"Filma un paio di scene fuori fuoco... voglio vincere un premio per il miglior film straniero." ~ Billy Wilder
"Onestamente credo che Hitchcock sia un regista i cui film non desteranno alcun interesse fra cent'anni." ~ Orson Welles
"C'è una bella battuta su Marilyn Monroe e Arthur Miller. I due si sono appena fidanzati e lui le dice: «Vorrei che conoscessi mia madre, e lei vorrebbe vederti. Quindi pensavo che dovremmo andare a trovarla nel suo appartamento nel Bronx, ceneremo là e lei potrà conoscerti.» E Marilyn dice: «Splendido, splendido.» Così ci vanno, l'appartamento è piccolissimo, con una sottilissima porta a dividere il salone dalla toilet. Si stanno divertendo molto, vanno tutti d'accordo, e Marilyn a un certo punto dice che deve andare in bagno. Va alla toilet, e siccome i muri e la porta sono sottili, apre tutti i rubinetti dell'acqua in modo che non la sentano nella stanza accanto. Poi esce dal bagno, e tutto prosegue benissimo. Si baciano e si salutano. Il giorno dopo, Arthur Miller telefona alla madre e le chiede: «Allora, come ti è sembrata Marilyn?» E la madre: «È dolce. Ed è una ragazza bellissima, davvero meravigliosa. Però piscia come un cavallo!» " ~ Billy Wilder
...e non sapete le voci che girano su Laurence Olivier...EPISODIO n.24 dominato dalle lingue acuminate dei due giganti Welles e Wilder. Ma questo forse si era già capito... Prima, però, vogliate gradire un antipasto thailandese a base di Apichatpong Weerasethakul (non troppo spicy), con consigli tanto folli e variegati da includere decine e decine di filmati sperimentali (come il lodatissimo VALENTIN DE LAS SIERRAS di Bruce Baillie), accanto a scelte più mainstream ma comunque inattese (RE-ANIMATOR, PINK FLAMINGOS, GATTACA, NON APRITE QUELLA PORTA...), per non parlare (per i palati più difficili) di un pluripremiato e pluriprelibato documentario su dei soldati giapponesi cannibali: THE EMPEROR'S NAKED ARMY MARCHES ON di Kazuo Hara. È poi il turno di Peter Weir, che dopo averci rivelato un passato da comico scoraggiato e dissuaso dalla bravura dei Monty Python, segnala alla nostra attenzione uno dei pochi classici della quasi inesistente cinematografia "aussie" qual'è JEDDA di Charles Chauvel. Quanto al più famoso di tutti gli Orson, può forse essere che i titoli da lui scelti non riservino sorprese eclatanti (con la sola eccezione di È PRIMAVERA di Castellani), ma l'insieme delle sue esternazioni (perlopiù estratte dal cartaceo "Orson Welles - It's All True, interviste sull'arte del cinema") certamente disegnano l'ego smisurato, contraddittorio e provocatorio che ci attenderemmo da uno degli autori più influenti della storia del cinema. La fonte delle recensioni giovanili di Wim Wenders è invece principalmente il libro "Wim Wenders - Stanotte vorrei parlare con l'angelo, Scitti 1968-1988". Dal suddetto fuoriescono anche titoli a sorpresa come ARGILA di Schroeter e QUELL'ULTIMO GIORNO di Lopushanskij, entrambi alla prima nomination. E come si dice "last but not least": Billy Wilder. A lui dobbiamo (oltre ad un'imperitura riconoscenza) un bel po' di giudizi, gossip e informazioni sulla Hooywood che fu. Tra le varie fonti ho soprattutto saccheggiato belluinamente il noto libro-intervista "Conversazioni con Billy Wilder" del regista Cameron Crowe, in cui compare anche quello che, tutto sommato, sembra il più ignoto e inatteso tra i suoi film preferiti: ULTIMO BALLO di Masayuki Suo (che poi tanto ignoto non è, visto che Hollywood ne ha già imbrattato la memoria col remake SHALL WE DANCE? , quello con Richard Gere e Jennifer Lopez...). Eppoi...basta. Potete andare. Ne avete facoltà.
I consiglieri:
Apichatpong Weerasethakul (TROPICAL MALADY; LO ZIO BOONMEE CHE SI RICORDA LE VITE PRECEDENTI)
Peter Weir (PICNIC AD HANGING ROCK; THE TRUMAN SHOW)
Orson Welles (QUARTO POTERE; L'INFERNALE QUINLAN)
Wim Wenders (ALICE NELLE CITTÀ; IL CIELO SOPRA BERLINO)
Billy Wilder (VIALE DEL TRAMONTO; A QUALCUNO PIACE CALDO)
Gli arretrati:
1 - Da Allen a Aronofsky; 2 - Da Assayas a Bergman; 3 - Da Bertolucci a Tim Burton; 4 - Da Cameron a Craven; 5 - Da Cronenberg a De Sica; 6 - Da Dreyer a Frears; 7 - Da Friedkin a Hathaway; 8 - Da Haynes a P. Jackson; 9 - Da Jarman a Kieslowski; 10 - Da Kitano a Kurosawa; 11 - Da Lean a Loach; 12 - Da Luhrmann a Menzel; 13 - Da Milius a De Oliveira; 14 - Da Pasolini a S. Ray; 15 - Da Reed a Rivette; 16 - Da Rodriguez a Sayles; 17 - Da Schrader a Scorsese; 18 - Da Ridley Scott a Spielberg; 19 - Da Tarantino a Tarantino; 20 - Da Stone a Tarr; 21 - Da Tavernier a von Trier; 22 - Da Troell a Van Sant; 23 - Da Varda a Waters
WEERASETHAKUL: "Non credo nel documentario così com'è visto formalmente. Non credo nella realtà nei film. Per me non esiste alcuna realtà, perché il cinema è un medium molto condizionato. Perciò anche quel che chiamiamo documentario non rappresenta la verità, perché è troppo soggettivo e non si può creare qualcosa come un film solo per osservare certe cose. Così penso che i film che faccio siano solo una mia espressione della mia vita, ma non significa necessariamente che siano verità. O forse sono una sorta di assimilazione o di apprezzamento dell'essere vivi. Ma non li chiamerei documentari."
INTERVISTATORE: "Il tuo modo di gestire fiction e non-fiction e di conciliare fiaba e realtà di ogni giorno...senti che ci sia qualcosa di omologo a questo nel cinema occidentale?"
WEERASETHAKUL: "Non sono sicuro attraverso quali film, ma mi sono sempre sentito legato alla storia del cinema. Credo che il cinema americano in un qualche modo sia molto potente. Per esempio, il film LA CONVERSAZIONE, di Coppola. Quello sì che è un super film. Quando lo guardo, sento la bellezza dell'integrazione di fiction e verità. E sento la stessa cosa quando faccio i miei film."
INTERVISTATORE: "LA CONVERSAZIONE è un film molto politico. Pensi di aver fatto delle dichiarazioni politiche nei tuoi lavori o che ti piacerebbe farlo?"
WEERASETHAKUL: "Credo di non essere politico in modo formale, ma più attraverso un mio personale punto di vista che spero in futuro si rivelerà politico grazie al passaggio del tempo."
INTERVISTATORE: "Hai detto che senti esserci una mancanza di identità in Thailandia. È dovuto al modo con cui l'Occidente s'impone sulla cultura thailandese?"
WEERASETHAKUL: "Certo, ma è un modo che appartiene a tutto il mondo. In Thailandia, noi scagioniamo e accettiamo le altre culture. Per quanto mi riguarda, ero solito disprezzare molto un certo tipo di cose, come alcuni edifici molto brutti. Come a volte può capitare di vedere edifici con un colonnato romano, questo tipo di cose kitsch. Ma oggi vedo la bellezza del nostro modo di vivere e seguo la corrente registrandola, e ovviamente il paese in cui vivo cambia velocemente, e sta diventando simile a Bangkok. Perciò non si tratta di qualcosa contro cui mi oppongo, in realtà."
Con Forugh Farrokhzad, Ebrahim Golestan, Hossein Mansouri
consigliato da APICHATPONG WEERASETHAKUL
INTERVISTATORE: "Una scena di un film che ti ha sconvolto?"
WEERASETHAKUL: "Nel documentario THE HOUSE IS BLACK di Forough Farrokhzad. Il viso di un allievo a cui il professore chiede di scrivere alla lavagna, e le facce di tutti i suoi compagni seduti ai banchi. Molto breve ma così efficace." ~ (telerama.fr)
Con John Cage, Maya Deren, Alexander Hammid, Parker Tyler
consigliato da APICHATPONG WEERASETHAKUL
"Quando studiavo all'Istituto d'Arte di Chicago come tesi di laurea feci un cortometraggio sperimentale. Era influenzato moltissimo – nella struttura e nelle inquadrature – da Maya Deren. Lei mi influenza ancora oggi. Mi piace il suo cortometraggio AT LAND, mi piace moltissimo. E amo anche i film di Bruce Baillie QUICK BILLY e VALENTIN DE LAS SIERRAS." ~ Apichatpong Weerasethakul (purple.fr)
"Quand'ho visto i film della Deren e di Brackhage, ho immediatamente realizzato che i film potevano essere liberi. Ma quando vedi quelle cose puramente sperimentali, puoi di certo ricollegarle anche a Spielberg. Puoi vedere che le inquadrature sono usate in modi simili. Ed è una cosa che cambia il tuo modo di guardare un film di Spielberg. Non si tratta solo di narrativa. Vedi anche la parte materiale del film." ~ Apichatpong Weerasethakul (irishtimes.com)
VALENTIN DE LAS SIERRAS(Bruce Baillie, 1967, USA, cortometraggio, 10 min.) Costruito attorno ad una nota ballata popolare messicana (un "corrido") su un uomo che era forse un martire, o forse un traditore, e che finì impiccato sulle montagne del Messico, la pellicola di Baillie contempla da vicino gioie e durezze della vita su quelle stesse spietate montagne. – Commento di Bruce Baillie: " In Valentin ho filmato semplicemente ma utilizzando un teleobiettivo con un prolungamento tubolare sul retro, che ti dà un piano focale molto limitato, pochi centimetri. Nessuno che conosco lo ha mai usato con un obiettivo lungo, specialmente con un soggetto in movimento, ma mi è piaciuto molto il modo in cui funzionava. Dovevo entrare nella carne di quella città, con il sole implacabile che batte sui mattoni della strada e tutta la morte - ogni sera ci sarebbe stato qualcosa o qualcuno ucciso, disteso in strada la mattina. Avevo incontrato questa (archetipa) giovane ragazza, in sella al suo pony. Ed avevo paura di incontrare suo padre. Avevo mandato un messaggio scritto per vederla, e lui rispose di andare ad incontrarlo, ed ho pensato “Oh, Dio!” Ma si rivelò essere un tipo molto simpatico: Manuel Sasa Zamora, di Jalisco. Erano molto poveri e vivevano dietro un grande cancello ed avevano un cavallo e un cane di nome Penquina. Non piacevo al cavallo che non mi lasciava filmare. Ho dovuto rinunciare per un po’. Più tardi, ho chiamato il mio cavallo Valentina." ~ (cinema-scope.com + em-arts.org)
INTERVISTATORE: "Un film un po' al di sopra di tutti gli altri?"
WEERASETHAKUL: "QUICK BILLY e VALENTIN DE LAS SIERRAS, di Bruce Baillie." ~ (da telerama.fr)
INTERVISTATORE: "Quali sono i tuoi film preferiti in assoluto?"
WEERASETHAKUL: "LA CONVERSAZIONE di Francis Ford Coppola, LOVE STREAMS di John Cassavetes, IL BRUTO E LA BELLA di Vincent Minnelli, VALENTIN DE LAS SIERRAS di Bruce Baillie. Sono film con una personalità molto forte, specialmente il film di Bruce. È come avere un'allegra conversazione con i più grandi maghi al mondo. I mie preferiti più recenti sono I FIGLI DEGLI UOMINI di Cuarón e HAMACA PARAGUAYA di Paz Encina, tra gli altri..." ~ (indiewire.com)
FREE RADICALS(Len Lye, 1979, USA, cortometraggio d'animazione, 4 min.) FREE RADICALS è un cortometraggio d'animazione in bianco e nero diretto dal filmmaker d'avanguardia Len Lye. Il film fu iniziato nel 1958 e completato nel 1979, e venne realizzato graffiando direttamente la pellicola. Le "figure in movimento" così ottenute sono state musicate da "the Bagirmi tribe of Africa". Nel 2008 l'opera è stata aggiunta allo "United States National Film Registry". ~ (Wikipedia)
La prima introduzione di Weerasethakul al mondo della regia è arrivata durante la frequentazione della Scuola d'Arte a Chicago. "Là ho scoperto gli scratch-film come FREE RADICALS di Len Lye, i lavori di Bruce Baillie, e il movimento surrealista." Da adolescente, Weerasethakul guardava tutti i film che riusciva a trovare, dalle grosse produzioni hollywoodiane al cinema popolare Thailandese. Ha dichiarato che la sua prima "epifania" cinematografica avvenne vedendo E.T. nel 1982. "Da lì in poi decisi che volevo far parte du questo mondo." ~ Apichatpong Weerasethakul (da indiewire.com)
A MAN AND HIS DOG OUT FOR AIR (Robert Breer, USA, 1957, cortometraggio d'animazione, 3 min.) Mentre in sottofondo si sentono uccelli cantare, delle linee si intersecano come se cercassero freneticamente una qualche forma. I loro sforzi sembrano vani fino all'ultimo momento quando, finalmente, riescono a unirsi diventando un uomo che porta a passeggio Il cane. Poi le linee tornano subito a infrangersi per formare la parola END. ~ (IMDb)
LIFE/EXPECTANCY (Michelle Fleming, 1999, USA, cortometraggio, 30 min.) LIFE/EXPECTANCY si interroga sulla ricerca del senso della vita di una donna sulla cinquantina. Per trovare "la sua storia", questa donna sente (in ogni cellula del suo corpo, rischiando il luogo comune) di dover trovare un codice di memoria dentro di sé, qualcosa che includa anche un codice di valori culturali. Una voce fuoricampo (del compagno della Fleming, Zack Stiglicz) combina frammenti narrativi su una donna solitaria e brani di libri di psicologia per creare un senso di malinconia quotidiana. ~ (cjcinema.org)
ATAMI BLUES (Donald Richie, 1962, USA, cortometraggio, 21 min.) Un ragazzo e una ragazza una sera s'incontrano in un bagno pubblico di un resort di Atami. Il giovane in seguito tenta di corteggiarla mentre si gode i luoghi panoramici della città balneare, il tutto accompagnato da una sensuale colonna sonora jazz. - Filmati in 16mm, i lavori dello scrittore e critico d'arte Donald Richie non furono inizialmente concepiti per essere mostrati a un pubblico, o perlomeno non in un circuito mainstream. Erano film underground, destinati a una ristretta cerchia di cinefili e realizzati con amici. Va comunque sottolineato che questi amici includevano gente come il compositore Toru Takemitsu (ONIBABA, RAN) , autore della colonna sonora, e che il pubblico comprendeva in prima istanza noti membri del mondo del cinema come Nagisa Oshima e Susumu Hani. ~ (IMDb + midnighteye.com)
THE EMPEROR'S NAKED ARMY MARCHES ON (Kazuo Hara, 1987, Giappone, documentario, 122 min.) Kazuo Hara si è costruito una carriera documentando le vite di chi sta al di fuori della notoriamente conformista società giapponese. Con questo documentario Hara si concentra su Okuzaki, sessantaduenne veterano della guerra del Pacifico e attivista avverso all'Imperatore, e sulla sua ricerca di spiegazioni per le morti di alcuni soldati del suo reggimento avvenute in Nuova Guinea dopo la fine ufficiale della guerra. Okuzaki sospetta che siano stati cannibalizzati, o uccisi dagli ufficiali superiori per aver assistito ad atti di cannibalismo. La cinepresa lo segue mentre scova ex ufficiali dell'esercito e parenti dei deceduti, ricorrendo ad abusi verbali e fisici al fine di ottenere risposte dai suoi poco disponibili bersagli. Non vengono ottenute risposte conclusive, ma svariati ex ufficiali essenzialmente ammettono il ricorso al cannibalismo, e di aver ucciso dei soldati per coprire quegli atti. Il film è costituito da lunghe conversazioni punteggiate da occasionali eruzioni di violenza da parte di Okuzaki. L'angoscia sia dei parenti delle vittime sia dei responsabili è palpabile – i parenti vogliono la verità, ma gli ufficiali superiori si sono così abituati a mentire che non sono più capaci di distinguere verità e menzogna. Il cannibalismo viene trattato con un tono da dato-di-fatto, così come la violenza usata da Okuzaki; apprendiamo che la carne umana veniva chiamata "maiale" e che ai nativi della Nuova Guinea era riservato l'appellativo di "maiali neri", mentre i soldati alleati erano i "maiali bianchi". Okuzaki ne esce come un uomo pieno di contraddizioni. Un attimo s'inchina e offre il suo biglietto da visita e l'attimo dopo getta a terra un uomo anziano. Inveisce contro l'establishment per aver mentito sulle atrocità belliche, ma inganna gli intervistati facendo recitare alla moglie e a un amico il ruolo di parenti dei soldati deceduti. Condanna l'assassinio dei soldati ma non si fa problemi a ricorrere lui stesso alla violenza. La sua violenza è imperdonabile, ma è anche efficace – gli ufficiali superiori subito recuperano la memoria quando Okuzaki li minaccia. È ben lungi da essere una persona ammirevole (o anche solo gradevole), ma ci si scopre a tifare perché questa sua ricerca della verità abbia successo. ~ (midnighteye.com)
KHAYAL GATHA (Kumar Shahani, 1989, India, film sperimentale, 103 min.) KHAYAL GATHA (La saga del Khayal) è un film sperimentale sulla storia del Khayal, un genere appartenente al canto classico indiano. Il film ripercorre inoltre la relazione del genere Khayal con la danza classica indiana, e segna il debutto dell'attore Rajat Kapoor (successivamente protagonista tra l'altro di MONSOON WEDDING di Mira Nair). Il film è presentato in una forma astratta, in cui uno studente di musica (Mangal Dhillon) ascolta storie e leggende sulla nascita e l'evoluzione del canto Khayal. Queste storie sono re-interpretate dagli attori Rajat Kapoor e Mita Vasisht, nei panni di svariate figure chiave nella storia della musica classica indiana. ~ (Wikipedia)
CHAKA / THE WHEEL (Morshedul Islam, 1993, Bangladesh, 65 min.) Un carro carico di riso viene trainato lentamente da due zebù per le campagne del Bangladesh, tra lo scricchiolio incessante delle sue ruote. Un carrettiere giovane e uno anziano si alternano alla guida del carro. Mentre passano di fianco a un dispensario, viene chiesto loro di prendere con sè il cadavere di un uomo ucciso accidentalmente di cui nessuno sa nulla eccetto il nome del villaggio che ha mormorato prima di morire. Quando raggiungono il posto, però, realizzano che nessuno conosce il morto. Mentre si spostano di villaggio in villaggio, la speranza cede il passo alla disperazione. Il morto è completamente sconosciuto. Decidono allora di bruciare il cadavere, ma gli abitanti di un villaggio si oppongono dal momento che nessuno sa quale fosse la sua religione. Morshedul Islam cattura i paesaggi alla velocità dei carrettieri, con passo lento e sinuoso, ad ogni ora del giorno e della notte. Questa missione a loro assegnata diventa una veglia funebre itinerante. Primissimo film del Bangladesh distribuito in Francia, THE WHEEL è un road-movie rurale e umanistico. ~ (cinemas-asie.com)
I, AN ACTRESS (George Kuchar, 1977, USA, cortometraggio, 10 min.) George Kuchar si trasferì da New York a San Francisco nel 1971 per insegnare cinema al San Francisco Art Institute. La maggior parte dei suoi film di questo periodo si basano fortemente sull'improvvisazione e sembra che tutti quelli che vi compaiono siano sotto l'effetto di una qualche droga – anche se non lo erano. Nonostante Kuchar non sia mai stato accettato dal "mainstream", gli studenti affollavano le sue classi per i suoi insegnamenti "sopra le righe". Una di questi studenti, Barbara Lapsley, voleva che Kuchar la dirigesse in un provino cinematografico da mostrare agli agenti di Hollywood. Ovviamente, nessuno sano di mente vorrebbe che il tizio che ha fatto sesso con un gorilla in THUNDERCRACK! lo dirigesse in qualcosa da prendere sul serio. Sta di fatto che lo screen test venne girato in un'unica ripresa negli ultimi 10 minuti di una lezione. Durante il provino la povera attrice prova disperatamente a leggere uno script assurdamente melodrammatico con battute come: "Togliti quel ghigno dalla faccia, prima che te lo frantumi sotto una maledetta scarpa". Kuchar le urla delle indicazioni, ma tutto ciò che ottiene è di aumentarne la ridicolaggine. E poi all'improvviso lo stesso Kuchar si butta davanti alla camera, dice ai collaboratori di continuare a filmare, e mostra all'attrice come fare il suo lavoro. Si palpa il petto e mugola le battute in maniera brillante. La prova doveva essere il biglietto d'ingresso per Hollywood di Barbara, ma Kuchar lo tenne per sè. La clip mescola benissimo i suoi stili, conservando sia l'aspetto camp che la recitazione esagerata, mentre documenta un evento in tempo reale e svela l'artificio da dietro la camera. ~ (vice.com)
BLIGHT (John Smith, 1996, Gran Bretagna, cortometraggio, 15 min.) La costruzione del raccordo stradale M11 ad Est di Londra ha provocato una lunga ed aspra campagna da parte dei residenti locali per proteggere le loro case dalla demolizione. BLIGHT è stato filmato in questo periodo, mentre le abitazioni venivano abbattute e i terreni ripuliti. Utilizzando registrazioni fatte dei ricordi della gente, la colonna sonora incorpora frammenti di discorso e suoni della natura. Il film è basato su eventi reali che hanno trasformato le vite delle persone, ma è molto più di un documentario convenzionale. Si creano storie enigmatiche e il mondano si trasforma in meraviglioso. La musica e le immagini sono intrecciate in una elegiaca evocazione di memoria e perdita. ~ (IMDb)
RIYO (Gonzalez-Foerster, 1999, Francia, cortometraggio, 10 min.) Due adolescenti condividono un momento al telefono nel crepuscolo urbano giapponese, lungo le sponde del fiume Kamo, a Kyoto, tra i ponti Shijo e Sanjo. Questo panorama cittadino – un luogo d'incontro per i teenagers innamorati – si rivela per gradi, con le sue molte luci e i suoi sfondi, attraverso il dialogo dei teenagers. Ruotando attorno alla loro invisibile presenza una città nuova di zecca emerge: emozionante, transitoria, immatura e aperta. – Dominique Gonzalez-Foerster (Strasburgo, 1965) è una delle artiste più riconosciute in Francia e all’estero degli ultimi decenni. La sua fama si è estesa negli anni ’90, grazie alla partecipazione ad alcune importanti biennali (Venezia, Berlino, Lione, Tirana, Busan), mostre di rilievo (tra cui Documenta XII e Manifesta II) ed il conseguimento, nel 2002, del Prix Marcel Duchamp. A partire dal 1997 comincia a dedicarsi a video e cinema con una particolare attenzione all’immagine della città, aprendo il suo sguardo dagli interni verso l’esterno e concentrandosi su di una personale idea di “exoturisme” e di modernità tropicale. I film di Dominique Gonzalez-Foerster sono giochi di costruzione nei quali intervengono “sensazioni di cinema” e dove lo spettatore/personaggio gioca un ruolo centrale, con la sua memoria, la sua esperienza e il suo passato. ~ (xing.it + pointligneplan.com)
ALONE. LIFE WASTES ANDY HARDY (Martin Arnold, 1998, Austria, cortometraggio, 15 min.) Mickey Rooney e Judy Garland vengono clonati in un musical sperimentale fatto in casa. Il punto di partenza sono una serie di scene del periodo in cui i due adolescenti si scatenavano nelle serie per famiglie e nei musicals di Busby Berkeley. Quelle scene sono state riarrangiate in un nuovo ordine e scorrono avanti e indietro di fronte ai nostri occhi in un gentile adagio. Andy Hardy, il solare ragazzino 100 % americano degli anni '30 e '40, ritorna come clone edipicamente distrutto per essere poi liberato dalle sue sofferenze dal canto e dai baci di Betsy. ~ (IMDb)
37-73 (Richard Myers, 1974, USA, 60 min.) Richard Myers: "Io sono nato nel '37 e il film è stato filmato perlopiù nel '73. Comincia con una canzone della mia infanzia, la cantavano tutti i bambini che vivevano attorno alla birreria di mio padre: «Lemonade, lemonade, five cents a glass. If you don’t like it, stick it up your ask me no questions, tell me no lies, if you fall in a bucket of shit be sure and close your eyes.» James Broughton (filmmaker e poeta): "Credo che 37-73 sia un lavoro straordinario, e il migliore dei lungometraggi di Myers. Sono sbalordito dalla sua abilità nel concepire immagini, e dal suo potere di evocare il folle dolore d'essere un artista. È un'opera ossessiva con scene indimenticabili." ~ (richardmyersfilms.com)
PARAGUAYAN HAMMOCK / HAMACA PARAGUAYA (Paz Encina, 2006, Argentina/Netherlands/Paraguay/Austria/France/Germany, 78 min.) Se la qualità della produzione cinematografica batte la quantità, il Paraguay potrebbe avere uno dei panorami cinematografici più vitali al mondo in virtù di un singolo film. Il fatto che PARAGUAYAN HAMMOCK sia uno dei pochi film ad emergere da quel paese nei recenti decenni non ne diminuisce in alcun modo la rarità. La regista Paz Encina opera meraviglie in uno stile estremamente familiare di formalismo internazionale d'essai: lunghe inquadrature fisse su scene attentamente arrangiate; la meticolosa orchestrazione dei rumori ambientali; una gestione obliqua di personaggi e continuità. Nella scena iniziale due anziani contadini (Ramón Del Rio and Georgina Genes) si materializzano da una fitta foresta verde, sospendono un lungo tessuto tra gli alberi e si mettono a contemplare il tempo (opprimente, tonante), i guaiti di un cane vicino e i destini del suo assente padrone, il figlio dei due, un soldato al momento al fronte. Tutto è altrove in PARAGUAYAN HAMMOCK, e mentre Ms. Encina procede da un lucido quadro all'altro (focolare, mietitura, bucato, pranzo) accenna a ricche ambiguità temporali. Le categorie si fondono nell'aria torpida. Il presente sfuma nel passato, la vita trascolora nella morte, e cose nascoste infestano le ombre malinconiche, gentilmente adagiate, in questa incantevole radura paraguaiana. ~ (nytimes.com)
LISTACOMPLETA di WEERASETHAKUL
TOP TEN
- A Brighter Summer Day (Yang)
- La conversazione (Coppola)
- La Captive (Akerman)
- Empire (Warhol)
- Full Metal Jacket (Kubrick)
- The General – Come vinsi la guerra (Keaton)
- Goodbye, Dragon Inn (Tsai Ming Liang)
- Pioggia (Ivens)
- Satantango (Tarr)
- Valentin de las Sierras (Baillie)
ALTRI PREFERITI
- Il maestro burattinaio (Hou Hsiao-Hsien)
- Primate (Wiseman)
- Free Radicals (Len Lye)
- Non aprite quella porta (Hooper)
- Il mondo perduto (Hoyt)
- A Man and his dog out for air (Breer)
- Unsere Afrikareise (Kubelka)
- Eaux d'artifice (Anger)
- Orange (K. Johnson)
- A Man vanishes (Imamura)
- Compiti a casa (Kiarostami)
- I giocatori di scacchi (S. Ray)
- Life/Expectancy (S. Fleming)
- The House Is Black (Forough Farrokhzad)
- Roma (Fellini)
- The Unchanging Sea (Griffith)
- Ho camminato con uno Zombie (Tourneur)
- Atami Blues (Richie)
- La sera della prima (Cassavetes)
- Il bambino (Oshima)
- The Emperor's Naked Army Marches On (Kazuo Hara)
INTERVISTATORE: "Da dove viene la sua voglia di fare film?"
WEERASETHAKUL: "Dall'ultima scena de I PREDATORI DELL'ARCA PERDUTA di Steven Spielberg. L'ho visto quando avevo 11 anni."
INTERVISTATORE: "Quali film hai visto di recente?"
WEERASETHAKUL: "Ho visto AL DI LÀ DELLE MONTAGNE e THE FORBIDDEN ROOM, che sono straordinari. Ho visto anche SOPRAVVISSUTO - THE MARTIAN. Sono molto appassionato di fantascienza, perciò precedentemente avevo letto il libro. Mi ha un po' deluso, perché hanno tagliato molte cose."
INTERVISTATORE: "Hai visto INTERSTELLAR?"
WEERASETHAKUL: "Due volte!... Mi è piaciuto l'inizio.[Ride] Non era più così bello la seconda volta."
INTERVISTATORE: "Cos'è che ti attrae nella fantascienza?"
WEERASETHAKUL: "È una cosa che risale a quando ero un bambino, per cui non è qualcosa che riesco davvero a spiegare. Mi piacevano anche un sacco di storie soprannaturali e racconti folcloristici, e la fantascienza la sento come un altro tipo di racconto folcloristico, per come coinvolge l'immaginazione e l'invisibile piuttosto che il quotidiano. Fantasmi e navi spaziali hanno lo stesso effetto. (...) A un certo punto avevo anche in programma di fare un film di fantascienza. Si trattava di un progetto molto ambizioso intitolato «Utopia», ma era troppo costoso. Era ambientato nel futuro, ma il futuro secondo la vecchia letteratura di fantascienza. Era una specie di futuro retrò calato in un paesaggio innevato negli Stati Uniti." ~ (lwlies.com)
"Seppi di amare il cinema alle superiori, quando ci fu il picco di film di fantascienza e d'avventura come E.T. e I PREDATORI DELL'ARCA PERDUTA. Ma non ero interessato alle scuole di cinema perché erano troppo lontane da casa, e inoltre in Thailandia c'è questa concezione che devi laurearti in determinate università per essere accettato. Io ho boicottato questa idea e ho cercato un'università nella mia città. C'era una nuova facoltà di architettura che aveva appena aperto. Visto che mi interessava anche la bellezza degli edifici, mi sono iscritto a quella, pensando che avrei potuto fare i miei film successivamente. Poi sono andato a Chicago (a studiare cinema - ndt) – e quello mi ha cambiato. Ho avuto la possibilità di vedere un mucchio di film sperimentali americani. E cercavo di trovare un modo di raccontare i miei ricordi tramite i film. Quando sono tornato in Thailandia, ero molto eccitato dalle possibilità. Ho provato molte strade e ho incontrato giovani filmmakers locali. Ho viaggiato molto e il risultato è stato MYSTERIOUS OBJECT AT NOON. Ma sto ancora imparando il mestiere." ~ Apichatpong Weerasethakul
"Credo che le religioni siano dannose per l'umanità; questo è il mio punto di vista personale; questo è il problema quando presenti Dio in un film. Significa ripetere l'immaginario o ripetere quel che è stato fatto prima per servire questo immaginario e queste icone, perciò dovremmo smettere di farlo. Dovremmo andare avanti. Almeno per ciò che mi riguarda, voglio andare avanti verso una società dove non ci siano più divinità, e un film può evocare visivamente attraverso l'immaginario di persone differenti piuttosto che ripetere la stessa cosa per la prossima generazione." ~ Apichatpong Weerasethakul
"Solitamente i miei film cominciano da una particolare location che ho in mente, piuttosto che da un concreto dialogo o da un tema. In realtà è il mio attaccamento o il mio apprezzare certi luoghi e i suoni che nascono da loro, o la spazialità del luogo e la luce, che dà inizio alle cose. Solo allora comincio a prendere appunti, affondando nella mia memoria, pensando alle persone che amo, alle cose che mi sono vicine, il che apre il film e le sue possibilità oltre lo spazio che ho scelto. È per questo che fare film è per me un tale privilegio. È meraviglioso poter conoscere il gruppo di persone con cui lavoro, che allora diventa una seconda famiglia per me. All'improvviso il mio diario si espande per includere i ricordi di altre persone. In questo modo il mio diario e i miei film sono una registrazione del nostro invecchiare insieme. Lavorare così vicino ai miei attori è anche uno strumento, o oserei dire una scusa, siccome io sono piuttosto impacciato socialmente e davvero non mi piace parlare [Ride]. Comunque, quando sono dietro la cinepresa, all'improvviso ho uno scudo, il che mi fa sentire molto più sicuro e a mio agio. È anche per questo che mi piace il cinema sperimentale, perché è molto più personale e si può trarre vantaggio dalla mobilità dell'attrezzatura digitale." ~ Apichatpong Weerasethakul
"Non posso evitare di frantumare il tempo nei miei film. Sono anche particolarmente interessato ad esprimere idee di relatività in relazione al tempo. Ma il cinema può anche essere molto restrittivo, visto che una narrazione lineare è difficile da evitare. Il meglio che possa fare è sottolineare questa fragilità o questo fatto attraverso diversi trattamenti del tempo. È impossibile essere coscienti del tempo, o del fluire dello stesso, senza fare esperienza anche della sua brevità. Un altro elemento importante per me è quello del ritmo e mi piace giocarci nei miei film. Interrompere la struttura del tempo è un mezzo per far sì che il pubblico si renda conto dell'illusione del tempo. Questo non è vero solo in relazione al cinema, ma anche nella nostra esperienza personale, visto che la percezione del tempo varia per ogni persona. Perciò un film probabilmente è ciò che più si avvicinava alla personale percezione del tempo di un individuo." ~ Apichatpong Weerasethakul
INTERVISTATORE: "Da un lato, i tuoi film sono molto moderni, eppure d'altro canto sono anche fortemente radicati nel Buddismo. Qual'è la relazione tra spiritualità e modernità nei tuoi film? E quali aspetti del Buddismo, quali il vuoto e la sofferenza, sono parte integrante dei tuoi film e della tua persona?"
WEERASETHAKUL: "Questa è una domanda interessante, perché la mia risposta è collegata a quel che ho sottolineato in rapporto al tempo. Il Buddismo riguarda il tempo, o quantomeno il mio genere di Buddismo, che ha molto a che fare col comprendere il sè, come mente e corpo sono separati e come si rapportano l'uno con l'altro e agiscono. Seguendo questi ragionamenti, il cinema può scegliere una delle due strade, anche se a volte c'è confusione o conflitto. Il Buddismo è consapevolezza del momento presente, eppure il cinema riguarda molto il passato, perciò c'è una tensione nella pratica e nel credo. Nei film c'è un certo attaccamento al passato, eppure il Buddismo si oppone a questo! Inoltre Buddismo significa accettare il momento, mentre il cinema si sforza non solo di catturarlo, ma anche di solidificarlo. In realtà ho percepito per un po' il conflitto di questa tensione, ma sento anche che il cinema è ancora un medium molto giovane. Così anche se questa limitazione è presente, io cerco di esprimere al meglio la mia esplorazione del tempo e della mia nozione di percezione. Anche se pratico la meditazione, non sono un praticante assiduo. Ma ho un amico che ci si dedica molto più di me e che mi ha spiegato che a un certo punto cominci a vedere l'unità del tempo e cominci a vedere i fotogrammi del tempo, che sono più di 24 per secondo. Non so se ci credo o no, ma per me è troppo affascinante per rigettarlo. A volte quando piove puoi veramente vedere le singole gocce di pioggia quando mediti, perché raggiungi uno stato superiore di coscienza. Quindi il cinema, mi sembra, ha la capacità di mimare per il pubblico uno stato della mente di chi medita – solo in una forma meno rifinita."
"Da bambino ho trovato terrificante IL MAGO DI OZ. Non so quanti anni avessi, forse sei o sette. Mio padre mi portava al cinema molte domeniche pomeriggio. Amavo i western. Il primo film australiano che ho visto è stato JEDDA di Charles Chauvel. Avevo circa 12 anni, e ne rimasi profondamente impressionato. Ancora oggi le immagini di quel film restano con me. Da adolescente mi ha molto colpito il lavoro di Jacques Tati, soprattutto LE VACANZE DI MONSIEUR HULOT. Amavo i film horror, in particolare quelli della Hammer Film. Poi ci sono stati Alfred Hitchcock e David Lean. Il primo film sottotitolato è stato VITE VENDUTE di Clouzot. L'ho visto giovanissimo, l'ho amato, ma alla fine ero esausto sia per la tensione sia per la fatica di leggere tutti i sottotitoli. Avevo 12 anni quando in Australia è arrivata la televisione. Ero solito infastidire i miei genitori insistendo perché spegnessero tutte le luci nel soggiorno per creare un'atmosfera "da cinema". Adoravo i western, e la mezz'ora di Alfred Hitchcock." ~ Peter Weir
"È difficile sapere quali influenze sono all'opera su di te mentre fai un film, o ti occupi di una qualsiasi impresa creativa, per altro. Puoi accorgertene anni dopo, forse mentre guardi uno dei tuoi primi film, che sembra essere dominato dall'opera di un regista che ammiravi. Di recente ho visto MIO ZIO e mi ha sorpreso quanto fossi influenzato da Jacques Tati nei miei primi cortometraggi degli anni '60. Quanto a Freud e Jung, nessuno che lavori in un campo creativo può fare a meno di ammirare il loro pionieristico lavoro nel mappare l'inconscio, quel paesaggio misterioso che gioca un ruolo così importante nella vita creativa. L'opera di Jung «Memorie, Sogni, Riflessioni» ha avuto un impatto poderoso su di me. Mi riscopro ancora a tornarci, occasionalmente." ~ Peter Weir
"C'è una curiosa influenza polacca in questo film (FEARLESS). Un regista che mi ha colpito e ispirato è Krzysztof Kieslowski. Avevo visto IL DECALOGO in tv in Australia, e anche LA DOPPIA VITA DI VERONICA. Mi sono ritrovato a far suonare vari compositori polacchi sul set, com'è mio solito, e per i giornalieri. In particolare, Heinrich Gorecki e la Sinfonia no. 3. Ho provato a comprarla per il film ma mi hanno detto: «Oh no, è diventata una hit, ha venduto più copie di qualsiasi registrazione classica contemporanea.» Han detto che non ce l'avrebbero venduta senza aver visto il film. E io non vado certo a fare audizioni per una compagnia discografica a questo punto della mia vita. Poi hanno detto: «Le dispiacerebbe se un direttore esecutivo venisse allo screening test?» Io ho risposto: «Purchè io non sappia che è presente.» Finita l'anteprima costui è venuto da me e mi ha detto: «Credo che Mr. Gorecki sarebbe felice di sentirla usare la sua musica nel film.» E così l'abbiamo comprata." ~ Peter Weir
INTERVISTATORE: "Quand'è che hai preso consapevolezza per la prima volta che i film potessero essere arte?"
PETER WEIR: "Questo è interessante. Credo con Stanley Kubrick. Non sono stato esposto ad alcuna cultura cinematografica nella mia adolescenza. Il Sydney Film Festival è cominciato alla fine degli anni '50, ma io non ne sapevo niente. Ed è stato così per molto tempo. Dovevo avere poco più di vent'anni quando ho visto per la prima volta IL DOTTOR STRANAMORE, e questo mi ha portato a vedere i primi film di Kubrick e a tenerlo d'occhio. Lui mi sembrava particolarmente diverso perché fino ad allora avevo pensato ai film, come fa la maggior parte del pubblico, come ad un intrattenimento. Ero piuttosto ignaro di ogni più ampia risonanza. Avevo visto alcune comiche di Charlie Chaplin e mi erano sembrate bizzarre – non si muoveva alla giusta velocità – e a quel tempo pensai che fossero un po' inflazionate. Mio padre mi portò a vedere un paio di film di Chaplin tornati in circolazione alla fine degli anni '50. Lui se ne stava lì seduto a ridere in modo incontrollabile, mentre io mi sentivo piuttosto strano. Dev'essere come la musica dei tuoi genitori con cui non riesci a legare. Ovviamente, più in là negli anni '70 ho visto virtualmente tutti i lavori di Chaplin che ho potuto trovare, in una specie di cronologia, e ne sono rimasto sbalordito – ed ho riso! Mi ha sempre interessato il fatto che si possa vedere qualcosa in un dato momento e non funzioni, e più in là invece funzioni. E viceversa. In realtà, il contrario è molto doloroso. Di recente ho visto un film di Visconti che mi aveva davvero ispirato ed eccitato in un certo periodo, e ho scoperto che non riusciva a coinvolgermi per niente. Lo apprezzerò sempre come il lavoro di un artista, ma dov'era il fuoco? È un senso di perdita estremamente sgradevole."
INTERVISTATORE: "C'è qualche filmmaker che ti abbia particolarmente influenzato?"
PETER WEIR: "Non ho realmente investigato alcuna storia del cinema fino al 1978. Stavo girando L'UOMO DI STAGNO (THE PLUMBER) ad Adelaide per la South Australian Film Corporation, loro hanno un'eccellente collezione di film ed ero solito guardarne quattro o cinque ogni settimana – mi sono costruito un mio personale corso di storia del cinema. L'enfasi era soprattutto sui film muti e molti di loro mi hanno proprio lasciato senza fiato. Tra i primi filmmakers russi ho finito per ammirare Pudovkin, per mia sorpresa. Credevo che avrei preferito Eisenstein, ma per quanto abbia apprezzato il suo intelletto, l'ho trovato troppo propagandista. Mi è piaciuto l'approccio naif, quasi primitivo di Pudovkin, la passione e l'emozione. Non potevo non ammirare i Tedeschi per la composizione e l'uso delle luci, ma non mi hanno troppo emozionato. Ho amato i film di Hitchcock, la sua arguzia, e la sua qualità priva di sforzo. Nel cinema commerciale è stato Kubrick ad avere un enorme effetto su di me. Di solito andavo al Sydney Film Festival, e mi interessavo al cinema europeo. E a Kurosawa, porto ancora con me immagini dei suoi film. Ma non sono consapevole di alcuna diretta influenza, forse perché sono un po' come un pittore primitivo io stesso – sai, quei pittori i cui alberi sono un po' troppo grandi o che disegnano le mucche solo di profilo, e che dipingono spinti da pura gioia e comprensione intuitiva. Ho preso consapevolezza dei danni di rifinire il proprio mestiere e perdere il lato artistico. In anni più recenti sono stato ispirato da Woody Allen – ammiro la sua temerarietà. Lui è un originale e si può dire lo stesso di tutti i filmmakers che ho menzionato. Mi sono allontanato dai registi più accademici, o dai registi più legati al sociale. Godard mi ricordava un lettore universitario che demolì un poema di Blake..."
"I miei inizi in questo business in realtà sono stati nella commedia, come scrittore-performer in alcune cose universitarie tipo «varietà». Sono un grande fan dei Monty Python e ricordo che John Lennon disse che invece di essere nato Beatle, avrebbe preferito essere nato come uno dei Monty Python. Anche a me non sarebbe dispiaciuto. Amo il loro humor. Può darsi che non siano sugli schermi questa settimana, ma il loro humor è nell'aria. Ho girato una pubblicità con John Cleese ed è nata una specie di amicizia. Abbiamo parlato di fare qualcosa insieme un giorno." + "Nel 1971 andai in Inghilterra con una borsa di studio della commissione governativa del cinema. Studiavo come venivano prodotti i film britannici. Vidi la serie dei Monty Python e capii che per me era finita come scrittore-performer. Erano veramente troppo bravi. E noi stavamo solo iniziando a emergere – a quel punto ci era stata commissionata una serie da mezz'ora per la Australian Broadcasting Company. Me ne tirai fuori all'ultimo momento. Vendetti i miei sketches agli altri e lasciai il gruppo. Tra di noi fu spiacevole. Ma avevo una sensazione istintiva riguardo ai film. In parte fu la mia ignoranza riguardo alla cultura e alla storia del cinema che mi consentì di avere poche inibizioni, di vedere un futuro come regista." ~ Peter Weir
+ Non presente nel database di FilmTv.it:
JEDDA(Charles Chauvel, 1955, Australia) Jedda è una ragazza aborigena nata in un allevamento di bestiame nel "Northern Territory" dell'Australia. Quando la madre muore dandola alla luce, la bambina viene data a Sarah McMann, la moglie del padrone dell'allevamento. Sarah ha appena perso il suo bambino a causa di una malattia. All'inizio pensa di darla a una delle donne aborigene che lavorano all'allevamento, ma alla fine cresce Jedda come fosse sua figlia, educandola all'europea e tenendola lontana dagli altri aborigeni. Jedda vorrebbe conoscere la propria cultura, ma Sarah glielo impedisce. Quando è ormai una giovane donna, in Jedda cresce la curiosità per un aborigeno del "bush" di nome Marbuck che suscita in lei forti sentimenti. Una notte Jedda, attirata da una canzone, va al suo campo. Marbuck la rapisce e si incammina poi verso la terra della sua tribù, attraverso paludi infestate dai coccodrilli. Joe, un mandriano meticcio innamorato di Jedda, segue le loro tracce per svariati giorni. Viaggiano per alti paesaggi montuosi e giù per un fiume fino a raggiungere la tribù di Marbuck. Il consiglio della tribù dichiara che Marbuck ha commesso un crimine serio portando lì Jedda, perché lei non è del loro gruppo etnico. Come punizione cantano per lui la canzone della morte. Marbuck sfida gli anziani e porta Jedda in un territorio proibito, un'area di canyon e alte scogliere, mentre la canzone della morte comincia a portarlo alla follia... ~ (Wikipedia)
INTERVISTATORE: "Che cosa ti ha attratto o interessato delle storie Aborigene che hai scelto per L'ULTIMA ONDA?"
PETER WEIR: "Beh, sai, non credo di aver mai davvero pensato agli aborigeni mentre crescevo. Non come oggi. L'unica volta, che io ricordi, è stato per aver visto il film JEDDA, che ebbe un enorme impatto su di me, il primo film australiano che ho visto. L'ho visto al Double Bay. Eccolo là, con colori sconvolgenti, erano i colori dell'Australia Centrale che non avevo mai visto; le varie brochures turistiche non significavano nulla per me, qualsiasi idea di viaggio o di avventura per me aveva a che fare con l'Europa. E quel film aveva anche una specie di contenuto erotico, col rapimento della donna e la sua seminudità. Era profondamente misterioso e interessante, davvero travolgente, anche rivedendolo, se vai oltre l'iniziale impostazione della storia, che è molto legnosa, e ti metti in viaggio con questa coppia... La parte migliore è dove c'è poco dialogo, un'opera realizzata in modo splendido."
LISTA COMPLETA di PETER WEIR
- Jedda (Chauvel)
- Le vacanze di monsieur Hulot (Tati)
- Mio zio (Tati)
- Vite vendute (Clouzot)
- Lolita (Kubrick)
- Il dottor Stranamore (Kubrick)
- Il circo volante dei Monty Python
- Psyco (Hitchcock)
- Il Decalogo (Kieslowski)
- La doppia vita di Veronica (Kieslowski)
- Danton (Wajda)
Fonti: peterweircave.com; "Dreams within a dream: the films of Peter Weir" by Michael Bliss; "Peter Weir" edizioni Il Castoro;
"Per quanto riguarda i filmmakers di oggi, vedrò sempre tutti i film di Andrzej Wajda. Sono stato particolarmente colpito, di recente, da DANTON, e sono affascinato dalla controversia che l'ha accolto in Francia, che è una storia interessante quanto la storia del film... Poi da vedere ci sono sempre Woody Allen e Marty Scorsese – e Spielberg. Del passato, suppongo, che nel manuale di ogni filmmaker non possa mai mancare Jean Renoir." ~ Peter Weir
"Le commedie sono terribilmente difficili da fare. Ma non ho abbandonato la commedia. Per il momento, a mio avviso, le commedie migliori sgorgano dal dramma autentico. Ma il tipo di commedia che vorrei fare è LOLITA – humor molto nero e teso; quello è il tipo che mi eccita." ~ Peter Weir
"Uso la musica per esprimere l'inesprimibile. Cerco ogni volta di fare un film che non abbia bisogno di musica, e finora ho sempre fallito. Se dovessi cambiare la mia professione con un'altra, sarebbe quella del compositore. Per me la musica è la fonte meravigliosa di tutte le arti." ~ Peter Weir
"Da bambino ogni domenica mia madre mi portava in chiesa. Mi piacevano gli inni ma trovavo sempre il sermone deludente. Questo perché il sermone era sempre una storia, e il nostro locale parroco era un buon narratore di storie, ma alla fine il racconto si rivelava nient'altro che un trucco per far passare un "messaggio", e generalmente aveva dunque un finale deludente. Nei miei film, o nei film degli altri, io reagisco contro questo fatto. Non mi avvicino mai a una storia in questo modo, vale a dire per "educare" o per lanciare un messaggio come faceva il parroco in chiesa, o un insegnante a scuola. Preferisco che le cose siano ambigue, irrisolte, misteriose non didattiche." ~ Peter Weir
INTERVISTATORE: "Attraverso i tuoi film si ha l'impressione di qualcuno che è particolarmente conscio delle aspettative del suo pubblico ed è capace di giocare con quelle aspettative. Quanto sei conscio del pubblico mentre dirigi?"
PETER WEIR: "Molto conscio. Per me è molto importante chiedermi continuamente, durante la stesura della sceneggiatura o mentre giro, cosa capirà il pubblico di questo o quello, e cosa si aspetterà di conseguenza. Mi sento libero di giocarci nella misura in cui posso controllare cosa voglio che sappiano o provino in ogni dato momento. E immagino che mi piaccia tenerli un passo indietro o sovvertire le loro aspettative."
INTERVISTATORE: "Quel che dici riecheggia quello che diceva Hitchcock del pubblico. Credi di avere il suo stesso umorismo nero?"
PETER WEIR: "È difficile vedere le cose in una prospettiva così ampia...ma no, non credo. Ho letto recensioni di alcuni miei film che li hanno visti in termini di black humor, ma non credo che sia accurato. Immagino dipenda da come vedi le cose. Forse sono bizzarri o strani, ma io preferisco termini come enigmatico, curioso e affascinante. Quando penso all'umorismo, non divido le cose in humor nero o altro. Ricordo che in una recensione di un paio di sketches che feci durante l'università usarono il termine perverso ("sick"), ma questo era tanto tempo fa."
INTERVISTATORE: "In che misura ti vedi come un «auteur», come l'influenza dominante nei tuoi film?"
PETER WEIR: "Mi vedo come chi esercita un controllo, ma non sono sicuro di cosa questo significhi. Credo che la parola «auteur» si sia svalutata e vada accantonata. Era un termine molto utile nei tardi anni '50 e nei '60, quando il cinema era molto polarizzato, ma dopo i grandi cambiamenti negli anni '70 e '80 non credo sia più così utile."
"Sono cresciuto sotto il fuoco incrociato di Hollywood e dei grandi registi europei. Avvertivo molta presunzione nel cinema europeo, ma ciononostante per diverso tempo ha influenzato molto il mio cinema personale. A parte alcune rare, isolate figure nella tradizione americana, mi sembrava che ci fossero meno registi «seri» ad Hollywood. Ma le persone cambiano e così le loro personalità. Per me non fu tanto l'influenza di film e registi, per quanto uno come Kubrick, che è sia artistico che «mainstream», fosse un modello. Io non passavo molto tempo al cinema. Lo so che è un cliché – ma non ero mai soddisfatto, cambiavo continuamente, ed è questo che mi ha fatto andare avanti. Era frustrante affrontare correttamente certi soggetti. Per me era una questione di nuovi territori. Per molto tempo mi ero chiesto: i film sono artigianato o sono arte? Dovrei fare piccoli, seri film per i cinema d'essai o grandi e costosi film per un gran numero di persone? Il risultato di questi pensieri conflittuali dopo anni è stato che l'artigianato aveva la priorità. Perché mi sono scoperto più felice nella tradizione di Hollywood, e dovevo trovare un atteggiamento sano nei confronti di ciò che stavo facendo." ~ Peter Weir
"Quand'ero bambino, mio padre era solito raccontarmi delle storie a puntate. Se le inventava. Fu un gran piacere per circa tre o quattro anni. Naturalmente, a causa delle varie attività all'aperto, facevano fatica a farmi andare a letto. Una delle tentazioni che adoperavano era che mio padre mi avrebbe raccontato un episodio di una sua storia seriale. Se realmente dovessi indicare un'influenza, sceglierei quell'esperienza: il piacere della narrazione. Quella che durò più a lungo, che andò avanti per 12 mesi a 5 minuti a sera, si intitolava «Black Bart Larney's Treasure». Era evidentemente una storia di pirati, ambientata nei Caraibi. Credo che abbia preso in prestito qualcosa da Rafael Sabatini, e Dio sa chi altri. Ma era un grande titolo, e riesco ancora a ricordare certi passaggi. Mio padre era un narratore bravissimo – la cosa non aveva niente a che fare con la sua occupazione, era un agente immobiliare, ma aveva il talento di saper sviluppare una storia. La lasciava sempre su un «cliffhanger». E «Black Bart» fu un tale successo che andò avanti molto a lungo, finché alla fine non arrivò a una conclusione. Semplicemente lui finì l'ispirazione, credo. Quando lo scongiurai di raccontarmene un'altra, cominciò una storia completamente nuova sulla stregoneria, che mia madre però bandì perché era troppo spaventosa e non mi faceva prendere sonno. (...) Durante la guerra, quando era a corto di soldi, e faceva lavori di tutti i generi, mio padre aveva scritto per la radio. Erano sempre pubblicità per lunghe serie radiofoniche. Ne trovai una scritta da lui in un armadietto insieme a un gran fascio di radiodrammi che aveva scritto per una serie intitolata Dr Max, una serie su un medico di campagna, ogni puntata era incentrata su uno specifico caso. Ne fece produrre due, credo. Fu una tremenda scoperta. In tutto il mio background familiare non avevo mai trovato nessuno con un interesse per la cultura. Nè avevo trovato tracce di chi fossimo prima di arrivare in Australia..." ~ Peter Weir
INTERVISTATORE: "Come lavori col tuo cameraman? Che tipo di libertà e di input gli dai, che relazione avete?"
PETER WEIR: "Hitchcock diceva che lui faceva cinema, non fotografia, e io sono d'accordo. La cinepresa è un attrezzo per ottenere la cosa. Il potere dietro l'immagine è ciò che conta. Per MOSQUITO COAST ho lavorato di nuovo con John Seale, che ha una sensibilità molto diversa dalla mia, cosa che ritengo importante per chi sta alla cinepresa. Non devi avere due persone che la pensino allo stesso modo, hai bisogno di una collisione. John approccia le cose da un angolo diverso, ma ha un occhio migliore del mio per le inquadrature. Sai, cerchiamo l'angolo che sia più espressivo rispetto all'idea, e credo che questo sia giusto. Non ho un rispetto eccessivo per l'attrezzatura, mi concentro solo sull'idea della scena, l'atmosfera, e il piazzamento della camera arriverà da solo. Io sono sempre all'erta, è per questo che per me i set sono vivi, brulicano di idee e possibilità. Ci ho anche dormito, ho comprato io stesso oggetti di scena, li tocco quanto più possibile, per arrivare a conoscerli, perché nascondono delle idee e solo se sei aperto verranno da te nel momento del bisogno."
Con Charles Chaplin, Virginia Cherrill, Florence Lee, Harry Myers, Al Ernest Garcia
consigliato da ORSON WELLES
"Visivamente la differenza tra LUCI DELLA CITTÀ e TEMPI MODERNI è straordinaria. LUCI DELLA CITTÀ è ancora il migliore film di Chaplin, non c'è dubbio." + "Chaplin era un genio come attore, ma semplicemente competente come regista." + "Chaplin è un grande artista – non può esserci discussione a riguardo. È solo che di rado mi smuove gli angoli della bocca. Lo trovo facile da ammirare ma difficilmente mi fa ridere." + "Chaplin aveva qualcuno che gli scriveva gag migliori di quelle che inventava lui. Ma comunque sia, ha fatto i film che tutti ammirano. Con la sua sensibilità, più tutto quello che metteva attorno alle gag. Voleva che la gente pensasse che aveva composto, diretto, disegnato tutto. Non voleva essere diretto in MONSIEUR VERDOUX. Mi disse: «Voglio comprare la sceneggiatura.» Io dissi: «Certo Charlie. Voglio solo che si faccia.» Gliel'ho praticamente data e ho detto: «Fai tu il prezzo.» Così mi è arrivato un assegno da 1.500 dollari – o giù di lì. L'uomo più taccagno mai vissuto. (...) Non l'avreste amato se aveste passato quel che ho passato io con lui. È stato molto difficile, e provo disprezzo nei suoi confronti, perché ho lavorato molto duramente. Gli ho offerto qualcosa per l'affetto che provavo per lui. Non era un suggerimento, era una sceneggiatura. In realtà, Chaplin era profondamente stupido per molti versi. È questo che è così strano, grossi pezzi di stupidità sentimentale con questi raggi di genio. (...) Per me era meraviglioso, ma non divertente. E pensavo fosse sinistro. È per questo che pensai a lui per MONSIEUR VERDOUX. (...) Il mio nome doveva rimanere nei titoli di testa, era nel contratto. Solo che lui era già stato denunciato per plagio da Konrad Bercovici per IL GRANDE DITTATORE – e l'aveva rubato. (Wikipedia riporta che la causa finì con un accordo e Chaplin versò a Bercovici 95.000 dollari - ndt) Perciò lui venne da me e mi disse: «Per la mia difesa in tribunale devo dire che ho sempre scritto tutto quello che ho fatto. E se metto nei titoli che tu hai scritto storia e sceneggiatura, la mia causa è finita. Ti rimetterò nei crediti dopo il processo.» Non ne aveva alcuna intenzione, ma io dissi «Ok», e il film debuttò a New York senza il mio nome citato in alcun modo. (...) Più avanti i crediti dicevano: «Basato su un suggerimento di Orson Welles» o «Una storia suggerita da...», una cosa del genere. In altre parole, qualcosa che gli avrei detto una sera mentre cenavamo. E da allora lui ha sempre sostenuto questa versione! Ma io ho scritto l'intera sceneggiatura. Avevo lo script, e dovevo dirigere Chaplin nel film. È stato così per due anni. Lui ha continuato a temporeggiare, e alla fine mi ha detto: «Non posso. Devo dirigerlo io.» (...) C'era una bella sequenza sulle Alpi che Chaplin ha tagliato. Landru (il nome Verdoux è un'invenzione di Chaplin - ndt) alla fine trova una donna, la cui professione è uccidere i propri mariti. Una sua pari. E vanno in luna di miele sulle Alpi. E lì ognuno vuole uccidere l'altro. E Chaplin l'ha tagliata, perché era una parte troppo bella per la donna. Anche quelli che lo amavano, e gli erano vicini, dicevano: «Sai, Charlie non permetterà mai a un altro attore di essere bravo accanto a lui sullo schermo, neanche per un minuto.» Così ha cambiato lo script e si è inventato quella scena molto divertente sulla barca, al Bois de Boulogne. Se ascoltate attentamente, sentirete uno yodel in sottofondo. Perché nella sceneggiatura questa scena si svolgeva in montagna ed era accompagnata da uno yodel, e lui non si è neanche fermato a domandarsi «Perchè gli yodel?» Ecco quanto era stupido!" ~ Orson Welles
Con Buster Keaton, Marian Mack, Glen Cavender, Jim Farley
consigliato da ORSON WELLES
"Per Keaton non c'è elogio che basti...un grandissimo artista, e uno degli uomini più belli che io abbia visto sullo schermo. Era anche un superbo regista. In ultima analisi, nessuno è arrivato alle sue vette. Keaton è uno dei giganti!...Ora finalmente è stato «scoperto». Troppo tardi perché gli possa giovare, ovviamente – ha vissuto tutti quei lunghi anni nell'oscurità, e poi, proprio mentre il sole tornava a spuntare, è morto. Avrei voluto conoscerlo meglio. Era una persona tremendamente buona, ma anche un uomo pieno di segreti. Charlie Chaplin aveva troppa bellezza. I suoi film ne erano imbevuti. È per questo che Buster Keaton alla fine lo sta surclassando, e sarà così per sempre. Oh, sì, Keaton era molto più grande. Era migliore – più versatile, più originale, alla fine dei conti. Alcune delle cose che Keaton ha inventato e realizzato sono incredibili. (...) Chaplin mi fece vedere i giornalieri della scena originale di LUCI DELLA RIBALTA in cui c'era Buster Keaton, prima che la tagliasse. Non solo Keaton era più presente, ma surclassava Chaplin! Lo faceva sparire dallo schermo. Lo vedevi chi era il migliore. Senza dubbio. Chaplin l'ha tagliato perché era geloso. Non posso fargliene una colpa, perché era quasi imbarazzante. (...) Nulla di quello che ha fatto Chaplin vale IL GENERALE. Credo che IL GENERALE sia quasi il miglior film mai realizzato. Il film più poetico che io abbia visto." ~ Orson Welles
Con Mario Angelotti, Elena Varzi, Donato Donati, Irene Genna, Ettore Jannetti
consigliato da ORSON WELLES
(Da un articolo-intervista di Francis Koval per Sight and Sound del 1950): "Welles considera Renato Castellani uno dei più promettenti registi della nuova generazione, è entusiasta del suo È PRIMAVERA."
"John Ford è stato il mio maestro. Il mio stile non ha niente a che fare col suo, ma OMBRE ROSSE è stato il mio libro di testo. (...) Soltanto una volta ho subito l'influenza di qualcuno: prima di girare QUARTO POTERE, ho visto 40 volte OMBRE ROSSE. Non avevo bisogno di prendere esempio da qualcuno che avesse qualcosa da dire, ma da qualcuno che mi mostrasse come dire quello che avevo da dire: per questo John Ford è perfetto. (...) Avevo imparato a fare film guardando OMBRE ROSSE tutte le sere per un mese. Perché se vedete OMBRE ROSSE, noterete che gli indiani attaccano da sinistra verso destra, e poi attaccano da destra verso sinistra, e così via. In altre parole, non si segue una direzione precisa, il film infrange ogni regola in proposito. E io lo vidi almeno 45 volte. Così ovviamente quando mi dissero che in un'inquadratura di controcampo dovevo guardare la macchina da presa verso sinistra invece che verso destra io risposi: «No», perché mi trovavo in piedi di fronte... cose del genere. Così fermammo la lavorazione. E alle due del pomeriggio tornai a casa mia, dove Gregg Toland (direttore della fotografia di QUARTO POTERE - ndt) mi spiegò come funziona la cosa. Io gli dissi: «Dio, quante sono le cose che non so...», e lui rispose: «Niente che non possa insegnarti in tre ore." ~ Orson Welles
"Stanley Kubrick e Richard Lester sono gli unici due (registi americani) che mi attraggono, a parte i vecchi maestri. Intendo dire John Ford, John Ford e John Ford. Non considero Alfred Hitchcock un regista americano, nonostante abbia lavorato a Hollywood per tutti questi anni. Mi sembra tremendamente inglese nella migliore tradizione di Edgar Wallace, e nulla più. C'è sempre qualcosa di aneddotico nel suo lavoro, i suoi artifici restano artifici, non importa quanto meravigliosamente siano concepiti e messi in opera. Onestamente credo che Hitchcock sia una regista i cui film non desteranno alcun interesse fra cent'anni. Nel miglior Ford, il film vive e respira in un mondo vero, anche se potrebbe essere stato scritto da Mamma Machree (dolce vecchietta protagonista di una celebre ballata irlandese - ndt). Quello di Hitchcock invece è un mondo di spettri. ( ..) Io e John Ford eravamo molto amici, ed ha sempre voluto fare un film con me. Era un meschino figlio di puttana irlandese. Ma lo amavo comunque. (...) Ford non era mai ubriaco quando lavorava. Non un goccio. Solo l'ultimo giorno di riprese. Ed era solito rimane ubriaco per settimane. Seriamente ubriaco. Ma per lui bere era divertente. In altre parole, non era un alcolizzato. Usciva con gli altri. Sai come sono gli irlandesi, si ubriacano fanno a botte..." ~ Orson Welles
Con Raimu, Ginette Leclerc, Fernand Charpin, Robert Vattier, Charles Blavette
consigliato da ORSON WELLES
"Voi (giornalisti di cinema) date sempre troppa enfasi al valore delle immagini. Giudicate i film prima di tutto per il loro impatto visivo invece di cercarne il contenuto. Questo è un cattivo servizio che rendete al cinema. È come giudicare un romanzo solo dalla qualità della prosa. Anch'io ho commesso lo stesso peccato, quando ho cominciato a scrivere per il cinema. È stata l'esperienza di cineasta a cambiare il mio atteggiamento. Ora invece sono convinto che solo una mentalità letteraria può aiutare il cinema a uscire dal vicolo cieco in cui lo hanno condotto gli amanti della tecnica e gli esperti di trucchi. È per questo che credo che oggi l'importanza data al regista nel processo di realizzazione del film sia esagerata, mentre lo scrittore quasi mai riesce a vedersi riconosciuto il posto d'onore che gli spetta. Per me gente come Marcel Pagnol o Jacques Prevert significa più di chiunque altro nel cinema francese. La mia opinione è che lo scrittore debba avere la prima e l'ultima parola su come fare un film, e che l'unica alternativa migliore sia uno scrittore-regista, ma con l'accento posto sul primo dei due termini. (...) Prendi un film che è diventato, a buon diritto, un classico: LA MOGLIE DEL FORNAIO. Che cosa abbiamo in quel film? Una brutta fotografia, un montaggio non calibrato e una serie di eventi che vengono raccontati piuttosto che mostrati. Però abbiamo una storia e un attore – entrambi superbi – che lo rendono un film perfetto. E la storia non è neanche particolarmente «cinematografica». Credo che avrei potuto adattarlo per il palcoscenico in una sola serata, se avessi voluto. Questo esempio illustra forse meglio di qualunque altro cosa intendo quando parlo dell'importanza primaria della storia in un film. Certo non mi riferisco semplicemente al valore aneddotico che si può sintetizzare in un breve riassunto del tipo: «Lei lavora come una schiava per ripagare la collana di perle, ma poi si scopre che la collana era falsa...» Per la verità è più una combinazione di fattori umani e idee di base ciò che rende un soggetto adatto a essere portato sullo schermo." ~ Orson Welles (1950)
"Pagnol non è cinema, ma è qualcos'altro che va ugualmente bene." ~ Orson Welles (1963)
"A quell'epoca, a parte John Ford, ammiravo Eisenstein – ma non gli altri russi –, Griffiths, Chaplin, Clair e Pagnol: più di ogni altra cosa LA MOGLIE DEL FORNAIO. Oggigiorno ammiro il cinema giapponese, Mizoguchi e Kurosawa, I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO e VIVERE." ~ Orson Welles
"Credo che i film francesi siano troppo francesi. Può darsi che (voi francesi) oggi non abbiate registi come Pagnol, Renoir, Duvivier o Carné i cui film vengano proiettati ovunque. E si dà il caso che anche gli Stati Uniti stiano cominciando a ridiventare molto provinciali. Data la situazione, non vado molto spesso al cinema. Comunque, non amo molto parlare dei registi. Ma farò un'eccezione per dirvi che ammiro Scorsese, Bertolucci e Warren Beatty: il suo REDS ha molto carattere." ~ Orson Welles (1982)
Con Franco Interlenghi, Rinaldo Smordoni, Aniello Mele, Emilio Cigoli
consigliato da ORSON WELLES
"Non vi piacerà quello che sto per dire, dato che le persone che ammiro non sono affatto stimate dagli intellettuali del cinema; il dramma è tutto qui. Il cineasta che preferisco è De Sica: so che vi fa star male. E John Ford. Ma il Ford di vent'anni fa, il De Sica di 12 anni fa. Ah! SCIUSCIÀ è il miglior film che abbia visto. (...) Nei miei film ho subito molto di più l'influenza del teatro che del cinema perché, all'epoca in cui potevo facilmente lasciarmi influenzare, vedevo opere teatrali e non film. In realtà non sono molti i cineasti che mi hanno colpito, o meglio ce ne sono pochi e isolati, che non godono di molta stima da parte degli intellettuali. De Sica, per esempio. Dovreste vergognarvi di non amare De Sica: bisognerebbe poterne riparlare tra duecento anni." ~ Orson Welles (intervista per i Cahiers du Cinéma, 1958)
"Nel maneggiare la cinepresa sento che nessuno è al mio livello. Ma quello che fa De Sica io non lo so fare. Ho visto SCIUSCIÀ di recente e la cinepresa è scomparsa, lo schermo è sparito; c'era solo la vita..." ~ Orson Welles
Con Karen Morley, Tom Keene, Barbara Pepper, Addison Richards
consigliato da ORSON WELLES
LISTA COMPLETA di WELLES
- La moglie del fornaio (Pagnol)
- La corazzata Potemkin (Eisenstein)
- I migliori anni della nostra vita (Wyler)
- Ladri di biciclette (De Sica)
- Luci della città (Chaplin)
- La grande illusione (Renoir)
- Rapacità (von Stroheim)
- Intolerance (Griffith)
- Nanuk l'eschimese (Flaherty)
- Nostro pane quotidiano (K. Vidor)
- Ninotchka (Lubitsch)
- Sciuscià (De Sica)
- Ombre rosse (Ford)
- È primavera (Castellani)
- I racconti della luna pallida d'agosto (Mizoguchi)
- Vivere (Kurosawa)
- Reds (Beatty)
- Il Generale – Come vinsi la guerra (Keaton)
Fonti: Cinematheque Belgique (1952); openculture.com; "Orson Welles" edizioni Il Castoro Cinema; Orson Welles - It's All True, interviste sull'arte del cinema - edizione Minimum Fax; johnbucksblog.blogspot.it; "My lunches with Orson" by Henry Jaglom;
Su Bergman: "Non condivido né i suoi interessi né le sue ossessioni. Mi è molto più estraneo di un giapponese." + "La cultura mediterranea è più generosa (di quella americana), sente meno il complesso della colpa. In una società in cui non esistano una naturale allegria ed una serena tranquillità di fronte alla morte, io non mi sento a mio agio. Capisco che il mondo degli artisti nordico e protestante ami Bergman: è proprio dove non vivo. La Svezia che mi piace è quella che ride. (...) La Svezia di Bergman mi fa sempre venire in mente qualcosa che Henry James dice della Norvegia di Ibsen, che era piena di «odore di paraffina spirituale». Come sono d'accordo!" ~ Orson Welles (1967)
Su Eisenstein: "Non ho mai visto un film di Eisenstein. Sì, uno solo. Ma ho avuto un enorme corrispondenza con lui. Sapete perché? Perché avevo attaccato violentemente IVAN IL TERRIBILE in un giornale americano. E in Russia, un giorno, lui sentì parlare di questo articolo, e mi mandò una lunghissima lettera. Gli risposi. E lui anche. E io anche, ecc. Per anni ci siamo scambiati lettere sull'estetica del cinema." + "Sono d'accordo sul fatto che il cinema è più musicale del teatro – e più letterario. È più narrativa che dramma. Un vero film è narrativo – è una storia. Per Sergei Eisenstein, d'altra parte, il montaggio è l'essenza del cinema. Ma lui è il più sopravvalutato tra tutti i grandi, grandi registi." ~ Orson Welles
Su Fellini: "Fellini è il più dotato fra coloro che fanno cinema oggi. Il suo limite, che è anche la fonte del suo fascino, è di essere fondamentalmente provinciale. I suoi film sono quelli di un ragazzo di paese che sogna la grande città. La sua sofisticazione funziona perché è la creazione di uno che non è sofisticato. Ma mostra pericolosi segni di essere un artista superlativo con poco da dire." ~ Orson Welles
Su Kubrick e i nuovi registi: "I giovani registi americani sono odiosi. Niente da dire. Li disprezzo. (...) Non ho visto niente di Aldrich. Di Nicholas Ray sì: non mi interessa. Sono uscito dalla sala dopo quattro bobine di GIOVENTÙ BRUCIATA; mi arrabbio appena penso a quel film... (...) Ah, la famosa teoria francese secondo la quale io sono stato influenzato dai tedeschi. In vita mia non ho mai visto un film tedesco. Si è sempre sostenuto che io abbia visto I NIBELUNGHI di...ho dimenticato il nome. Tutti hanno detto che mi ci ero ispirato per MACBETH: è falso, non ho mai visto questo film. In compenso, il teatro tedesco ha avuto su di me una grande, grandissima influenza. Tra i giovani registi americani non vedo altri che Kubrick: RAPINA A MANO ARMATA non era male, ma ORIZZONTI DI GLORIA è disgustoso. Anche qui me ne sono andato dopo la seconda bobina." ~ Orson Welles (Cahiers du Cinéma,1958) + "Ho visto FURIA SELVAGGIA prima in televisione che al cinema. Era meglio in televisione, più brutale, e al di là di questo credo che a quei tempi Penn avesse più esperienza come regista televisivo e quindi se la cavasse meglio, mentre al cinema questa esperienza gli si è rivoltata contro. Credo che sia un buon regista teatrale, ed è ammirevole nel dirigere le attrici – cosa davvero rara. Pochissimi cineasti possiedono questa virtù. Non ho visto niente della generazione più recente, a parte qualche esempio d'avanguardia. Tra quelli che potrei definire la «giovane generazione», Kubrick mi appare un gigante. (...) Sì, RAPINA A MANO ARMATA è più o meno una copia di GIUNGLA D'ASFALTO, ma RAPINA A MANO ARMATA è meglio. Il problema dell'imitazione mi lascia indifferente, soprattutto se l'imitatore riesce a superare il modello. Per me, Kubrick è un regista migliore di Huston. Non ho visto LOLITA, ma credo che Kubrick sia in grado di fare qualsiasi cosa. È un grande regista che non ha ancora fatto dei grandi film. Quel che vedo in lui è un talento che i registi della generazione precedente alla sua non possedevano, intendo dire Ray, Aldrich, e così via. Forse lo dico perché il suo temperamento si avvicina molto al mio." ~ Orson Welles
Su Rossellini: "Di Rossellini ho visto tutti i film: è un dilettante. I film di Rossellini provano semplicemente che gli italiani sono degli attori nati e che in Italia basta prendere una macchina da presa e metterci delle persone davanti per far credere che si è registi."
~ Orson Welles (1958)
Su Lubitsch: "Sono sorpreso da come i critici seri tendono a cercare elementi di valore solo tra i registi americani di film d'azione, mentre non ne trovano affatto nei registi americani di film storici. Lubitsch, per esempio, è un gigante. Ma non corrisponde al gusto degli esteti del cinema. Perché? Non ne ho idea. D'altra parte, non mi interessa. Ma il talento e l'originalità di Lubitsch sono stupefacenti." ~ Orson Welles (1964)
Su D.W.Griffith: "Due uomini hanno fatto il cinema: Méliès e Griffith. Poi venne il grande Chaplin. Più indietro Mack Sennett." + "Ho incontrato D.W. Griffith una volta e non è stato un incontro felice. Un cocktail party in un pomeriggio piovoso alla fine degli anni '30. L'età dell'oro di Hollywood. Ma per il migliore dei registi era stato un decennio triste e vuoto. Il cinema che lui aveva virtualmente inventato era diventato un prodotto – il prodotto esclusivo – della quarta più grande industria americana, e nelle catene di montaggio delle mastodontiche fabbriche dei film non c'era posto per Griffith. Era in esilio nella sua città, un profeta senza onore, un artigiano senza attrezzi, un artista senza lavoro. Non c'era da meravigliarsi che mi odiasse. Io, che non sapevo niente sui film, avevo appena ottenuto la più grande libertà mai scritta su un contratto a Hollywood. Era il contratto che meritava lui. Potevo vedere che non era assolutamente troppo vecchio, e non potevo fargli una colpa di pensare che io fossi troppo giovane. Stavamo in piedi sotto uno di quegli alberi di Natale rosa che usano laggiù, bevevamo i nostri drink e ci fissavamo l'un l'altro attraverso un abisso di disperazione. Io lo amavo e lo veneravo, ma lui non aveva bisogno di un discepolo. Aveva bisogno di un lavoro. Non ho mai veramente odiato Hollywood se non per come ha trattato D.W. Griffith." ~ Orson Welles
Su Hitchcock e Wyler: "C'è un certo calcolo glaciale in un mucchio di lavori di Hitchcock che mi scoraggia. Lui dice che non gli piacciono gli attori, ma a volte sembra che non gli piaccia la gente." + "Hitchcock è un regista straordinario, William Wyler un produttore brillante. Un produttore non fabbrica nulla di concreto. Sceglie la storia, ci lavora con lo sceneggiatore, ha voce in capitolo nella distribuzione e, nel vecchio senso del termine americano «produttore», decide perfino quali saranno le angolazioni di ripresa, o quali sequenze dovranno essere utilizzate. Perdipiù stabilisce la forma finale del film. In realtà, è una specie di capo del regista. Wyler è questo tipo di persona. Solo che lui è il capo di se stesso. Comunque lavora meglio come capo che come regista, perché nel lavoro del regista passa i momenti più lucidi aspettando, insieme alla macchina da presa, che accada qualcosa. Non dice nulla. Aspetta, come un produttore aspetta nel suo ufficio. Guarda una ventina di riprese impeccabili, alla ricerca di una che abbia qualcosa in più, e in genere sa come riconoscere la migliore. Come regista è bravo, ma come produttore è straordinario." ~ Orson Welles (1964)
Su Renoir: "Un paragone tra il filmmaker e suo padre non è così facile. E nemmeno è necessario. Jean Renoir si regge sulle proprie gambe: il più grande tra i registi europei: molto probabilmente il più grande di tutti i registi – una gigantesca silhouette che si staglia all'orizzonte del nostro secolo al tramonto." + "Io ammiro moltissimo il lavoro di Renoir, anche se a lui non piace affatto il mio. Siamo buoni amici e, in tutta sincerità, una cosa che mi rincresce è che lui non ami i suoi film per la stessa ragione per cui li amo io. I suoi film mi sembrano meravigliosi perché quel che ammiro di più in un «auteur» è una sensibilità autentica. Non do nessuna importanza al fatto che un film sia o no un successo tecnico: per di più, un film che non possiede il tipo di sensibilità di cui parlo non può essere giudicato allo stesso livello per l'accortezza tecnica o estetica. Ma il cinema, il vero cinema, è un'espressione poetica, e Renoir è uno dei rari poeti. Come Ford, nel suo stesso stile. Ford è un poeta. Un commediografo. Non per donne, naturalmente, ma per uomini." + "LA GRANDE ILLUSIONE è probabilmente uno dei tre o quattro migliori film di sempre. Ogni volta che vedo LA GRANDE ILLUSIONE scoppio in lacrime. Quando si alzano in piedi a cantare «La Marsigliese». E Fresnay è davvero meraviglioso – tutte le performance sono divine." ~ Orson Welles
Su Jean-Luc Godard: "Lui è l'influenza definitiva, se non il primo artista del cinema di questo ultimo decennio, e le sue doti come regista sono enormi. Solo non riesco a prenderlo molto seriamente come pensatore – ed è lì che siamo differenti. Il suo messaggio è ciò che gli iteressa in questi giorni e, come molti messaggi cinematografici, potrebbe stare sulla capocchia di uno spillo. Ma quello che ha di ammirevole è il suo meraviglioso disprezzo per la macchina filmica e anche per i film stessi – una specie di disprezzo anarchico e nichilista per il medium – che, quando lo coglie al meglio e in pieno vigore, è molto eccitante." ~ Orson Welles
Su Erich von Stroheim: "Thalberg ha distrutto Erich von Stroheim, come uomo e come artista. Lo ha letteralmente distrutto. E von Stroheim in quel momento era manifestamente il più dotato regista di Hollywood. Von Stroheim era il più grande argomento contro i produttori. Era evidentemente un tale genio, ed evidentemente doveva essere lasciato in pace – non importa quale pazzia abbia fatto. Hanno dovuto farne un mostro. Mentre giravo una scena de L'INFERNALE QUINLAN nei veri archivi della Universal, ho sbirciato dei fascicoli alla voce «Von Stroheim». Il budget dei suoi film non erano così alti. L'idea che lui fosse troppo stravagante è un'assurdità. Ha fatto qualche pazzia, ma mai nulla in confronto a quelle dei giovani registi di oggi coi loro film da 50 milioni di dollari." ~ Orson Welles
Su Woody Allen: "Odio fisicamente Woody Allen, non mi piace quel genere di uomo. L'ho incontrato. Ma sopporto a malapena di parlargli. Lui ha la malattia di Chaplin. Quella particolare combinazione di arroganza e timidezza mi fa saltare i nervi. È arrogante. Come tutte le persone dalla personalità timida, la sua arroganza è senza limiti. Chiunque parli pacatamente e si afflosci in compagnia è incredibilmente arrogante. Lui si comporta da timido, ma non lo è. È spaventato. Odia se stesso, ed ama se stesso, è una situazione molto tesa. Sono quelli come me che devono andare avanti e far finta di essere modesti. Per me è la cosa più imbarazzante al mondo – un uomo che si presenta nel peggiore dei modi per ottenere delle risate, al fine di liberarsi dalle sue nevrosi. Tutto quello che fa sullo schermo è terapeutico." ~ Orson Welles
Su Harold Loyd: "L'unico che scriveva le sue gag era Harold Loyd, che è stato il migliore inventore di scene comiche nella storia del cinema. Se guardate i suoi film, le gag sono le più inventive – le più originali, le più visive – tra tutti i comici del muto. Non stiamo parlando del genio di Chaplin, non stiamo parlando della sua arte, o se Loyd sia meglio di Chaplin. Stiamo parlando delle gag. Le battute. Bisogna separare le battute dalla bellezza e da tutto il resto." ~ Orson Welles
Su Laurence Olivier: "La maggior parte dei grandi attori non sono molto svegli. Laurence Olivier è molto – e intendo, seriamente – stupido. Sono convinto che l'intelligenza sia un handicap in un attore. Perché significa che non sei naturalmente emotivo, ma piuttosto cerebrale. Il tipo cerebrale può essere un grande attore, ma è più difficile. Tra i «performer» gli attori e i musicisti sono più o meno ugualmente intelligenti. (...) Larry (Olivier) voleva essere bellissimo. Una volta l'ho sorpreso nel suo camerino, dopo una performance, che si fissava nello specchio con un tale amore, un tale ardore... Mi ha visto sopra la sua spalla, imbarazzato d'essere stato colto in un momento così intimo. Però senza indugio e senza distogliere gli occhi da se stesso, mi ha detto che quando si guardava allo specchio era così innamorato della sua immagine che era terribilmente difficile per lui resistere dal farsi un «servizietto». Quello era il suo grande rimpianto, non potersi fare un p*****o!" ~ Orson Welles
"Io cerco sempre la sintesi. È un lavoro che mi affascina perché devo essere sincero riguardo a me stesso, e io sono un puro sperimentatore. L'unico valore che ho ai miei occhi è che non detto leggi, ma sono uno sperimentatore. Sperimentare è l'unica cosa che mi entusiasma. Non mi interessa il lavoro artistico, capite, la posterità, la fama, ma solo il piacere della sperimentazione in se stessa. È l'unico ambito in cui posso sentire di essere onesto e sincero. Io non mi consacro a quel che faccio. Davvero, non ha alcun valore ai miei occhi. Sono profondamente cinico riguardo al mio lavoro e alla maggior parte delle opere che vedo nel mondo. Ma non sono cinico riguardo al lavoro sui materiali. È una cosa difficile da spiegare. Noi sperimentatori di professione abbiamo ereditato un'antica tradizione. Alcuni di noi sono stati tra i maggiori artisti, ma le nostre muse non sono mai diventate le nostre amanti. Per esempio, Leonardo si considerava uno scienziato che dipingeva piuttosto che un pittore che faceva lo scienziato. Non voglio certo paragonarmi a Leonardo, sto solo cercando di spiegare che c'è una lunga linea ininterrotta di persone che giudicano il proprio lavoro secondo una diversa gerarchia di valori, che sono quasi valori morali. Quindi non cado in estasi quando sono di fronte a un'opera d'arte. Sono in estasi quando mi trovo di fronte alla funzione umana, che è sottesa a tutto ciò che facciamo con le nostre mani, con i nostri sensi, eccetera. Il nostro lavoro, una volta finito, non ha l'importanza che la gran parte degli esteti gli attribuisce. È l'atto che mi interessa, non il risultato, e io vengo preso dal risultato solo quando questo sa del sudore dell'uomo, o di pensiero espresso." ~ Orson Welles (1958)
"Sono ghiotto di libri: storia, biografie, filosofia, antropologia. Leggo per imparare e divertirmi, non per secondi fini o alla ricerca di materiale cinematografico. Ho amici che leggono quanto me i libri nuovi, ma non ne conosco nessuno che non si stanchi come me di rileggere le vecchie simpatie. Fra quelle cui torno più sovente ci sono Cervantes, Fielding, Gibbon, Gogol, Hazlitt, Conrad, Chateaubriand, Platone, Colette, Dickens, Plutarco, Mark Twain and Evelyn Waugh. Mi tengo Montaigne sul tavolino da notte, non come una Bibbia, per ispirarmi, ma per il solo piacere della sua compagnia. Per lo stesso motivo viaggio di rado senza un libro di Karen Blixen. Shakespeare naturalmente è il pane quotidiano, ma sono anche un gran lettore di cose più leggere. Woodehouse, per esempio, mi conforta sempre e mi delizia. I gialli invece di leggo di rado. Ma ho letto più di una volta Raymond Chandler, e ritorno sovente a Simenon. E riscrivo quanto rileggo. Ogni libro passa di stesura in stesura, sin quando lo butto via." ~ Orson Welles
"Non c'è al mondo niente di più affascinante di una canaglia che ammette di essere una canaglia. Mi piace sempre che un uomo confessi di essere un mascalzone, un omicida, o tutto quello che si vuole, e mi dica: ho ucciso tre persone. Diventa immediatamente mio fratello, perché è onesto. Penso che la franchezza non discolpi dal delitto, ma lo rende seducente, gli conferisce del fascino. Non è per niente una questione di moralità, è una questione di fascino. (...) L'uomo che dichiara di fronte a tutti: «Sono quello che sono, prendere o lasciare», quest'uomo ha una dignità tragica. È questione di dignità, dimensione, fascino, levatura, cose che tuttavia non lo giustificano. (...) E non è per puritanesimo che io sono contrario al delitto. Sono contro la polizia, non dimenticatelo. A modo mio sono molto vicino a una posizione anarchica o aristocratica. Qualunque sia il giudizio che date sulla mia morale dovreste cercare di scoprirne l'aspetto fondamentalmente anarchico o aristocratico." ~ Orson Welles (Cahiers du Cinéma, 1958)
Con Roland Bykov, Iosif Ryklin, Viktor Mikhajlov, Nora Gryakalova, Aleksandr Sabinin
consigliato da WIM WENDERS
"QUELL'ULTIMO GIORNO (noto anche come LETTERE DI UN UOMO MORTO) è il primo film del regista Russo Konstantin Lopushanskij. Il film è in circolazione in Unione Sovietica dal settembre dello scorso anno con grande successo e rappresenta un ulteriore segnale del nuovo corso del cinema sovietico. QUELL'ULTIMO GIORNO è un gran film visionario. Nelle vaste cantine di un museo un tempo rinomato ha trovato rifugio un gruppo di superstiti, scienziati, storici. Tra questi «il Professore», un premio Nobel, assieme alla moglie morente. C'è molta disperazione, cinismo, scoraggiamento, finanche follia. La maggior parte di questi uomini non nutre più speranze in una sopravvivenza del genere umano. Solo il Professore difende con convinzione l'idea che non sarà quella la fine. La forza che lo anima viene dalle lettere che sta scrivendo al figlio Erik disperso (e sicuramente già morto da tempo). Sono le lettere di un morto vivente a un vivente che è morto. Nel corso delle sue uscite in superficie, in quella che prima era una città, e che ora è un paesaggio lunare devastato, bruciato e a quanto sembra gelato in eterno, il Professore incontro una donna che protegge un gruppo di bambini. Ai piccoli orfani col terrore negli occhi viene impedito l'accesso nel «rifugio centrale». In quel bunker difatti deve essere fondata una nuova civiltà sotterranea, composta esclusivamente da individui sani e in grado di sopravvivere; si è già programmata l'evacuazione, dopo che saranno trascorsi cinquanta anni. E già si progettano esperimenti sulla capacità di adattamento degli uomini... (...) Il film ci parla con la forza dei dialoghi, tenta di definire il senso, di prospettarsi l'intuizione di un evento così terribile come la fine dell'umanità. Non siamo nuovi all'idea che il nostro pianeta stia diventando inabitabile, questo è l'incubo collettivo della seconda metà del nostro secolo. Lopushanskij però ci dice che è nostro dovere guardare in faccia quest'incubo, per amore dei bambini di oggi che, in una loro maniera intuitiva, vivono e afferrano questa minaccia terrificante. QUELL'ULTIMO GIORNO parla di questo orrore inconcepibile, della sparizione dell'umanità a causa di una guerra atomica, ma ne parla non tanto scaricandoci addosso questa realtà, sfruttando le nostre paure collettive e le immagini del terrore. Bensì ce le mostra con misura, come per avvisarci: «Ecco, questo è il mio incubo. L'ho sognato, mi ha messo addosso il terrore. Lo voglio condividere con voi, mostrarvelo.» Il film procede proprio così: ci mostra le sue paure, e ce le mostra addirittura con dolcezza. Non si prefigge di terrorizzarci, di incutere orrore, bensì vuole parlare della paura, condividerla, comunicarla, liberarsi l'anima. È ben raro, e anche arduo, fare cinema in questo modo: parlare dell'orrore evitando di finire preda della tecnica dell'orrore, cioè del linguaggio dell'horror. Questo film non ci trasforma in vittime, non ci fa «vivere» la fine dell'umanità: piuttosto ci permette di immaginarla! Alla sceneggiatura ha collaborato Boris Strugackij, uno dei due fratelli Strugackij che ci hanno dato il romanzo «Stalker». Il romanzo è veramente ancor più bello del già meraviglioso film girato da Tarkovskij. QUELL'ULTIMO GIORNO continua sulla scia di quella tradizione. Non per nulla Lopushanskij è stato allievo di Tarkovskij alla Scuola di Cinema, e ha fatto pratica proprio collaborando a STALKER. QUELL'ULTIMO GIORNO tradisce il maestro e la sua estetica. E ciò me lo fa piacere ancora di più: perché non è affatto vietato imparare come si vorrebbe sostenere da più parti. Se si è imparato tanto come Lopushanskij, vieppiù da un così grande maestro, si può e si deve lavorare e disporre liberamente di ciò che si è imparato. Quasi tutti i film di fantascienza sono proiezioni nel futuro del nostro presente. QUELL'ULTIMO GIORNO proietta nel nostro presente un certo futuro. Queste lettere sono indirizzate a noi, ai vivi." ~ Wim Wenders (1987)
Con Jean-Pierre Cargol, Françoise Seigner, François Truffaut
consigliato da WIM WENDERS
"IL RAGAZZO SELVAGGIO, che Truffaut ha girato subito dopo LA MIA DROGA SI CHIAMA JULIE, l'ho visto in Francia due volte, un mese fa. Essendo sicuro di poterlo rivedere una terza volta prima dell'uscita in Germania, non avevo pensato a cosa scrivere sul film, anzi mi ero al contrario proibito ogni riflessione, l'avevo recepito come se fosse un sogno, un'esperienza profonda, e al vaglio di un'esposizione non avrebbe forse patito danni, ma avrebbe prodotto quel tipo di distacco a cui da principio non intendevo sottopormi. (...) Più che semplici dissolvenze in chiusura allo scopo di lasciar concludere un episodio prima che ne inizi un altro, le dissolvenze a iride fan sì che le immagini si chiudano in sé stesse, che si isolino dal resto diventando unità distinte che non preparano nè introducono alle immagini seguenti. Il ritmo del film ne risulta intermittente, una successione di frammenti di tempo spezzati. Ogni immagine sta inopinatamente per se stessa, ma ne risulta anche più limpida e più icastica, giacché non deve obbedire a nessuna tessitura drammaturgica, ma solo all'imperativo del singolo momento. IL RAGAZZO SELVAGGIO è una sequenza di momenti incredibilmente pacati, precisi e sommersi. La continua tensione del film risolve il movimento sincopato dei suoi intervalli dandogli una nuova dimensione della temporalità, quella della presenza. (...) Truffaut recita in maniera incredibilmente distaccata e grave, senza l'elasticità di un attore, però con una solennità e una concentrazione emotiva impareggiabili. (...) In questo film, le finestre e le porte hanno un ruolo di primo piano, quasi tutte le immagini alludono all'antagonismo tra la natura aperta e i locali chiusi. (...) Questo film in bianco e nero su un bambino muto somiglia al cinema muto di un tempo, e non soltanto nelle dissolvenze circolari. Le immagini, come quelle del cinema di un tempo, mantengono sempre una precisa distanza e, tranne pochi movimenti di macchina, risultano fisse. E sempre come nel cinema muto, questo film è ben lontano dall'essere sentimentale, sarà semmai, con una sua essenzialità, patetico." ~ Wim Wenders (1970)
Con Clark Gable, Jane Russell, Robert Ryan, Cameron Mitchell, Juan García, Harry Shannon
consigliato da WIM WENDERS
"Ci sono western tisici e western tranquilli. Nei primi, sin dall'inizio, ci si sente imbrogliati: la loro vivacità è quella delle serie televisive, i loro personaggi derivano dal teatro, i loro paesaggi non sono altro che quinte, i loro dialoghi sono fatti solo di battute e i loro registi, se fossero vissuti nel secolo scorso, avrebbero viaggiato in treno, piuttosto che andare a cavallo. Nei western tranquilli, tutto funziona: la storia, i dialoghi, i personaggi e i paesaggi. GLI IMPLACABILI di Raoul Walsh è un western molto tranquillo, addirittura lento. In questo film lentezza significa mostrare, con la maggior dovizia di particolari possibile, gli avvenimenti che devono essere descritti (...), significa servirsi del montaggio e della variazione dei piani non solo per evidenziare lo svolgersi della vicenda, ma anche per sottolinearne la durata (...), significa che anche i personaggi prendono tempo per le loro decisioni. Quando decidono qualcosa, le loro motivazioni sono chiare. Quando gli avvenimenti precipitano, anche il ritmo del film accelera (...), significa che nessun avvenimento è così poco importante da doverlo affrettare, abbreviare o addirittura eliminare, solo per far posto ad un altro più avvincente o più importante. Dato che tutte le immagini sono equivalenti, non esistono «tensioni» che producono alti e bassi, ma solo uno «sforzo» uniforme: rendere il più possibile chiari e comprensibili tutti gli avvenimenti fisici e psichici, nella loro giusta successione temporale. «La forma più pura del pensiero fisico, l'arte americana per eccellenza, il cinema americano». Ne GLI IMPLACABILI tale forma si esprime soprattutto in modo riflessivo, tranquillo e coscienzioso." ~ Wim Wenders (da "Filmkritik", 1969)
Con Carla Egerer, Magdalena Montezuma, Sigurd Salto, Gisela Trowe
consigliato da WIM WENDERS
"Quando si va a vedere FACCIAMO L'AMORE di George Cukor per godersi Marilyn Monroe, non appena lei appare c'è un inevitabile controcampo sull'insignificante Yves Montand. Anche quando Marilyn Monroe è sola sul palco e la si vede cantare, si è obbligati a godersi di tanto in tanto un Yves Montand che, estasiato, abbassa le palpebre, e che fa esattamente ciò che non si vorrebbe vedere se si va a vedere FACCIAMO L'AMORE per vedere Marilyn Monroe. I film di Werner Schroeter ci mostrano Carla Aulaulu o Magdalena Montezuma in maniera tale che non soltanto le si vede un poco, ma le si vede fino alla fine. E ciò non accade perché non esistono controcampi o perché le inquadrature durano a lungo, ma piuttosto perché tutte le immagini sono disposte sullo stesso piano della percezione visiva. (Ciò che si vuol vedere quando si va a vedere un film di Elvis Presley per vedere Elvis Presley, è esattamente la stessa cosa che si vuol vedere quando si va a vedere un film pornografico per vedere della pornografia o quando si andava a un concerto dei Rolling Stones per vedere i Rolling Stones). Qualcosa deve scorrere senza fine e senza interruzioni. Marilyn Monroe non deve mai smettere di cantare sola sul palcoscenico, Elvis Presley non deve smettere di stare su quella spiaggia hawaiana. La pornografia dev'essere pornografia in ogni istante. Ogni cosa deve essere concentrata. (...) I film di Werner Schroeter sono come ci si augura che siano i film con Marilyn Monroe. Come in realtà ci si augura che sia ogni cosa, soprattutto al cinema. Nei film di Werner Schroeter compaiono frasi che, dopo averle ascoltate per la prima volta, si vorrebbe ricordarle per sempre. Quando il film è finito, le si sono sentite così tante volte che è possibile ripeterle a memoria. (...) ARGILA è un film proiettato su due schermi. Lo schermo di sinistra mostra una copia muta, in bianco e nero, con un anticipo di circa mezzo minuto rispetto alla copia sonora e a colori dello stesso film che viene proiettata sullo schermo di destra. Così il film che si sta vedendo è già da subito un ricordo di se stesso, e quando è finito si è visto un film già visto ogni volta che si è avuta l'occasione di vederlo. (...) I film di Schroeter sono incredibilmente concentrati. Descriverli risulta impossibile. (...) Da 3 anni Schroeter fa i suoi film con gli stessi attori. E benché ogni nuova opera sia una ripetizione della precedente, c'è sempre un nuovo livello di concentrazione, come forse vale per i fratelli Lumière, o per Nekes o Dreyer." ~ Wim Wenders (1969)
"EASY RIDER è un film sull'America. EASY RIDER è un film fatto soprattutto di totali. EASY RIDER è un film politico. Anche in Germania: qui da noi è un film di fantascienza, ma forse neanche tanto. Se la Columbia se lo potesse permettere, al posto dell'opuscolo di presentazione dovrebbe vendere ai botteghini un catalogo con tutte le sentenze contro coloro che nella RFT sono stati incriminati o arrestati per questioni politiche o di hashish. (...) EASY RIDER è un film politico non soltanto perché mostra come Peter Fonda e Dennis Hopper all'inizio vendano cocaina, come vadano in galera per un nonnulla, come vengano liquidati tranquillamente, come Jack Nicholson venga picchiato a sangue da una guardia giurata, e come uno sceriffo possa comportarsi. È un film politico perché è un bel film, perché è bello il paese percorso dai due coraggiosi motociclisti; perché sono belle e serene le immagini che il film offre di questo paese; perché è bella la musica che accompagna il film; perché i movimenti di Peter Fonda sono belli; perché si può vedere Dennis Hopper che non si limita solo ad interpretare una parte ma che ci mette tutto se stesso per fare il film: tra Los Angeles e New Orleans. (...) Uscito dalla sala cinematografica mi sono reso conto che sembro uno dei personaggi del film, che mi piace la musica di Jimi Hendrix, che anch'io in molti locali non vengo servito, che per un nonnulla sono finito in galera. Ho pensato: una volta o l'altra la gente comincerà anche a sparare." ~ Wim Wenders (Filmkritik,1969)
"La musica americana viene sostituendo sempre più la produzione di senso che a mano a mano il cinema perde: dalla concentrazione di blues, rock e country scaturisce qualcosa che deve essere colto non solo a livello auditivo ma anche visivo, in immagini come spazio e tempo. (...) In EASY RIDER le immagini cinematografiche sono già superflue in quanto servono ad illustrare la musica e non viceversa. Sono relitti di una espressività che si è sviluppata nella musica molto di più che non nelle immagini logore e fredde che ricordano i film in grado di contenere e creare da sé la propria bellezza, nostalgia o pathos. In realtà «Born to be wild» degli Steppenwolf e «Wasn't born to follow» dei Byrds sono il cinema della ricerca dell'America, non le immagini di Peter Fonda." ~ Wim Wenders (Filmkritik, 1970)
"EASY RIDER è un'espressione del Sud che sta a indicare l'uomo di una puttana, non il magnaccia ma il ganzo che vive con una pollastra. Perché così se la spassa. Sì, è proprio ciò che è accaduto all'America: la libertà è diventata una puttana e noi tutti ce la spassiamo. (...) Bob Dylan, che aveva visto il film, non voleva dare la sua musica. Io non lascio alcuna speranza al pubblico alla fine del film, e Mr. Zimmerman mi fa: «Così non va, devi dargli una speranza!» Io gli faccio: «Ok, Bob, che suggerisci?» Lui risponde: «Beh, gira di nuovo la scena finale e fa' vedere Fonda che spinge la sua moto contro il camion e lo fa saltare in aria.» (...) Molti pensano: «Fonda, Dylan ha ragione. Non puoi dare alla gente sensazioni negative e disperate». Ma credo che non si debba dare alla gente neppure amore, non gli si deve dare nulla: debbono prenderselo, altrimenti non cambierà niente. La libertà non può essere un'informazione di seconda mano " ~ Peter Fonda (1969)
"Naturalmente si può imparare dagli altri e dalla storia del cinema in generale, io ho appreso molto dal cinema americano e tutti lo sanno, ma un giorno ho visto VIAGGIO A TOKYO e ho saputo da quel momento che esiste un cinema ideale, un cinema che tratta delle cose e della vita stessa. (...) La cosa più importante che ho imparato da VIAGGIO A TOKYO di Ozu e da tutti gli altri suoi film che ho visto è che nel cinema la più grande avventura è la vita stessa, non le grandi avventure. Poi ho imparato che in un film non ha senso raccontare ad ogni costo una storia. Ho imparato da Ozu che si può fare un film senza una storia. Bisogna credere nei personaggi per poter arrivare così a una storia fatta da loro. Non si deve provare a raccontare una storia e poi cercare i personaggi, bisogna cercare i personaggi con i quali si racconta la storia. (...) Per me Ozu è il regista che ha saputo elevare il cinema, la forma d’arte del ventesimo secolo, alla sua massima bellezza, una bellezza che non può essere imitata né riprodotta. (...) Se nel nostro secolo ci fossero ancora delle cose sacre, se esistesse qualcosa come il sacro tesoro del cinema, per me questo sarebbe l’opera del regista giapponese Yasujirō Ozu. (...) Per quel che riguarda il narrare una storia, il linguaggio del cinema americano è tuttora valido. Ma l'importanza di Ozu per me – dopo PRIMA DEL CALCIO DI RIGORE, penso – sta nel constatare come qualcuno, il cui cinema si era completamente sviluppato da quello americano, avesse nondimeno saputo trasformarlo in una visione completamente personale. Così posso ben dire che è stato Ozu ad aiutarmi, a mostrarmi che era possibile aver subito colonizzazione, imperialismo, tanto da averne accettato totalmente il linguaggio. Intendo dire che per me non c'è altro linguaggio filmico di quello...non sono nemmeno tanto sicuro che si possa chiamarlo americano, ma se non altro è stato inventato in America. Ricordo ancora che, mentre giravo PRIMA DEL CALCIO DI RIGORE, rifiutavo nel modo più assoluto qualsiasi idea di spiegazione psicologica di alcunché. In tal senso, già si trattava di una rottura col cinema americano. Del resto, è stato proprio questo uno dei conflitti ad ogni inquadratura: se spiegare o no qualcosa. Ed ecco perché ho ammirato tanto Ozu quando, dopo PRIMA DEL CALCIO DI RIGORE, ho visto per la prima volta i suoi film. Ho capito che, in un certo senso, avevo visto giusto: giusto nel rifiutare di spiegare le cose, e che è possibile spiegarle più che bene solo mostrandole. (...) È appunto per questo che Ozu è il solo regista da cui ho imparato. Il suo modo di raccontare una storia era, nel senso più assoluto, in funzione della rappresentazione. Era questa la mia idea del cinema, e improvvisamente ho scoperto di avere una tradizione alle spalle. (...) Forse un altro buon motivo per amare Ozu è che è molto lontano dal pensiero cattolico." ~ Wim Wenders
"Sono un grande appassionato di Kaspar Friedrich, come pure di Turner. Sono stato a Londra apposta per vedere alcuni suoi quadri. Ma per un cineasta non esiste altri che Vermeer. È il solo a darti l'idea che i suoi quadri potrebbero cominciare a muoversi. Sarebbe il supremo operatore, il supremo operatore in assoluto. Le sole immagini filmiche che posso immaginarmi al livello dei quadri di Vermeer sono quelle di Ozu. Una donna in piedi in una stanza..." ~ Wim Wenders (1976)
"IL TEMERARIO (THE LUSTY MEN) è un film in bianco e nero che Nicholas Ray girò nel 1951 col titolo «Cowpoke» per il produttore Howard Hughes, con Susan Hayward, Robert Mitchum e Arthur Kennedy nei ruoli principali. Il film fu congelato per un anno, poi venne ribattezzato «This man is mine» e infine uscì nel 1952 col suo titolo definitivo (indubbiamente il migliore). In Germania venne distribuito nel 1953 col titolo «Arena der cowboys» (l'arena dei cowboys). (...) «Lusty» è una parola sovrabbondante di significati. Credo che sia giusto lasciare intuire in «THE LUSTY MEN» ciò che corrisponde a bramoso, avido, persino «lussurioso». Il titolo americano contiene in effetti una bella ironia, se non addirittura un'intenzione critica. Tra «lusty» e «men» si apre una frattura che sembra insormontabile. «Arena der cowboys», il titolo tedesco, è dunque riconducibile a una scelta di rimozione, in un'epoca in cui gli uomini non dovevano certo essere considerati in maniera ironica. Su «men» ci sarebbe molto da dire, tanto più che il cinema americano non ha praticamente quasi parlato d'altro. E Nicholas Ray, più di ogni altro regista americano, ha messo in discussione gli uomini opponendo loro un paio di figure femminili che non si definiscono semplicemente passando per l'immagine maschile, ma che trovano in sé stesse la loro identità, fondandola nel loro essere. Il più maschile tra i mestieri americani rimanda nella sua stessa designazione al bambino che è in ogni uomo: la traduzione letterale di «cowboy», ragazzo delle vacche, non riuscirebbe mai e poi mai a tracciare quel mitico archetipo di libertà, di grandi spazi e di movimento che il termine esprime in americano. I «lusty men» sono tutti effettivamente dei «boys», e appena uno di loro, Mitchum, si comporterà da uomo, morirà. In «THE LUSTY MEN» sono esclusivamente le donne ad essere adulte, e non soltanto nel ruolo della protagonista (la Hayword), ma anche nelle figure secondarie. Quasi sempre sono le mogli a vegliare sui mariti, e nel caso di un uomo non sposato, l'eccentrico Booker Davis (Arthur Hunnicut), ci penserà la sorella. Gli uomini sono tutti bambini non cresciuti: attaccabrighe, spacconi, smargiassi, irascibili e sognatori. Se non fossero così, il loro mestiere non potrebbe nemmeno esistere, come neppure quello sport che ne hanno inventato: il rodeo. (...) Ciò che risalta in questo film è soprattutto l'amore di Ray per gli attori, il suo grande affetto nel trattare con loro, e la conseguente capacità di afferrare, o magari intuire, in quali momenti e in quali modi il ruolo da interpretare va a collimare con l'identità e il carattere dell'attore stesso. Non pochi passaggi di «THE LUSTY MEN» (un paio di sguardi sperduti e di sopracciglia arcuate da parte di Mitchum, qualche sghignazzata del bamboccione Kennedy o le battute impertinenti della Hayword) testimoniano di come Ray sia riuscito a mettere a proprio agio, a dare sicurezza ai suoi attori. Da ciò nascono momenti di naturalezza pacata, ma anche sfrenata, che possono essere annoverati tra le migliori prestazioni in assoluto nella carriera dei suoi attori. Credo che in «THE LUSTY MEN» la cosa valga per i tre protagonisti Mitchum, Hayward e Kennedy, come vale anche per James Dean e Natalie Wood in GIOVENTÙ BRUCIATA, per James Mason in DIETRO LO SPECCHIO, per Richard Burton in VITTORIA AMARA, per Anthony Quinn in OMBRE BIANCHE, per Bogart ne IL DIRITTO DI UCCIDERE, per Cyd Charisse e Robert Taylor ne IL DOMINATORE DI CHICAGO o per Joan Crawford e sicuramente Sterling Hayden in JOHNNY GUITAR. (...) Una volta ho rubato una scena da «THE LUSTY MEN» per un mio film: quando Bruno di NEL CORSO DEL TEMPO torna alla sua casa natale e in un sottoscala trova un barattolo pieno di vecchi comics, la scena è copiata da quella all'inizio di «THE LUSTY MEN» in cui Mitchum torna a casa sua, si intrufola dentro ed estrae poi un polveroso barattolo nel quale aveva conservato un paio di monete, un revolver arrugginito e il programma di un rodeo. È la mia scena preferita, e non soltanto di questo film. Con un paio di inquadrature, e in una manciata di minuti, Nicholas Ray racconta tutto ciò che il cinema è in grado di narrare. TUTTO quello che può e COME lo può raccontare. Rivedendo quella scena del ritorno a casa mi torna subito a piacere il ritmo della storia: senza costrizioni, senza ansie, ogni immagine assume la sembianza di un segno runico che man mano si riesce a decifrare. (...) La celebre frase di Godard secondo cui Nicholas Ray, se il cinema non fosse già esistito, l'avrebbe inventato lui, è forse inesatta nel condizionale. Ray HA inventato il cinema. Come pochi altri." ~ Wim Wenders (1983)
Con Anna Karina, Laszlo Szabo, Jean-Pierre Léaud, Marianne Faithfull
consigliato da WIM WENDERS
"Per me, la scoperta del cinema è stata direttamente collegata a questo film. Vivevo a Parigi quando UNA STORIA AMERICANA uscì nelle sale. Andai al primo spettacolo – era circa mezzogiorno – e rimasi là seduto fino a mezzanotte. Lo vidi sei volte di seguito." ~ Wim Wenders
LISTA COMPLETA di WENDERS
- Les Amants du Pont-Neuf (Carax)
- Blade Runner (Scott)
- Fino all'ultimo respiro (Godard)
- Daunbailò (Jarmusch)
- Re per una notte (Scorsese)
- Il temerario (N. Ray)
- L'uomo che uccise Liberty Valance (Ford)
- Marnie (Hitchcock)
- Avventurieri dell'aria (Hawks)u
- Linea rossa 7000 (Hawks)
- La regola del gioco (Renoir)
- Il ragazzo selvaggio (Truffaut)
- La donna del ritratto (Lang)
- Easy Rider (Hopper)
- Gli implacabili (Walsh)
- Argila (Schroeter)
- Mouchette (Bresson)
- Nashville (Altman)
- Quell'ultimo giorno (Lopushanskij)
- Viaggio a Tokyo (Ozu)
- Una storia americana (Godard)
Fonti: Fifty Filmmakers Book (2002); "Wim Wenders" edizioni Il Castoro Cinema; Wim Wenders - Stanotte vorrei parlare con l'angelo, Scitti 1968-1988;
"Nel divertente L'UOMO CHE UCCISE LIBERTY VALANCE di John Ford si vedono tutti gli attori così come dovrebbero essere. James Stewart lava i piatti, si fa coccolare dalle donne come un bambino pasticcione e spara al suo nemico con addosso un grembiule da cuoco, cosa che in realtà fa John Wayne. Lee Marvin può spadroneggiare per poi morire lentamente. Lee Van Cleef può starsene in disparte e ghignare. John Wayne può incendiare la sua casa. Edmond O'Brien può essere sempre ubriaco e tenere discorsi. James Stewart può continuare a chiacchierare mentre gli spettatori stanno già uscendo dalla sala." ~ Wim Wenders (1969)
"Il mio attore preferito è Robert Mitchum. Ha fatto alcuni film piuttosto brutti, questo sì, ma lui non è male nemmeno là. Mi piace lo stile di recitazione in cui senti che l'attore è meglio di quello che sembra essere, e lo consideri sempre più di quanto dia a vedere. Specie se ci sono dei sentimenti di mezzo. Di solito si vede più di quel che si crede, mentre la recitazione migliore ti fa vedere meno di quel che credi." ~ Wim Wenders (1976)
"È più il fatto di contemplare che mi ha affascinato facendo dei film, che il fatto di trasformare, di muovere o mettere in scena. Che si possa scoprire qualcosa, che qualcosa possa colpirci, trovo ciò molto più importante che fare qualcosa di preciso. Ci sono dei film nei quali non si può scoprire niente perché non c'è niente da scoprire, tutto salta agli occhi e tutto è fatto perché si comprenda e si veda sotto tale angolazione e in maniera univoca." ~ Wim Wenders (1972)
"Non ho mai pensato che un giorno sarei andato a girare in America. Non prima di venire a San Francisco, a discutere il progetto di HAMMETT con Coppola. Le cose si sono svolte così, è tutto. Ma, per esempio, non avevo mai visto i film americani di Lang come i film di un esiliato. Solo due anni fa, quando sono andato a San Francisco, ho visto a Berkeley tutta la sua opera in ordine cronologico, per apprendere qualcosa sulla mia situazione. Mi ha insegnato molto su cosa sia un processo di integrazione a tutti i livelli. Era sconvolgente vedere questa assimilazione progressiva e questa lotta fra ciò che lui era nei suoi film e ciò che perdeva. Cinematograficamente credo che ci sia un progresso, che i suoi film americani siano migliori, che egli stesso abbia guadagnato qualcosa di nuovo. Mi sembra che la recitazione diventi più fluida, che ci siano una profondità e una sensibilità psicologiche diverse dai film tedeschi, una maggiore sottigliezza ideologica. Ma nello stesso tempo è terribile vedere ciò che ha dovuto concedere." ~ Wim Wenders ("Positif",1980)
"Non mi piacciono le storie che costringono a una tensione, a far attendere qualche cosa. Preferisco che le storie o le azioni si addizionino e formino alla fine una storia. (...) Io provo fastidio come spettatore a seguire una storia in cui i personaggi sono vincolati dal dramma. Penso che si possa guardare più tranquillamente i miei film, che si possa essere vicini ai miei personaggi perché «fanno» la storia." ~ Wim Wenders (1976)
"Non ho più voglia di vedere western. Questo è l'ultimo atto, la fine di un mestiere. È mortale. (...) C'ERA UNA VOLTA IL WEST non ha alcun rispetto per se stesso. Allo spettatore indifferente offre soltanto la fastosità con cui è stato girato: i più complessi movimenti di macchina, e le più raffinate panoramiche e movimenti di gru, le fantastiche scenografie, gli attori incredibilmente bravi, una ferrovia in costruzione, una gigantesca ferrovia ornamentale in costruzione montata al solo scopo di farvi passare una diligenza. Sì, e poi la Manument Valley, la Monument Valley davvero, non in cartone coi sostegni sul retro, no, era davvero l'America in cui John Ford aveva girato i suoi film. Proprio da queste immagini, che allo spettatore indifferente incuteranno una sorta di rispetto, mi sono sentito piombare nello sconforto a rivedere il film per la seconda volta: mi sono sentito come un turista in un western, e la cosa mi ha subito trasformato in spettatore coinvolto. Ho visto che questo film non prende più sul serio i film che l'hanno preceduto, che non mostra più la superficie del western, ma qualcosa che la trascende: «il mondo interiore» del western. Le immagini non esibiscono più soltanto se stesse, ma lasciano intravedere qualcos'altro, e sono minacciose senza mostrare la minaccia che le accompagna, trasformano le reali violenze della storia in «immagini simboliche della violenza», in scene primordiali del cinema western. Un primo piano di Charles Bronson diventa in questo film un'immagine simbolica della «personificazione», e la sua storia non sarà più semplicemente quella di una vendetta, ma «della vendetta»: le immagini inframezzate, al rallentatore, sfuocate, e che verranno comprese nel loro «senso» solo nel finale, non sono semplicemente fastidiosi relitti di un cinema d'arte, quanto l'autentico nerbo di quest'opera. Qui si vuol dire che questo film funziona come le pellicole dell'orrore. Facendoti credere che dietro a ogni porta c'è un mostro in agguato, la semplice apertura di uno spiraglio ti mozza il respiro. L'armonica a bocca di Charles Bronson ha la stessa funzione dei denti da vampiro di Christopher Lee. Il saloon e la stalla sulla strada per Sweetwater funzionano come il castello dei Carpazi. Dal modo in cui la famiglia irlandese dai rossi capelli viene bassamente eliminata in un agguato, ad opera di una tetra potenza che zittisce anche i grilli, dalla maniera in cui il giovane esce terrorizzato dalla casa con un sottofondo di musica di Morricone composta dalle medesime vibrazioni di terrore che le immagini irradiano, dall'improvviso comparire del volto spietato di Henry Fonda, e dal modo con cui costui uccide il ragazzo, insomma da tutto ciò risulta chiaro perché Woody Strode e Jack Elam compaiono soltanto durante i titoli di testa. La loro morte suggella anche la morte di un genere e di un sogno. Entrambi erano americani. È stata una vera gioia poter rivedere la Monument Valley in un altro film, poter nuovamente «vederla». In EASY RIDER, con Peter Fonda e con un distributore della Esso anziché un saloon dei Carpazi." ~ Wim Wenders (1969)
"Non ho memoria per le teorie e non riesco mai a ricordare bene le cose che ho letto. Perciò non posso citare con esattezza una frase di Bela Balasz, che pure mi ha sempre molto emozionato. Egli parla della possibilità (e della responsabilità) del cinema di «mostrare le cose come sono», aggiungendo poi che il cinema «può salvare l'esistenza delle cose». Ecco, è proprio così. Come quell'altra frase di Cézanne che dice: «...le cose scompaiono. Bisogna affrettarsi se si vuole vedere qualcosa»." ~ Wim Wenders (1987)
Su Bergman: "A ripercorrerlo ora, mi rivedo studente, quando andai al cinema con la mia ragazza per vedere IL SILENZIO (contro l'espresso divieto della scuola, della chiesa e della famiglia, quindi evidentemente anche in ragione del divieto stesso). Mi rivedo uscire dal cinema profondamente turbato, evitare nei giorni appresso ogni discussione sul film coi compagni, perché il mio turbamento non avrebbe potuto trovare espressione nei modi dell'argomentare. Penso a come due anni dopo, studiavo medicina, uscii brancolando da una doppia proiezione notturna de IL SETTIMO SIGILLO e IL POSTO DELLE FRAGOLE per poi vagabondare in città sotto la pioggia fino all'alba, sconvolto e straniato da tutti i dilemmi sulla vita e sulla morte. Poi, ancora due anni dopo, iscritto alla scuola di cinema, ricordo di aver visto PERSONA, che è un atto di negazione di tutto il cinema di Bergman, e che propone l'abbandono della psicologia, un cinema nel quale tutto «sia visibile dalla superficie delle cose». Con un pizzico di vergogna, perché oggi mi sembrano giudizi sommari, rammento i miei discorsi contro «la profondità» e «la mania del senso» dei film di Bergman, cui contrapponevo «l'evidenza fisica» del cinema americano. E con un ennesimo salto nel tempo, diventato io stesso autore di cinema e residente in America, mi rammento di quando uscii da un cinema di San Francisco dopo una proiezione di SUSSURRI E GRIDA che mi fece piangere come una fontana. Dopo quel film ciò che io 10 anni prima disprezzavo come «l'angoscioso e lambiccato cinema europeo», mi sembrò daccapo il mio vero elemento, una terra natale dove io stesso mi sarei sentito più a mio agio, più al sicuro che nella «terra promessa» del cinema dove ero ospite, dove del resto quella che un tempo era la tanto lodata «superficie» delle cose si era fatta così dura e sdrucciolevole che ormai non c'era più nulla «sotto». E se da studente avevo inveito contro «il cinema che esplora al di sotto delle cose», ora provavo nostalgia per tutto ciò che «si nascondeva» dietro l'apparente, e mi sentivo più che riconciliato con Ingmar Bergman." ~ Wim Wenders (1988)
Con Fredric March, Dana Andrews, Harold Russell, Myrna Loy, Teresa Wright, Virginia Mayo
consigliato da BILLY WILDER
CAMERON CROWE: "Una volta, parlando del film del suo amico William Wyler, I MIGLIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA, lo definì la miglior prova registica di tutti i tempi."
BILLY WILDER: "I MIGLIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA, certo. Una regia meravigliosa. Io avrei fatto peggio. Molto peggio. [Ride] (...) Wyler era un vero fenomeno: non leggeva mai. Assolutamente nulla. Nessuno l'ha mai visto con un libro in mano. [Si mostra umoristicamente sconcertato.] Leggeva solo i copioni dei film che gli proponevano. Siccome non scriveva, dirigeva soltanto, aveva un sacco di tempo libero per chiacchierare con tutti, e giocava a carte per ore. Ma non ha mai preso in mano un libro. Non leggeva, neanche il giornale. Pensare che durante la guerra si era distinto come documentarista in Europa, guadagnandosi perfino una medaglia... Come regista aveva una straordinaria capacità di cogliere lo spirito di una città. VACANZE ROMANE con Audrey Hepburn e Gregory Peck è un bel film. Wyler era un po' melenso, ma molto bravo. (...) Wyler era un ottimo regista, molto preciso, scrupoloso. Cercava sempre di ottenere il massimo dal suo lavoro e poteva far ripetere agli attori la stessa scena anche 26 volte di seguito prima di ritenersi soddisfatto. Un giorno, mentre girava LA VOCE NELLA TEMPESTA con Laurence Olivier, erano già arrivati al dodicesimo ciak e Wyler aveva appena detto: «Un'altra». A quel punto Olivier lo aveva preso da parte per domandargli: «Di grazia, le spiace dirmi cosa vuole? Cosa c'è che non va?» E Wyler: "Non so cosa voglio. Ma appena l'ho ottenuto, lo mando in stampa.» E ovviamente quel che usciva dal laboratorio era materiale di prim'ordine. Essendo abituato a procedere per tentativi Wyler aveva bisogno di diversi ciak prima di poter dire «Buona» (...) Era una persona molto disponibile, molto aperta. Ma sul set prendeva il lavoro veramente sul serio e il risultato era sempre splendido. I MIGLIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA è un film meraviglioso ma c'erano voluti due anni di meticoloso lavoro fianco a fianco con lo sceneggiatore per riuscire a condensare la materia così complessa del romanzo. Anche se ottenevano una buona scena, lui diceva allo sceneggiatore: «Aspetti un istante» e ne parlavano ancora, e poi ancora e ancora. Però quando diceva: «Ora ci siamo» la scena era impeccabile. Wyler non aveva mai delle idee originali, ma quelle che aveva le realizzava alla perfezione. Lasciava abbastanza liberi gli attori, non alzava la voce, e comunque parlava poco, anche perché era diventato sordo da un orecchio durante la guerra, filmando una missione... (...) Ricordo di aver pianto la prima volta che ho visto quella scena. È all'inizio del film, quando i 3 ragazzi tornano dalla guerra. Il primo a uscire è quello mutilato, che si ferma lì in piedi, mentre sullo sfondo si scorgono i genitori che lo stanno aspettando. I familiari gli corrono incontro e il ragazzo sta sempre lì immobile, di spalle, con gli uncini al posto delle mani...ho cominciato a piangere e non riuscivo a smettere. Un film splendido. Con intervalli umoristici nei momenti giusti. Fredric March che balla con la cameriera..."
Con James Stewart, Margaret Sullavan, Frank Morgan, Felix Bressart
consigliato da BILLY WILDER
"Ernst Lubitsch: poteva ottenere più lui da una porta chiusa che altri registi da una patta aperta." ~ Billy Wilder
"Se sono stato influenzato da qualcuno, è stato da Stroheim e da Lubitsch. Tuttavia, non credo alla storia degli «stimoli intellettuali»." ~ Billy Wilder
INTERVISTATORE: "Quali sono i film altrui che vorresti aver fatto tu?"
BILLY WILDER: "In cima alla lista metto LA CORAZZATA POTEMKIN, poi LADRI DI BICICLETTE, SEDOTTA E ABBANDONATA, SCRIVIMI FERMO POSTA di Lubitsch, LA DOLCE VITA di Fellini, e un paio di film di Ingmar Bergman. Ma non avrei potuto fare quel che han fatto loro. Quei registi avevano tutti una propria firma. Soprattutto Lubitsch. Lui non era solo molto talentuoso e unico, era anche un uomo straordinario. Aveva questo humor francese molto sofisticato, quando in realtà era figlio di un sarto russo."
CAMERON CROWE: "È stato spesso analizzato da altri, ma cos'era per te «il tocco di Lubitsch» ?"
BILLY WILDER: "Era l'uso elegante della Super-battuta. Avevi una battuta, e ti sentivi soddisfatto, e poi c'era un'altra grossa battuta a chiudere. La battuta che non t'aspettavi. Questo era il «Lubitsch touch». Pensare come pensava lui, quello è un obiettivo che vale la pena di porsi. Mentre collaboravo con lui era solito fare molte domande: «Cosa vuoi farne di questo punto della storia? Proviamo a trovare un modo di dire sta' cosa diversamente.» "
CROWE: "Riuscivate (voi sceneggiatori) a far ridere Lubitsch?"
WILDER: "Sì, qualche battuta lo faceva addirittura sghignazzare. Poi però la ritoccava. [Ride] Facemmo un altro film con lui, NINOTCHKA. Poi arrivò il primo infarto. Il film che stava girando, LA SIGNORA IN ERMELLINO, venne ultimato da Preminger. (...) Trascorsi due o tre settimane a casa sua. Pensavamo che fosse guarito. Tornò allo studio e lavorò altri 2 anni prima di morire. Ebbe il secondo infarto una domenica, durante una delle sue solite scorribande sessuali. All'epoca si lavorava sei giorni su sette e avevamo libera solo la domenica. Gli altri giorni si girava, e quelle cose lì ce le scordavamo. Insomma, Lubitsch si beccò il classico infarto postcoitale...si chiamano così. Andò in bagno a lavarsi, o vattelapesca, e lì morì. La signora in questione fu fatta allontanare in tutta fretta da Otto, lo chaffeur. E questa è stata la fine di Lubitsch...aveva solo 45 anni."
CROWE: "La leggenda vuole che sia morto tra le braccia di una prostituta. Conferma?"
WILDER: "Non tra le sue braccia, subito dopo. Con la signora aveva finito. Al funerale, William Wyler e io, insieme ad altri, portammo la bara. All'uscita del cimitero dissi a Willy: «Ma che tristezza, non vedere più Lubitsch». E lui: «Peggio: non vedere più i film di Lubitsch.» Sa, è stata davvero una grossa perdita, perché in molti hanno tentato di imitarlo o di rubare qualcosa da lui: il modo di impostare una scena comica, di svilupparla in una ancora più comica, l'intera struttura narrativa di un film. Molti ci hanno provato, ma nessuno ci è mai riuscito. Lubitsch non era mai diretto, senza sfumature. Non ti spiattellava mai niente sotto il naso. Cercava la tua complicità e poi ti trascinava dove voleva. Bravissimo, inimitabile! Magari fosse ancora tra noi!"
I.A.L. DIAMOND (co-sceneggiatore di molti film di Wilder): "In ALICE NON ABITA PIÙ QUI, la cinepresa di Martin Scorsese non ha un attimo di tregua. C'è una scena in cui due persone sono sedute al ristorante a parlare, e la camera vira 180 gradi a destra, poi torna 135 gradi a sinistra, poi di nuovo a destra per 90 gradi. Nessuno di questi movimenti serve un qualche proposito, tranne che lui non si fidava delle parole di quella scena. Immagino che pensasse che se non era impegnato in qualche genere di lavoro non stava dirigendo. Non ha avuto il coraggio di lasciare la camera ferma in un posto e lasciar fare alla scena."
WILDER: "È una maledizione che colpisce soprattutto i registi teatrali. Prendono un'opera teatrale e dicono: «Ora andiamo ad aprirla.» Hanno una scena molto bella ambientata in un salotto che è andata in scena 600 volte a Broadway. Ma per il film portano fuori gli interpreti e li mettono su un terrazzo con giardino, poi li portano al piano di sotto, poi in un supermercato, ed è sempre la stessa scena. Una delle migliori sequenze che io abbia visto in un film era tra Marlon Brando e Rod Steiger in FRONTE DEL PORTO. Sono seduti dentro un taxi, senza neanche un trasparente dietro di loro, per risparmiare. Tende veneziane in un taxi di New York. I due fratelli parlano, soprattutto Brando. La scena era splendida e molto ben scritta, e durava sette minuti. Nessun taglio, nessuna zoomata, niente di niente. Una delle scene più belle, perchè ti coinvolgeva. Ma la scena non mi piacerà di più se all'improvviso si alzano, escono e vanno altrove. Mi sono imbattuto in Scorsese l'ultimo dell'anno, e aveva appena fatto TAXI DRIVER. Abbiamo parlato per una mezz'ora circa, e lui parlava di «semplificare». È come con i giovani puledri: devi mettergli i paraocchi. Si calmerà, e sarà ok. Ha un talento monto fine. C'è un intero gruppo di giovani registi che sono assolutamente meravigliosi. Non parlo di quelli già affermati come Arthur Penn o Mike Nichols. Ma penso ad esempio che Harold Ashby sia molto, molto bravo. Penso che Bertolucci sia meraviglioso. Ce ne sono una ventina che potrei citare."
I.A.L. DIAMOND: "Di certo Francis Ford Coppola, William Friedkin e Steven Spielberg tecnicamente valgono quanto i migliori in questo mestiere."
WILDER: "Coppola è meraviglioso. Penso che IL PADRINO, PARTE II sia certamente tra i migliori cinque film americani di sempre. Per esecuzione e sensibilità mi è sembrato un capolavoro assoluto. Nella mia lista degli indimenticabili, è là in cima."
INTERVISTATORE: "Quali sono gli altri?"
WILDER: "Oh, ce ne sono molti. C'è LA GRANDE ILLUSIONE, I MIGLIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA, IL PONTE SUL FIUME KWAI, IL MISTERO DEL FALCO, IL TRADITORE. E alcuni dei vecchi film tedeschi, alcuni film di Murnau... Ma per uno come Coppola, che aveva fatto solo quattro o cinque film, è stata un'impresa straordinaria. È l'opera molto matura di un uomo molto maturo."
Con Aldo Puglisi, Lando Buzzanca, Stefania Sandrelli, Saro Urzì
In streaming su Rai Play
consigliato da BILLY WILDER
INTERVISTATORE: "Ti piace la commedia all'italiana?"
BILLY WILDER: "Enormemente. Germi è uno dei miei registi preferiti e considero SEDOTTA E ABBANDONATA e DIVORZIO ALL'ITALIANA commedie di prima classe, molto italiane eppure al tempo stesso universali. Non ho tentato (con AVANTI!) di fare un film alla Germi; come Lubitsch o McCarey, lui ha il suo stile, del quale si può fare solo una pallida imitazione. Io semplicemente spero di piacere agli italiani quanto agli altri, ma a volte mi sveglio alle 4:00 del mattino e dico a me stesso che so già quale sarà la prima frase dell'articolo che Judith Christ o Pauline Kael dedicheranno al film: «AVANTI! ovvero come andare a letto con una ragazza durante il funerale di un tuo genitore.» Trovano sempre qualcosa del genere. Ne parlo anche se non è in realtà molto importante per me. Quel che conta è sedere in platea e sentire la gente che ride al momento giusto perché tutto era concepito con quella intenzione. Questo è più essenziale per me di aprire un giornale o una rivista che, mentre ti elogia, si mette a far paragoni e a vedere nel film cose a cui io non ho mai pensato."
Con David Bennent, Mario Adorf, Angela Winkler, Daniel Olbrychski
consigliato da BILLY WILDER
(Da filmcomment.com): "Tutto cominciò con un'espansiva lettera da parte di Wilder che Schlöndorff inizialmente pensava fosse una burla. Di sicuro, ragionò, il grande Billy Wilder non manda lettere da fan a un giovane regista, scrivendogli che il suo film (IL TAMBURO DI LATTA, in questo caso) è il migliore uscito dalla Germania dopo M - IL MOSTRO DI DUSSELDORF di Fritz Lang. Ma la lettera era genuina e i due uomini divennero amici..."
Con Aleksandr Antonov, Grigorij Aleksandrov, Vladimir Barskij, Michail Gomarov
consigliato da BILLY WILDER
"Qual'è il miglior film che io abbia mai visto? La mia risposta è sempre LA CORAZZATA POTEMKIN di Eisenstein." ~ Billy Wilder
"Nel fare film – e ora non sto parlando di dirigere – non conta la fotografia. Conta la giustapposizione di varie riprese. Sono le forbici che fanno il film, il montaggio. Alfred Hitchcock è certamente una tremenda influenza a questo riguardo ma, una volta ogni tanto, esagerava. Come quando disse che avrebbe fatto NODO ALLA GOLA e che avrebbe avuto sette o nove sequenze in tutto il film. Era una totale, assoluta assurdità. Andava a finire sul retro del completo nero di qualcuno, e poi cominciava la bobina successiva. Hanno dovuto fare prove su prove. Ogni dieci giorni ottenevano un'intera bobina, e poi crollavano stremati. Ma perché non tagliare? È come scrivere il Padre Nostro su una capocchia di spillo. Cosa sta cercando di provare? LA CORAZZATA POTEMKIN, quello sì è cinema. Si tratta di cosa segue cosa. È questo che abbiamo in più del teatro." ~ Billy Wilder
CAMERON CROWE: "L'altro giorno mi parlava del film giapponese ULTIMO BALLO (SHALL WE DANSE), un film elegante e pieno di sentimento."
BILLY WILDER: "Oh, lo adoro! [Estasiato] Che bel film! Così elegante! È l'esatto contrario di tutto quello che si vede normalmente sugli schermi. Una moglie gelosa fa spiare il marito e scopre che lui sta solo prendendo lezioni di tango! Lezioni di tango! Sembra un film italiano. È proprio divertente...non è fantastico il cambiamento del marito, il quale, man mano che impara a ballare, diventa sempre più bello? E come balla bene! Un film pulito e semplice. Una vera delizia. Un piccolo film sorretto da una gran bella idea."
LISTA COMPLETA di BILLY WILDER
- I migliori anni della nostra vita (Wyler)
- Ladri di biciclette (De Sica)
- Il ponte sul fiume Kwai (Lean)
- Il conformista (Bertolucci)
- I diabolici (Clouzot)
- La Dolce vita (Fellini)
- Quarantaduesima strada (Bacon)
- La Grande illusione (Renoir)
- Sedotta e abbandonata (Germi)
- Scrivimi fermo posta (Lubitsch)
- Il tamburo di latta (Schlöndorff)
- La corazzata Potemkin (Eisenstein)
- Il mistero del falco (Huston)
- Il Padrino – Parte II (Coppola)
- Il traditore (Ford)
- Il dottor Stranamore (Kubrick)
- Forrest Gump (Zemeckis)
- Effetto notte (Truffaut)
- Cabaret (Fosse)
- M.A.S.H. (Altman)
- Io e Annie (Allen)
- Ultimo ballo (Masayuki Suo)
- Eva contro Eva (Mankiewicz)
- Full Monty (Cattaneo)
- Cantando sotto la pioggia (Kelly/Donen)
Fonti: Time Out (1995); "Billy Wilder" edizioni Il Castoro Cinema; "Billy Wilder: interviews" di B. Wilder; openculture.com; azquotes.com; filmcomment.com; vanityfair.com; gointothestory.blcklst.com; "Conversazioni con Billy Wilder" di Cameron Crowe;
"Quand'ho visto LA DOLCE VITA non sapevo più se era il film più grande o il più noioso che avessi mai visto, e alla fine ho concluso che era tutte e due le cose insieme." ~ Billy Wilder
CROWE: "È vero che dopo aver visto LA DOLCE VITA, mandò un biglietto a Fellini?"
WILDER: "Sì, gli mandai un biglietto. Gli feci avere un messaggio entusiastico. Conoscevo Fellini, e lo adoravo. Poi si è perso per strada, travolto dalle sue stesse mirabolanti fantasie. Ma, come saprà, nell'Italia di oggi è impossibile realizzare grandi film. Si girano solo commediole il cui successo non varca i confini nazionali. Filmetti pensati su misura per il mercato locale. Poi, ogni tanto, esce un film come IL POSTINO. Fellini, purtroppo, è morto troppo presto. Che cosa triste! Ho amato moltissimo LE NOTTI DI CABIRIA e LA DOLCE VITA . Gli unici due che ho capito a fondo. Quel giornalista indolente interpretato da Mastroianni era un personaggio magnifico. Ogni sequenza del film scaturiva dalle fantasie di qualcuno. Il film era strutturato così, e per questo funzionava. (...) Fellini era molto generoso. Mi chiamava «maestro». Quando è morto aveva settantacinque anni ma continuava a chiamarmi «maestro». Ma mi dici cosa avrei potuto «correggere» nella DOLCE VITA? Se io ero il maestro, lui cos'era?..."
"Bogart era un attore straordinariamente competente che era straordinariamente felice di seminare zizzania. Una volta mi disse: «Huston mi ha detto chi sono a suo parere i 10 più grandi registi e tu non sei nella sua lista. Huston è veramente meschino, no?» Ma Bogart era noioso. Bisogna essere molto più spirituali per essere malvagi. Come Erich von Stroheim. (...) Ricordo che (in SABRINA), il cameraman mi prese da parte per dirmi: «Devi fare qualcosa per quelle luci, perché Bogart, quando parla, sputacchia. Non posso riprenderlo in controluce. Fa schifo.» Allora avvertii l'addetta al guardaroba che si occupava di Audrey Hepburn di tenersi sempre pronta con un asciugamano. Ma di farlo con discrezione." ~ Billy Wilder
"Ho visto LUCI DELLA RIBALTA a Monaco, non molto tempo fa, per la prima volta. Non era mai stato proiettato sulla costa occidentale ed ero impaziente di vederlo. C'era con noi una ragazza che diceva di averlo visto 8 volte. Uscendo le ho detto che capivo quel che provava perché io l'avevo visto una volta e mi sembravano otto. Nei suoi film muti, Chaplin non filosofeggiava; quando infine ha trovato una voce per dire quello che pensava, era come un bambino che scrivesse le parole per la nona Sinfonia. Sono rimasto stupito quando lo si è attaccato per le sue opinioni politiche e costretto a lasciare gli USA, quando tutto ciò che diceva era a livello di liceo. Beninteso, penso sempre che sia un autentico genio, e farei un film con lui per niente..." ~ Billy Wilder
"I critici scrissero su L'ASSO NELLA MANICA: «Come si può credere che un giornalista si comporterebbe così? Come si può essere un regista cinico come Wilder?» Ero sul Wilshire Boulevard, molto depresso da questa lettura, e proprio davanti a me un uomo fu investito da un'auto. Un fotografo arrivò di corsa, io dissi: «Soccorriamolo!», e lui rispose: «Non io, grazie; debbo fare le foto.» " ~ Billy Wilder
"A Berlino, abitavo in una pensione familiare. Una delle ragazze era fidanzata. Una notte mentre dormivo – nel mio letto – lei spinge nella mia stanza un povero vecchio con le scarpe in mano e lo lascia lì per andare ad aprire al fidanzato. Il vecchio era il direttore della Maxim Film. «Avete un calzascarpe?» mi domanda. Io gli rispondo: «Sì, ma ho anche una sceneggiatura.» «Bene, inviatemela in ufficio.» «No, ora.» dico io. Lui la lesse, mi diede 500 marchi e io gli portai il mio calzascarpe." ~ Billy Wilder
"Filma un paio di scene fuori fuoco...voglio vincere un premio per il miglior film straniero." ~ Billy Wilder
Le 10 regole del bravo filmmaker di Billy Wilder:
1 - Il pubblico è volubile.
2 - Prendili per la gola e non lasciarli mai andare.
3 - Sviluppa una chiara linea d'azione per il tuo protagonista.
4 - Sii conscio di dove stai andando.
5 - Come scrittore sei tanto più bravo quanto più sei sottile ed elegante nel nascondere i punti chiave della trama.
6 - Se hai un problema col terzo atto, il vero problema è nel primo atto.
7 - Un consiglio da parte di Lubitsch: Lascia che sia il pubblico a fare due più due. Ti ameranno per sempre.
8 - Per le voci fuori campo, fai attenzione a non descrivere quello che il pubblico già sta guardando. Aggiungi qualcosa a quel che vede.
9 - L'evento che chiude il secondo atto innesca la fine del film.
10 - Il terzo atto deve crescere, crescere, crescere in tempo e azione fino all’ultimo evento, e poi – questo è tutto. Non restare nei paraggi.
Su Marilyn Monroe: "Ah, Marilyn, la Giovanna d'Arco di Hollywood, il nostro Agnello Sacrificale definitivo. Be', lasciate che vi dica, era meschina, terribilmente meschina. La donna più meschina che abbia conosciuto in questa città. Sono scioccato da questo culto di Marilyn Monroe. Forse finirà per essere un atto di coraggio dire la verità su di lei. Bene, lasciatemi essere coraggioso. Non ho mai incontrato nessuno tanto meschino quanto Marilyn Monroe. E nessuno tanto assolutamente favoloso sullo schermo, e questo include anche Greta Garbo. (...) Era geniale come attrice comica, con uno straordinario istinto per il dialogo comico. Era un dono che aveva avuto da Dio. Credetemi, negli ultimi quindici anni, mi sono capitati sotto mano una decina di progetti che, quando cominciavo a lavorarci, pensavo: «Non funzionerà, ci vorrebbe Marilyn Monroe» Nessun'altra è nella sua stessa orbita; tutte le altre sono piantate a terra in confronto a lei." ~ Billy Wilder
"Non sono un seguace di Strasberg. Non sono un attore. Non sono neanche un regista nato. Sono diventato regista perché un mucchio delle nostre sceneggiature sono state rovinate." ~ Billy Wilder
"C'è una bella battuta su Marilyn Monroe e Arthur Miller. I due si sono appena fidanzati e lui le dice: «Vorrei che conoscessi mia madre, e lei vorrebbe vederti. Quindi pensavo che dovremmo andare a trovarla nel suo appartamento nel Bronx, ceneremo là e lei potrà conoscerti.» E Marilyn dice: «Splendido, splendido.» Così vanno, l'appartamento è piccolissimo, con una sottilissima porta a dividere il salone dalla toilet. Si stanno divertendo molto, vanno tutti d'accordo, e Marilyn a un certo punto dice che deve andare in bagno. Va alla toilet, e siccome i muri e la porta sono sottili, apre tutti i rubinetti dell'acqua in modo che non la sentano nella stanza accanto. Poi esce dal bagno, e tutto prosegue benissimo. Si baciano e si salutano. Il giorno dopo, Arthur Miller telefona alla madre e le chiede: «Allora, come ti è sembrata Marilyn?» E la madre: «È dolce. Ed è una ragazza bellissima, davvero meravigliosa. Ma piscia come un cavallo!» " ~ Billy Wilder
Su Kubrick: "La prima parte di FULL METAL JACKET è forse il più bel pezzo di cinema che abbia mai visto. Quel tizio che si siede sul cesso e si fa saltare le cervella! Magnifico. Poi, con la storia della vietcong, si perde un po' per strada. La seconda parte non è agli stessi livelli, anche se rimane ugualmente un bellissimo lavoro. Vedi, Il punto è che Kubrick va sempre fino in fondo. È un artista molto interessante, interessantissimo. Ogni volta, si gioca tutte le carte che ha in mano. (...) Adoro IL DOTTOR STRANAMORE. È uno dei miei film preferiti. La prima volta mi aveva sconcertato, poi, rivedendolo, l'ho capito meglio. Un film magnifico, come del resto LOLITA, anche se la bambina era un po' troppo cresciuta. Lì credo che Kubrick sia dovuto scendere a qualche compromesso." ~ Billy Wilder
CAMERON CROWE: "Volevo chiederti di SCHINDLER'S LIST. Ho letto che volevi farne il tuo ultimo film, ma Spielberg si era già assicurato i diritti."
BILLY WILDER: "Sì, e quello l'ha convinto a tenerseli. [Ride] Volevo farlo. Ne abbiamo parlato. È stato un gentleman, ovviamente, e ognuno di noi ha riconosciuto i pressanti desideri dell'altro. Alla fine, non ha potuto cedere. Doveva farlo. Il mio SCHINDLER'S LIST sarebbe stato diverso – non necessariamente migliore. Volevo farne una specie di commemorazione di mia madre, mia nonna e il mio patrigno (tutti e 3 morti ad Auschwitz - ndt). Spielberg è sempre stato un magnifico regista. Quando aveva 12 anni era già un magnifico regista. Soprattutto di film per bambini. Credo che ci fossero un sacco di cose molto divertenti in E.T., soprattutto quando E.T. si ubriaca... Ma SCHINDLER'S LIST sarebbe stato qualcosa che veniva dal cuore..."
CROWE: "Le piace Renoir?"
WILDER: "I film che ho visto mi piacciono da morire."
CROWE: "Ha visto LA REGOLA DEL GIOCO?"
WILDER: "LA REGOLA DEL GIOCO e anche un altro, CHARLESTON... Gran regista. Avrei voluto seguire meglio il dialogo francese, l'avrei apprezzato di più. Mi ero ripromesso di andarlo a vedere in lingua originale, una volta in Francia. Mi piacciono parecchi registi, per esempio Luis Buñuel, che non è francese ma lavorò a lungo in Francia."
CROWE: "Che rapporto aveva con Truffaut e Godard, insomma con i registi della Nouvelle Vague? Affettuosi o conflittuali?"
WILDER: "No, ero molto amico di Louis Malle e ho conosciuto Truffaut. Conoscevo tutto il gruppo. Erano convinti di aver scoperto qualcosa di nuovo. Naturalmente non era del tutto vero, ma almeno facevano buoni film. Per esempio, EFFETTO NOTTE di Truffaut secondo me è un vero capolavoro. Molto divertente, davvero bello. Fui contento di poterglielo dire di persona prima che morisse. Non so, era un nuovo modo di fare cinema, ma neanche poi così nuovo, certi film erano già Nouvelle Vague prima di loro. Godard non mi piace. Penso che dietro la sua maschera da snobbettino si nasconda solo un dilettante. FINO ALL'ULTIMO RESPIRO è l'unico Godard che salvo."
CROWE: "Secondo lei CABARET di Bob Fosse è riuscito a restituire l'atmosfera di quel periodo?"
WILDER: "CABARET è un gran film. L'avevano proposto a me, ma in quegli anni non volevo saperne né di Germania, né di nazisti. Non me la sentivo di girare a Berlino. In realtà non ci andarono neanche loro, il film venne realizzato qui. Ma fu un ottimo lavoro. CABARET era ispirato al romanzo di Christopher Isherwood, un libro decisamente bello, ma il film è perfino meglio. E pensare che è stato fatto da un americano... Chapeau! Bob Fosse era un ottimo regista. Peccato sia morto così presto. Lo ammiravo moltissimo, è stata una gran perdita. (...) Il mio CABARET forse avrebbe avuto un taglio più giornalistico."
CROWE: "In tempi recenti ha visto qualche film che le ha fatto pensare: «Questo qui non è male. È il genere di cosa che avremmo potuto fare io e Izzy Diamond.»”?
WILDER: "Ci sono un sacco di film magnifici che mi piacerebbe aver fatto. Sia drammatici, sia comici. Ad esempio mi sarebbe piaciuto moltissimo aver fatto M.A.S.H. di Altman. Un film di prim'ordine, oggi dimenticato. Quello era un film nel nostro stile, la storia, gli attori... meraviglioso."
"Un regista non vive di nobili concetti, deve filmare cose concrete...e mostrarle con sottigliezza, non come Capra. Capra agli inizi era un ottimo regista, poi però ha cominciato a raccontare di gente venuta dall'aldilà e questo è sentimentalismo. Mero sentimentalismo. Senza nulla togliere alle sue doti. Capra è stato un ottimo regista e ha goduto di una immensa popolarità perché ha saputo cogliere lo spirito della sua epoca. Per lungo tempo non c'è stato nessuno in grado di competere con Capra. Prima di lui forse solo DeMille. Erano i registi più popolari e potenti. Oggi non ci sono più giganti come loro, solo Spielberg." ~ Billy Wilder
CROWE: "Che ne pensa di IO E ANNIE di Woody Allen? Secondo me è stata la commedia sentimentale più rivoluzionaria della sua epoca."
WILDER: "Bellissimo. È un film molto personale, superbo. Sono un grande ammiratore di Woody Allen, quando è al suo meglio."
CROWE: "IO E ANNIE non invecchia mai...è meraviglioso."
WILDER: "Sì, però quelli di Allen non sono veri film, sono piccoli episodi. A volte non sa neanche bene come montarli. Prende due personaggi, gli mette in bocca un dialogo scoppiettante e li fa camminare, camminare... Come sequenza è morta. La cinepresa è costretta ad arrancare dietro di loro, a uscire dai binari, a girare fino all'ultimo fotogramma mentre i due, imperterriti, seguitano a chiacchierare e a camminare...Allen è indubbiamente un ragazzo molto abile, molto astuto, ma non dovrebbe recitare. Di persona è molto divertente; peccato non lo sia altrettanto sullo schermo. Io non lo trovo per nulla divertente. Lei sì?"
CROWE: "Io sì."
WILDER: "Allora forse sarà meglio che mi adegui..."
CROWE: "Quali sono le sue commedie preferite?"
WILDER: "Per cominciare EVA CONTRO EVA di Mankiewicz. Un film intelligente, nuovo, che ricostruiva il mondo del teatro e i suoi retroscena in modo magistrale. Poi tutte le commedie del primo Sturges, che purtroppo, in seguito, si è perso per strada. Ma ce ne sono molte altre che io non avrei mai saputo fare. Ad esempio CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA, un film straordinario. Ma senza il talento di Gene Kelly o di Fred Astaire non sarebbe neppure esistito il genere. Ora che sono morti nessuno osa più anche solo pensare a un musical. Ma anche nella produzione più recente ci sono stati ottimi film. Film semplici, onesti...e che non sono necessariamente costati 200 milioni di dollari. Mi è piaciuto moltissimo FORREST GUMP. Ma anche QUALCOSA È CAMBIATO non è un film di cui vergognarsi. FORREST GUMP l'ho amato moltissimo, perché è un film molto originale, e molto divertente. È la storia di un uomo qualunque, che può essere il tuo vicino di casa, solo leggermente diverso da te. Forrest non è un ritardato, è un essere umano onesto, buono, sincero...e un po' lento. Il mondo sarebbe un posto migliore se ci fossero più Forrest Gump. È un tipo...è molto originale questo personaggio, non è stupido né minorato, solo naif. È un grande ingenuo di 30 e passa anni, e visto attraverso i suoi occhi il mondo è ancora un posto meraviglioso. È un film sull'America, e avrebbe potuto essere fatto solo in America. Ma ho amato molto anche FULL MONTY. Un bellissimo film sulla vita e sui sogni di persone semplici, vere, che se ne sbattono dei ricconi come noi."
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