Solitamente nell'intestazione delle playlist Libri Animati inserisco il titolo originale dell'opera: siccome anche questa volta, come la precedente (2 su 4), pure l'editore Iperborea, nella scheda del libro presente sul proprio sito, ci/vi rinuncia (altresì espuntandone il question mark), alzo le mani. Cmq., sarebbe questo: "Varför håller man på?", e chissà che vorrà mai dire?! Ah, se ci fosse un qualcosa come un buon traduttore automatico di qualche grande motore di ricerca…!
Fredrik Sjöberg - “Perché Ci Ostiniamo” - 2012 [ * * * ¾ ] Edizione italiana : IperBorea (collana Narrativa, n. 298 - brossura cucita a filo di refe) - 192 pagg. - 16.50 € - traduzione di Andrea Berardini e Fulvio Ferrari.
Fredrik Sjöberg: - “FlugFällan”, 2004 (“l'Arte di Collezionare Mosche” [“Sfuggire alla Trappola”], 2015) - * * * * - “FlyktKonsten”, 2006 (“l'Arte della Fuga”, 2017) - * * * * - “RussinKungen”, 2009 (“il Re dell'Uvetta”, 2016) - * * * * - “Varför håller man på?”, 2012 (“Perché Ci Ostiniamo”, 2018) - * * * ¾
«È una foto che mi è sempre piaciuta. In effetti non si può che perdonare quel piccolo Narciso di quattro anni. La sua concentrazione su se stesso al sole del mattino non è né malsana né riprovevole: ha semplicemente scoperto che la propria immagine si modifica un po’ se ci si rispecchia in qualcosa di nuovo. A volte mi viene da pensare che molte di quelle che sono adesso le mie caratteristiche fossero già plasmate allora, che io mi sia limitato ad affinare alcune attitudini presenti fin dall’inizio. Non è stato difficile, non per un bambino ben nutrito e curioso negli anni più ricchi del boom economico, protetto dalla più stabile borghesia che ci si possa immaginare, che viveva in un ambiente adeguatamente provinciale segnato da personalità stravaganti e pieno di insetti, a cui si poteva dare la caccia per collezionarli.
Nota bene: un bambino. C’è un aspetto di genere, qui, come si usa dire tanto bene. La foto scattata a casa davanti al garage sembra non solo confermare l’osservazione che una Citroën ben lucidata favorisce l’introspezione; dice anche qualcos’altro, qualcosa a proposito delle libertà di maschi e femmine in un’epoca in cui il papà guidava e la mamma stava sul sedile posteriore con i bambini piccoli. Mia sorella, più indietro, non si specchia affatto, anche se poi è stata lei, in famiglia, quella che ha davvero fatto le proprie scelte di vita e agito di testa sua, ben prima di quanto io abbia mai osato, e che per farlo ha dovuto difendersi da un vero e proprio catalogo di convenzioni e leggi non scritte. Su quello che sta bene e quello che non sta bene.»
“Perché ci ostiniamo” è un'appendice alla trilogia autobiografica alla scoperta di sé attraverso le vite d'altri ("Siamo un'altra persona molte volte nella vita" - Piero Angela - SuperQuark - 01/08/2018), è un eterogeneo residuo composito composto da ottimi scarti, deviazioni, cascami, digressioni: i 9 saggi indipendenti ma intercomunicanti che lo abitano e costituiscono sono altrettante note a piè di pagina relative ai tre “romanzi” d'impressioni saggistiche precedenti, pensate e scritte assieme ai tomi maggiori, e come loro, ovviamente, incentrate su piccole biografie altrui, minuscoli ritratti interlacciati al paesaggio totale incorniciato dalla copertina.
“Non è assolutamente necessario che l’arte debba sempre rimanere indietro di almeno due secoli rispetto a tutte le altre forze del tempo. L’arte come fiaba romantica è sparita insieme alla diligenza postale, all’apprendista artigiano e al berretto con la piuma, e rispunta fuori solo nei balli in maschera.
L’arte moderna si distingue dalla tecnica non per i metodi, ma per le sue finalità. Nell’arte figurativa il processo pittorico artigianale è altrettanto poco determinante quanto l’andare a piedi per spostarsi da un luogo all’altro. Oggi ci sono le ferrovie, le automobili e gli aerei. La nuova arte non è più artigianale, ma tecnica e costruttiva.”
Hjalmar Gabrielson
Chi? Ecco, appunto, il senso del libro.
E, forse, anzi senz'altro, è il libro più svedese – cioè scritto per e comprensibile ed apprezzabile da gli svedesi – dei 4 sin'ora tradotti in Italia e nel Mondo.
Si parte leggeri, ingurgitando (letteralmente, se pur con parsimonia) francobolli, e si arriva devastati, coinvolti, commossi, misurando il tempo a colpi di presente da vivere.
Perché - semplicemente - non è, mai, giusto che il tempo seppelisca le spoglie di ciò che - esistendo - ha divorato.
Tra collezionisti gira la storia di un filatelico talmente attaccato ai propri francobolli che la fidanzata, una fanciulla deliziosa sotto ogni aspetto, un giorno ne ebbe abbastanza e di punto in bianco rivelò un lato meno incantevole della sua personalità, pronunciando le poi celebri parole: "Eat your stamps or I'll leave you!" E dato che si trattava di un'epoca in cui i francobolli erano ancora fatti di carta, e non come oggi parzialmente in lamina di alluminio, plastica e altri materiali innominabili, il giovanotto trovò ragionevole accogliere la richiesta. Mangiò la sua collezione. Era vasta. Quindi ci volle tempo. La mandò giù un po' per volta. E poi vissero felici e contenti.
Che la storia di questo piccolo dramma abbia messo le ali e ormai viva di vita propria non è affatto strano, perché non riguarda solo la questione del prezzo dell'amore, ma anche un altro intramontabile argomento: la persona del collezionista e la sua passione.
«Una scarsa sicurezza emotiva può intensificare il nostro rapporto con gli oggetti a cui teniamo.
Gli esseri umani sono animali sociali. Per sentirci emotivamente sicuri abbiamo bisogno di un ego forte e di fiducia nelle nostre relazioni con gli altri.
In assenza di un attaccamento sicuro alle persone a noi care, per riempire questo vuoto possiamo attribuire ai nostri oggetti inanimati significati profondi o qualità umane.
Può capitarci di credere che, grazie al contatto fisico, i nostri oggetti siano imbevuti della nostra essenza e che, toccando le cose degli altri, possiamo entrare in contatto con le loro essenze.
Antropomorfizzare gli oggetti a cui teniamo di più è normale, ma in alcune persone più vulnerabili questa tendenza può contribuire al disturbo da accumulo compulsivo.»
Abstract da: Francine Russo - "Siamo ciò che possediamo" - le Scienze, n. 600, Ago. '18
Nota a piè di pagina: E.L. Doctorow - “Homer & Langley” - 2009
Il motorino, che presto partì come una freccia, mi diede per qualche anno la più grande gioia. Qualcuno ha sostenuto che gli incesti nei paesi di campagna in Svezia siano diminuiti sensibilmente quando biciclette e motorini furono alla portata di chiunque, all'inizio del secolo scorso, e io sono il primo a capirlo, visto che corteggiavo una ragazza di Gagersrum, nei pressi di Almvik, e non avrei potuto farlo senza motorino. Il nostro rapporto non andò mai oltre qualche bagno insieme nel lago Hjorten, ma comunque. Il mio raggio d'azione si moltiplicò. Ero libero.
...ritengo che la forma del saggio sia particolarmente adatta ad affrontare […] argomenti e figure più o meno dimenticati. Quel che tutti già sanno e comprendono può essere trattato con altri metodi, a maggiore risparmio energetico. Biografie e autobiografie, per citare solo due casi, vivono solitamente di luce riflessa, perché la persona ritratta era già nota o ancora meglio famosa, come anche gli episodi che formano la sua storia, mentre noialtri, che pure vogliamo splendere, è chiaro, dobbiamo trovare la nostra strada lungo le vie relativamente più tortuose del saggio. Il che può anche essere piuttosto divertente. Che gli autori di saggi passeggino più spesso di altri con le mani dietro la schiena è un fenomeno noto. Lo si vede a distanza, quanto siano felici e contenti.
Nota: a Capri si tornerà - o, meglio: vi si giungerà veramente - nell'utimo capitolo: “Papà”.
Va anche detto, a questo punto, che nutro un amore particolare per i cimiteri. C'è una gran pace, e se sono un po' antichi hanno alberi abbastanza grandi da offrire ombra e, nel migliore dei casi, coleotteri rari. Non si può nemmeno evitare di mettersi un po' a meditare sulla caducità di tutte le cose, che è un ottimo rimedio contro sentimenti troppo accesi, non importa se dovuti all'infelicità o al suo a volte troppo spossante contrario.
Rutger era, diciamo, euforico, per cui due giovani assistenti avevano l'incarico di sorreggerlo sulla via di casa. Sulla salita dello Slottsgatsbacken però il fardello si fece troppo pesante, per cui Rutger scivolò lungo disteso sul marciapiede, e lì rimase. Che fare? Ansando disperati, i portatori supplicarono: “Professore, per favore, non riesce a fare ancora un piccolo sforzo?”
Si sentì allora il fagotto accasciato a terra mormorare quasi impercettibilmente, ma in tono deciso: “Si, ma allora deve essere una birra piccola piccola.”
Ecco, non è detto che sia vero nemmeno questo [Beh, è una barzelletta vecchia di secoli… E/ma quindi racchiude in sé una verità; N.d.R.], ma la fonte è ben informata e in ogni caso possiamo stare certi che l'Associazione per la protezione della natura aveva in lui un leader unico: era esperto sia di paludi che di formiche e in giovinezza aveva conseguito il dottorato con una tesi sulla storia dell'immigrazione della flora di Gotland. Un ricercatore instancabile che […] adduceva soprattutto ragioni di carattere scientifico quando si trattava di giustificare la protezione della natura. Ma non solo. Aveva vasti interessi che comprendevano la dendrologia e la storia del giardinaggio, grazie ai quali si rese conto prima di molti altri del valore della conservazione anche della natura modificata dalla cultura.
Questo non era meno importante di oggi negli anni Venti, quando l'Associazione per la protezione della natura venne lacerata dal conflitto intestino tra due correnti – l'una di orientamento sociale, l'altra di orientamento scientifico – che non avevano sempre grande considerazione l'una dell'altra. Rutger era più vicino agli scienziati che volevano difendere la natura dalle persone comuni, più che per loro, ciò nonostante riuscì a fare da mediatore, un po' per la sua simpatica personalità, ma di sicuro anche grazie alla sua comprensione del fatto che gran parte della natura svedese è anche cultura. Cosa che diventò soprattutto evidente proprio a proposito della protezione della natura nelle città. Al confronto con la devastazione dei boschi, l'estrazione mineraria e la questione della difesa delle regioni montane , ambiti in cui i conflitti potevano essere aspri, la lotta per la natura in città appariva piuttosto semplice, per lo meno all'interno dell'Associazione.
È chiaro che le proposte di Rutger e anche di altri erano influenzate dall'interesse dell'epoca per gli alberi antichi. Querce solitarie, spesso gigantesche, che la retorica presentava come se si trattasse di pietre runiche. L'ecologia era appena stata inventata e il concetto di storia naturale veniva spesso interpretato nel senso di intendere la storia come natura. In seguito, a metà del Novecento, la situazione cambiò e apparve anacronistico anche solo nominarle, certe stranezze. Io però mi domando se il culto degli alberi non stia tornando, anche se in parte sotto forme nuove. Un tempo si poteva motivare la conservazione delle querce di Djurgarden con frasi retoriche sulla grandezza del nostro passato, oggi usiamo come giustificazione i coleotteri che vivono al loro interno ormai putrefatto. Dobbiamo tuttavia ricordare che questa giustificazione ha sempre avuto le sue radici nel desiderio di bellezza. La differenza è solo che al giorno d'oggi raramente lo diciamo senza tanti giri di parole.
A volte - come nel caso di quella ormai chiamata “la quercia della radio”*, nel bel mezzo di Oxenstjarnsgatan - questi alberi sono l'unica cosa, oltre al colore del cielo, rimasta riconoscibile in alcuni quartieri.
* Abbattuta in modo vergognoso una buia notte di novembre del 2011 [N.d.A.]
Nota a piè di pagina:
«Sedicimila firme,
niente cibo per Rocco Tanica,
ma quel bosco l'hanno rasato
mentre la gente era via per il ponte.
Se ne sono sbattuti il cazzo,
ora tirano su un palazzo,
han distrutto il bosco di Gioia
questi grandissimi figli di troia!»
“Parco Sempione” - Elio e le Storie Tese - “Studentessi” - 2008
Peccato solo che [Lenin; N.d.R.] non abbia prestato più attenzione a quello che gli disse Anna [Lindhagen; N.d.R.] quella volta, a proposito del bisogno di ogni essere umano di avere un po' di verde e di gioia. Chissà, forse avrebbe evitato alla sua rivoluzione di deragliare e perdersi nell'oscura fossa della dittatura.
Quanto a me, ho sempre avuto la sensazione che la falce e il martello, come simboli, portino il pensiero nella direzione sbagliata. Un retino per farfalle e un cavatappi sarebbero stati meglio.
Da un paio di giorni ero ornitologo. Di scarafaggi, farfalle e altri insetti mi dilettavo già da anni, e li collezionavo; la botanica mi aveva spazzato via un'intera estate, ma per qualche motivo allora avevo deciso di occuparmi di uccelli. Forse per ragioni sociali, non ricordo bene, o forse era banalmente perché avevo appena ricevuto il mio primo libro sui volatili. In più, ero abbastanza grande da prendere in prestito i binocoli tedeschi di mio padre, marca Beck Kassel. Era un bel giorno di aprile, ed ero solo. Stavo immobile. In attesa.
C'era dietro un pensiero, questo lo capivo. Legname, bellezza e biodiversità: in ogni caso si era cercato di ricavare tutte e tre le cose insieme da questo pezzetto di terra. […] Il paesaggio, che un tempo si formava spontaneamente, spesso come effetto collaterale degli sforzi umani per sfuggire alla fame, è diventato esso stesso un obiettivo produttivo. Biodiversità, svago e non ultima - anche se raramente lo si dichiara - bellezza.
Il risultato è gradevole. Proprio così. Naturalmente si potrebbero addurre i soliti motivi per giustificare il finanziamento del progetto - la diminuzione del livello di inquinamento, le specie minacciate del fiume e le antiche querce delle isole - ma io preferisco questo: è gradevole. È bello e si può fare il bagno.
Servitù militari che distruggono (e che, a volte, raramente, preservano) - 1.
In questo caso: minacciano. La terza pista di Malpensa è inutile (non c'è una richiesta economica/commerciale e turistica per la movimentazione di merce e passeggeri così alta e forte da giustificarne la costruzione. E anche se ci fosse: 'fanculo il capitalismo e la globalizzazione). La terza pista di Malpensa è dannosa: distrugge biodiversità (l'esempio dei coleotteri delle querce di cui sopra trova un identico attore in Coenonympha oedippus, un ropalocero ninfalide-satiride a basso rischio estinzione mondiale, medio rischio europeo ed altissimo italiano) e bellezza. La brughiera di Via Gaggio / Malpensa è bella di per sé: basterebbe / dovrebbe bastare la sua bellezza a preservala dalla distruzione. La Coenonympha oedippus è un altro motivo primario (o ulteriore), e un alleato in questa battaglia locale / guerra globale.
Mancava una foto, una panoramica presa dal vecchio covo di briganti sul Monte Barbarossa [a Capri; N.d.R.], dove attualmente l'associazione ornitologica svedese ha una sua stazione di inanellamento. Salimmo insieme. I passeri solitari cantavano tra i ruderi. E ci trovammo lassù con il golfo di Napoli ai nostri piedi. Probabilmente non ci tornerò mai più, disse papà, e così in effetti è poi stato. Mancava una foto, una soltanto, e lui si sedette ad aspettare la luce giusta. Le nuvole attraversavano il cielo, il sole sbucava fuori ogni tanto. Una situazione particolare, non facile, ma lui era disposto ad aspettare. È così con la luce, disse. Bisogna aspettare il momento giusto. L'aveva imparato da Ansel Adams.
Ma a poco a poco le nuvole aumentarono e alla fine, quando entrambi capimmo che per quel giorno la luce se n'era andata, papà si mise a piangere. Credo che, per una volta, un po' si vergognasse, visto che tentava di nascondere il pianto dietro una serie di imprecazioni – campo in cui possedeva un vocabolario particolarmente ricco – ma non riusciva proprio a trattenere le lacrime.
Lo ripeto: il collezionismo rinforza gli argini quando la follia minaccia di far saltare le dighe dell’anima. Non è così raro perdere sia la giusta prospettiva che i propri appigli, per come è fatto il mondo, ma il collezionista ha perlomeno il totale controllo su qualcosa, e di conseguenza un punto fermo nella vita.
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