Unica eccezione che, per motivi spiegati prima, non mi sento di includere nella lista. Proiettato come secondo lungometraggio durante la 'Notte Horror', Peeping Tom non ha bisogno di presentazioni. Semplicemente magnifico.
TFF 36esima edizione. Dopo aver soggiornato per 4 giorni nel capoluogo piemontese in occasione del festival del cinema, ritengo doveroso stilare una classifica e relativo commento dei lungometraggi visti in questa prima metà dell'evento. Quattro giorni per 14 film totali (avrei voluto fossero di più ma va bene così) di cui uno, Peeping Tom di Michael Powell, rimane per forza di cose esente dalla classifica in quanto facente parte della retrospettiva dedicata al di sopra citato regista britannico. Un grazie a Torino, alle persone che ci sono state e arrivederci all'anno prossimo.
ps: la lista va dal meno bello al più bello, i numeri possono confondere.
Unica eccezione che, per motivi spiegati prima, non mi sento di includere nella lista. Proiettato come secondo lungometraggio durante la 'Notte Horror', Peeping Tom non ha bisogno di presentazioni. Semplicemente magnifico.
Comincia la classifica. In ultima posizione troviamo Mandy di Panos Cosmatos. Uno dei cavalli di battaglia del TFF 36 ed è divenuto un cult nel giro di poco tempo. Il film di Cosmatos (figlio del buon George) è un rapeandrevenge movie in acido che mescola spettrali ambientazioni horror, specialmente nella prima e più riuscita parte, ai peggiori deliri di Sam Reimi, i quali si incastrano in un contesto tipico da b-movie anni '70-'80. Mandy è un film che divide, o lo si ama o lo si disprezza. Faccio parte di quest'ultima fazione. Realizzazione notevole, ottima fotografia e ottime scenografie per un film che non potrebbe nemmeno definirsi completamente “trash”. A una buona prima parte, molto cupa e apparentemente seria, se ne aggiunge una seconda di puro delirio e ignoranza che annulla quanto di buono si era cercato di creare prima. Mandy va visto con lo spirito adatto, in quel momento probabilmente non ero nel mood giusto.
Famoso b-movie spagnolo anni '70 facente parte di una trilogia interamente dedicata agli zombie e diretta dal medesimo regista. Girato sul finire della dittatura franchista, e perciò autorizzato a mostrare quello che, in anni addietro, sarebbe risultato impossibile, La noche del terror ciego è un horror di bassa leva dalla realizzazione piuttosto fallace che colpisce solo per la bellezza delle due protagoniste (e vorrei anche vedere) e le ambientazioni spettrali. Nonostante si tratti di un film di culto facilmente dimenticabile, conserva però un certo fascino tipico delle produzioni low cost dell'epoca.
Ennesimo passo falso che rimane in bilico tra il ridicolo e l'incertezza. Brad Baruh gira una storia horror ampiamente rivisitata mostrandoci la classica famigliola per bene alle prese con un tranquillo week end di paura in una baita sperduta tra le montagne. Il ritrovamento di una donna svenuta in mezzo alla neve contribuirà a spargere morte e terrore tra i membri della famiglia. Il film di Baruh procede su due binari paralleli mostrando da un lato la narrazione principale, la famiglia e la strage che ne fa seguito, e dall'altro una narrazione in chiave documentaristica (e anche, per certi versi, parodistica) volta a ricostruire gli avvenimenti accaduti nella baita. Dead Night non centra il segno, buone le scene horror e lo splatter ma assolutamente fuori luogo la demenziale ricostruzione dei fatti che svilisce il tentativo di mettere in piedi un discreto film dell'orrore.
Occasione sprecata per il giovane regista cileno che dirige un film insipido, bugiardo e inconcludente. Tyler, ragazzo di colore, trascorre il fine settimana in compagnia di un gruppo di ragazzi bianchi che non conosce, fatta eccezione per l'amico John. Sentendosi isolato per via del colore della sua pelle, Tyler comincia a nutrire un forte disagio che con il tempo accrescerà sempre di più. Da molti considerato il nuovo Get Out, Tyrel (da notare lo scambio di consonanti tra il titolo e il vero nome del protagonista) affronta le tematiche del razzismo in maniera assai velata e priva di effetto. Più che sul razzismo, questo film affronta il disagio di un ragazzo trovatosi nel mezzo di una compagnia di amici con i quali non riesce ad andare d'accordo, situazione che è capitata a chiunque nella vita (me compreso) e che poco ha a che vedere con il colore della propria pelle. Tyrel sembra sempre in procinto di partire e di far succedere qualcosa, una svolta all'interno della storia che non arriverà mai. Occasione sprecata, film a tratti inutile nonostante viaggi spedito e si lasci vedere senza problemi.
Film particolare e intenso che ripercorre le tappe dell'omicidio di una ragazza in un bosco accompagnata dalla dolorosa testimonianza della sorella. Nothing or everything è un dramma pregno di sofferenza e talento che mette in scena, con risultati ottimali, l'elaborazione del lutto attraverso gli occhi della vittima stessa. Importanti i silenzi, le pause e il vuoto che regna tra le due protagoniste.
Considerato erroneamente come un horror, Piercing è in realtà una strana commedia nera che verte verso il thriller e il grottesco. Pesce mette in scena la storia di un serial killer che passa le notti ad uccidere prostitute in maniera inusuale provando un estremo piacere nel farlo. Una notte gli capiterà tra le mani una prostituta che lo metterà in seria difficoltà. Film carino che si lascia vedere, interessanti le scenografie, la fotografia e bravi gli attori. Oltre a ciò non vi è nient'altro di memorabile e di particolarmente significativo.
Anka e Witek sono una giovane coppia di Varsavia che decide di avere una famiglia. Witek fa l'inviato di guerra, rischiando ogni volta la vita in missioni pericolose in paesi remoti, mentre Anka, ex giornalista, vive perennemente nel timore che il marito possa morire. Il film, opera prima della Bukowska, qui impegnata inoltre nel ruolo della protagonista, è incentrato completamente sulla psiche di Anka e sulle turbe mentali che mese dopo mese la rendono sempre più vulnerabile. Opera imperfetta che riesce a colpire sia per l'egregia realizzazione, regia e fotografia in primis, sia per la bravura della Bukowska che dipinge il personaggio di Anka in maniera sensazionale.
Il film si basa interamente su un episodio di cronaca nera che sconvolse il modenese nel 2012. Beatrice, a seguito di numerosi problemi personali, fa ritorno dopo molti anni nella vecchia fattoria di famiglia per vivere con il fratello Franco e la sorella Emilia, contadini relegati a una condizione di completo isolamento ed emarginazione sociale. Dopo i primi problemi iniziali, la situazione sfuggirà di mano ai tre fratelli e si trasformerà in tragedia. Film interessante girato in maniera grezza e spietata da Barozzi ed interpretato da un trio di attori sconosciuti ai più. Un buon thriller che analizza una storia vera rendendola un perfetto film di genere dal richiamo (e qui il confronto è accettabile) avatiano.
Thriller di ottima fattura che vede un solo personaggio in scena e un'unica location. Asger, un poliziotto confinato a operatore telefonico di un pronto intervento, riceve la chiamata di una donna che afferma di essere stata rapita. Mosso più da motivi personali che lavorativi, Asger prende a cuore la vicenda fino ad addentrarsi in oscuri segreti che lo riguardano molto da vicino. Film intenso e stratificato che regala un'ottima prova dell'attore Jakob Cedergren e coinvolge fino al bellissimo finale.
Film a cavallo tra l'horror e il grottesco con una punta di commedia nera che contribuisce a impreziosire il tutto. Diviso in due parti, In Fabric è la storia di un misterioso abito rosso maledetto, venduto all'interno di una botique di lusso, che procura danni mortali a chiunque lo indossi. Opera difficile da descrivere in quanto fa dell'estetica visiva il suo punto di forza. Strickland si destreggia dietro la macchina da presa con notevoli risultati confezionando un film a tratti inquietante e a tratti divertente. Finale un po' campato per aria ma realizzazione globale di rilievo.
Arrivati sul podio, la medaglia di bronzo è vinta dal bellissimo Nos Batailles, interpretato dal sempre convincente Romain Duris. Film drammatico incentrato sui problemi personali di Olivier, capo magazziniere trovatosi da un giorno all'altro a gestire i piccoli figli a seguito dell'abbandono da parte della moglie. Olivier si ritrova così diviso tra figli, lavoro e drammi coniugali. Un film bellissimo che parla dell'importanza della famiglia e del difficile ruolo del genitore.
Nonostante occupi la seconda posizione, High Life è indubbiamente il film meglio realizzato tra quelli visti in questa edizione del TFF. Un'opera di fantascienza altissima che richiama Kubrick e Tarkovskij e fornisce numerosi spunti di riflessione sul senso della vita e dell'amore. In un futuro prossimo, un gruppo di criminali viene condannato a scontare l'ergastolo su una navicella in orbita nello spazio. Con loro è presente una dottoressa che, oltre ad assisterli, compie esperimenti al fine di ricreare la vita umana tra loro. Opera tesa e magistrale che colpisce per la regia algida e claustrofobica e per le convincenti interpretazioni degli attori. Una space-opera con i fiocchi che attinge dalle ambientazioni del primo Alien per affrontare discorsi legati all'esistenza e alla vita umana. Bellissimo.
Se pur con qualche riserva, la medaglia d'oro di questa cerchia ristretta di film spetta al maestro dell'horror francese Pascal Laugier. Due sorelle adolescenti e la loro bella madre prendono possesso di un'antica casa isolata appartenuta ad una lontana parente. Una volta giunte a destinazione vengono ferocemente aggredite da una coppia di psicopatici. La narrazione prosegue raccontando al vita delle tre donne molti anni dopo, scosse ancora da quel terribile episodio. Beth, la protagonista, rivive quasi per magia nera gli avvenimenti di quella notte fino a che le due linee temporali di passato e presente si fondono in un'unica narrazione dalla quale la ragazza non riuscirà più a uscire. Laugier firma con il suo gran talento un'opera a tratti disturbante che regala sequenze al cardiopalma, condite da una scenografia tetra e inospitale. Ghostland è però rovinato da un finale affrettato e sbrigativo che non rende giustizia alla bellezza visiva e stilistica creata dal regista francese. Finale a parte, Ghostland è un film bellissimo che tiene tesi per tutta la sua durata e dimostra ancora una volta il grande talento del suo autore. Martyrs insegna.
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