«Noi. Un pronome così scivoloso. Chi ne fa parte, e chi no? Se diciamo “Abbiamo perso uno di noi”, il numero indicato dal pronome cambia a metà frase. Per Martin, la parola era come una variabile in un programma di computer, un contatore che segna una cifra diversa a seconda di quando lo si guarda. Ma la questione era più complicata di così; la definizione dipendeva da chi stava svolgendo il calcolo.»
“We Are All Completely Fine” (“Siamo Tutti in Ordine”, Fanucci, 2016, traduzione di Enrico Lodi, 170 pagg., 16.00 €, brossura) è una novella (o romanzo breve) del 2014 di Daryl Gregory, classe 1965, autore, tra gli altri, di uno dei più bei racconti di SF del secondo millennio, “Damascus”, del 2006 (Mondadori), al quale vanno aggiunti “Second Person, Present Tense”, del 2005 (Mondadori) e “Glass”, del 2008 (Mondadori), e i romanzi (che non ho ancora letto) “Pandemonium”, il suo esordio sulla lunga distanza del 2008 (Fanucci), e “SpoonBenders”, del 2017, l'ultimo in ordine di pubblicazione (“La Straordinaria Famiglia Telemachus”, Frassinelli); e con questa breve lista penso/credo di aver completato il tutto sommato non breve elenco delle sue opere tradotte in italiano (bisogna ancora citare almeno, tra i romanzi, “the Devil's Alphabet”, del 2009, e “AfterParty”, del 2014).
Dal risvolto di copertina: Harrison dice di essere stato, un tempo, il Piccolo Eroe di Dunnsmouth, il Detective dei Mostri, ma ora che ha più di trent’anni passa la maggior parte del suo tempo a ingurgitare pillole senza mai dormire. Stan, a quanto pare, anni prima ha goduto di una certa notorietà dopo essere stato quasi divorato da un gruppo di cannibali. Barbara invece è ossessionata dai messaggi che l’Intagliatore le ha inciso sulle ossa e che non ha mai potuto leggere. Greta è una piromane patologica che dice di aver causato la morte di moltissime persone. E Martin? Martin nasconde lo sguardo dietro occhiali da sole che non toglie mai... Nessuno ha mai creduto fino in fondo a quello che raccontano, nessuno fatta eccezione per Jan Sayer, la psicoterapeuta che ha creato un gruppo di supporto per studiarne le terribili psicosi e monitorarne gli strani comportamenti. Insieme affrontano i nemici che popolano le loro menti e le fobie che invece li aspettano al varco nel mondo reale, […] verso mondi periferici, paralleli […].
Il libro parte bene, risuonando in zona Jonathan Lethem (“the Fortress of Solitude”, 2003, “Chronic City”, 2009), prosegue meglio e per due terzi l'incedere è da rullo compressore kinghiano [la trama può ricordare un po' il discreto “Doctor Sleep” (2013), il séguito di “the Shining” (1977), ma lo stile del racconto e la forza narrante sono degni di “Gerald's Game” (1992) e, cambiando autore ma non capacità artistiche, di un altro potente esordio, quello di Iain M. Banks col suo “the Wasp Factory” (1984), con tanto di colpo di scena/rivelazione/twist/explanation finale], poi si affloscia un poco nell'ultima parte, sulla falsariga di un lavoro su commissione che cede tanto al genere (action-fantasy) quanto al mainstream, per riprendersi sul traguardo, riscattandosi con un doppio finale: prima il colpo di scena, poi la rappresentazione della titolante --[narratore autodiegetico in prima persona...plurale: per lungo tempo (causa anche e soprattutto l'incipit: “All'inizio eravamo in sei. Tre uomini e due donne”: e bam! Anche se poi invece prosegue sùbito con: “E la dottoressa Sayer. Jan, […] la psicologa che prima ci aveva trovati e poi ci aveva persuasi che un'esperienza di gruppo avrebbe potuto essere molto più efficace della terapia individuale”) ho pensato che la conclusione potesse consistere in una riduzione, dal noi all'io, operando insomma un percorso inverso rispetto a “the Bird's Nest (“Lizzie”)” (1954; Adelphi) di Shirley Jackson - e “Siamo Tutti in Ordine” ha vinto, per l'appunto, oltre al World Fantasy Award, lo Shirley Jackson Award -, o al magnifico “Set This House in Order” (2003; “la Casa delle Anime”, Fanucci) di Matt Ruff (che contiene un'altra formidabile agnizione “terminale”, in realtà un virulento reinizio) - l'autore di “Full on the Hill”, “Acqua, Luce e Gas: la Trilogia dei Lavori Pubblici” (Fanucci), “Bad Monkeys” (Fazi), “the Mirage” (Fanucci) e dell'imminentemente spero in fase di traduzione “Lovecraft Country” -, e finendo per combaciare - però in campo puramente cinematografico - con “Identity” di James Mangold, e/ma invece no]-- considerazione moral-esistenziale degli ultimi due paragrafi.
Insomma: 3/5 a **** + 1/5 a **½ + 1/5 a *** = ***½.
Con Jeff Goldblum, Christopher Guest, Glenda Jackson, Julie Hagerty
La cosa di cui meno ci fidavamo era il mondo reale. La dottoressa Sayer questo lo capiva meglio di quanto gli altri potessero immaginare. Sapeva – sapeva – che l'universo era pieno di creature malvagie e che non c'era modo di difendersi da esse. Tutti i membri del gruppo, inclusa Jan, erano sicuri di dover morire quasi certamente da soli. Ciò che i pazienti non capivano era che questa è proprio la condizione umana. Le orribili esperienze vissute dai membri del gruppo non li avevano esentati dalle normali crisi esistenziali. Piuttosto, le avevano esasperate. La terapia individuale non era sempre il migliore modo per capirlo.
Quasi non si erano parlati, durante il viaggio. Il silenzio era rotto solo dalle indicazioni monosillabiche di Greta e da un imbarazzato “Grazie” finale. La settimana seguente, lui l'aveva accompagnata ancora a casa, e così era diventata una cosa regolare. Avevano iniziato a comunicare, le brevi domande di Greta puntavano a farlo parlare sempre della sua infanzia e, visto che lui non cedeva, finivano sempre per discutere dell'unica cosa che avevano in comune: il gruppo. I loro commenti erano diventati presto dei rapporti postincontro, e poi delle autopsie complete. La strada verso casa era diventata troppo corta; stavano seduti in auto fuori dalla palazzina – un tetro blocco di cemento eretto per la residenza degli studenti – e si dedicavano alla loro dissezione settimanale.
Dopo l'uscita del libro, si era ripromesso di tirare un pugno agli investigatori del paranormale sulle loro facce normali. La lista di pugni in sospeso si sarebbe poi estesa, dapprima agli editori della Macmillan che avevano creato una serie di avventure “quasi-sicuramente-di-finzione-ma-chi-può-saperlo”, in cui compariva un personaggio chiamato Jameson al Quadrato, e poi ai produttori del canale Sci-Fi (ora SyFy)., i quali avevano creato un film-tv che lui avrebbe definito inguardabile, se solo così tanta gente non gli avesse detto di averlo guardato.
Con Ron Perlman, Mark Feuerstein, Emmanuelle Vaugier, Caitlin Wachs
Poi apparve nella stanza con loro: il Nascosto, che si rivelava. Che prorompeva nel mondo. Qualcuno urlò. Harrison alzò le mani per proteggersi gli occhi, ma quello fu un gesto animale, inutile contro la non-luce che si irradiava da esso. Non era una “creatura del fuoco”. Era piuttosto la condizione a cui il fuoco stesso aspirava. Il calore che spaventa le fiamme.
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