ai limiti della disperazione più inconciliabile e definitiva; quella che finisce per premiare chi riesce a farla finita, addossando tutti i suoi devastanti effetti sulla parte più debole ed istintiva, che ha scelto, suo malgrado,di sopravvivere. Pessimismo e disperazione verso livelli quasi mai eguagliati in maniera così efficace e disturbante. [alan smithee]
A meno che non creda in Dio o chi per lui, uno si aspetta “niente” a questa domanda, e invece Lucky dice “sorridere”, ed è il suo sorriso di vecchio mai fermo, mai stanco, sempre con la cicca in bocca e le gambette storte stecchite in marcia per il paese con stivali e cappello da cow boy, sempre pronto a far baruffa e a dire ogni mattino “coglioni ! ” davanti al giardino dei ricconi del posto, con statue che pisciano acqua e piante tropicali che fanno cucù ai cactus del deserto fuori casa sua. (...) Harry Dean Stanton, invisibile, si accenderebbe sorridendo l’ennesima sigaretta durante la cerimonia e nessuno potrebbe dirgli “qui non si fuma”. [yume]
------------------------------Division #2. The Rats in the Walls------------------------------
Ciononostante pare proprio che stavolta Muccino non abbia nulla da dire, che ripeta alla rinfusa i soliti clichè del suo cinema e più in generale che rispolveri i luoghi comuni della pellicola ‘corale’ dimenticandosi che di un affresco si dovrebbe parlare e non di un modesto assemblaggio di disparate componenti, insomma di un patchwork alla buona. [mm40]
Roberto Andò continua imperterrito per quella strada tanto impervia quanto senza uscita che è il suo cinema fatto di misteri irrisolti, personaggi doppi e tanta, tanta incompiutezza, come ne Le confessioni e Sotto falso nome. Qui l'intreccio diventa addirittura involontariamente comico (...) Altrettanti pietosissimi veli andrebbero stesi sulla protagonista, Micaela Ramazzotti, che parla come se fosse perennemente afona e come se in tutta la carriera non avesse mai cambiato set, o sulla Morante perennemente disabbigliata, nonché sui personaggi che spariscono improvvisamente dal racconto dopo essere stati legati al letto per un incontro sadomaso e così via. [barabbovich]
Per quanto possa stuzzicare l'idea del furto di gioielli in sostituzione della rapina al casinò, la storia della banda Ocean, maschile o femminile che sia, è un continuo ripetersi di situazioni, dove qui non c'è nemmeno un vero cattivo da truffare; insomma gli sceneggiatori sprecano un film intero per quello che assomiglia ad un super-colpo di riscaldamento, prima di colpi ancora più audaci (ma perché invece di pensare ad un solo film, ne pensano già a due/tre, come se fosse scontato il successo della pellicola?). [Marco Poggi]
Con Matilda De Angelis, Alessandro Haber, Donatella Finocchiaro, Pamela Villoresi
E così la storia disegna caratteri e situazioni che rivelano un poverismo di idee sconcertante: il lascivo fa il lascivo, la disperata fa la disperata, la dolente fa la dolente, il tizio di contorno fa da (sgradito) contorno; e gli occhi sempre impiastricciati, le urla sempre urlate, le emozioni sempre spiattellate, le cose sempre descritte, spiegate, ripetute, ammaestrate a uso e consumo dello spettatore tendenzialmente scemo. (...) Ma se contenuti, sostanza e narrazione sono deficitari (eufemismo), regia e montaggio falliscono il fallibile: la gestione dei tempi è balorda, i tagli sono governati dal caos o dalla fretta o semplicemente dall'incapacità, i primi piani sono una banale scorciatoia. La coda tragica, inaspettata, grottesca (non volutamente, s'intende) per modi e tempi e disegno, è decisamente troppo. Che orrore. [M Valdemar]
Il film sdolcinato ed irritante, lungo oltre ogni tollerabilità, si riduce ad una interminabile accozzaglia di melensaggini d'accatto, ossessionato a celebrare un'altra volta il mito del successo "fai da te" ove la determinazione e l'onestà di intenti paga sempre, a lungo andare: un concetto ingenuo e pressapochista da cui gli "americani" mai sembrano volersi allontanare, che anzi è la base portante dei valori ostentati attorno all'essere cittadini a stelle e strisce; valori e tradizioni enfatici e d'accatto, da predicozzo tutto retorica da quattro spicci, esternato qui senza vergogna in nome di un orgoglio occidentale stracotto, estenuante prolasso di ridondante amor patrio ostentato, e trionfo del più scontato individualismo made in Usa...; insomma pesantissimo. [alan smithee]
Infinity War è la summa dell’operazione fatta dalla Marvel: oltre dieci anni di lavoro, di creazione di supereroi e di un immaginario portano a questo film, che più che un film sembra uno speciale di una serie tv. Un evento più che una storia. (...) il problema più grande rimane l’assenza di un’idea di narrazione avventurosa. Il passo narrativo è lento, tronfio e pomposo, dove si cerca l’epica in una scena su due appesantendo la storia, trasformando il tutto in una saga epica fantasy un po’ ridicola. Senza contare che manca la leggerezza che un film fantastico d’avventura deve avere: anzi ancora peggio, si scambia l’ironia per leggerezza e perciò in questo marasma di “epicità” ogni tanto si inseriscono battute che infastidiscono e basta. [PoorYorick]
Il film è l'ennesimo remake italiano di una pellicola francese di successo e mette in primo piano i professori, anziché gli studenti (...) Il film originale era tratto da un fumetto francese, ma il suo messaggio è meglio recepito in patria che da noi, che ci siamo limtati a copiare i tipi d'insegnanti che vengono presi in esame. [Marco Poggi]
Relaxer sembra il compito di classe di un quattordicenne svogliato ed evidentemente non troppo sveglio sul quale il cane del vicino ha evacuato solide e liquide realtà. Puzzolente, marcito, brutto a vedersi-sentirsi-odorarsi, irritante e istigante i peggiori sentimenti, è un film a getto continuo di idee riciclate-rimasticate-rigurgitate con nessun senso né fine se non il proprio sollazzo. E grazie al lazzo. Nemmeno il versante trash né gli ammiccamenti funzionano: liquidi corporali, escrementi, la centrifuga citazionista (che prende sempre i nostalgici pronti a bersi tutto), l'attitudine babbea (come fosse una puntata di Jackass tagliata perché troppo stupida), il crescendo schizzato, la gittata demenziale. Che pena. Nulla che valga la pena salvare. Vanta persino estimatori. Da dissezionarne i cervelli. [M Valdemar]
Una trama insulsa ( eufemismo) , una recitazione da esordiente , salviamo la Pastorelli che, in effetti, per fare quella parte poteva anche essere sostituita da qualsiasi coatta presa a caso a trastevere. Non parliamo dei comprimari : definirli cani sarebbe offendere i nobili amici dell'uomo. Ambientazione e sceneggiatura scopiazzate ( negozio di articoli sacri : vedasi signori si nasce dei grandi Peppino e Totò) e scadenti. [lusal43]
La sintesi del film è presto fatta: mettiamo tanta carne al fuoco sperando che ne esca fuori qualcosa. In realtà poi il risultato stona. Nulla di quanto trattato appare approfondito a dovere e ne viene fuori un film dal sapore agro, incapace di farti riflettere né di pungere nel modo sperato. (...) Si resta in bilico, il soggetto vorrebbe fare "troppo" ma gli sceneggiatori non riescono a ricavarne nulla e poco può qualche buon tocco registico di Steve McQueen (...), perché il film non prende mai quota e alla lunga annoia pure. [silviodifede]
Ennesimo episodio a seguito del romanzo farsa Uomini che uccidono le donne. Stavolta non basta la sola sospensione dell'incredulità. Ne servirebbero tre o quattro, di sospensioni. La nostra Lisbeth se la scampa dal fuoco, dalle pallottole, dal soffocamento, dall'affogamento, dal veleno, dagli investimenti e da qualsiasi altra cosa possa procurare la morte volontaria o accidentale. Come un Diabolik qualsiasi, al momento di morire trova una botola, un pulsante, una porta, un antidoto, e se ne fugge sulla sua moto ben pubblicizzata. [LAMPUR]
Al netto dell’ideologia trumpista di fondo a cui nemmeno gli attori si sottraggono nel privato, il film è pedante, sciatto stilisticamente e per nulla incisivo nel tratteggio delle vite umane a cui Eastwood ci aveva sempre abituato. I loro dialoghi e le immagini che ce li raccontano sono posticci e stucchevoli brani di film a cui non eravamo abituati e che non appartengono al Clint Eastwood che conosciamo e amiamo. Così come la parte centrale del film dedicata alla vacanza europea è un’imbarazzante giro a vuoto, senza narrazione, una sequenza tediosa e distratta oltre che stereotipata. Il sospetto che non ci sia neppure Eastwood alla regia è forte. [scapigliato]
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