Altro compleanno "a cifra tonda", altra retrospettiva. Questa volta dedicata a Tim Burton, che compie 60 anni. Mentre si avvicina l'uscita di "Dumbo", secondo remake in live action disney per il Regista dopo "Alice in Wonderland", ho deciso di riguardarmi i suoi Lungometraggi finora realizzati, escludendo dalla mia Maratona i Titoli da me visti in tempi recenti. Ho escluso anche quei Film, come "The Nightmare Before Christmas", che pur partendo da un progetto di Burton non l'hanno poi visto al timone della Regia. Comunque, in più di 30 anni di carriera Tim Burton ha sicuramente influenzato fortemente il Cinema, grazie ad un'Estetica unica dominata da Tinte Dark e da un Black Humour brillante. Negli ultimi anni, e in particolare a partire da "Charlie and the Chocolate Factory" (ma anche da "Planet of the Apes"), sembra essere sempre più bistrattato, accusato di aver perso la sua Classe diventando un regista pessimo o, quanto meno, di non avere quasi più nulla da dire. A volte, dai toni di alcuni commenti letti in giro, si ha quasi l'impressione che per qualcuno egli sia stato fin dalle origini un regista enormemente sopravvalutato, ma questa ipotesi non la prendo minimamente in considerazione per la sua boriosa inettitudine. Però anche l'idea di un Tim Burton passato dal Genio alla Merda o "soltanto" scivolato nella mediocrità è secondo me lontana dal vero. Certo, pure io devo ammettere che, da 10 anni a questa parte, di suoi Film in grado di competere con i Capolavori e i Cult del passato sembrano essercene sempre di meno, e il progetto di "Dumbo" non mi fa sperare certo in un'Opera molto personale (ma ancora non ho visto neppure i trailer). In ogni caso io credo che Burton conservi sempre, persino nei lavori meno personali, la sua impronta e la sua Poetica, incentrata sui Temi della Diversità (con Personaggi spesso stranieri, a volte addirittura "in patria"), della "Solitudine da Freaks" in cui vivono gli Individui ("buoni", ma anche "incattiviti") per fisico e/o per Sensibilità lontani dagli standard della massa di "normali", del Rapporto viscerale e simbiotico che si crea tra Artista e Opera e così via. Tim Burton è, soprattutto, un Autore che ha molto influenzato la mia visione del Cinema e della società, e per questi e altri motivi non potevo non dedicare anche a lui una rassegna, anche se purtroppo temo di non essere riuscito a rendergli un giusto omaggio, non essendo riuscito a rivedere alcuni Film fondamentali (come "Corpse Bride" o "Frankenweenie") prima della pubblicazione di questo articolo. Comunque, spero che la lettura delle riflessioni (rielaborati da pensieri vecchi e nuovi sui vari Film, rivisti o ricordati "a memoria") da me proposte possa risultare soddisfacente, e soprattutto mi auguro che possano stimolare ulteriori riflessioni sulle Opere e sullo Stile di questo Regista, magari sviluppando pure un interessante dibattito.
Inizialmente quasi irriconoscibile l'esordiente Burton, con un protagonista ai limiti dell'irritazione, apparentemente lontanissimo dai Freaks emarginati e tragici che popolano l'Immaginario del visionario Regista: Pee-wee è troppo idiota, infantile (in senso negativo, di bambino cresciuto viziato, e non di bambino aperto e per certi versi "dickensiano" tipico del Burton che verrà), egoista, egocentrico, apparentemente insensibile ai sentimenti... Non si avverte una vera differenza col rivale viziatissimo, se non per l'imbecillità. Poi però il film, dopo non tanto il furto della bici (dove quasi si è contenti) ma con l'inizio del Viaggio, decolla e, finalmente, il protagonista rivela la propria natura di emarginato sociale (anche se non esattamente con caratteri 'burtoniani') e, soprattutto, attirerà a sé una lunga sfilza di Personaggi ai limiti del Surreale, tra un ricercato, una fantasma, una cameriera che sogna la Francia e l'Amore, per approdare finalmente ad Hollywood dove recupererà la bici in un inseguimento esagerato e meta-cinematografico, a metà strada tra i Looney-Tunes (con tanto di sfondo ingannatore alla Willy Coyote) e John Landis. L'epilogo al drive-in ironizza sugli stravolgimenti che le major apportano alla realtà (o alla visione individuale di un artista) per renderla più appetibile commercialmente: dopo essersi visto sullo Schermo (in cameo e doppiato) e aver salutato tutti i Personaggi da lui incontrati, Pee-wee lascia il drive-in con la (finalmente) fidanzata Dottie perché il film l'ha vissuto, e "attraversando" lo schermo compie forse il gesto più sovversivo dell'intera pellicola. Nel complesso il film è molto acerbo, poco personale e probabilmente appartiene più a Pee-wee Herman/Paul Reubens che a Burton, però si intravede il Futuro del geniale Autore e, comunque, superata l'antipatia iniziale ed entrati nel mondo del Protagonista, il film riesce ad intrattenere catturando qualche sorriso.
Secondo Lungometraggio di Tim Burton, nonché suo primo Cult e sorta di "Manifesto" programmatico della sua Poetica. Infatti, se "Pee-wee's Big Adventure" tradiva fortemente una natura "da commissione" rendendo piuttosto ardua l'individuazione dei caratteri stilistici più riconoscibile dell'Autore, con "Beetlejuice" Burton mette per la prima volta in scena la sua visione unica e personale dell'Aldilà, in bilico tra Gotico e Black Humour bizzarro. Non manca poi una riflessione autobiografica sul rapporto difficile e sofferto tra gli Individui con una certa sensibilità artistica e la Società in cui ci si trova costretti a vivere, dove dominano superficialità, apparenza e culto di un successo vuoto. Burton estende anche una ironica critica contro la freddezza della burocrazia rappresentandola nei magnifici sipari ambientati negli uffici dell'Aldilà: il pragmatismo dei sistemi di governo nel mondo dei vivi riecheggia parodiata nell'amministrazione ultraterrena, evidenziando l'inutilità di norme e codici cavillosi e fumosi. Parlando del Personaggio Beetlejuice, egli è la versione negativa (ma non moralisticamente giudicata) dei Freaks burtoniani: più che l'Eroe tragico Edward ricorda Personaggi come Joker, ma soprattutto Penguin e, in un certo senso (seppure molto più serioso), anche Sweeney Todd. Troppo "cattivi" per essere persino Anti-Eroi, i "bad freaks" burtoniani sono però privi anche della malvagità e/o dell'opportunismo spietato dei veri villain messi in scena dal Regista: forse questi sono i Personaggi più tragici nell'Universo dell'Autore, i suoi Reietti più disperati perché emarginati dalla società ma privi dei Sogni, delle Idee, delle Passioni dei Freaks "buoni"(i quali riescono a trovarsi un posto pur restando fuori dal Mondo), ma non sono portati fino in fondo alla smania di potere di un villain "vero e proprio" (con i quali, anzi, spesso si scontrano), e l'unica meta che sembrano poter raggiungere è la Follia, con derive spassose a vedersi anche se, scavando un attimo nella riflessione, potremmo trovare risvolti drammatici (ma bisogna dire che in "Beetlejuice" questi risvolti sono molto meno identificabili se non forse addirittura assenti). Forse questi Personaggi incarnano la Paura artistica di Burton mentre Personaggi come Edward o Emily ("The Corpse Bride") ne incarnano la Speranza? Non saprei, ma sicuramente in questi Personaggi vedo uno Specchio dell'Intimità artistica dell'Autore.
BATMAN Molto fumettoso e indubbiamente 'datato', rimane un Signor Cinecomic, uno dei Migliori nel filone, perché riesce a rievocare atmosfere e toni tipici del Fumetto restando però coerente alla sua Natura Cinematografica. Burton è evidentemente limitato, frenato dalle "ragioni di mercato", e questo dà, ad una visione superficiale, un clima rassicurante di buoni vs. cattivi al Film. Ma sotto l'apparente convenzionalità troviamo tutta la Visionarietà Artistica del Grande Burton: le scenografie gotiche, la violenza tanto cartoonesca nell'assurdità quanto gustosamente macabra nei risvolti, l'oscurità e i giochi con le ombre, le inquadrature sghembe, l'opposizione tra costumi sgargianti e costumi dark... Perfino la pelle innaturalmente bianca del Joker richiama moltissimo il pallore tipico dei Protagonisti Burtoniani. È presente anche, seppure in dosi minori, una sottile contestazione alla noiosità e alla banalità tipici delle classi borghesi, nonché una, seppure annacquata, derisione delle forze di polizia. Non manca l'aria di Malinconia con cui il Regista è solito circondare i diversi, in particolare la coppia opposta di Batman e Joker. Il primo, interpretato sobriamente da Michael Keaton, è un ricco idealista che non si vede rappresentato nello sfarzo in cui vive, mentre il secondo è un folle deforme dalla mente Unica e Visionaria, e con tutta probabilità è il Personaggio che davvero interessa Burton e in cui si riconosce maggiormente, in quanto Artista e Anti-Sociale. Comunque "Batman", come dicevo, non è tra le opere più libere di Burton, e il suo Joker non può essere definito un "perfetto" Eroe Burtoniano: oltre a non essere 'nato' Freak, il nostro Joker è troppo ossessionato dalla brama di potere e di popolarità, e il suo odio verso il nemico pipistrello consiste soprattutto in una gara ai consensi e ai titoli di giornale. Però c'è anche quel sottotesto Frankensteiniano di Odio verso il proprio creatore valido per entrambi: Joker vuole distruggere Batman anche per vendicarsi di averlo "creato" gettandolo nella vasca di acido, ma anche Batman è stato creato da Joker/ Jack Napier con l'uccisione dei suoi genitori. Sicuramente non un Capolavoro, resta però un Classico del Genere e uno dei suoi esempi più Autoriali e Inventivi, senza dover ricorrere ad una seriosità pesante e inutile per sembrare impegnata.
EDWARD SCISSORHANDS Forse il Film più noto e acclamato di Burton, sicuramente una delle sue Opere più rappresentative, in cui l'Autore esprime al meglio la sua Poetica. Edward è una delle Figure più personali emerse dall'Immaginario del Regista, e infatti la sua Creazione trae origine dall'Infanzia dello stesso Cineasta. Egli è la rappresentazione della condizione di Freak in cui è condannato a vivere ogni Diverso, che sia "fisico" o "spirituale" (ed Edward è entrambi). È l'Artista visionario catapultato dalla propria Solitudine al Rumore caotico della "civiltà". Inizialmente la società sembra pervasa da una sorta di eccitazione, ma l'entusiasmo della comunità per il nuovo arrivato risponde soltanto ad una superficiale curiosità per l'insolito, senza tradursi in un desiderio di conoscenza approfondita della Persona differente e della sua Cultura. È la morbosa attrazione della massa "normale" verso il "fenomeno da baraccone", e resta tale anche dopo che Edward rivela le sue doti artistiche: alla gente non interessa esplorare la Personalità da cui scaturiscono le Opere, ma vuole solo possedere qualcosa percepito come potenzialmente chic, di moda. Anche l'attrazione erotica provata da Joyce, una vicina, per Edward risponde al desiderio della "Normalità" di esercitare un dominio assoluto sul "Diverso", privandolo della Dignità e dell'Individualità della Persona. Una volta compromesso con le leggi del sistema e del perbenismo, l'entusiasmo popolare lascerà immediatamente il posto al Disprezzo, portando la comunità verso una sorta di crociata/inquisizione contro la "Minaccia" (la somiglianza con la xenofobia dilagante è inquietante). Kim invece va in direzione contraria: partendo dallo spavento e dal disagio iniziali quando trova l'ospite in camera, la ragazza matura man mano compassione, empatia, affetto e infine amore sincero per la "Creatura", arrivando alla fine a salvarlo dal linciaggio popolare. Burton mette in scena il distacco tra la Solitudine artistica di Edward e la banale finta allegria della comunità contrapponendo al grigiore elegante del Castello (che pare emerso da un Film in b/n) i Colori esorbitanti e straripanti della cittadina. Il Montaggio e le Musiche sottolineano ulteriormente il contrasto tra la natura estremamente introversa del Protagonista con la frenesia caotica e soffocante della comunità perbenista e superficiale, mentre le Scene in cui Edward è all'Opera catturano magnificamente la febbricità Creativa tipica dell'Artista visionario, il quale raggiunge una sorta di Maturità Poetica con le Statue di Ghiaccio: esprimendo i Sentimenti più profondi e sinceri, ovvero l'Amore triste per Kim, Edward arriva a "creare la Neve", sotto cui ballerà estasiata la ragazza. Chiudo qua per ora perché temo di aver banalizzato la Poesia del Film. In ogni caso, "Edward Scissorhands" è un'Opera d'Arte dove la Visionarietà di Burton è impossibile da negare: un Film estremamente personale, e chi avverte o ha avvertito la Solitudine del protagonista (e dell'Autore) non può non approdare ad un sottile stato di Commozione sincera.
BATMAN RETURNS Dopo la Consacrazione artistica con "Edward Scissorhands", Burton torna a dirigere Batman nel suo sequel. Questa volta però si avverte una maggiore Libertà creativa nella Messa in scena, e così la Poetica e lo Stile del Regista hanno la possibilità di esprimersi al meglio. Il moralismo fascistoide di Bruce Wayne/Batman si scontra con una Follia che non può essere bollata banalmente come "cattiveria", e questo vale sia con Catwoman che con Penguin. Quest'ultimo è un Freak autentico, "biologico": abbandonato da piccolo dai propri genitori (tra cui c'è Paul Reubens, ovvero Pee-Wee Herman) e costretto a vivere nelle Fogne, Oswald Cobblepot coltiva col tempo un profondo rancore nei confronti del Mondo, covando un inquietantissimo piano di vendetta. Plagiato dall'industriale spietato ma umano Shreck, accantona il suo progetto stragista per candidarsi sindaco: come Joker, anche lui aspira ad essere amato dal popolo, ma non essendo "innocente" il suo desiderio di amore è finto e destinato a fallire, venendo così abbandonato sia dal suo potenziale elettorato sia dal suo protettore. Più che ispirare odio Penguin stimola un profondo senso di Pietà, e la sua Morte è messa in scena con toni drammatici: accasciatosi a terra senza nemmeno avere la possibilità di affrontare un'ultima volta il rivale (Batman), il suo corpo viene trascinato, come in un funerale, nell'acqua dai Pinguini. Anche Selina Kyle/Catwoman è una Freak: segretaria introversa e "invisibile", viene "uccisa" da Shreck dopo aver scoperto la nocività del suo ambizioso progetto energetico. "Ritornata in vita", si trasforma in Catwoman, Anti-Eroina e Anti-Villain, da una parte simbolo femminista e dall'altra "vandala" nichilista. A differenza di Penguin, lei non uccide gente "innocente", ma non è nemmeno spinta da moralistici "ideali" giustizialisti come quelli di Batman: il suo fine unico è vendicarsi per motivi sostanzialmente personali, e per questo la sua è una causa individualista. Seppure inizialmente in conflitto tra di loro, Bruce e Selina arriveranno inconsapevolmente ad innamorarsi e, una volta scoperte le rispettive identità, si troveranno a dover mettere seriamente in discussione le proprie posizioni. Una speranza di vita comune però è troppo idilliaca per funzionare, e quindi la Donna rifiuta la proposta del miliardario per portare a termine il proprio "suicida" piano di vendetta. Nell'Epilogo, Bruce è palesemente travolto dai Dubbi, e così l'ultima immagine che vediamo prima dei titoli è Catwoman che si erge sulla città per osservare il simbolo di Batman. Uno dei migliori Cinecomic mai realizzati, forse il miglior Film su Batman: Burton è presente in ogni scelta visiva, dalle Scenografie "gotiche" al Look di Penguin, dalle Musiche di Elfman (meno "eroiche" e più dark rispetto al film con Nicholson) alla Fotografia fondata sul contrasto tra Luci e Ombre. Si nota, in diverse inquadrature, l'utilizzo di lenti bifocali, uno degli stratagemmi tecnici da me maggiormente apprezzati.
ED WOOD Tra i più riusciti e personali Capolavori di Burton: assieme a "Edward Scissorhands" e "Big Fish" per me questa è la Vetta artistica del Regista. Burton non si abbandona all'agiografia finta di un personaggio già osannato, ma sceglie di omaggiare a modo suo un regista a lui palesemente caro. Già la scelta del Protagonista è in linea con la Poetica dell'Autore: non si va a celebrare infatti un Maestro acclamato del Cinema, neppure di Genere, ma bensì Ed Wood, ovvero uno dei cineasti considerati peggiori della Storia. Burton propone la sua riflessione sul Cinema scegliendo un reale Outsider, una sorta di "Freak di Hollywood", non un Anti-eroe ma un "per nulla eroe", però nella Poetica di Burton questa definizione non serve a sminuire ma ad umanizzare. Il Protagonista vive il suo Stile fregandosene dei critici e dei produttori, pur coltivando a volte il Dubbio sul suo stesso operato pur considerandosi "votato" all'arte e in particolare al Cinema, e per questi motivi egli può vestirsi da donna senza timore, può girare un numero esorbitante di scene in un solo giorno con riprese "buone alla prima" e così via. Può persino permettersi di dialogare tranquillamente (e in abiti femminili) di problemi produttivi con Orson Welles come se i due fossero pari, e per certi versi lo sono, in quanto entrambi (nonostante il profondo Divario qualitativo) furono dei Reietti agli occhi di Hollywood. Ma soprattutto il "regista peggiore del mondo" può diventare il migliore amico di una Leggenda, anche se in declino, come Bela Lugosi (Landau oscar meritatissimo). Il Rapporto tra il regista l'attore è, per certi versi, un incontro tra Freaks: da un lato appunto abbiamo una sorta di "barzelletta del Cinema", un cineasta naive che crede nel mito della "fabbrica dei sogni" e che insegue le proprie Ambizioni artistiche nonostante le modeste capacità tecniche; dall'altro invece abbiamo l'ex-Divo di Genere, un "reietto hollywoodiano" sia per il suo essere relegato "nel Genere" (all'epoca, e per molto tempo ancora, bollato come "serie b") sia per il suo essere una sorta di "reliqua morente", e la tossicodipendenza unita alla sua origine straniera lo rendono ancora più un "appestato" nell'industria, e lo stesso vale per Ed con il suo travestitismo. Ma Burton non vede questa bizzarra amicizia secondo i canoni superficiali della società, ovvero come una coppia di "storpi" diretta verso una caduta ridicola e rovinosa, ma bensì come due compagni "di sventure", a cui si aggiungono gli altri componenti della troupe woodiana, legati da una relazione estremamente genuina e votata all'aiuto sincero e al rispetto reciproco. "Ed Wood" è un Capolavoro ricco di Personalità e quindi di Significati, di Domande, di Stimoli. Pur mostrando il cinismo di Hollywood, quest'Opera invita gli Individui Spettatori, in particolare gli aspiranti Cineasti, a non demordere e a tirare avanti con i propri Sogni. Sogni che l'insegna di Hollywood continua a simboleggiare, e per questo sia all'inizio che alla fine la mdp inquadra la celeberrima scritta sul Mount Lee.
MARS ATTACKS! Dopo 2 anni da "Ed Wood" e nell'anno dell'"Independence Day" di Emmerich, Burton realizza anche lui un film su un'invasione aliena, prendendo ispirazione da una serie di figurine. Il risultato è un mix tra la versione parodistica di un blockbuster e un omaggio auto-ironico alle atmosfere B-Movie tipiche di film come "Plan 9 from Outer Space". Dal regista di "Glen or Glenda", Burton in una scena pare riprendere anche la scelta di utilizzare materiale di repertorio per enfatizzare la catastrofe su scala mondiale, salvo poi rivelare l'origine "televisiva" di queste clip (tra cui appare Gojira, per ironia della sorte poi remakeizzato, male, dal già citato Emmerich 2 anni dopo) da parte degli alieni. Ovviamente, rispetto a Wood l'Autore del suo Bio-Pic può permettersi mezzi maggiori tra cui un cast stellare, dove possiamo vedere diversi volti noti nel Cinema burtoniano, come DeVito, Parker, Marie e un Nicholson impegnato in due ruoli, il presidente liberale Dale e l'industriale senza scrupoli Land. Rispetto ai suoi Film precedenti, da "Beetlejuice" al più volte già citato "Ed Wood", questo film appare meno personale e molto più fracassone. Inoltre, l'intento corale, esplicitato dal dispiego immane di personaggi, viene perseguito non senza "pecche", dando a volte l'impressione di saltare alcuni passaggi narrativi utili per approfondire i vari caratteri. Anche gli effetti digitali non sono invecchiati troppo bene, ma qui si potrebbe benissimo pensare ad un omaggio (inconsapevole?) al gusto "cheap", seppure contemporarizzato, tipico di Wood e altri Autori "di serie B". "Mars Attacks!" comunque è, nonostante (o grazie) i suoi difetti, un ottimo film di satira fantascientifica, efficace nel farsi beffe di tutte le sfumature sociali, dai liberali ingenui e chiacchieroni ai reazionari guerrafondai e zoticoni, senza dimenticare giornalisti superficiali, scienziati disattenti e tutta quella gente troppo ancorata al denaro per rendersi conto della catastrofe in azione. Sono sempre gli "outsiders", di vario genere e provenienza, a tirare fuori il meglio dell'umanità, e alla fine il "virus" che risolve questa demenziale guerra dei mondi viene scoperto in un pezzo country da una vecchietta svampita ma dolcissima e dal suo nipote brillante (e per questo incompatibile con la sua famiglia di redneck militaristi). "Mars Attacks!" non è una delle Opere migliori di Burton, ma resta un divertentissimo film sospeso tra i generi (satira sociale, fantascienza, horror comedy, catastrofico ecc.) e non privo di personalità, anche politica. Un piccolo Cult, a suo modo.
SLEEPY HOLLOW Anche questo probabilmente rientra tra i Film più noti di Burton. Tratto dal celeberrimo racconto di Washington Irving e ambientato a cavallo tra XVIII e XIX secolo, "Sleepy Hollow" mette in scena sostanzialmente un conflitto tra Mondi diversi, come Ragione e Superstizione, Amore e Avidità, Individuo e Società, e così via. Il Protagonista, Ichabod Crane (qui un detective, interpretato dal fidato Depp), per la sua ferma convinzione nella Logica è considerato come una sorta di "freak" all'interno del sistema poliziesco "vecchio stile" di New York, ma anche tra i cittadini di Sleepy Hollow i suoi metodi, uniti alla sua condizione di "straniero", lo portano ad essere visti con sospetto e malcelato disprezzo. Nel Film si trova pure una nutrita presenza di "streghe", che per la loro natura possono benissimo rientrare nella definizione di "freak". Innanzitutto abbiamo la Madre di Crane (Lisa Marie), uno spirito libero e vicino alla natura che, come apprendiamo dai vari flashback-incubi del Protagonista, fu una delle numerose vittime delle cacce alle streghe e sul sistema maschilista-patriarcale (la condanna viene eseguita dal marito) su cui gli u.s.a. hanno fondato le origini della loro spesso ingloriosa Storia. Anche Katrina (Ricci) utilizza incantesimi e simboli magici per proteggere le persone a lei care, e per questo ad un certo punto verrà fraintesa dal pragmatico Crane. Soprattutto abbiamo Mary Archer (Richardson), matrigna di Katrina, la quale può rientrare benissimo nella lista di Freaks "negativi" proposti da Burton nella sua Filmografia: lei infatti è una reietta che, incapace di trovare un proprio angolo di Pace o una propria Speranza, cova col tempo un profondo rancore nei confronti della società da cui è stata emarginata meditando un piano di vendetta e riscatto (anche economico) spietato che contempla l'eliminazione indifferente di chiunque si ponga sulla propria strada, che si tratti di "colpevoli" o di "innocenti", di adulti o di bambini. Non bisogna dimenticare poi la strega del bosco, sorella di Mary (sempre interpretata da Richardson), figura misteriosa di eremita e fondamentale nello sviluppo delle indagini. Il Cavaliere stesso (che, almeno quando ha la testa, è interpretato da Walken) può essere visto come un Freak, ma a differenza dei Diversi tipicamente burtoniani ("positivi" o "negativi" che siano) egli sembra nascere come totalmente "malvagio", sicuramente pazzo e sanguinario, anche se paradossalmente le sue ragioni sono più comprensibili da morto rispetto a quando era vivo: in ogni caso egli, da vivo come da morto, è più un'arma temibile che un essere umano. Anche se, personalmente, trovo questo Film meno "artistico" e più votato al "semplice intrattenimento" rispetto ad altre Opere del Regista, "Sleepy Hollow" rimane comunque un Lavoro decisamente personale e brillante, in cui Burton conserva comunque la sua Poetica, il suo Immaginario, il suo Black Humour e l'Amore per i Classici di Genere (Bava, la Hammer...).
PLANET OF THE APES Credo sia piuttosto evidente che ci troviamo di fronte sia al "Planet of the Apes" meno bello (almeno tra quelli che ho visto, quindi escludendo gli ultimi prequel e la serie tv) sia ad uno dei film meno personali e riusciti di Tim Burton, forse tra i suoi punti più bassi della sua Filmografia. L'Estetica del Regista è estremamente difficile da riconoscere, inglobata dagli stilemi e dalle necessità del cinema blockbuster hollywoodiano, e la profondità del Film 'Originario' si perde in favore di una narrazione più convenzionale e appetibile (almeno nelle intenzioni) ad un pubblico di massa. Il cast, poi, pur essendo composto da diversi grandi attori e attrici (Paul Giamatti, Helena Bonham Carter, Kris Kristofferson, Charlton Heston in un cameo auto-citazionista...) si limita a fare il proprio lavoro senza troppi guizzi. Wahlberg è anonimo come pare (a me almeno) suo solito e Tim Roth è irriconoscibile non solo per il trucco (gli altri e le altre interpreti "scimmiesche" infatti lasciano intendere, negli occhi e nelle espressioni, l'identità delle persone dietro 'i peli') ma per l'estrema macchiettaggine della sua interpretazione, che trasuda "cattiveria standardizzata" da tutti i pori (soprattutto nella voce). Però, comunque, non è affatto un film brutto: tecnicamente Burton ha classe da vendere, e anche se estremamente "venduto" (come accadrà con il futuro "Alice in Wonderland") riesce a inserire qualche fugace richiamo a Temi a lui cari come quello della Diversità. Inoltre, pur nelle natura macchiettistica dell'interpretazione di Roth, il suo personaggio ha una certa profondità psicologica, rivelando una convinzione nelle proprie idee, e questo si avverte in tutti i rapporti tra i vari personaggi del film. L'epilogo ha un sapore divertente, anche se più 'confuso' rispetto all'Epilogo del Film del '68, i Trucchi e gli Effetti sono straordinari, le Musiche di Elfman sono magari un po' anonime ma sempre molto buone, la fotografia è ben curata e il montaggio dà un buon ritmo alla narrazione. Sicuramente non un film imperdibile, e probabilmente non lo consiglierei a chi non fosse interessato a completare o la Filmografia di Burton o la Saga di "Planet of the Apes", ma comunque resta un lavoro godibile e tecnicamente ben fatto, e personalmente lo ritengo preferibile a diversi blockbuster contemporanei (visti e non visti).
BIG FISH Anche se ispirato ad un Romanzo e, quindi, non partorito direttamente dalla Mente del Regista, "Big Fish" è sicuramente una delle Opere più sentite e personali di Tim Burton. Come "Ed Wood", il Film riflette sul Tema auto-biografico ma al contempo potenzialmente universale della Creatività artistica e narrativa, su cui Burton, direttamente o indirettamente, ha sempre poggiato buona parte della sua Poetica. William Bloom si metta alla Ricerca della Verità sulla Vita del Padre morente spinto dalla Necessità di decostruirne il Mito per afferrarne l'Umanità, ma come dichiara ad inizio Film in qualità di narratore (non unico) è impossibile separare la Realtà dalla Finzione, e questa potrebbe essere la metafora ideale di ogni Racconto e Opera. Gli stessi "Big Fish", Romanzo e Film, evidentemente attingono alla Vita dei rispettivi Autori, tanto che in entrambi i casi la morte del padre sembra essere stata fondamentale nell'avvicinamento al Tema narrato. Oltre che nel Figlio i due Artisti, e in particolare Burton, sembrano immedesimarsi anche nel Personaggio paterno, narratore di storie, di Leggende, di un intero apparato mitologico sulla propria vita, mescolando fatti reali con la loro esagerazione e con elementi fiabeschi. Pur conservando bene o male la struttura "a doppio livello" (il presente della malattia di Edward alternato ai racconti leggendari sul suo passato) del Libro e restando fedele al Tema del Rapporto tra Figlio e Padre con relativo percorso di Indagine sulle proprie Origini, il Film prende poi le dovute distanze integrandosi intimamente con la Poetica burtoniana tramite la rielaborazione i fatti narrati nella fonte letteraria con modifiche, mescolamenti e aggiunte significative. Il Film inoltre approfondisce la problematicità del rapporto tra Padre e Figlio: quest'ultimo nel Finale riesce a comprendere come la Realtà sul Padre si fondi proprio sulla sua propensione alla mistificazione, e i due si raggiungeranno nel commovente passaggio di testimone non solo del Racconto ma anche della Paternità. Will narra ad Edward la storia della sua Mutazione in grosso pesce (Big Fish appunto) scoprendosi così Co-Protagonista fondamentale nella sua Vita. Il Film stesso è, per certi versi, una delle tante possibili variazioni dello stesso Mito, così come nel Romanzo si parla di varie narrazioni di certi fatti e, nella sua Trasposizione, vediamo nell'Epilogo i vari personaggi riuniti per portare omaggio al Big Fish raccontarsi tra di loro (quasi certamente) diversi adattamenti delle storie condivise con Edward. Pur non avendo citato nelle mie (incasinate) riflessioni il termine "Freak", questo Tema resta ancora fondamentale, tanto che il Film aumenta il numero di "fenomeni da baraccone" rispetto al Romanzo, aggiungendo per esempio il Circo: io penso che in "Big Fish" l'Individuo Spettatore viene da subito immerso completamente nella Diversità, arrivando così a non coglierla più nei Personaggi principali ma nella società "normale", vista come qualcosa di molto più assurdo rispetto alla Fantasia dei racconti di Edward.
CHARLIE AND THE CHOCOLATE FACTORY Burton dirige la seconda trasposizione del Romanzo di Roald Dahl, Autore con il quale, secondo me, il Regista ha parecchi elementi in comune: i Libri dello Scrittore infatti trattano spesso di "outsiders", in particolare bambini e bambine, in lotta contro le angherie dei "normali" (in sostanza adulti). Non si tratta di un remake del film con Wilder, ma appunto di una reinterpretazione del Libro: a quanto pare la scelta di Burton (che aveva prodotto "James and the Giant Peach" di Selick) come regista venne "benedetta" dalle eredi di Dahl, il quale non aveva trovato molto soddisfacente la prima trasposizione. Ma veniamo al film, partendo dalla Figura di Willy Wonka. Egli è una sorta di Freak, a metà strada tra l'Emarginato visionario e il mezzo "villain", con una "spruzzatina" di Uomo leggendario à la "Big Fish": industriale ma visionario, la sua Fabbrica esula dalle logiche razionali del capitalismo "perbene", e per questo Wonka è più un Artista eccentrico che non un imprenditore. Come nel precedente e già citato "Big Fish", anche qui il Rapporto col padre è emblematico, e rappresenta per certi versi il legame difficile tra Artista e Società all'interno di un legame di Sangue, e per questo l'allontanamento reciproco e più drammatico. Charlie è pure lui un freak, perché povero, e lo stesso vale per la sua famiglia: fondamentale il rapporto con nonno Joe (già vecchio anche nei flashback), con il quale condivide il Sogno di Wonka. Anzi, se il ragazzino (un per me sempre poco simpatico Highmore) risulta in certi momenti fin troppo pragmatico, seppure in senso generoso, il Nonno mantiene sempre viva l'Anima del Sogno, e con questa Forza spirituale la coppia riuscirà a vincere il premio mentre gli altri bambini sono già corrotti dai genitori e dal loro arrivismo, rivelandosi dei piccoli adulti medi(ocri) privi di Fantasia e quindi di Intelligenza critica. Charlie, guidato dal Nonno, si avvicina maggiormente all'Estro creativo di Wonka, e così tra i due si crea alla fine un rapporto simbiotico: il cioccolataio dona in eredità la propria Fabbrica a Charlie e il bambino in cambio riaccende in lui l'Entusiasmo creativo incorporandolo nel proprio nucleo famigliare. Coloratissimo ma secondo l'Estetica da Circo Freak tipica del Regista, "Charlie and the Chocolate Factory" è un film discretamente personale e lontano dall'immagine di remake spento che in fan del film con Wilder gli hanno appiccicato, pur non rientrando però tra le migliori Opere di Burton.
CORPSE BRIDE Dopo aver delegato la regia di "The Nightmare Before Christmas" a Selick, a distanza di un decennio Burton decide di prendere in mano la direzione di un altro progetto di lungometraggio in stop motion, affiancandosi all'esperto del settore Mike Johnson. Ispirandosi ad una fiaba russa (a quanto pare tratta a sua volta ad una leggenda ebraica), con "Corpse Bride" Burton mette nuovamente in scena l'Aldilà a più di 15 anni di distanza da "Beetlejuice", narrando la storia di un incontro fortuito e "impossibile" tra Vivi e Morti. Victor e Victoria, lui figlio di borghesi arricchiti e lei figlia di nobili sulla soglia del baratro economico, sono coinvolti in un matrimonio combinato ma, per loro fortuna, riescono ad innamorarsi: entrambi infatti condividono un senso di estraneità alle logiche della società cui appartengono, come si intuisce dalla scena in cui d'incontro intorno al pianoforte. Purtroppo però lui per sbaglio, girovagando nei boschi durante una preparazione personale al rito nuziale, "chiede in sposa" un Cadavere, finendo trasportato nell'Oltretomba. Mentre il Mondo dei vivi si presenta come grigio e monotono, il Mondo dei Morti è dominato dalla Frenesia e dall'Allegria: nell'Aldilà sono tutti Freaks e privi dei problemi umani perché già deceduti, e questo spinge i Defunti a liberare senza paura il proprio estro creativo. Emily, la Sposa cadavere del Titolo, sembra invece sospesa ancora tra la Vita e la Morte: per certi versi è una Freak tra freaks, seppure a differenza dei mortali "normali" sia accettata e accolta come pari dai suoi simili. Non riesce a farsi coinvolgere però in toto dalla Goliardia della Vita dopo la Morte, e questo perché la sua fine è stata troppo tragica, troppo crudele: uccisa dal proprio pretendente per avidità, aspetta con trepidazione un nuovo Sposo con cui poter finalmente ottenere la Felicità che le spetta. La Sposa è in linea con la tradizione di Freaks tragici Protagonisti di gran parte delle Opere più acclamate di Burton, al pari di Edward Scissorhands. Come la Creatura dalle mani di forbice, anche Emily riuscirà alla fine a trovare una propria Pace rinunciando al suo desiderio romantico per il vivo Victor: lascia che questi possa congiungersi con Victoria, salvando la ragazza dal suo stesso destino (infatti anche lei viene chiesta in moglie dall'assassino della Sposa), e una volta compiuto il suo atto di generosità si trasformerà in uno sciame di farfalle. Uno dei Film meglio riusciti e maggiormente rappresentativi della Poetica di Burton, con una Colonna sonora straordinaria firmata dal fidatissimo Danny Elfman (che dà anche la voce all'istrionico Bonejangles) e un look animato decisamente personale.
SWEENEY TODD: THE DEMON BARBER OF FLEET STREET Dopo i Musical in stop motion e con canzoni originali "The Nightmare Before Christmas" (diretto dal Selick di "Coraline") e "Corpse Bride" (co-diretto con Mike Johnson), Burton si cimenta con un Musical di derivazione teatrale, e lo fa in live action. "Sweeney Todd" è uno dei Film più cupi del Regista, e l'Ironia macabra dell'Autore di "Mars Attacks!" viene sottomessa alla Tragedia oscura del Protagonista. Sweeney rientra nella Tradizione dei "bad freaks" burtoniani, ovvero quei reietti che rispondono all'emarginazione e alle ingiustizie subite coltivando un intenso Rancore nei confronti della società. Come spesso accade, l'"Anti-Villain", nel suo ossessivo percorso verso la Vendetta, finisce per causare la propria Rovina: ingannato da Mrs. Lovett sulla sorte della moglie (che crede morta), egli nel Finale arriva ad ucciderla senza riconoscerla, e non gli basta assassinare la Cuoca per redimersi e trovare pace. Ormai la sua evoluzione l'ha portato a distruggere ogni possibile speranza di una Felicità terrena, e quindi solo la Morte può salvarlo dalla profonda auto-lacerazione che ha definitivamente "ammazzato" la sua Anima. Mrs. Lovett pure è una Freak, ma piuttosto particolare nella sua personalità: autrice di azioni orribili, di cui la cucina cannibale è per assurdo forse la scelta meno deprecabile, è però spinta in queste decisioni non solo da necessità economiche ma anche da un sincero Amore per il Barbiere, e per il giovanissimo Toby nutre un affetto quasi materno, tanto da decidere con dolore di ucciderlo una volta scoperto il suo terribile segreto, senza però riuscire a completare questo atto di "occultamento". Così il ragazzo (da qualche parte paragonato agli Eroi dickensiani, e per certi versi credo di condividere questa opinione), nascostosi dalla coppia omicida, riemerge in seguito all'uccisione di Lovett per togliere la vita a Todd, il quale non si oppone al suo destino ma, anzi, lo accetta come un misto tra una giusta punizione e una porta per la Pace interiore. Non manca una feroce contestazione del potere, in particolare giudiziario, accusato di decidere della vita e della morte, e peggio ancora della "moralità", delle persone con arrogante senso di superiorità, circondandosi di lacchè e macchiandosi di sfruttamento umano. Forse troppo "serioso" per rientrare tra i Capolavori migliori di Burton, "Sweeney Todd" è secondo me una delle Opere più personali da lui realizzate negli ultimi anni.
ALICE IN WONDERLAND Film palesemente commerciale e, a mio avviso, uno dei film meno personali e riusciti di Tim Burton insieme a "Planet of the Apes". Come nel "Dune" lynchano, sembra che Burton abbia dovuto nascondere la propria Poetica, relegandola in una sorta di compendio quasi stereotipato dei propri caratteri più superficialmente riconoscibili per poi adottare la politica buonista della Disney e puntare su toni "epic fantasy" post-Narniani per ragioni di "audience". Ma, mentre il film di Lynch tratto dai romanzi di Herbert riusciva a proporre alcune Immagini dal sapore artisticamente di grande impatto, questa versione "burtoniana" dell'omonimo Libro di Carroll e del celeberrimo Film animato (sempre disney) stenta a proporre qualcosa di veramente memorabile (a parte forse lo Stregatto), e anzi sembra quasi affossare ogni possibile qualità con scelte discutibili se non addirittura imbarazzanti, tra cui "spicca" in negativo la deliranza, capace di mettere i brividi per la vergogna. Però (c'è sempre un però quando sembro parlare male di Registi che mi piacciono), seppure "Alice in Wonderland" sia palesemente uno dei Film meno personali e per certi versi il più commerciale in assoluto di Burton, e seppure ciò si possa inquadrare in uno smorzamento artistico (ma per me molto sopra il "livello della sufficienza") dello Stile del Regista, l'Autore di "Ed Wood" conserva la propria Poetica, seppure molto ben nascosta. Non manca infatti, soprattutto all'inizio, la tipica critica contro il vuoto e la banalità della comunità perbene: Alice è una Outsider, insofferente al conformismo della società in cui vive e ancorata ad una curiosità tipica dell'infanzia e delle menti brillanti. Il film è inoltre popolato da una miriade di Freaks, tutti a proprio agio nel delirante mondo delle Meraviglie (come i Morti di "Corpse Bride"). Persino la Red Queen può essere vista per certi versi come una sorta di Erede dei "bad Freaks" burtoniani: emarginata (seppure per motivi comprensibili), nutre un forte rancore nei confronti del suo mondo, e in particolare della sorella la White Queen che, seppure ufficialmente "buona", viene caratterizzata in modo troppo irritante per non essere in qualche modo intenzionale.
DARK SHADOWS Sicuramente, se comparato a precedenti Capolavori e Cult di Burton questa versione cinematografica di una nota serie degli anni '60-'70 si presenta come qualcosa di visibilmente più modesto e meno incisivo. Se prima Burton influenzava con il suo Stile molti altri cineasti e film, ora egli stesso risulta più in linea con certe tendenze espressive del cinema commerciale. Ma, comunque, anche se meno innovativo, meno sperimentale, magari anche meno spontaneo rispetto al passato, Burton resta un Autore con una Poetica sempre alquanto personale e riconoscibile. Al di là del gusto Gotico, delle facce pallide e di Johnny Depp, è l'attenzione per il Diverso, l'Emarginato che caratterizza da sempre il "succo" delle riflessioni burtoniane, e questo Film non fa eccezione estendendo le sue Tematiche ad un'intera famiglia. I Freaks Burtoniani non devono per forza essere degli "Innocenti" privi di macchia e di colpa, anzi possono arrivare a compiere atti molto discutibili, a procurare sofferenze e persino ad agire con una certa dose di crudeltà, ma catturano l'Empatia degli individui spettatori per l'aurea tragica che li circonda, per la loro emarginazione sociale e anche per la spiccata Personalità unica e inimitabile, da cui può scaturire una buona dose di fascino. Barnabas e la sua Famiglia rientrano in questa condizione di Diversi, come anche il Personaggio Innocente di Josette/Vicky. "Dark Shadows" merita per la sempre grande abilità registica di Burton, l'ottima scelta delle Musiche (oltre a quelle originali di Elfman troviamo numerosi rimandi al Panorama Musicale del periodo, con tanto di divertente cameo di Alice Cooper), un buon numero di trovate interessanti, spassosi accenni erotici (più della comunque intrigante sequenza con la Green, ho apprezzato quella con la Carter) ecc. Il Cast è di altissimo livello (tranne forse Moretz che non mi convince del tutto), e nel complesso il film intrattiene assai bene, pur non mancando se magari qualche momento/scelta un attimo "debole". Un grosso merito però è quello di invogliare a recuperare la visione della serie originale, nonché di accendere la curiosità per un eventuale sequel (che però dubito vedrà mai la luce). Insomma, un film certamente minore nella Filmografia Burtoniana, ma comunque meritevole di apprezzamento se si ammira il Regista.
FRANKENWEENIE Burton, dopo "Alice in Wonderland", torna a lavorare per la Disney, dirigendo il remake in stop motion di un suo corto delle origini (in live action, che ancora mi manca). A quanto pare il contratto tra il Regista e la major da cui "scappò" (tra le altre cose, fu "traumatizzato" dall'esperienza di "The Fox and the Hound") prevedeva due lavori, e questo mi fa pensare che, forse, per poter realizzare un'Opera personale come "Frankenweenie", Burton abbia accettato di dirigere un film palesemente su commissione quale è "Alice". Infatti, rispetto al non esaltante ammodernamento del Libro di Lewis Carroll, "Frankenweenie" si presenta come un Lavoro molto più sentito e convinto, e pure rispetto a "Dark Shadows" il risultato artistico è decisamente molto più riuscito e convincente. Ritornano i Rimandi al "Frankenstein" di Mary Wollstonecraft Shelley, e come in "Edward Scissorhands" anche qui il rapporto tra Creatore e Creatura è, sul piano affettivo, molto più profondo e amorevole rispetto al conflitto dai risvolti tragici che nasce nel Capolavoro ottocentesco. Il Victor Frankenstein di Burton non è il "Prometeo moderno", il giovane e ambizioso scienziato ossessionato dal desiderio di abbattere i confini naturali tra la Vita e la Morte del Romanzo di Shelley: egli è invece un ragazzino e dotato di un'encomiabile curiosità che, sconvolto dalla morte del cagnolino, decide di riportarlo in vita non per delirio di onnipotenza ma spinto dall'innocente affetto per il proprio amico animale. Molto più in linea con l'ambizione "teocratica" del Barone di Shelley è invece la volontà dei compagni di classe di Victor di copiare l'esperimento del brillante ragazzo per competere al meglio nella gara di scienza, e così le loro Creature, nate non per amore ma per "carrierismo", seminano il Caos nella cittadina. Importante nel Film è il Tema dell'Amore per la Scienza, stimolato dal professore Rzykruski (Landau), che incarna potenzialmente ogni tipo di Passione, soprattutto Artistica. L'isolamento di chi possiede uno Spirito autonomo, come il giovane Victor o il suo professore ma anche la malinconica Elsa (che ricorda per certi versi Lydia di "Beetlejuice", e non credo sia un caso se il Personaggio è doppiato da Winona Ryder), nasce dall'ostilità della società verso ciò che non può capire e accettare: la cacciata di Rzykruski è il simbolo dell'ostracismo a cui vengono costantemente condannati tutti quegli Individui che lottano contro l'ostruzionismo dell'autorità (popolare inclusa) nei confronti della Critica e della Libertà di Pensiero. Come sempre in Burton, la comunità "normale" è mostrata nella sua Vacuità spirituale, nel suo culto ipocrita per l'Apparenza e nel suo disprezzo per l'Arte in quanto espressione personale dei Dubbi individuali. In attesa di una revisione (imminente), chiudo momentaneamente qui le mie riflessioni su questo Film, una delle Opere migliori in assoluto tra gli ultimi lavori di Burton.
BIG EYES Burton realizza un Film forse un po' meno personale rispetto al passato, ma comunque conserva un grande gusto nella messa in scena e mantiene una sua visione 'bizzarra' anche se filtrata dallo Stile della Pittrice (ma Burton adorava la Keane da molto tempo). Non manca un forte senso di Distanza, di Differenza da parte dell'Artista nei confronti del Mondo circostante, della società dove il successo commerciale conta molto di più dell'Espressione dei propri Sentimenti, della propria Anima, del proprio Io. L'Arte, quando viene svenduta in un mercato, perde Vita, Personalità per diventare un prodotto anonimo, di moda. Quindi, se una montagna di poster fotocopiati arriva ad avere più vendibilità di un Quadro autentico, in una logica votata al consumo questa massa di fogli identici diventa "superiore" all'Unicità del Dipinto. Il mercato dell'Arte, in quanto tale, dà molta più importanza alla pubblicità rispetto all'Opera e alla sua Autrice, e con questa mentalità una bugia diventa una tendenza. L'apparente "semplicità" morale della storia, per certi versi quasi 'didascalica' (e non immune dalle tentazioni "agiografiche" tipiche del biopic), nasconde però un dilemma etico piuttosto complesso: Margaret ha subito dal marito Walter un furto gravissimo, perché le è stata sottratta l'Anima, l'Identità (complice anche la sua passività, che però è inserita nel contesto sociale maschilista), ma il successo meritato che ha avuto è dovuto proprio a questo furto d'anima. Chiudendo bruscamente il discorso, "Big Eyes" non è una delle Opere più personali di Burton e sicuramente come film biografico è molto più riuscito "Ed Wood". Comunque, oltre a vantare un ottimo comparto 'tecnico' e recitativo, resta un Film dove la Poetica dell'Autore rimane presente, seppur meno forte rispetto ad altri suoi Lavori (soprattutto durante la prima 'metà' del suo Percorso registico). In ogni caso, merita sicuramente una e più visioni.
MISS PEREGRINE'S HOME FOR PECULIAR CHILDREN Sicuramente tra le opere minori di Burton (che negli ultimi anni sembrano più numerose rispetto al passato), riesce comunque a soddisfare l'Individuo Spettatore affascinato dalla Poetica Burtoniana. L'inizio per certi versi è un po' stentoreo nella gradualità con cui ci fa entrare nel Mondo dei Peculiar Children, e anche una volta entrati in questo nuovo Ambiente, la realtà si fa sentire in modo poco Burtoniano: la noia della società realistica viene tratteggiata con toni più tradizionali e meno brillanti rispetto a Opere come "Edward Scissorhands" o, più recentemente, "Frankenweenie". Però, preso atto della innegabile inferiorità artistica rispetto ai migliori Lavori del Regista, per il resto "Miss Peregrine's" riesce a convincere. Ritroviamo le Tematiche care all'Autore, a partire dal problema dell'Isolamento in cui è costretto a vivere il Visionario, il Diverso, ovvero chi non è conforme alle credenze, alle norme e all'estetica che la società impone. Isolamento, fisico o mentale, da cui è possibile uscire, quando si trovano altri Individui affini. Molto Burtoniano è l'obiettivo dei "cattivi": essi sono sì personaggi fantastici, anzi sono anch'essi "peculiari" (freaks) come i Protagonisti positivi, ma mentre i Personaggi "buoni" sono pervasi da Sentimenti come l'Amore e l'Amicizia, i loro avversari sono spinti da obiettivi estremamente materialistici, finalizzati all'immortalità e, come probabile conseguenza, al potere, e per raggiungere i propri fini non esitano a schiacciare e sopraffare gli altri Individui, e in particolare i più deboli. Dunque, con quest'ultimo lavoro Burton, pur non essendo una delle sue Opere più artistiche e riuscite, realizza un Film di molta buona fattura dove il suo Stile, seppure non estremamente forte come nel "mitico Passato", si sente.
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