François Truffaut e la sua ben nota ed edita produzione critica si stagliano erculei su un'accolita di voci portate da venti d'ogni dove. Il grande franco ci allieta con opere di connazionali ripescate dalle nebbie del tempo perduto (Pierre Kast, Claude Berri, Jean Aurel, Serge de Poligny, László Szabó, Gerard Blain, Jacques Doillon), ma non manca certo di volgere lo sguardo anche all'intiero mondo della celluloide scovando frutti perlacei nei più impensati anfratti, vedi il giapponese JUVENILE PASSION / CRAZED FRUIT (Yasushi "Kō" Nakahira), o il sudafricano THE PENNYWHISTLE BLUES / THE MAGIC GARDEN (Donald Swanson). Per ciò che riguarda i doni degli altri ospiti brillano per oscurità: PRIMAVERA IN UNA PICCOLA CITTÀ (Fei Mu) e CHASING THE FISH (Ying Yunwei), entrambi segnalati da Tsai Ming-liang ; BITTERNESS OF YOUTH (Tatsumi Kumashiro) e BURST CITY (Sogo Ishii) proposti da Shinya Tsukamoto; THE MISFORTUNATES (Felix van Groeningen) orgogliosamente lodato dal conterraneo Van Dormael; e infine THE LAST OF ENGLAND (del "non certo oscuro" Derek Jarman) schierato da Gus Van Sant. Questi gli highlights. Per il resto abbiamo la sorpresa di uno Tsai Ming-liang che si unisce alla squadra degli egomaniaci eleggendo un suo film tra i migliori di sempre (squadra che, se ben ricordo, annovera gente come Fellini, Hathaway, John Ford, Buñuel...). Questo è quanto. That's it. C'est ça, mon ami Pierrotten.
I consiglieri:
Jan Troell (KARL E KRISTINA; LA NUOVA TERRA)
François Truffaut (I 400 COLPI; JULES ET JIM)
Tsai Ming-Liang (GOODBYE DRAGON INN; STRAY DOGS)
Shinya Tsukamoto (TETSUO; A SNAKE OF JUNE)
Jaco Van Dormael (TOTO LE HÉROS; DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES)
Gus Van Sant (WILL HUNTING, GENIO RIBELLE; MILK)
Gli arretrati:
1 - Da Allen a Aronofsky 12 - Da Luhrmann a Menzel
2 - Da Assayas a Bergman 13 - Da Milius a De Oliveira
3 - Da Bertolucci a Tim Burton 14 - Da Pasolini a S. Ray
4 - Da Cameron a Craven 15 - Da Reed a Rivette
5 - Da Cronenberg a De Sica 16 - Da Rodriguez a Sayles
6 - Da Dreyer a Frears 17 - Da Schrader a Scorsese
7 - Da Friedkin a Hathaway 18 - Da Ridley Scott a Spielberg
8 - Da Haynes a P. Jackson 19 - Da Tarantino a Tarantino
9 - Da Jarman a Kieslowski 20 - Da Stone a Tarr
10 - Da Kitano a Kurosawa 21 - Da Tavernier a von Trier
Jan Troell sui film da lui scelti: "Questa è una selezione tra le centinaia di film che mi hanno ispirato e influenzato negli anni. Questi film per ragioni personali mi stanno particolarmente a cuore e giocano ruoli importanti nella mia vita di filmmaker. Ad esempio, BIANCANEVE è stato il primo film che ho visto tre volte al cinema da bambino, cosa piuttosto eccezionale a quei tempi. Ha acceso un qualche tipo di scintilla nel mio interesse per la narrazione. E HUGO CABRET, che è un tributo così amorevole ai mezzi espressivi della regia, mi ha reso davvero orgoglioso e grato di essere una piccola parte di quel mondo. I film in mezzo sono tutti stati passi stimolanti lungo la strada e continuano ad esserlo tutte le volte che li ripercorro."
"Negli anni '50 e nei primi '60 facevo l'insegnante. In realtà sono diventato insegnante perché non sapevo cosa volevo essere. Ho cominciato con la fotografia da amatore, quando avevo 14 anni. Poi ho preso in prestito una cinepresa 16mm per fare un film per i miei alunni sulla mia città natale, Malmo. Durava circa 20 minuti, ed è stato trasmesso in TV due anni dopo. Era metà documentario, metà fiction – beh, forse era più un documentario. Ho usato un mio studente come attore. Era su un ragazzino che va in giro, cercando la sua tartaruga – si era persa in città. Il punto era far sì che i miei studenti si interessassero un po' di più ai loro soggetti. È stato importante per me che l'abbiano mostrato in televisione nel 1958. La televisione in Svezia era iniziata da poco. Avevano bisogno di film; non è stato difficile far trasmettere un cortometraggio in televisione. Come maestro di scuola elementare insegnavo ogni materia, da ginnastica a chimica. È andata a finire che ho quasi fatto esplodere l'intera scuola facendo un esperimento. Quand'ho fatto vedere loro come si produce l'idrogeno, è diventato un altro gas, e c'è stato un tale big bang che l'hanno sentito in tutta la scuola. Per cui...ho smesso di insegnare poco tempo dopo." ~ Jan Troell
"I miei primi corti documentari mi hanno dato la possibilità di lavorare professionalmente. Sono andato a Stoccolma, che è a circa 600 km da Malmo – dove vivevo – in treno, portandomi dietro una scatola con dentro tre o quattro cortometraggi. Poi sono andato porta a porta a chiedere a differenti produttori cinematografici di dare un'occhiata a quello che avevo fatto. Ricordo che la prima compagnia da cui sono andato era la Svensk Film Industry, la più grande, dove Ingmar Bergman faceva i suoi film. Quando gli ho detto cosa volevo fare successivamente, mi han detto, «Ci dispiace, abbiamo già troppi cortometraggi.» Non li hanno neanche guardati. Ma al terzo produttore ho trovato qualcuno interessato. Una delle mie idee era un film horror per bambini: una ragazzina ha un incubo in cui viene chiusa a chiave in un mulino a vento. L'avevo realizzato senza sonoro, e avevo bisogno di un produttore per poter aggiungere il sonoro e gonfiarlo in 35mm. Per qualche ragione, Ingmar Bergman aveva visto il film – non lo sapevo a quel tempo – e ho appreso più tardi che gli era piaciuto molto. Così com'era piaciuto al produttore Bengt Forslund – ho lavorato con lui per la maggior parte dei miei lungometraggi. È stato lui a chiedermi di fare un corto di 30 minuti con Max von Sydow come interprete principale – STOPOVER IN THE MARSHLAND – e poi il mio primo lungometraggio, HERE IS YOUR LIFE. Max ed io abbiamo sempre avuto un buon rapporto. Non avevo mai lavorato con degli attori prima di lui. Ero nervoso. E Max mi ha dato una tale sicurezza attraverso il suo modo di aiutarci. Eravamo un team molto piccolo, il lavoro doveva durare 10 giorni. Tutti hanno dato il loro contributo, portando cose, e anche Max l'ha fatto. È diventato una sorta di mentore per me – mi ha insegnato alcune cose pratiche sul filmmaking, come risolvere i problemi." ~ Jan Troell
INTERVISTATORE: "Bo Widerberg ha dichiarato di essere indipendente rispetto a Ingmar Bergman, affermando che i suoi film hanno uno sguardo più proiettato all'esterno e più sociale o politico di quelli di Bergman."
JAN TROELL: "È piuttosto vero... Credo che molti registi della nostra generazione si siano opposti all'influenza di Bergman. Non io, perché i suoi film mi ispiravano. E lo stesso Bergman mi ha sostenuto. C'era un film che volevo fare e nessuno voleva produrre, e lui ha premuto qualche bottone e un produttore ha detto che voleva farlo. Il film era BANG! ."
INTERVISTATORE: "Terrence Malick è diventato famoso, o famigerato, per fare qualcosa che ho saputo che fai anche tu: se qualcosa fuori dal copione cattura il suo sguardo durante le riprese di una scena, come una formazione nuvolosa o un uccello, lui sposta la camera per riprenderla. Eddie Axberg scherzando ha detto che quando recita per te è sollevato, perché sa che se la sua performance non funziona, ci sarà sempre qualcos'altro da vedere!"
JAN TROELL: "Una delle ragioni per me di manovrare in prima persona la cinepresa è che posso improvvisare i movimenti di camera attorno a cose che non avevo pianificato, se vedo qualcosa, da qualche parte, oltre l'inquadratura, con l'altro mio occhio. È una cosa che può essere molto irritante per gli attori, immagino, perché loro possono andare avanti a recitare e recitare mentre la camera non è più su di loro. Posso capirlo. Ma nessuno se ne è mai lamentato. Beh, Gene Hackman si è irritato un giorno quando l'ho fatto sul set di UNA DONNA CHIAMATA MOGLIE; non ci era abituato. (...) Per me, catturare il senso del luogo in cui filmo è molto importante, ma lo è anche avvicinarmi il più possibile a quel che voglio per il copione. Di solito preferisco girare in esterni a girare in studio, dove tutto deve essere pianificato in dettaglio. Perché, nel bene o nel male, improvvisamente succedono delle cose quando filmi in esterni, e questo è affascinante – se è possibile usarle."
Con Micheline Presle, Fernand Gravey, André Alerme, Gérard Landry
consigliato da FRANÇOISTRUFFAUT
"Il mio primo ricordo di un film preciso è di PARADISO PERDUTO di Abel Gance con Micheline Presle e Fernand Gravey nel 1939 o '40. È un film che faceva piangere delle sale intere, perché c'era un incontro d'epoche. Era un film sulla guerra del '14 / '18 e le sale erano piene di soldati in permesso, di gente che stava per partire o che tornava, quindi credo sia stato veramente un delirio in tutta la Francia. Sentivo mia madre piangere di fianco a me; mio padre era appena stato mobilitato. Io non piangevo, senza dubbio perché non capivo bene la trama, ma ero meravigliato; la mia sola angoscia era che il film finisse. Ho rivisto spesso PARADISO PERDUTO successivamente, e ogni volta piango perché è un melodramma irresistibile, geniale, veramente." ~ François Truffaut (1975)
Con Pierre Fresnay, Ginette Leclerc, Pierre Larquey, Noël Roquevert
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"IL CORVO è un film che ho visto una ventina di volte. Cinque o sei volte durante la guerra e ancor più volte quando, dopo essere stato interdetto in seguito alla Liberazione, è stato di nuovo autorizzato. È un film di cui ho appreso i dialoghi a memoria, cosa per nulla strabiliante e che capita per tutti i film che continui a vedere fino al punto di conoscerli intimamente. Con IL CORVO ho appreso forse centocinquanta parole che non conoscevo; era un dialogo estremamente adulto in rapporto al cinema dell'epoca, ma anche in rapporto al mio vocabolario. Ancor'oggi conosco a memoria il testo delle lettere anonime del Corvo... A quell'epoca non ero ancora ribelle, ma sul punto di esserlo e c'era in questo film un affresco della società che mi si addiceva. Tutti quanti erano marci e c'erano delle cose sull'amore che mi sembravano – non posso dire nuove perché non avevo molta esperienza – ma in ogni caso originali. Ancora oggi trovo che la relazione tra Pierre Fresnay e Ginette Leclerc sia molto forte: è rimasta giusta, non è diventata un cliché. Dopo, pur continuando ad amare il cinema francese, ho scoperto il cinema americano. A dire il vero, è un po' l'incontro con Rivette che mi ha deviato dal cinema francese. Mi ricordo che Rivette trovava assurdo aver visto 14 volte AMANTI PERDUTI o conoscere IL CORVO a memoria. Per lui, tutto quello non aveva alcun interesse perché lui reagiva unicamente in nome della messa in scena." ~ François Truffaut (1975)
"Siccome ho cominciato ad andare al cinema durante la guerra, i film di cui conservo un ricordo sono film francesi. Erano film come IL CORVO di Clouzot, L'AMORE E IL DIAVOLO di Carnè. Ho preso presto l'abitudine di vederli più volte. All'inizio è stato accidentale, perché li vedevo di nascosto dai miei genitori, poi loro mi portavano a rivedere un film e io non potevo dire che l'avevo già visto. Ma questo mi ha dato il gusto di rivedere i film più volte. Il miglior film del periodo dell'Occupazione è stato IL CORVO – e anche quello di cui si è più parlato." ~ François Truffaut (1975)
Con Paulette Goddard, Burgess Meredith, Hurd Hatfield, Francis Lederer
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Renoir ha sempre provato tutto ed è sempre stato in anticipo sugli altri. Nel 1936 ha fatto TONI, che era dieci anni avanti rispetto alla scuola neorealista italiana. L'anno dopo ha fatto L'ANGELO DEL MALE che, al contrario, era brillante, rifinito, levigato come un prodotto di Hollywood, nel senso buono del termine. Dopo aver esplorato tutto ed essere stato il primo in ogni dominio, Renoir ha fatto nel 1938 LA REGOLA DEL GIOCO e tutti quanti l'hanno abbandonato. LA REGOLA DEL GIOCO era il primo film psicologico in cui la nozione di personaggio buono o cattivo era stata interamente eliminata. Poi è partito per l'America e i francesi hanno visto i suoi film americani solo dopo la Liberazione nel 1945. Il tema allora è diventato: «Renoir, il più francese dei cineasti, s'è perduto ad Hollywood e i suoi film non valgono più niente.» Mentre a mio avviso questo cambio d'atmosfera l'ha straordinariamente aiutato a progredire, a evolversi. Ha girato nel '42 o '43 un film intitolato IL DIARIO DI UNA CAMERIERA. Questo film rappresenta a mio avviso un progresso immenso, anche in rapporto a LA REGOLA DEL GIOCO, perché Renoir ha ripreso LA REGOLA DEL GIOCO ma la psicologia non lo interessava più. Era lo stesso film ma completamente poetico invece d'essere psicologico. I personaggi erano estremamente stilizzati. Ce n'era uno che danzava in un giardino e mangiava una rosa. Questo sforzo è rimasto completamente incompreso. Si può dire che la critica è in generale sconcertata da un lavoro nuovo, e il più delle volte non sa cosa dire." ~ François Truffaut
"Il mio giudizio che Jean Renoir sia il più grande regista al mondo non è fondato su un sondaggio pubblico, ma puramente sui miei sentimenti personali. E dopo tutto, Renoir è la quintessenza del regista del «personale». La divisione convenzionale dei film in drammi e commedie perde ogni senso quando prendiamo in considerazione i film di Jean Renoir, che sono commedie drammatiche. Alcuni filmmakers pensano che mentre lavorano dovrebbero mettersi nei panni del produttore, o del pubblico. Jean Renoir ci dà sempre l'impressione di essersi messo nei panni dei suoi personaggi. È per questo che è riuscito ad offrire a Jean Gabin, Marcel Dalio, Julien Carrette, Louis Jouvet, Pierre Renoir, Jules Berry, Michel Simon i loro ruoli più belli." ~ François Truffaut (1967)
"Credo che Renoir sia l'unico filmmaker praticamente infallibile, l'unico che non ha mai fatto un errore in un film. E credo che se non ha mai fatto errori, è perché ha sempre trovato soluzioni basate sulla semplicità – soluzioni umane. È un regista che non ha mai fatto finta. Non ha mai provato ad avere uno stile. E se conosci la sua opera – che è molto ampia, visto che ha trattato ogni tipo di soggetto – quando ti trovi bloccato, soprattutto se sei un giovane regista, puoi pensare a come Renoir avrebbe gestito la situazione, e generalmente trovi una soluzione." ~ Francois Truffaut
Con Donald Sutherland, Tina Aumont, Cicely Browne, Leda Lojodice, Carmen Scarpitta
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Mi piacerebbe essere capace di fare un film come il CASANOVA di Fellini, che trovo splendido. È un film geniale, il più bello di Fellini; prova che è il più grande registra visivo del sonoro insieme a Orson Welles. La grande differenza tra i due è che nella magia visiva di Orson Welles la macchina da presa gioca un ruolo preponderante. In Fellini è prodigioso ciò che lui organizza davanti alla macchina da presa. Per tornare al film di Fellini, mi sento trascinato dalla musica e ogni volta che rivedo il film provo le stesse emozioni negli stessi punti. Trovo il finale, la corte di Wurtenberg, talmente sublime che rivedo il film proprio per quel passaggio. Fellini spinge all'eccesso un certo numero di cose, per esempio non c'è una sola scena in esterni reali, non c'è il cielo. Anzi, il film non è stato girato neanche nel cortile dello studio: quando c'è la carrozza sul ponte, è realmente in interni, con falsa nebbia. Tutto è prodigioso. È la gioia di ricreare tutto. Quando Visconti faceva scene di interni, c'era tutta la credibilità che si può mettere in un film d'epoca, ma quando i personaggi passavano repentinamente in giardino, il film crollava ogni volta. Per Morte a Venezia sono d'accordissimo, perché Venezia è considerata un grande teatro e le grandi nuvole nere una tela di fondo. Fellini ha chiaramente pensato a tutto questo, mentre Visconti non ci ha pensato mai. Per contro, a Fellini non interessa tenere agganciato il pubblico con il suo modo di raccontare la storia. Gli interessa unicamente lo spettacolo: tu stai seduto e lui ti riempie gli occhi con cose sempre più strabilianti e magistralmente riuscite." ~ François Truffaut
Con Harvey Keitel, Jim Brown, Tisa Farrow, Michael V. Gazzo
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
James Toback ama citare il giudizio di François Truffaut che RAPSODIA PER UN KILLER è "simultaneamente sobrio e spietato", che, a pensarci, sono proprio le qualità a cui aspiravano molti dei film di Truffaut in quel periodo: ADELE H., UNA STORIA D'AMORE, LA CAMERA VERDE e L'UOMO CHE AMAVA LE DONNE sono tutte esplorazioni di un'ossessione. E se parliamo di ossessioni senza mezze misure, RAPSODIA PER UN KILLER è difficile da battere. ~ (nytimes.com)
Un aneddoto che coinvolge Truffaut, il quale nell'anno della sua uscita definì RAPSODIA PER UN KILLER uno dei suoi film preferiti da anni tra quelli diretti da un americano. Poco tempo dopo, mentre si trovava al Beverly Hills Hotel, Toback riconobbe il famoso autore francese a bordo piscina. Era in città per le riprese di INCONTRI RAVVICINATI DEL TERZO TIPO. Invece di approcciarlo direttamente per ringraziarlo e rischiare così di imbarazzarlo, optò per farlo avvertire che c'era una chiamata per lui al telefono dell'hotel, come si faceva a quel tempo. Quando Truffaut prese la cornetta, Toback, che lo guardava da dentro l'hotel, lo ringraziò cortesemente per il suo supporto, solo per essere accolto con un lungo silenzio. Confuso, Toback suggerì che gli sarebbe piaciuto incontrarlo per un drink mentre era in città. "Non credo che sarebbe una buona idea," replicò Truffaut. "Perche?" chiese Toback. "Credo che dovremmo solo continuare a comunicare l'uno con l'altro attraverso i nostri film." ~ (cinemaretro.com)
Con Maj-Britt Nilsson, Birger Malmsten, Alf Kjellin, Georg Funkqvist
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"UN'ESTATE D'AMORE per me era stato un evento: è il film che mi ha dato l'impressione che tutti possano scrivere dialoghi di film, o per lo meno che io, in tutti i casi, potessi scriverne. Era l'idea del naturale: riscrivere quel che si dice per strada, quel che si è sentito. Quel che è curioso, è che questo si sia prodotto attraverso un film svedese sottotitolato in francese, perché avrei potuto avere questo shock attraverso i film di Renoir dei quali pure conoscevo la musica delle frasi a memoria. Ma alla fine è stato UN'ESTATE D'AMORE che ha veramente fatto scattare in me questa voglia. Mi sono detto: «In fondo, posso scrivere delle scene d'amore!» Allo stesso modo MONICA E IL DESIDERIO è stato importante per I 400 COLPI, di cui è un po' una versione al femminile." ~ François Truffaut
Con James Caan, Laura Devon, Gail Hire, Charlene Holt, John Robert Crawford
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Hawks regge sempre magnificamente. La sua regia è un prodigio di chiarezza e semplicità. Ho adorato LINEA ROSSA 7000, che a Londra si proiettava davanti a platee vuote, e anche EL DORADO, che è abbastanza sfrenato e che avrà successo, almeno spero. Hawks e Hitchcock restano i due solidi pilastri di Hollywood, e anche Billy Wilder, che amo molto, specie per BACIAMI, STUPIDO." ~ François Truffaut
Con James Best, Susan Cummings, Harold Daye, Tom Pittman, Paul Dubov
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Mentre guardavo VERBOTEN, ho capito tutto quello che devo ancora imparare per dominare perfettamente un film, per dargli ritmo e stile, per fare uscire la bellezza da ogni scena senza rifugiarmi in effetti non rilevanti, per fare uscire la poesia il più semplicemente possibile senza mai forzarla. Samuel Fuller non è un principiante, è un primitivo, la sua mente non è rudimentale, è rude; i suoi film non sono semplicistici, sono semplici. Ed è questa semplicità che io ammiro più di tutto. Non possiamo imparare nulla da un Eisenstein o da un Orson Welles, perché il loro genio li rende inimitabili, e possiamo solo renderci ridicoli quando cerchiamo di imitarli posizionando la camera sul pavimento o sul soffitto. Al contrario, abbiamo tutto da imparare da quei talentuosi registi americani come Samuel Fuller che mettono la cinepresa «all'altezza dell'occhio umano» (Howard Hawks), che «non cercano, trovano» (Picasso). È impossibile davanti a un film di Fuller dire: occorreva fare altrimenti, occorreva andare più veloce, occorreva così, occorreva colà; le cose sono quelle che sono, filmate come si deve; è cinema immediato, incriticabile, irreprensibile, cinema dato più che assimilato, digerito, pensato. Fuller non si dà tempo di pensare, è evidente che è al massimo della sua gloria quando gira. Il fatto che un filmmaker, soverchiato dalla forza e dal potere dei documenti dei processi di Norimberga sugli orrori del nazismo e dei campi, abbia immaginato una storia fittizia attorno a loro in modo da inserirli nella vita e rimuoverli dalla crudele oggettività al fine di trarne una lezione morale, è una vigorosa e bellissima idea per il cinema. Specialmente se si pensa che i distributori americani non hanno mai voluto comprare i diritti di NOTTE E NEBBIA. È il fatto che il lavoro di questo filmmaker riesca ad eguagliare la forza, la crudezza, e la verità di quei famosi documenti, è questo che trovo favoloso in VERBOTEN.” ~ François Truffaut (1960)
Con Shirley Stoler, Tony Lo Bianco, Mary Jane Higby, Doris Roberts
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Negli ultimi 20 anni pochissimi film mi hanno fatto un'impressione più grande de I KILLERS DELLA LUNA DI MIELE." ~ François Truffaut (Cahiers du Cinéma, 1980)
Con Michel Simon, Roger Carel, Paul Préboist, Alain Cohen, Jacqueline Rouillard
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Per vent'anni ho atteso il «vero» film sulla «vera» Francia durante la «vera» Occupazione, il film sulla maggioranza dei francesi, quelli che non avevano a che fare nè con la collaborazione nè con la Resistenza, quelli che non facevano niente, sia buoni che cattivi, quelli che sopravvivevano come personaggi in un'opera di Beckett. Di recente PARIGI BRUCIA? ha provato a passarci un falso, ma è piaciuto solo ad un paio di vedove di generali. Ora il primo film di Claude Berri, IL VECCHIO E IL BAMBINO, dà un senso all'attesa. (...) Durante L'Occupazione ad un piccolo bambino ebreo viene dato un falso nome per essere poi affidato ad un lavoratore in pensione che vive vicino a Grenoble, un uomo che è accanitamente, ostinatamente, e imperturbabilmente antisemita. (...) C'erano diversi modi in cui Berri avrebbe potuto costruire il suo film. Avrebbe potuto essere commovente da spezzare il cuore, alla De Sica; pseudopoetico, alla Bourguignon; tematico, alla Cayatte. In tutti e tre i casi sarebbe stato odioso. Invece è vivo e buffo, privo di presupposti, diffidente riguardo ad ogni umanismo. (...) Se ricaviamo un così intenso piacere dal guardare questo film, è perché veniamo trasportati da una sorpresa all'altra. Non riusciamo mai a prevedere la scena successiva. Quando si verifica, approviamo, riconosciamo la sua verità e, al tempo stesso, siamo colpiti dalla follia che rivela. (...) Claude Berri ha colpito nel segno quando ha ritenuto di dover bilanciare il suo esplosivo tandem armoniosamente giustapponendo il lato infantile di Michel Simon alla precoce e tranquilla gravità della giovane star. Grazie a questo abbiamo una di quelle storie emozionanti che sono più vere e intense di qualsiasi love story. Succede ogni volta che qualcuno ha successo nel creare una situazione tra due persone dello stesso sesso senza cadere nella doppia trappola dell'endemico antagonismo o di un'amicizia senza alcuna nuvola. (...) Questo film comico e coraggioso mi ha commosso dall'inizio alla fine e mi ha dimostrato che gli uomini valgono più delle loro idee. (...) Quando vedo film tipo IL VECCHIO E IL BAMBINO provo un piacere immenso, perché mi sento meno solo, sento che la famiglia si è ingrandita. Allora mi dico: ecco qualcuno che è contento di usare del materiale umano che mi tocca da vicino, che mi parla di cose che conosco e riconosco e mi piacerebbe fare." ~ Francois Truffaut (1967)
Con Christophe Soto, Olivier Bousquet, Roselyne Vuillaume, Ann Zacharias
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"In LES DOIGTS DANS LA TÊTE il sentimento e il significato sociale sono combinati in maniera altrettanto armoniosa che in TONI, a cui ho spesso pensato mentre lo guardavo. Può sembrare strano paragonare la tragica storia giornalistica di Renoir, filmata alla luce del sole, alla commedia di Jacques Doillon che è stata girata tra le 4 mura della stanza da letto di una cameriera, ma i due film sono animati dallo stesso spirito. Sono vivi e calorosi. Anche se la critica sociale è presente in entrambi, è completamente integrata e logica ed esatta. Mentre guardavo il film ero interessato, sorpreso e divertito quanto lo erano i miei vicini di poltrona, ma non potevo evitare di pensare che la commedia avrebbe sterzato in direzione di un evento sanguinoso. Mi aspettavo un cadavere prima della fine. Vedrete che, anche se mi sbagliavo, non ero troppo lontano – ma LES DOIGTS DANS LA TÊTE è uno di quei film che, senza mai cadere in una specie di arbitraria fantasia, ci sorprende dall'inizio alla fine, eppure alla fine rendiamo omaggio alla sua integrità. Tutti i film più belli hanno questo tipo di logica. (...) LES DOIGTS DANS LA TÊTE dimostra anche che l'influenza di Bresson può essere, sta iniziando ad essere, costruttiva. Gli attori, sia amatoriali che professionisti, possono lasciarsi condurre lungo il sentiero antiteatrale che l'autore di LANCILLOTTO E GINEVRA proclama l'unica strada opportuna, sempre che non li porti a diventare sentenziosi. Su questo argomento, è interessante notare che ogni tre anni esce un certo film – ADIEU PHILIPPINE, JEANNE D'ARC, BANDE A PART, LA MIA NOTTE CON MAUDE, LES DOIGTS DANS LA TÊTE – che ci dà l'impressione che il più alto grado di autenticità nella recitazione sia ormai stato raggiunto. Fortunatamente, questa è solo un'impressione. La ricerca dell'autenticità nell'arte è come salire una scala senza fine." ~ François Truffaut (1974)
Con Jane Wyman, Sterling Hayden, Nancy Olson, Steve Forrest, Martha Hyer
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Robert Wise è un regista importante che è arrivato alla regia dal montaggio (è stato capo-montatore di Orson Welles per QUARTO POTERE e L'ORGOGLIO DEGLI AMBERSON). (...) Usando le sue caratteristiche qualità, Wise ha fatto di questo lungo melodramma una sorta di capolavoro. La sua forza come regista ci porta a sorvolare sulla alquanto semplicistica psicologia dei personaggi. Selena (Jane Wyman) è una figura ideale, la magnifica madre dalla perfetta dignità; ci ricorda la madre di Jouhandeau. L'emozione è contenuta lungo tutto il film, ma questo riserbo è un'astuzia supplementare dell'autore, calcolata per incoraggiare le lacrime che le donne del pubblico apparentemente non riescono a trattenere. Cinquant'anni di know-how cinematografico hanno creato una specie di tecnica totale per ciò che riguarda la costruzione della sceneggiatura, la direzione degli attori, e il superbo uso della cinepresa. SOLO PER TE HO VISSUTO porta il classico, tradizionale stile Hollywoodiano al suo più alto grado di efficacia." ~ François Truffaut (1954)
"Non so se il testo teatrale PICNIC di William Inge (che ha scritto anche TORNA, PICCOLA SHEBA e FERMATA D'AUTOBUS) sia un'opera di genio, ma la sceneggiatura di Daniel Taradash, diretta da Joshua Logan (che ha anche diretto la produzione a Broadway) ci va vicino. Con questa fetta di vita Logan dipinge un ritratto non malevolo dell'America quasi senza sentimentalismo. La severità è leggermente crudele, un po' come con Jean Renoir. Ma se uno deve vedere ELENA E GLI UOMINI un paio di volte per scoprire tutte le sue bellezze, non c'è niente in PICNIC che non sia chiaro dalla prima volta. Forse è per questo che PICNIC è più seducente del film di Renoir. Per spingere oltre il paragone, i film sono simili perché trascendono la semplice storia raccontata per immagini; offrono una visione dell'amore più autentica di quanto vediamo di solito sul grande schermo – amore che è carnale e, alla fine, disincantato. Joshua Logan ci lascia scegliere le emozioni in PICNIC: potete ridere o piangere per le stranezze dei suoi personaggi; ogni concetto porta entrambe le facce della medaglia, pathos e humor. Se Logan fosse più giovane, PICNIC sarebbe un film più crudele, ma anche più aperto e naif. Siccome ha 48 anni ed è solido, loquace e in salute, ha voluto dominare il suo soggetto e trattarlo comunque da una certa distanza. Credo che abbia fatto bene. Con Logan facciamo la conoscenza di un nuovo, grandissimo regista. Jacques Rivette l'ha chiamato «un Elia Kazan moltiplicato per Robert Aldrich». Ed è vero: PICNIC ti fa pensare a LA VALLE DELL'EDEN per la delicatezza dei dettagli e a VERA CRUZ per la sua brillantezza. Dopo aver visto PICNIC e FERMATA D'AUTOBUS, considero Logan un regista così dotato (in termini di direzione degli attori, camera work, miglioramento della sceneggiatura, chiarezza) che credo che l'unico modo in cui potrebbe rovinare un film è di proposito. (...) PICNIC, che io preferisco a FERMATA D'AUTOBUS, è sempre inventivo; ogni immagine è piena di energia. Logan vuole che ridiamo durante una scena triste e, all'opposto, che ci sentiamo tristi durante una divertente. Ci abbindola, ed il pubblico che riempie le sale può solo esserne incantato." ~ Francois Truffaut (1955)
Con John Wayne, Janet Leigh, Jay C. Flippen, Paul Fix, Richard Rober
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"IL PILOTA RAZZO E LA BELLA SIBERIANA è un film di propaganda anti-sovietica realizzato nel 1950 da Joseph von Sternberg, l'illustre regista de L'ANGELO AZZURRO, LE NOTTI DI CHICAGO, I MISTERI DI SHANGAI, L'ISOLA DELLA DONNA CONTESA. È una classica commedia americana sulla falsariga del tema di NINOTCHKA: un idillio tra un aviatore americano e un'aviatrice sovietica, e la conversione di lei alle gioie del mondo capitalista. Non è un film amabile e non è ispirato da nessuna ideologia. Cerca solo di dimostrare che l'aviazione americana è la migliore e che la vita in Russia è un incubo. (...) È un film fatto «su ordinazione» dall'austero e meticoloso von Sternberg, che ora nega ogni responsabilità, dal momento che il montaggio è stato fatto senza di lui e contro i suoi desideri svariati anni dopo le riprese. Howard Hughes, il produttore, è un avido pilota ed è stato il più capriccioso e tirannico dei suoi sostenitori. Eppure, abbastanza sorprendentemente, è un film riuscito, e addirittura magnifico. (...) Cosa rende questo film un buon film a dispetto di se stesso? Le scene tra John Wayne e Janet Leigh sono dirette con un'arte, una capacità creativa e un'intelligenza che lascia un segno su ogni immagine. E l'erotismo è il più insidioso, sottile, efficace e raffinato possibile. Non dimenticherò mai la scena in cui Wayne deve perquisire la Leigh, che indossa una tuta da pilota con tasche sui seni e sull'addome. (...) Sapevamo già che erano le donne che interessavano a von Sternberg; siccome doveva «anche» filmare degli aeroplani per metà film, è riuscito in qualche modo ad «umanizzarli» con un'abilità che toglie il fiato. Quando l'apparecchio pilotato da Janet Leigh appare nel cielo, volando accanto a quello di Wayne, e noi sentiamo i loro discorsi amorosi via radio, siamo nel reame dell'emozione pura, espressa poeticamente. L'inventiva e la bellezza ci si incastra in gola. Certo, lo scopo del film è la stupida propaganda, ma Sternberg costantemente la devia al punto che le lacrime ci salgono agli occhi di fronte a tanta bellezza. Come quando l'aereo maschio e l'aereo femmina si cercano, si trovano, volano uno sull'altro, si dibattono, si calmano e infine volano fianco a fianco. Aerei che fanno l'amore." ~ Francois Truffaut (1958)
Con Anthony Perkins, Karl Malden, Norma Moore, Adam Williams
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Uno dei migliori film americani dell'anno. (...) PRIGIONIERO DELLA PAURA è il primo film di un giovane regista americano, Robert Mulligan. Come Sidney Lumet, Mulligan viene dalla televisione, ma se nessuno ve l'avesse detto non potreste saperlo. PRIGIONIERO DELLA PAURA, a differenza di LA PAROLA AI GIURATI, è completamente cinematografico. Il suo realismo, la verità dei suoi set e dei fatti narrati, e la stilizzazione della recitazione, lo collocano nella «scuola newyorchese», lo stile imposto da Elia Kazan nei suoi film più recenti, una maniera deliberatamente anti-hollywodiana. È la storia di un ragazzo attraverso il quale il padre realizza i suoi sogni di essere un giocatore di baseball. Il padre lo allena e lo sfinisce fino a che non diventa un professionista. Com'era prevedibile i nervi del giovane campione cedono e lui finisce per crollare. Il film termina con la sua prima sessione di psicanalisi. (...) È raro vedere un primo film così privo di errori ed esagerazioni. Tutto ha la giusta proporzione; nessuna scena è inferiore alla seguente in questo film sereno, calmo, sincero, la cui alta qualità suggerirebbe una lunga e solida esperienza. L'impresa poggia saldamente sulle ampie spalle di Karl Malden, il padre, e sulle considerevolmente più fragili spalle del giovane Anthony Perkins, che combina la semplicità delle giovani star della vecchia generazione, Jimmy Stewart e Gary Cooper, con la modernità fisica di Brando e James Dean, senza mai ricorrere a trucchi o esibizionismi. PRIGIONIERO DELLA PAURA è un film amaro e disilluso che non ti fa desiderare di vivere in America. Ma se ci fossero dei registi francesi lucidi e talentuosi quanto Mulligan, altrettanto capaci di raccontare qualcosa più di un aneddoto, l'immagine del nostro paese sul grande schermo sarebbe un po' meno iper-semplificata." ~ Francois Truffaut (1958)
Con Jean Gabin, Bourvil, Louis de Funès, Jeannette Betti, Robert Arnoux
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Da IL DIAVOLO IN CORPO a MARGHERITA DELLA NOTTE ho costantemente attaccato Claude Autant-Lara ed ho sempre deplorato la sua tendenza a semplificare tutto, a rendere tutto blando. Non mi piaceva la grossolanità con cui ha «codensato» Stendhal, Radiguet, Colette. Mi sembrava che avesse deformato e annacquato lo spirito di ogni lavoro da lui adattato. Autant-Lara mi sembrava un macellaio che insistesse a cercare di fare merletti. Ma ammiro senza alcuna riserva LA TRAVERSATA DI PARIGI. Credo che sia un completo successo perché Autant-Lara ha finalmente trovato il soggetto che stava cercando – una trama fatta a sua immagine, una storia che la sua truculenza, la sua tendenza all'esagerazione, alla durezza, alla volgarità e all'oltraggio, invece di daneggiare, eleva invece fino all'epica. Durante l'Occupazione, due francesi passano la notte a camminare per Parigi (ricreata in studio) nel mezzo di un blackout, cercando di far arrivare clandestinamente un maiale al mercato nero. Il film semplicemente riproduce il loro viaggio e la loro conversazione, un dialogo sia banale che teatrale, e il migliore che si sia sentito in un film francese da molto tempo. (...) LA TRAVERSATA DI PARIGI è adattato da un racconto di Marcel Aymé. L'audacia (per il cinema) del linguaggio non sarebbe la stessa a teatro, in un'opera come Aspettando Godot, ma i film raramente ci danno l'opportunità di ascoltare la parlata del francese «medio». (...) Il personaggio di Bourvil, un piccolo uomo calpestato dalla vita, una persona in ginocchio, innocente e colpevole al tempo stesso, rappresenta un'assoluta verità. Jean Gabin lo interpreta come una sintesi del pittore Gen Paul (nello spirito di Marcel Aymé), Jacques Prevert, e delle ambizioni anarchiche di Jean Aurenche (lo sceneggiatore - ndt) e Claude Autant-Lara. Il personaggio rimane un po' letterario e artificiale, ma ciononostante possiede una grande forza. Gli autori avrebbero potuto approfondire ulteriormente il loro ritratto della malvagità, e probabilmente volevano farlo, ma è un pensiero che sorge solo dopo, quando lo stupore si è consumato. Una verve molto simile a quella di Celine e un'insistente ferocia dominano il film, che però si salva dal cadere nella cattiveria grazie ad alcune note emozionanti che ci travolgono, in particolare quelle nelle scene finali." ~ François Truffaut (1956)
"Sono convinto che LA FINESTRA SUL CORTILE sia uno dei più importanti tra i film che Hitchcock ha fatto a Hollywood, uno di quei rari film senza imperfezioni o fragilità, che non concede nulla. (...) LA FINESTRA SUL CORTILE va oltre il pessimismo, è veramente un film crudele. James Stewart fissa le sue lenti sui suoi vicini solo per coglierli in momenti di fallimento, in pose ridicole, quando appaiono grotteschi o addirittura odiosi. La costruzione assomiglia molto a una composizione musicale: svariati temi sono intrecciati e sono in perfetto contrappunto tra di loro – matrimonio, suicidio, degradazione, e morte – immersi in un raffinato erotismo. L'impassività e l'obiettività di Hitchcock sono più apparenti che reali. Nel trattamento della trama, la direzione, i set, la recitazione, i dettagli, e specialmente nel tono inusuale che include realismo, poesia, humor macabro e pura favola, c'è una visione del mondo che confina con la misantropia. (...) Credo che LA FINESTRA SUL CORTILE sia il primo film in cui Hitchcock si sia rivelato fino a tal punto. L'onesta soggettività del film irrompe da ogni ripresa, e tanto più perché il tono è ancorato come al solito al suo interesse per il film come spettacolo, e cioè al suo appeal commerciale. È davvero una questione che riguarda l'atteggiamento morale di un regista che guarda al mondo con l'esagerata severità di un puritano che eccita i sensi. (...) Di fronte a un film così strano e così nuovo tendiamo un po' a dimenticarne l'incredibile virtuosismo. Ogni scena da sola è una scommessa che è stata vinta. Lo sforzo di ottenere freschezza e novità influenza i movimenti di camera, gli effetti speciali, il décor, il colore. (Pensate agli occhiali con la montatura dorata dell'assassino illuminati nel buio solo dall'intermittente bagliore della sigaretta!) Chiunque abbia perfettamente compreso LA FINESTRA SUL CORTILE (cosa non possibile in una sola visione) può, se lo desidera, detestarlo e rifiutare di essere coinvolto in un gioco in cui il nero dei personaggi è la regola. Ma è raro trovare una così precisa idea del mondo in un film a cui dobbiamo rendere merito per il suo successo, che è indiscutibile." ~ François Truffaut (1954)
"Il miglior narratore di storie, attualmente (1968), è Rohmer. Ne LA COLLEZIONISTA, il cinema è al servizio di una narrazione ad un tempo straordinariamente sottile e semplice. Il film avanza con una sicurezza tranquilla di cui si troveranno pochi esempi nel cinema francese: bisognerebbe tornare a UN CONDANNATO A MORTE È FUGGITO, dove si percepiva questo dominio. Questo controllo è esercitato simultaneamente su ogni piano del film e sull'insieme. LA COLLEZIONISTA mi è apparso grandioso per la certezza che si sente dietro ogni inquadratura, ad ogni cambio di piano, del genere «è così e non diversamente». Visivamente LA COLLEZIONISTA è altrettanto bello, di una bellezza altrettanto neutra e discreta dell'Hitchcock della serie Vistavision. Invece di alternare, come in tutti i film, delle scene di giorno e delle scene di notte, Rohmer è riuscito a farci prendere coscienza di ogni ora della giornata, ha addomesticato il sole, la luce, le ombre, tutto questo senza «effetti» esteriori per la storia raccontata." ~ François Truffaut
Con Kinuyo Tanaka, Teiji Takahashi, Yuko Mochizuki, Seiji Miyaguchi
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Si sa che una parte piuttosto larga della produzione filmica giapponese è concepita per l'esportazione. È il caso de LA PORTA DELL'INFERNO, ad esempio, che i critici giapponesi piuttosto correttamente non hanno trovato importante. La confusione riguardo ai primi film giapponesi usciti in Francia, col peggio mescolato indiscriminatamente con due o tre capolavori, quando tutti quanti vengono presentati come capolavori, ha compromesso la loro distribuzione in Francia nei cinema d'arte e di sperimentazione. Il più bel film giapponese che abbiamo potuto vedere, davvero uno dei più bei film al mondo, I RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA D'AGOSTO di Mizoguchi, che è già stato sottotitolato in francese, è ancora in attesa di un distributore abbastanza perspicace da farlo uscire nei cinema di Parigi. LA LEGGENDA DI NARAYAMA di Keisuke Kinoshita è un film difficile da distribuire in Europa. È meno plasticamente bello dei film di Mizoguchi che abbiamo visto alla Cinematheque o nei festival, sebbene nella stessa tradizione. Ci ricorda Ophuls per il suo audace uso del CinemaScope, dei colori e, curiosamente, dei movimenti di camera. Quando gli anziani di un certo villaggio dove una ciotola di riso sfama un uomo per svariati mesi raggiungono i settant'anni, vengono lasciati sulla sommità del monte Narayama perché non siano più un peso per le loro famiglie. Quando viene il momento, e lei lo domanda, il figlio coscienzioso deve portarci la vecchia madre caricandosela in spalla. L'eroe di questo film deve anche portare in spalla suo padre in cima alla montagna come uno zaino da scalatore. Lascia l'anziano in una fessura tra le rocce e ritorna al villaggio, più leggero nel fisico, ma col cuore più pesante. Gli avvoltoi cominciano a volare attorno alla vetta. Quando inizia a nevicare, l'eroe pieno di rimorso torna indietro e ritrova il padre morto, congelato, trasformato in una statua. È un'immagine che non vediamo tutti i giorni. La cosa sbalorditiva è che questa leggenda crudele e disumana è trattata solo nei suoi aspetti più umani. Ci sono evasioni, eccezioni, temporeggiamenti. Il vecchio non vuole andare sulla montagna così ritarda ripetutamente la partenza. L'anziana donna vuole andare, ma prima di partire si rompe un dente su un sasso così che non sarà più in grado di mangiare cibo solido. Ci ritorna in mente a viva forza «Finale di partita» di Beckett e gli ultimi pasti di porridge quando affrontiamo questo grandioso e terribile ritratto di umane rovine. Certo, questi non sono film da guardare dalle cinque alle sette, ma più tardi nella notte, prima di andare a dormire...forse per sempre. Mio Dio, che magnifico film!" ~ François Truffaut (1958)
Con Nicole Stéphane, Edouard Dermithe, Renée Cosima, Jacques Bernard, Melvyn Martin
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
"Quando questo film di Cocteau e Melville apparve nel 1950, non assomigliava a nient'altro che si facesse in Francia a quel tempo. I RAGAZZI TERRIBILI riproponeva il profondo, potente, ammaliante fascino del romanzo, interpretato fedelmente, un romanzo in cui tutti quelli che erano giovani negli anni '30 si erano riconosciuti. Dopo anni continuo ad ammirare Nicole Stephane, che fa traboccare più che recitare il ruolo di Elizabeth dalle sue labbra incredibilmente generose. Mi piace anche la languida solennità di Edouard Dhermit nel ruolo di suo fratello Paul. La sua recitazione, a quei tempi controversa quanto quella di Nora Gregor in LA REGOLA DEL GIOCO, mi emoziona ancora. «Amare ed essere amati, questo è l'ideale...sempre che entrambe le cose coinvolgano la stessa persona. Spesso accade il contrario.» In «Le Grand Ecart» Jean Cocteau aveva annunciato sei anni prima la profonda materia de I RAGAZZI TERRIBILI. Non c'è alcun bisogno di distinguere attentamente quel che è di Melville e quel che è di Cocteau in questo concerto a quattro mani; la quieta forza del primo è ben servita dalla scrittura vivace del secondo. Questi due artisti hanno lavorato insieme come Bach e Vivaldi. Il miglior romanzo di Cocteau è diventato il miglior film di Jean-Pierre Melville. Il dramma de I RAGAZZI TERRIBILI, uno dei pochi film veramente olfattivi nella storia del cinema (il suo odore è quello delle stanze dei bambini malati), procede e cresce per scoppi, come un'inquietante linea spezzata su un grafico delle temperature. Questa poesia da ospedale non diverrà mai obsoleta, non finché giovani e vecchi in ugual modo restano capaci di ammalarsi di mal d'amore." ~ François Truffaut (1974)
"BLINKETY BLANK è un film a colori di quattro minuti realizzato senza una cinepresa. McLaren ha disegnato direttamente sulla pellicola una serie di motivi e di figure astratte per creare un balletto erotico di elementi maschili e femminili che s'incontrano. Il suono è anch'esso stampato direttamente sulla pellicola. Quello che è davvero straordinario, a parte la bellezza dei disegni e la loro brillantezza, è che McLaren sia riuscito a far ridere tutto il pubblico del cinema con delle semplici curve intraviste per meno di mezzo secondo accompagnate da un po' di rumori sintetici. BLINKETY BLANK è un lavoro assolutamente unico che non assomiglia a nulla che sia stato fatto in settant'anni di regia cinematografica. In questo «piccolo grande film» che dura solo quattro minuti, c'è tutta la fantasia di Giraudoux, la maestria di Hitchcock, e l'immaginazione di Cocteau. Nella notte di un cinema buio, BLINKETY BLANK, con lampi colorati di fulmini estivi e clic-clac sintetici, crea un nuovo mito – l'oca dagli occhi d'oro." ~ François Truffaut (1957)
Con Anna Karina, Elsa Martinelli, Michel Piccoli, Jean Sorel, Philippe Avron, Joanna Shimkus
consigliato da FRANÇOIS TRUFFAUT
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LA FIANCÉE DES TENEBRES(Serge de Poligny, 1945, Francia) A Carcassonne l'orfana Sylvie vive insieme a monsieur Toulzac, un anziano insegnante divenuto impotente che l'ha accolta in casa e che ha consacrato la vita alla scoperta del segreto dei Catari. Sylvie è persuasa di portare sfortuna agli uomini che ama. Sui bastioni della città incontra il compositore Roland Samblanca, che è appena tornato nella sua città natale con la famiglia. Su richiesta di monsieur Toulzac Sylvie si inoltra in una cattedrale sotterranea per cercare il santuario degli Albigesi. Roland la segue. Nel momento in cui lei gli confessa il suo amore la cattedrale crolla... ~ (telerama.fr)
"All'epoca c'era tutta una vena fantastica nel cinema francese. Io allora amavo qualsiasi film del momento che fosse un po' folle. Di conseguenza mettevo sullo stesso piano cose di qualità e atre cose sicuramente meno buone come LA FIANCÉE DES TÉNÈBRES, che adoravo. Era molto strano: con Jany Holt... E anche LE BARON FANTÔME... Mi ricordo di un film che ho visto...ero veramente un marmocchio, è stato a Montauban, s'intitolava L'ULTIMO BACIO... In ogni caso ero uno spettatore sovversivo. A favore del regista, contro il pubblico. Sempre. Ero per il ridicolo, per l'audace, lo sfacciato... Il lirismo, sempre, sempre il lirismo." ~ François Truffaut (1975)
VACANCES PORTUGAISES(Pierre Kast, 1963, Francia) Jean-Pierre (Jean-Pierre Aumont) e Françoise (Françoise Prévost) sono sposati e passano l'inverno in Portogallo. Siccome sentono la mancanza di Parigi decidono d'invitare per un weekend un gruppo di amici di entrambi i sessi. Tutti gli ospiti arrivano, bevono whisky, fanno escursioni insieme e fanno a chi flirta di più. Michel (Michel Auclair) è accompagnato da Catherine (Catherine Deneuve), sua figlia, e da Mathilde (Françoise Arnoul), la sua segretaria. Questa diventerà la sua amante, nel frattempo il padre incoraggia la figlia a tentare la fortuna con Bernard (Bernard Wicki), seducente cinquantenne. Più intelligente o più prudente, Bernard la congeda gentilmente. Daniel (Daniel Gélin) e Barbara (Barbara Laage) sono stati sposati; fanno finta d'ignorarsi ma scoprono che si amano ancora. Eleonore (Françoise Brion) vorrebbe spingere Jean-Marc (Jean-Marc Bory) a dichiararsi; per questo flirta con Pierre (Pierre Vaneck), ed è con lui che ripartirà. Jacques (Jacques Doniol-Valcroze) trascina Geneviève (Michèle Girardon), la sua amante, da una scenata a una riconciliazione commossa. Non succede nient'altro. Terminato il weekend, Jean-Pierre torna ai robot che costruisce e Françoise al suo ozio. Soli, Michel e Mathilde preferiranno "soffrire insieme che soffrire separati..." ~ (www.unifrance.org)
"I personaggi in VACANCES PORTUGAISES di Pierre Kast sono intellettuali; raramente vediamo tali persone nei film, e molto, molto raramente li vediamo ritratti in modo convincente. Come chiunque altro, gli intellettuali rimangono invischiati in storie d'amore, ma loro ne parlano di più, e spesso con grande chiarezza. Un film del genere, sincero e sensibile, delicato e acuto, con integrità emotiva e una straordinaria autenticità di tono, dovrebbe avere degli intellettuali come suo pubblico primario. Apparentemente, però, non accade; loro sembrano preferire i Western, anche quelli brutti." ~ François Truffaut (1964)
JUVENILE PASSION / CRAZED FRUIT(Yasushi "Kō" Nakahira, 1956, Giappone) Haruji e Natsuhisa sono fratelli. Vivono una vita privilegiata e fortunata. Le loro ampie dimore distano solo un breve viaggio in treno dall'oceano. Lì possono solcare in barca le splendide, tranquille acque che circondano il Giappone, e uscire con gli altrettanto indolenti amici di università di Natsuhisa. I giorni trascorrono a giocare d'azzardo o sulla spiaggia. Le notti sono fatte per passare da una discoteca all'altra – e da una ragazza all'altra. Un giorno Haruji incontra Eri, una ragazza molto carina e amichevole che si prende un'immediata cotta per lui. Naturalmente, Natsuhisa è divertito. Non ha mai visto il suo fratellino come un donnaiolo, ed Eri sembra fuori dalla sua portata. Ma mentre il giovane comincia ad uscire con la misteriosa fanciulla, il divertimento si muta in preoccupazione. Natsuhisa scopre un segreto di Eri, un aspetto clandestino della sua vita di cui subito si approfitta. Alla fine è fratello contro fratello, in un triangolo amoroso pieno di amaro risentimento ed emozioni represse. ~ (dvdtalk.com)
"Sembra chiaro che JUVENILE PASSION sia stato influenzato da PIACE A TROPPI, che circolava in Giappone nello stesso periodo in cui è uscito in Francia. Come nel primo film di Vadim ci vengono mostrati due fratelli che diventano amanti uno dopo l'altro di una giovane donna sposata infelicemente ad un americano. Trovo il film giapponese superiore al suo modello francese sotto ogni aspetto: script, direzione, recitazione, spirito. Il personaggio della giovane donna è notevole. All'inizio, quando i due ragazzi la incontrano sulla banchina della stazione lei porta un bouquet bianco, una gonna larga, occhiali scuri, noi crediamo veramente come loro che lei sia una nota civetta, inaccessibile. Più tardi immaginiamo che lei sia innamorata di Haruji, il fratello timido, ma scommetteremmo la testa che lui è vergine. Solo più avanti lei si sposerà; questa scena è recitata con una tale finezza che ci rimprovereremo per non aver capito la verità. Per comprare il silenzio del fratello sfacciato, si darà a lui, e poi si darà anche al fratello timido, che l'ha amata dal principio. Non c'è niente della sgualdrina in Elri. Riusciamo subito ad accettare che è una sposa infelice; è innamorata del timido Haruji per la purezza del suo cuore; ed è anche innamorata dell'avventato Natshuhisa perché la eccita fisicamente. Non c'è nulla di aggressivo o di paradossale in questa situazione. Vadim è sconfitto sul suo stesso terreno, perché il regista Nakahira senza sforzo ci permette di simpatizzare con ognuno dei suoi personaggi in ogni circostanza. La direzione è da ammirare per inventiva e anticonformismo. Le transizioni sono difficili perché vengono accostate inquadrature che non si assomigliano per niente. Sembrerebbe chiaro che ci sia stata molta improvvisazione; le riprese sono piene di idee che non potevano essere previste. (...) La gioventù va di fretta, è impaziente, sprizza ogni sorta di idea concreta. I registi giovani devono girare i loro film con furia, film in cui i personaggi vanno di fretta, in cui le inquadrature fanno a gara per arrivare sullo schermo prima del «The End», film che contengono le loro idee. Più in là, questa successione di idee lascerà il posto ad una grande idea prevalente, e allora i critici si lamenteranno del fatto che un filmmaker promettente è invecchiato. E con ciò? (...) JUVENILE PASSION è stato girato in diciassette giorni." ~ François Truffaut (1958)
LES GANTS BLANCS DU DIABLE(László Szabó, 1972, Francia) L'assassinio di un cliente abituale del "Whisky bar" porta un poliziotto buddista sulla pista di uno strano affare che lega il padrone del locale a un losco politico. Il politico, che traffica droga e si serve di assassini patentati, cerca di trovare tra i suoi debitori un colpevole ideale al fine di orientare altrove il lavoro della polizia, proprio mentre diventa il bersaglio di un sicario cieco... Poliziesco mattoide e satirico che denuncia certi ambienti in cui coesistono personaggi politici e criminalità. ~ (Wikipedia + telerama.fr)
"L'azzardo (e lo è) non ha le migliori probabilità di riuscita, e Laszlo Szabo non è il primo filmmaker europeo a gettare occhiate bramose a Stuart Heisler e ad UN BACIO E UNA PISTOLA. L'abbiamo già visto; sappiamo tutti che il crime-movie quasi mai ricambia l'amore che i filmmakers francesi gli riservano. Il fatto è che l'azione dei romanzi polizieschi si svolge in un paese immaginario. Se uno accetta questa idea, ammetterà forse che LA BELLA E LA BESTIA di Jean Cocteau ad oggi rimanga il miglior equivalente francese del mondo di William Irish o David Goodis. Dovreste vedere LES GANTS BLANCS DU DIABLE: è precisamente il ponte tra Cocteau e Goodis, o tra Godard (di UNA STORIA AMERICANA) e Hawks (de IL GRANDE SONNO). Filmato in 16 mm. a colori, il film di Szabo ci porta nel paese immaginario dei romanzi polizieschi – in quel mondo chiuso che deve a tutti i costi rimanere indistinto non permettendo alle immagini del cielo o del sole, che sommergono quasi tutti i film a colori contemporanei, di intromettersi. (...) La musica di Karl-Heinz Schaefer è la più bella che abbia sentito in qualsiasi film recente; si muove a braccetto con lo stile coloristico alla JOHNNY GUITAR, un approccio al colore che sa davvero come spaventarci con i suoi gialli, verdi e rossi." ~ François Truffaut (1973)
LES AMIS(Gerard Blain, 1971, Francia) Parigi. Paul, 16 anni, vive con la madre, che è divorziata e non si cura di lui. Incontra Philippe, sposato senza figli, un tipografo quadragenario che non trova più l'affetto che si attendeva accanto alla sua sposa. Philippe e Paul si scambiano vicendevolmente la tenerezza e la comprensione che manca ad entrambi. Paul sente di avere delle doti artistiche e Philippe lo incoraggia a perseguire quella strada. Durante il loro soggiorno a Deauville, Paul si lega ad un gruppo di giovani della sua età e più in particolare a Marie-Laure, una delle ragazze del gruppo, della quale si innamora rapidamente. Ma il flirt non è altro che un divertimento per quest'ultima e Paul trova consolazione sulla spalla comprensiva di Philippe. Sempre grazie al suo sostegno Paul segue anche dei corsi d'arte drammatica, in cui ottiene eccellenti risultati. Fino al giorno in cui Philippe ha un terribile incidente stradale... ~ (Wikipedia)
"Come attore Gerard Blain aveva la reputazione di essere testardo, e la reputazione era certamente giustificata. (...) LES AMIS, in cui non recita anche se l'ha scritto e diretto, prova che Blain aveva buone ragioni per essere difficile ed esigente nel suo lavoro. Questo potenziale filmmaker ora dimostra di essere un potente filmmaker davvero, perché è completamente logico. La logica – la logica dell'insieme, del suo stile e dell'esecuzione delle sue intenzioni – riassume l'unico tratto comune ai buoni filmmakers secondo la mia opinione. LES AMIS racconta la storia, con grande logica ovviamente, di un legame emotivo tra un uomo ricco e sposato e un giovane uomo, povero e bello. I due protagonisti sono scelti bene e sono puntati nella giusta direzione (non mi piace la parola «diretti» usata riguardo agli artisti, o riguardo ai civili se è per questo), e la loro laconica compostezza evidenzia l'ordinarietà di situazioni che si potrebbe supporre essere eccezionali. Il plot di LES AMIS ha la franchezza non di una confessione, ma dell'esperienza. Non c'è niente di imbarazzato, niente di cinico. Sullo schermo vedrete quel che è naturale, dal primo fotogramma al «The End». (...) L'intero film procede con semplicità e logica: non ci sono abbellimenti, decorazioni, non una singola ripresa superflua. Grazie alla sua assoluta correttezza di tono, alla sua affettuosa ironia, e alla precisione delle sue intenzioni, LES AMIS si è appena aggiunto alla lista dei debutti che sono stati anche rivelazioni: DESIDERI NEL SOLE di Rozier, IL SEGNO DEL LEONE di Rohmer, IL VECCHIO E IL BAMBINO di Berri, MORE di Barbet Schroeder, L'ENFANCE NUE di Pialat." ~ François Truffaut (1972)
THE MAGIC GARDEN / THE PENNYWHISTLE BLUES (Donald Swanson, 1951, Gran Bretagna / Sud Africa) Una normale e tranquilla domenica mattina in un sobborgo indigeno di Johannesburg, un anziano uomo di colore fa una grande donazione dei risparmi di una vita, 40 sterline, al suo prete. E mentre i due stanno pregando per un'indicazione celeste su come i soldi dovrebbero essere spesi per aiutare la moltitudine dei bisognosi, un ladro glieli ruba e via che se ne va attraverso il portone della chiesa, col vecchio e il prete all'inseguimento che gridano «Fermati, ladro!» e destano l'intero quartiere. Così inizia la storia. Ma prima che arrivi a una fine, con i soldi di nuovo nelle mani del prete e il ladro, un furfante inafferrabile, nelle pesanti mani della polizia, le 40 sterline avranno accidentalmente reso un servizio maggiore per la causa del bene, tramite svariati ignari nativi, di quanto avrebbero potuto mai fare altrimenti. Senza scendere nei dettagli, si tratta di una questione di denaro che cambia di mano mentre il ladro lo nasconde o lo perde, poi lo ri-ruba, per una sequenza di turbolenti avventure. Ma tutta la cosa è fatta con un tale trasporto, una tale fantasiosa impudenza, e un tale ritmo gioioso e insinuante sviluppato attraverso la musica jazz di un flauto di latta con chitarre, che la fantasia prende slancio, l'umorismo dei guai si moltiplica e, prima che ve ne accorgiate, siete in un turbine folle che farebbe onore a Renè Clair. Questo spensierato piccolo film che Donald Swanson, un inglese, ha realizzato in un quartiere di Johannesburg con un cast di soli neri tutti non professionisti, è una fiaba così ingenua – uno scherzo così geniale e caotico – che le sue serie e toccanti implicazioni possono andar perdute tra le capriole del suo divertimento... ~ (nytimes.com)
LISTA COMPLETA di TRUFFAUT
FILM AMERICANI PREFERITI fino al '64 (muti esclusi)
- Scarface (Hawks) - Sono innocente (Lang) - L'orgoglio degli Amberson (Welles) - Notorious (Hitchcock) - La donna della spiaggia (Renoir) - L'isola della donna contesa (Von Sternberg) - Johnny Guitar (N. Ray) - La finestra sul cortile (Hitchcock) - Un re a New York (Chaplin) - Intrigo internazionale (Hitchcock)
FILM FRANCESI PREFERITI dalla Liberazione fino al '65
- Amanti perduti (Carné) - Ho ucciso mia moglie (Guitry) - La carrozza d' oro (Renoir) - Notte e nebbia (Resnais) - Lola Montès (Ophuls) - Fino all'ultimo respiro (Godard) - Otto ore al buio (Gatti) - Il testamento di Orfeo (Cocteau) - Il processo di Giovanna d'Arco (Bresson) - Les Parapluies de Cherbourg (Demy)
ALTRI PREFERITI
- Paradiso perduto (Gance) - Il Corvo (Clouzot) - L'amore e il diavolo (Carnè) - La fiancée des tenebres (de Poligny) - Piace a troppi (Vadim) - L'infernale Quinlan (Welles) - Quarto potere (Welles) - Romanzo di un baro (Guitry) - Lettera da una sconosciuta (Ophüls) - Un condannato a morte è fuggito (Bresson) - Le notti di Cabiria (Fellini) - 8½ (Fellini) - Il Casanova (Fellini) - Siamo donne (Rossellini) - L'Amore (Rossellini) - Germania anno zero (Rossellini) - Viaggio in Italia (Rossellini) - Il diario di una cameriera (Renoir) - La marsigliese (Renoir) - La regola del gioco (Renoir) - Toni (Renoir) - Cantando sotto la pioggia (Kelly/Donen) - La costola di Adamo (Cukor) - La ragazza del secolo (Cukor) - Un'estate d'amore (Bergman) - Monica e il desiderio (Bergman) - Fratelli messicani (Ulmer) - Tutti gli uomini del presidente (Pakula) - Casco d'oro (Becker) - Il buco (Becker) - Estasi di un delitto (Buñuel) - Tristana (Buñuel) - Duel (Spielberg) - L'enigma di Kaspar Hauser (Herzog) - Rapsodia per un killer (Toback) - Femmine folli (von Stroheim) - Gangster cerca moglie (Tashlin) - Hollywood o morte! (Tashlin) - I killers della luna di miele (Kastle) - Il grande sonno (Hawks) - Gli uomini preferiscono le bionde (Hawks) - Il grande cielo (Hawks) - Linea rossa 7000 (Hawks) - Baciami stupido (Wilder) - Io confesso (Hitchcock) - Caccia al ladro (Hitchcock) - Il ladro (Hitchcock) - Giovane e innocente (Hitchcock) - Rebecca (Hitchcock) - La donna che visse due volte (Hitchcock) - L'ombra del dubbio (Hitchcock) - La signora scompare (Hitchcock) - Il delitto perfetto (Hitchcock) - Marnie (Hitchcock) - Un bacio e una pistola (Aldrich) - Il grande coltello (Aldrich) - La mia notte con Maud (Rohmer) - La morte corre sul fiume (Laughton) - Le due orfanelle (Griffith) - Un uomo tranquillo (Ford) - Aurora (Murnau) - Mancia competente (Lubitsch) - Vogliamo vivere! (Lubitsch) - I Racconti della luna pallida d'agosto (Mizoguchi) - Vita di O-Haru, donna galente (Mizoguchi) - L'intendente Sansho (Mizoguchi) - Verboten, forbidden, proibito (Fuller) - Questa è la mia vita (Godard) - Zero in condotta (Vigo) - L'Atalante (Vigo) - Ordet – La parola (Dreyer) - Dies irae (Dreyer) - Les Mauvaises Rencontres (Astruc) - Vacances Portugaises (Kast) - Juvenile Passion / Crazed fruit (Yasushi "Kō" Nakahira) - Les Doigts dans la Tête (Doillon) - Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre (Sautet) - Les Gants Blancs du Diable (L. Szabo) - Les Amis (Blain) - More (Schroeder) - Le beau Serge (Chabrol) - Les amants (Malle) - Fuoco fatuo (Malle) - Adieu Philippine (Rozier) - Il vecchio e il bambino (Berri) - Solo per te ho vissuto (Wise) - Destinazione Mongolia (Wise) - Picnic (Logan) - The Pennywhistle Blues / The Magic Garden (Swanson) - Il pilota razzo e la bella siberiana (von Sternberg) - La divina (Cromwell) - Jack Diamond Gangster (Boetticher) - L'asso di picche (Forman) - La calda pelle (Jean Aurel) - Gioventù bruciata (N. Ray) - Le notti bianche (Visconti) - Furia selvaggia (A. Penn) - Uomini in guerra (A. Mann) - Prigioniero della paura (Mulligan) - La traversata di Parigi (Autant-Lara) - La collezionista (Rohmer) - I ragazzi terribili (Melville) - La leggenda di Narayama (Kinoshita) - Blinkity Blank (McLaren)
Fonti: "Truffaut" di Annette Insdorf; "Le Cinema selon François Truffaut" a cura di Anne Gillain; theyshootpictures.com; "I Film della mia vita" di F. Truffaut; Cahiers du Cinéma '54 / '65; spazioinwind.libero.it/rivistaomnibus;
"Senza essere cinefili, i miei genitori seguivano gli spettacoli e parlavano tra di loro dei film importanti. Questo dirigeva il mio gusto. Mi portavano a vedere certi film, ma presi abbastanza in fretta l'abitudine di andare a vedere di nascosto quelli che non mi portavano a vedere. Siccome i miei genitori uscivano una sera sì e una no, uscivo pure io, dieci minuti dopo di loro, per andare al cinema, in genere nella sala più vicina. Non mi godevo la serata perché l'angoscia di essere scoperto e di rientrare dopo di loro era troppo forte. La seconda metà del film era rovinata, arrivava insieme alla paura che mi faceva uscire prima della fine del film perché dovevo essere a letto quando i miei genitori rincasavano. Conservo una grande angoscia di questo periodo e i film sono legati a un'angoscia, a un'idea di clandestinità. Successivamente ho trovato più comodo andare al cinema di pomeriggio, a costo di perdere le lezioni." ~ François Truffaut
Su Orson Welles: "Il grande choc, lo choc decisivo fu quello che ci procurarono i film americani dopo la Liberazione. È stato dopo due o tre mesi di cinema americano che, per la prima volta, mentre uscivo da un cinema ho notato il nome del regista; mi sono messo a costruire delle schede, a identificare un film dal regista e poi ad avere delle idee, mi dicevo: «Un film d'Untel, dirò così.» È proprio nel 1946 che è successo questo, grazie anche a questo giornale abbastanza importante, «L'Écran Français». Era molto parziale, ma era comunque un giornale specializzato. Pubblicò un articolo di Jean-Paul Sartre su QUARTO POTERE prima della sua uscita. Il che fece di QUARTO POTERE un avvenimento. (...) Io l'ho visto 18 o 20 volte, non so esattamente. Lo conoscevo veramente molto bene. All'improvviso, a tredici anni, mi sono reso conto che un film poteva essere scritto come un libro. Sicuramente molti della mia generazione hanno pensato di poter diventare registi a causa di QUARTO POTERE. Kubrick, Resnais, Frankenheimer, Lumet. Non era un film da cineasti ma un film da cinefili. Qualche mese più tardi ho visto L'ORGOGLIO DEGLI AMBERSON, che per molti aspetti ho preferito. L'ho trovato più sincero, più commovente. (...) Quando vedevo QUARTO POTERE da adolescente appassionato di cinema, ero sopraffatto di ammirazione per il personaggio centrale del film. Pensavo fosse meraviglioso e associavo Orson Welles e Charles Foster Kane nella stessa idolatria. Pensavo che il film fosse un panegirico sull'ambizione e il potere. Quando l'ho rivisto dopo essere diventato un critico, avvezzo ad analizzare il mio apprezzamento, ho scoperto il suo vero punto di vista critico: la satira. Ho visto che il film dimostra chiaramente l'assurdità di ogni successo terreno. Oggi che sono un regista, quando vedo QUARTO POTERE è il duplice aspetto di fiaba e di favola morale che mi colpisce con più forza. (...) Quello che tutti i film di Orson Welles hanno in comune è il liberalismo, l'asserzione che credere nel conservatorismo sia un errore. I fragili giganti che sono al centro delle sue fiabe crudeli scoprono che non si può conservare nulla – nè la gioventù, nè il potere, nè l'amore. Charles Foster Kane, George Minafer Amberson, Michael O'Hara, Gregory Arkadin arrivano a comprendere che la vita è fatta di lacrime e strazio." ~ François Truffaut
"Tornato dal servizio militare ero disgustato dal cinema. Dai 12 anni in poi avevo annotato su un taccuino tutti i film che avevo visto, in ordine alfabetico, aggiungendo delle croci accanto a quelli che avevo visto più volte. Avevo visto più di dieci volte film come LA REGOLA DEL GIOCO, IL ROMANZO DI UN BARO o IL CORVO. Durante il servizio militare avevo calcolato di aver visto più o meno duemila film in sei o sette anni e che avevo dunque perduto quattromila ore di lettura. Ero disgustato di me stesso e pensavo di non potermi neanche considerare un autodidatta perché un autodidatta si coltiva da solo mentre io non avevo imparato niente. (...) Poi ho trovato i miei amici Rivette, Godard, etc. Questa tappa, quella degli articoli per Les Cahiers du Cinéma e Arts, è una tappa evidentemente più intellettuale perché occorreva riflettere sui film, commentarli. Scrivere qualcosa! Non si trattava di ubriacarsi di immagini, bisognava analizzare le sceneggiature. Questa è stata una tappa terribilmente importante: ho cominciato a cercare di capire perché un film non era interamente interessante, perché la prima metà era buona e la seconda partiva in tutte le direzioni, etc. Ho cominciato a provare ad immaginare come avrebbe potuto essere bello o perché non lo era. Quando si è obbligati a riassumere la sceneggiatura si vede bene di cos'è fatta, com'è costruita. È stato un periodo molto positivo." ~ François Truffaut
"Ero un buon critico? Non lo so. Ma di una cosa sono certo, ero sempre dalla parte di quelli che venivano fischiati e contro quelli che fischiavano; e il mio piacere spesso cominciava dove finiva quello degli altri: i cambi di tono di Renoir, gli eccessi di Orson Welles, la spensieratezza di Pagnol o Guitry, l'apparenza spoglia di Bresson. Penso che nei miei gusti non ci fosse alcuna traccia di snobismo. Ho sempre concordato con Audiberti: «La più oscura poesia è rivolta a tutti.» Che fossero o meno chiamati commerciali, io sapevo che tutti i film erano beni da vendere e comprare. Vedevo moltisse differenze di grado, ma non di tipo. Provavo la stessa ammirazione per CANTANDO SOTTO LA PIOGGIA di Kelly/Donen e per ORDET di Dreyer." ~ François Truffaut
Su Rossellini: "Credo di aver cominciato ad aver voglia di essere autore quando ho incontrato Rossellini nel 1951. Ai Cahiers lo difendevamo con accanimento e io l'avevo un po' aiutato con un distributore parigino che aveva completamente adulterato il suo film VIAGGIO IN ITALIA. In quel momento Rossellini mi ha proposto di lavorare per lui come assistente, come amico. Aveva l'abitudine d'improvvisare e siccome cominciavano a non fidarsi di lui mi chiese di scrivergli dei copioni; ho anche scritto un copione per una «Carmen» assolutamente fedele a Merimée che non è mai stata girata. Sono dunque stato assistente di Rossellini nei due anni in cui non ha girato nulla e pertanto con lui ho appreso enormemente. Mi ha molto raffreddato sul cinema americano, che lui detestava, e mi ha trasmesso il gusto della semplicità, della chiarezza, della logica. Siamo rimasti grandi amici e la mia ammirazione per lui non si è mai affievolita. (...) Molti anni della mia vita sono legati a Roberto Rossellini... Era l'uomo di cinema più intelligente, più colto e anche il meno estetizzante che abbia conosciuto... Come Jean-Paul Sartre, pensava che tutto fosse comunicabile. Era anche un amico caloroso e buono. Tra le persone celebri che ho conosciuto era forse il solo che si interessava prima degli altri che di se stesso. (...) Rossellini è diventato, secondo l'espressione di Jacques Flaud, il padre della Nouvelle Vague francese. È vero che, ogni volta che arrivava a Parigi, ci incontrava e si faceva proiettare i nostri film da dilettanti, leggeva le nostre prime sceneggiature. Rossellini fu il primo a leggere le sceneggiature di LE BEAU SERGE e de I 400 COLPI. Fu lui a ispirare MOI, UN NOIR a Jean Rouch, dopo aver visto LES MAITRES FOUS. Rossellini mi ha influenzato? Sì. Il suo rigore, la sua serietà, la sua logica mi hanno un po' liberato dal cieco entusiasmo per il cinema americano. Rossellini odia i titoli di testa astuti, le scene messe prima dei titoli di testa, i flashback e, in genere, tutto ciò che è decorativo, tutto ciò che non serve l'idea del film o il carattere dei personaggi. Se in alcuni dei miei film ho cercato di seguire semplicemente e onestamente un solo personaggio e in modo quasi documentario, è a lui che lo devo. A parte Vigo, Rossellini è il solo cineasta che ha filmato l'adolescenza evitando il sentimentalismo, e I 400 COLPI deve molto a GERMANIA ANNO ZERO." ~ François Truffaut
INTERVISTATORE: "Rivette ha avuto molta importanza nel suo apprendistato di cinema..."
FRANÇOIS TRUFFAUT: "Perché era un terrorista! Faceva affermazioni con una tale forza che non si poteva non essere d'accordo con lui. È cambiato molto; ora, s'interessa veramente di tutto, a tutte le forme di cinema. Oggi è difficile fargli dire male di un film. Ma all'epoca, esercitava un terrorismo più fanatico di Rohmer che era comunque «il capo», se si deve parlare di capi. Rohmer aveva un'autorità molto grande, ma non perché fosse un cinefilo. Rohmer non aveva bisogno di rivedere un film, aveva una memoria fantastica. Vedeva pochi film, non li vedeva che una volta sola, li conosceva molto bene e, in fondo, non s'interessava agli altri. Aveva l'istinto di sapere quel che gli interessava. Tra noi tutti Rohmer è quello che ha visto meno film brutti semplicemente perché non andava a vederli! Rivette, lui invece vedeva tutto, s'interessava a tutto; fu lui a lanciare nomi come Nicholas Ray, Richard Brooks, Preminger..."
"Rimproverare a Hitchcock di giocare sulla suspense equivarrebbe ad accusarlo di essere il regista meno noioso del mondo, che equivarrebbe a rinfacciare a un amante di dare del piacere alla sua compagna piuttosto che occuparsi del proprio." ~ François Truffaut
Su NOTTE E NEBBIA: "Io credo nel peccato originale. C'è un film che per me è stato un avvenimento in questo dominio: NOTTE E NEBBIA. Quando ho scoperto questo film mi sono reso conto che non si può ridurre tutti i problemi a questioni sociali o politiche. È l'uomo che è in causa, ciascun uomo. L'idea che si ricava da NOTTE E NEBBIA non è: «Tutti quanti domani potremmo essere deportati», ma: «Tutti quanti domani potremmo deportare gli altri e trovarlo normale.» E improvvisamente diventiamo colpevoli, sentiamo che c'è in ogni uomo una colpa in partenza, un peccato originale." ~ François Truffaut
"All'inizio preferivo ZERO IN CONDOTTA, probabilmente perché mi identificavo con i collegiali di Vigo, visto che avevo solo tre o quattro anni più di loro. Più in là, dopo aver visto entrambi i film più e più volte, ho finito per preferire decisamente L'ATALANTE, che non lascio mai fuori quando mi viene chiesto «Quali sono secondo te i dieci migliori film di tutti i tempi?» "~ François Truffaut
"Visto che «le Storie del Cinema» non riservano molta attenzione alla cronologia dei film e all'influenza di un filmmaker su un altro, è impossibile provare quel che credo sia vero, e cioè che la costruzione di ZERO IN CONDOTTA (1932) di Vigo, con scene divise da titoli che commentano con umorismo la vita nel dormitorio e nel refettorio, è stata molto influenzata da TIRE AU FLANC (1928) di Renoir, che era a sua volta direttamente ispirato da Chaplin, in particolare da CHARLOT SOLDATO (1918). Allo stesso modo quando ha voluto Michel Simon per L'ATALANTE (1933), Vigo doveva avere in mente il ruolo di Simon in BOUDU SALVATO DALLE ACQUE di Renoir, uscito l'anno prima." ~ François Truffaut
"C'è un tipo di film che mi tocca e sono i film con il commento; per esempio I RAGAZZI TERRIBILI, IL ROMANZO DI UN BARO, DIARIO DI UN CURATO DI CAMPAGNA. È come se il regista si rivolgesse direttamente a me, si confidasse con me mentre sto seduto nel buio della sala. In compenso, sono rimasto deluso da certi film fatti da registi che ammiro, in cui al personaggio principale si dà un amico, un confidente. Il mio piacere è rovinato perché, anche se voglio interessarmi dell'eroe, nel momento in cui so che ha un amico con cui confidarsi, quel che ha da dire mi interessa di meno. Un esempio potrebbe essere PICKPOCKET di Bresson. Il film mi piace, ma il pickpocket, il borseggiatore, ha un amico che ha scoperto il suo segreto, e io per questo motivo non posso simpatizzare con lui, perché quest'amico non sono io." ~ François Truffaut
"Huston è soprattutto un venditore di fumo: accredita la leggenda di Hollywood che martirizza l'artista puro, ma in realtà fa parte di quei tipi che avendo problemi con la regia fingono di preferire la vita, il che permette loro di andarsene a caccia mentre gli altri sgobbano e poi di dissociarsi dal risultato. (...) In LA PROVA DEL FUOCO Huston ha adottato quell'atteggiamento da schiavo dorato che in seguito gli ha fatto rovinare grossi soggetti come MOBY DICK, LE RADICI DEL CIELO o accettare penosi film su commissione come LA BIBBIA, dando sempre l'impressione che lui vale molto più di quello che fa. È proprio contro registi come Huston, Stevens, Wyler, Zinneman che ho pubblicato le interviste a Hitchcock, cioè la storia di un regista che ha saputo conquistare la sua libertà e mantenerla. Hitchcock non ha fatto e non farà mai quei grossi polpettoni destinati a riportare a galla le grosse società; Lui gira quello che lo ispira e nessuno ha il diritto di toccare i suoi film, perché se ne occupa personalmente dalla A alla Z. La sua riuscita la deve al suo orgoglio paziente e allo spietato senso autocritico. Hollywood non gli ha mai assegnato uno di quegli Oscar che spesso premiano il servilismo. (...) Orson Welles, malgrado tutto, resta sempre se stesso, sia che faccia LO STRANIERO per Sam Spiegel, LA SIGNORA DI SHANGAI per la Columbia, MACBETH in 21 giorni o RAPPORTO CONFIDENZIALE senza un soldo. Welles può sbagliare, ma è incapace di fare un polpettone, anche se tutto gli è contro. Penso la stessa cosa di Godard." ~ Francois Truffaut
"So di essere stato ingiusto con John Ford. Quello che non mi piaceva in lui era il suo materiale: la familiarità con le donne, i sergenti brontoloni, tutto il lato pacche sul sedere. In televisione ho rivisto UN UOMO TRANQUILLO e sono rimasto incantato. È un film che avevo detestato, e in effetti è come un Renoir americano. Sì, lo riconosco, la mia sfiducia verso Ford era ingiusta, fermo restando che preferisco un altro genere, quello di Hawks, per esempio, con la sua impertinenza, i curiosi rapporti che i suoi eroi hanno con le donne ecc. Insomma, credo fermamente che Hawks sia la più grande intelligenza di Hollywood." ~ Francois Truffaut
"Per me, il cinema è un'arte della prosa. Decisamente. Si tratta di filmare della bellezza senza averne l'aria o senza avere alcuna aria. A questo tengo enormemente, ed è per questo che non posso abboccare all'amo di Antonioni, troppo indecente. La poesia mi esaspera, e quando qualcuno mi manda poesie nelle lettere, le cestino immediatamente. Amo la prosa poetica, Cocteau, Audiberti, Genet e Queneau, ma soltanto la prosa. Amo il cinema perché è prosaico, è un'arte indiretta, inconfessata, nasconde nel momento stesso in cui mostra. I cineasti che amo hanno tutti in comune un pudore che li rende simili almeno su questo punto, Bunuel che rifiuta di girare due volte la stessa inquadratura, Welles che accorcia le inquadrature "belle" fino a renderle illeggibili, Bergman e Godard che lavorano a tutta velocità per non dare importanza a quello che fanno, Rohmer che imita il documentario, Hitchcock talmente emotivo da far sembrare di pensare solo ai soldi, Renoir che finge di affidarsi al caso, tutti istintivamente rifiutano l'atteggiamento poetico." ~ Francois Truffaut
"Quando facevo il critico, pensavo che è un film, per essere riuscito, dovesse esprimere simultaneamente un'idea del mondo è un'idea del cinema; LA REGOLA DEL GIOCO o QUARTO POTERE rispondevano bene a questa definizione. Oggi, io chiedo al film che sto guardando sia la gioia di fare del cinema, sia l'angoscia di fare del cinema e mi disinteresso di tutto ciò che sta tra le due cose, vale a dire di tutti i film che non vibrano." ~ Francois Truffaut
"Oggi mi rendo conto che (come critico) avevo la reputazione di un demolitore, qualcuno mi ha anche chiamato «il becchino del cinema francese», ma è perché ci si ricorda sempre meglio delle stroncature che degli elogi. Quando amavo un film lo difendevo con energia; ho anche scritto quattro o cinque articoli su VIAGGIO IN ITALIA, UN CONDANNATO A MORTE È FUGGITO, LOLA MONTÈS. L'anno di PIACE A TROPPI, che io avevo amato molto, la stampa aveva talmente attaccato Brigitte Bardot che lei mi inviò una lettera per ringraziarmi di essere il solo ad averla difesa." ~ François Truffaut
"Antonioni è l'unico regista importante di cui non ho nulla di positivo da dire. Mi annoia; è molto solenne ed è privo di umorismo." ~ François Truffaut
"Vedere i film di Sacha Guitry oggi e confrontarli con i falsi capolavori dello stesso periodo è una lezione istruttiva. Guitry era un vero filmmaker, più dotato di Duvivier, Grémillon e Feyder, più divertente e certamente meno solenne di René Clair." ~ François Truffaut
"L'ho amata fin da NIAGARA e anche da prima. È una persona dotata di grazia, qualcosa a metà tra Chaplin e James Dean. Come si può resistere a un film in cui c'è Marilyn Monroe?" ~ François Truffaut
Con Polly Kuan, Chun Shih, Ying Bo, Jian Tsao, Han Xue
consigliato da TSAI MING-LIANG
"Ho visto DRAGON INN quando avevo 11 anni. Fu un gran successo, battè ogni record. Ed era anche il più impressionante tra le centinaia di film di arti marziali che ho visto da bambino. Il suono del flauto nel film mi trasmette sempre la vastità e la solitudine del mondo delle arti marziali. Altri film di arti marziali hanno gente che vola sui tetti e cammina sui muri. Solo King Hu fa percorrere al suo uomo di spada le terre selvagge, da solo in un paesaggio solitario. C'è chi dice che King Hu abbia scelto una strda difficile e solitaria nel cinema, ciononostante non dimenticheremo mai classici come LE IMPLACABILI LAME DI RONDINE D'ORO, DRAGON INN, A TOUCH OF ZEN, THE VALIANT ONES, THE FATE OF LEE KHAN e PIOGGIA OPPORTUNA SULLA MONTAGNA VUOTA. Lui è un maestro nel mio cuore. (...) Con GOODBYE DRAGON INN ho potuto rendere omaggio al classico di King Hu, un film che ha soggiogato la mia immaginazioneInn da quando avevo 11 anni. Quarant'anni dopo, devo ancora trovare un film wuxia che lo superi, e questo stesso fatto mi riempie di ammirazione. Torniamo a guardare agli straordinari registi di tutto il mondo: Truffaut, Godard, Louis Malle, Rohmer, Bresson della nouvelle vague francese; Fellini, Pasolini, e Visconti dall'Italia; Fassbinder, Herzog, e molti altri del Nuovo Cinema Tedesco; Ozu, Naruse, Mizoguchi, e Kurosawa dal cinema giapponese postbellico; Orson Welles, John Ford, e Alfred Hitchcock dall'America; e anche più indietro nel passato, i maestri del cinema muto, Charlie Chaplin, F. W. Murnau, e Dreyer. Ora possiamo rivedere quei film con più libertà, e sono sempre meravigliato da quante nuove scoperte faccio in essi ogni volta, è una cosa che mi lascia senza fiato. Questa è l'essenza del grande cinema." ~ Tsai Ming-liaing
Con Yang Kuei-Mei, Lee Kang-sheng, Chen Shiang-chyi, Miao Tian, Kiyonobu Mitamura
consigliato da TSAI MING-LIANG
INTERVISTATORE: "La domanda più ovvia su GOODBYE DRAGON INN è: perché stiamo dicendo «goodbye» a DRAGON INN di King Hu?
TSAI: "In realtà il titolo cinese di GOODBYE DRAGON INN non è per niente così. È «Bu san», che è molto difficile da tradurre in inglese. Si usa per descrivere delle cose che si uniscono per non stare separate, per cui a dire il vero è quasi il contrario di «goodbye». Ci sono due diversi significati di goodbye – in un caso potresti rivedere la persona, ma nell'altro potrebbe non succedere. In questo caso, noi non rivedremo di nuovo il cinema perché sta per essere chiuso. DRAGON INN per me è significativo perché il film di Hu rappresenta davvero l'età dell'oro del cinema taiwanese. Rappresenta la qualità dei film che si facevano negli anni sessanta. È per questo che all'inizio del mio film mostro l'intera sequenza dei titoli del film di Hu. È il mio modo di omaggiare i registi di quei tempi e ripresentarli a nuove platee. Non ho mai avuto intenzione di fare GOODBYE DRAGON INN – non era nei miei piani. Ma quando stavo cercando delle locations per CHE ORA È LAGGIÙ? ho scoperto questo cinema in una piccola città fuori Taipei. Ho potuto conoscere il proprietario e girare lì il segmento. Alcuni mesi dopo ho incrociato di nuovo il proprietario che mi ha detto che doveva chiudere il cinema per sempre. Il pubblico era scarso ed era diventato principalmente un luogo d'incontro per gay. È stato un impulso: ho preso in affitto il cinema per sei mesi. Non avevo alcuna idea di cosa avrei fatto e pensavo solo che avrei potuto girare un cortometraggio, ma volevo tentare di catturare qualcosa di quel luogo sulla pellicola. Sentivo come se fosse il cinema a chiedermi di fare il film. Quel cinema mi ricordava com'è stato crescere in Malesia. A quel tempo c'erano sette o otto grandi cinema come quello, che sono scomparsi uno ad uno negli ultimi anni. Prima di fare GOODBYE DRAGON INN avevo questo sogno ricorrente di un cinema particolare in Malesia. È quasi come se queste immagini d'infanzia non volessero lasciarmi."
INTERVISTATORE: "Fino a che punto si può dire che GOODBYE DRAGON INN è espressamente coreografato per affiancare certe scene di DRAGON INN? In certi punti sembra che il dialogo sullo schermo riprenda per l'assenza di conversazione nel cinema. O forse veniamo stuzzicati con la possibilità di una coerenza del genere?"
TSAI: "I due film sono legati molto strettamente. Nei film di King Hu, lui riserva molta attenzione agli spazi pubblici, così in DRAGON INN ci si focalizza su locande e templi, e poi ovviamente il cinema è uno spazio pubblico, per cui i due film si rispondono l'un l'altro. All'inizio del film un gruppo di spadaccini proteggono un ragazzo dal male e lo spazio più pericoloso che devono attraversare è la locanda «Dragon Inn». Così nella scena in cui Chen Shiang-chyi e la donna spadaccina si scambiano uno sguardo, sto cercando di mostrare che i film possono servire da forza di mutuo incoraggiamento. In questo caso, spingendo Chen Shiang-chyi a continuare e portare a termine il suo compito. (...) Il personaggio giapponese nel mio film è in un viaggio di ricerca. Sta per entrare in un ambiente sconosciuto pieno di possibili pericoli, proprio come gli spadaccini. E i due attori più anziani, Chen Shih e Miao Tien, che appaiono in entrambi i film, sono in una posizione veramente interessante. Sono entrambi osservatori imparziali, ma vengono anche guardati. Il pubblico non deve necessariamente sapere che stanno guardando se stessi da giovani – potrebbero essere semplicemente due anziani che ammirano la gioventù degli spadaccini. Un confronto tra gioventù e invecchiamento. La pellicola può donare l'eternità a qualcosa. Conserva la giovinezza, ma sta anche morendo. Qualsiasi cosa filmi sta al tempo stesso morendo lentamente. Qualsiasi cosa filmi non c'è più."
"Ogni volta che tengo una lezione a Taiwan sul cinema, dico sempre agli studenti che non riuscirò mai a superare i grandi registi di ieri. Poi dico: «E voi non riuscirete mai a superare me!» (Ride) Ed un'altra cosa sull'estetica dei film: se pensate a Murnau, Hitchcock, Buster Keaton, Kurosawa e Ozu, e da dove venivano le loro idee e le loro tecniche registiche, la risposta NON è che le avevano imparate in un'università o in una «film academy». Quel che vedi al giorno d'oggi è che molti nuovi registi si laureano in una film academy. Noto anche che molti giovani guardano i film sui loro computers a casa, o che la gente li guarda in aereo su schermi anche più piccoli, o li guarda a pezzetti... L'altro giorno ho incontrato uno studente cinese che mi ha detto che guardava tutti i film sul suo computer, uno con uno schermo molto piccolo. Così gli ho chiesto: «Sai per caso cosa sia un primo piano, e quale possa essere l'effetto se usi un primo piano su un GRANDE schermo?» E lui non lo sapeva. Questo è proprio un segno dei tempi, e in un certo senso credo che le film academy stiano di fatto danneggiando i film stessi. I veri cinefili negli Stati Uniti e in Europa si rendono conto che i film di oggi non sono belli o innovativi come i vecchi film." ~ Tsai Ming-liang
Votato miglior film di tutti i tempi in lingua cinese dall'Hong Kong Film Critics Society nel 2002.
Votato miglior film di tutti i tempi in lingua cinese dall'Hong Kong Film Academy nel 2004.
Il regista Jia Zhangke su PRIMAVERA IN UNA PICCOLA CITTÀ: "Adoro i risultati ottenuti dal cinema cinese negli anni '30. Ci sono due registi di quel periodo che amo: Fei Mu e Yuan Muzhi. Yuan ha fatto un film che amo intitolato STREET ANGEL. CRY ME A RIVER (cortometraggio di Jia Zhangke - ndt) tratta di intellettuali, ed è facile per me collegarlo a PRIMAVERA IN UNA PICCOLA CITTÀ perché il film di Fei Mu è sui sentimenti di alcuni intellettuali in un periodo in cui moltissimi stati subivano le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale. (...) Volevo stabilire un legame con PRIMAVERA IN UNA PICCOLA CITTÀ ambientando il film sulle rive di un fiume. Nella cultura cinese, i fiumi simboleggiano il passaggio del tempo; come ha detto Confucio: «Il tempo procede come questo fiume, scorre via incessante giorno e notte.»" ~ (filmcomment.com)
Con Nadine Nortier, Jean-Claude Guilbert, Marie Cardinal
consigliato da TSAI MING-LIANG
"I film che conosciamo oggi sono troppo dominati dalla narrazione. La mia domanda è: il film è davvero solo narrazione? Non potrebbe avere altri tipi di funzione? Questa domanda mi riporta alla mia personale esperienza di spettatore di film. È molto raro che mi ricordi la storia di un film. Di solito ricordo solo un certo momento che mi ha toccato. Prendiamo ad esempio MOUCHETTE di Bresson – dopo lo stupro di Mouchette, lei deve tornare a casa per dare da mangiare alla sorella. Porta con sé una bottiglia di latte, ma non riesce a trovare dei fiammiferi per scaldare il latte, così si mette il latte sotto il cappotto. Un movimento molto semplice, che però mi ha davvero commosso. Ovviamente i miei film hanno una specie di storia. Ma io dirigo la mia attenzione alla vita e al vivere di ogni giorno. Nelle nostre stesse vite non c'è una storia, ogni giorno è pieno di ripetizioni. Oggi sembra che i film siano costretti nelle loro due ore a raccontare una storia per cui vengono riempiti di indici e indicatori che puntano verso il completamento della storia. Il pubblico ci si è abituato. Credo che i film possano essere ben più di questo. Sono convinto che le storie dei miei film possano essere tutte raccontate con due frasi. Come in THE SKYWALK IS GONE: Lee Kang-sheng e Chen Shiang-chyi si passano accanto mentre camminano ma non si riconoscono. Tutto qui. Sto cercando di rimuovere gli elementi drammatici dalla storia per mascherarla. Film e realtà sono differenti, ma rimuovendo quel tipo di elemento drammatico artificiale, sono convinto di portarli ad avvicinarsi." ~ Tsai Ming-liang
+ Non presente nel database di FilmTv.it:
CHASING THE FISH(Ying Yunwei, 1959, Cina) CHASING THE FISH (Zhui Yu) racconta la storia d'amore tra lo spirito di un pesce tramutato in una splendida ragazza e uno studente di Confucianesimo. Il giovane studente Zhang Zhen e la figlia del Primo Ministro Jin somo fidanzati fin da quando erano bambini. Per partecipare all'esame imperiale, il giovane ha dovuto chiedere ospitalità alla famiglia di Jin dal momento che la sua sta attraversando un momento di difficoltà. La famiglia di Jin lo disprezza per la sua povertà e gli chiede di andare a studiare in un cottage accanto allo Stagno Bibo. Zhang studia con un tale impegno che influenza lo spirito di una carpa che vive da lungo tempo nello stagno. Lo spirito della carpa spesso prende la forma mortale di Miss Jin per potergli dare un aiuto materiale, oltre che supporto spirituale. Non appena i familiari di Jin scoprono dell'aiuto materiale che Zhang ha ricevuto, lo accusano di aver rubato. A testimoniare in tribunale si presentano sia la vera che la chimerica Miss Jin, la prima a supporto delle accuse, la seconda per contestarle. Il giudice non è in grado di capire qual'è la vera Miss Jin e chiede a Zhang. Zhang insiste: «Chi aiuta gli altri è un essere umano; chi reca danno agli altri è un mostro.» – Il film è uno dei classici drammi operistici cinesi, interpretato dalle famose attrici di Shaoxing Opera (anche conosciuta come Yue Opera) Xu Yulan e Wang Wenjuan. ~ (cgcmall.com)
INTERVISTATORE: "Ci puoi parlare di alcuni film che hanno avuto un impatto vitale su di te da ragazzo o da giovane? E nel caso, che riverberi ha avuto la loro memoria sui tuoi lavori successivi?"
TSAI: "Forse un ricordo di quando avevo tre anni? Era una produzione di Shanghai intitolata CHASING THE FISH del 1959. In una sequenza in un giardino lo spirito della carpa – trasformato in una bellissima donna – si alza dall'acqua; i colori erano così vividi, come se venissero dipinti davanti ai miei occhi. Ero anche estasiato dai film di Bollywood con soggetti soprannaturali (specialmente i film in cui c'era il dio scimmia induista Hanuman)."
"Il Buddismo ha decisamente un'influenza sui miei film. Alcuni giorni fa la madre di un mio amico ha visto CHE ORA È LAGGIÙ? e mi ha detto che era un film sul Buddismo. Sono convinto che il vero Buddismo sia una religione di persone che cercano la propria spiritualità e la propria saggezza nel loro intimo più profondo, invece che nel mondo esterno. Parte dei miei film riguarda questo genere di questioni spirituali." ~ Tsai Ming-liang
A vent'anni, dopo aver finito le scuole superiori ed essere diventato "un po'un gigolò", Tsai Ming-liang lasciò Kuching su incitamento paterno e si stabilì a Taiwan, dove si iscrisse alla Taipei’s Chinese Culture University per studiare "film and drama". Lì per la prima volta venne a contatto col cinema europeo e, nello specifico, con autori come Truffaut, Fassbinder, Bresson, e Antonioni, i quattro registi ai quali Tsai è più spesso paragonato. "Credo che i film europei siano più vicini a me perché si occupano di vita moderna e di uomini moderni e ordinari," dice Tsai, "E ho l'impressione che siano più realistici, più fedeli alla realtà." ~ (sensesofcinema.com)
INTERVISTATORE: "Ti sei ispirato alla tua giovinezza quando hai scritto il tuo primo film REBELS OF THE NEON GODS ?"
TSAI: "Prima di iniziare a dirigere film per un paio d'anni ho lavorato in televisione. A quel tempo, i programmi televisivi erano tutte fantasie d'evasione sulle arti marziali, melodrammi, o drammi storici sulla Seconda Guerra Mondiale e l'invasione giapponese. Un professore universitario (di nome Wang Xiao Li) appena tornato dagli Stati Uniti mi ha coinvolto nella scrittura di copioni che includessero più realismo sociale. Nel 1991 ho filmato una miniserie su dei giovani detenuti. È in quell'occasione che per strada ho trovato Lee Kang-sheng. La sua famiglia, con la sua struttura taiwanese molto classica – padre proveniente dal continente sposato a una locale donna taiwanese – e la loro casa tipicamente taiwanese erano tutte cose molto affascinanti per me. In più, il suo essere un delinquente, la sua aria di mistero, di noia, di silenzio meditabondo, e la sua lentezza...la maniera in cui fumava, tutto mi faceva pensare al mio severo padre, che a malapena mi ha rivolto la parola durante tutti gli anni della crescita. Dopo la fine delle riprese di REBELS OF THE NEON GOD, mio padre è deceduto. Come avrei voluto che avesse potuto vedere un film diretto da me. Come avrei voluto essere in grado di capirlo, stargli vicino e anche abbracciarlo. È come se avessi proiettato questi desideri nei mondi dei miei film, e in particolare in Hsiao-kang, il personaggio interpretato da Lee Kang-sheng con crescente intensità. In compenso, gradualmente le nostre vere vite sembravano riflettere e materializzare i mondi dei film."
"Scrivere sceneggiature è la cosa che meno amo fare, ma in una certa misura devo seguire il procedimento per fornire alla mia troupe qualcosa su cui basare il lavoro. Ad essere onesti, in realtà non credo nelle sceneggiature. Di norma, gli attori non le vedono neanche e ci basiamo molto sulla discussione. Quello che fornisco spesso assomiglia più a descrizioni poetiche di un certo umore, un effetto da raggiungere, e forse un movimento decisivo. C'è un premio per le sceneggiature a Taiwan, che io non ho mai vinto perché dicono che le mie sono troppo semplici. Una sceneggiatura è spesso usata per dare una struttura al film che dovrà essere fatto. Io uso la maggior parte del tempo che normalmente sarebbe dedicato a scrivere la sceneggiatura ripensando alle ragioni per cui inizialmente ho voluto fare quel particolare film. Quel che più conta per me sono le locations, e lavorare realmente con gli attori per assicurarmi che capiscano gli effetti che sto cercando di ottenere." ~ Tsai Ming-liang
"Nella vita vera non mi piace la folla, mi piace essere me stesso. Solitudine ed isolamento fanno parte della natura umana. Alcune persone danno importanza all'isolamento ma altre ne sono molto spaventate – devono farsi coinvolgere, andare in posti affollari. Ma non significa che tu non sia isolato in mezzo a una folla. Di conseguenza abbiamo rapporti umani molto pretenziosi, perché la gente teme l'isolamento. Io devo affrontare l'isolamento come ho affrontato la morte. È per questo che nella maggior parte dei miei film troverete Kang-sheng isolato quando è con un altro personaggio, o completamente solo in una scena. Mi piace mettere i personaggi in ambienti in cui sembra che non abbiano alcun rapporto con gli altri perché voglio riflettere su che tipo di distanza dovremmo tenere l'uno con l'altro. Mi piace anche metere le persone in situazioni in cui non hanno amore, perché voglio sapere di quanto amore abbiamo bisogno, e che genere di relazioni vogliamo." ~ Tsai Ming-liang
"Amo filmare l'atto del camminare, perché non è necessaria alcuna preparazione. (...) Andiamo nella location che ho scelto e cominciamo a filmare. È come quando un pittore esce per dipingere una natura morta. Avete mai sentito di un pittore che pianifichi o concettualizzi qualcosa prima di uscire per dipingere una natura morta? Dipinge quel che trova e vede. Perché il mondo è così pieno di meraviglie che i soggetti da dipingere possono non finire mai. Perché dovrei preoccuparmi deliberatamente o sfidare me stesso?" ~ Tsai Ming-liang
"Mi piace molto la semplicità. Voglio condividere con voi alcuni versi di una breve poesia che ho letto di recente:
『我們真的應該好好收拾一下屋子 Dovremmo mettere in ordine la casa
即使這只是租賃的一間普通房舍 Anche se è una semplice casa in affitto
即使我們不久便要離開 Anche se la lasceremo molto presto
我們之所以努力的存在 Così ci dibattiamo per esistere nel mondo
是因為我們需要並渴望美好的生活 Perché bramiamo una vita più bella
美好的生活 In questa bella vita
最基礎的一點便是一目了然 Gli aspetti più essenziali si offrono in piena vista
房子就是我們身體的一部分 Una casa è parte del nostro corpo
乃至更廣闊的山林、大地 Per estensione, è parte della foresta, parte della terra
房子潔淨一些 Casa più pulita
心便潔淨一些 Cuore più pulito
房子空曠一些 Casa più vuota
心便空曠一些 Cuore più vuoto
直至虛空為舍(注:即房舍) Fino a che il vuoto non potrà essere casa
"Il concetto di cyberpunk è riconducibile agli anni '80, quando io ero ventenne e guardavo film come BLADE RUNNER e VIDEODROME. Considero quei due film i genitori di TETSUO. Credo però che il mio lavoro sia leggermente diverso dal cyberpunk. Io parlo della distruzione di città moderne che esistono ancora, mentre il cyberpunk tratta di un periodo che viene dopo la distruzione. (...) Con TETSUO ho voluto fare un film molto sensuale sulla carne e la materia inanimata. Allora non ero molto consapevole dei legami con la cultura cyberpunk, le radici sono le stesse, ma me ne sono reso conto solo dopo." ~ Shinya Tsukamoto
Con Masumi Harukawa, Ko Nishimura, Shigeru Tsuyuguchi, Yuko Kusunoki
consigliato da SHINYA TSUKAMOTO
INTERVISTATORE: "In Giappone e anche al di fuori dell’arcipelago nipponico c’è qualche regista che rispetta o che ammira particolarmente?"
TSUKAMOTO: "Ce ne sono tanti, ma direi fra i giapponesi almeno Kurosawa Akira, Kumashiro Tatsumi e Imamura Shohei, mentre fra gli occidentali, per citare solo i più importanti per me, Ridley Scott e Martin Scorsese. Di quest’ultimo soprattutto di recente ho rivisto e riconsiderato molti film."
"Altri film a cui mi sono ispirato... Ah, TENEBRE di Dario Argento. Questo film mi ha colpito e stimolato molto. Dopo averlo visto ho pensato di fare un film del genere. E così ho girato TETSUO. Potevo raggiungere lo stesso grado di violenza di TENEBRE. La violenza rappresentata in questo film è particolare, ha un certo fascino. Per questo mi è piaciuto molto." ~ Shinya Tsukamoto
BITTERNESS OF YOUTH (Tatsumi Kumashiro 1974, Giappone) Primo film di Tatsumi Kumashiro non di genere "roman poruno" (porno romantico), BITTERNESS OF YOUTH è basato su un romanzo con una certa somiglianza con "Una tragedia americana" di Dreiser e inserito in un ambiente di radicalismo studentesco imploso: un immaturo studente di legge mette incinta la compagna di classe alla quale fa da tutor, poi la scarica per la propria ricca cugina. La scena più straordinaria vede l'antieroe e la sua ex tornare nella stazione sciistica dov'è cominciata la loro storia – e prosegue sulla neve in una lunga sequenza comportamentale che ricapitola la loro relazione mentre i due lottano e strepitano rotolando a valle verso un fiume in piena. Assente da tutte le principali fonti di Storia del Cinema Giapponese in lingua inglese, Tatsumi Kumashiro è stato la figura chiave del "roman poruno", un genere low-budget – fondato su frequenti scene di sesso softcore e generose, anche se parziali, nudità femminili – lanciato nel 1971 dal naufragante studio Nikkatsu. Esperto assistente alla regia, Kumashiro portò a questo materiale una commistione di intensità emotiva e distacco estetico. Kumashiro ha una passione per sequenze lunghe, suono contrappuntistico, e iconici fermo-immagine. È un minimalista i cui film sono basati su poche idee saldamente articolate. Il mix di sofisticazione formale ed emozioni crudelmente telegrafate, così come il suo umorismo nero, i controtempi politici, e un sapiente dispiegamento di risorse limitate, suggerisce il paragone con i similmente prolifici Sam Fuller e R.W. Fassbinder. ~ (villagevoice.com)
"Di Yasuhiro Ozu e Kenji Mizoguchi non ho visto molti film, però ricordo che mi piacque molto un film di Mizoguchi, LA STRADA DELLA VERGOGNA. (...) Ricordo di aver visto parecchi film di Kon Ichikawa e di Shohei Imamura. In quanto al film di Kumashiro Tatsumi, BITTERNESS OF YOUTH / SEISHUN NO SATETSU, direi che è uno dei miei tre film preferiti e mi fece una grande impressione quando lo vidi. Penso che mi abbia influenzato parecchio e lo cito sempre come una delle opere decisive per me. Appartiene a quell'epoca nella quale al cinema i protagonisti erano antieroi e questo tipo di personaggi, senza dubbio, mi ha influenzato molto. In qualche modo, sono questi i personaggi che popolano anche i miei film." ~ Shinya Tsukamoto
BURST CITY/ BAKURETSU TOSHI(Sogo Ishii, 1982, Giappone) BURST CITY è un action-musical punk rock ambietato in un distopico Giappone del futuro. In prima istanza vetrina per diversi gruppi punk rock del periodo, come The Roosters, The Rockers e The Stalin, il film è anche puramente dimostrativo della cultura e della mentalità della comunità punk rock del Giappone dalla metà degli anni '70 ai primi '80. La trama non è molto complessa, infatti gran parte dell'azione e del dramma del film è affidata a intermezzi musicali, interazioni tra personaggi, e commenti sulla società classista nel fittizio universo del film. Quel poco di trama che c'è segue alcune gang rivali di motociclisti in un futuro distopico mentre tentano di ribellarsi alla costruzione di un'enorme centrale elettrica nella "loro" parte di Tokyo. Il film gode di un'alta considerazione sia tra i critici che tra il pubblico. Il suo implacabile stile energetico e ipercinetico era selvaggiamente diverso dagli altri film del periodo ed estremamente innovativo. È anche una pellicola apprezzata per essere esclusivamente ispirata dalla musica, e per il modo in cui l'estetica, la cultura e la musica punk esercitino la loro influenza su ogni elemento, scena, e personaggio del film. È stato definito "uno dei punti di partenza del cinema giapponese contemporaneo", al pari di altri film di Ishii come SHUFFLE, PANIC IN HIGH SCHOOL, e CRAZY THUNDER ROAD. ~ (Wikipedia)
"Sogo Ishii è stato mio compagno all'Università (quando io ero al primo anno lui era al quarto) e da allora mi sono interessato molto a quello che filmava, come i progetti di laurea e altri tipi di cose. Mi piaceva soprattutto un suo film intitolato BURST CITY / BAKURETSU TOSHI. Però al tempo stesso, fatta eccezione per questo rispetto che provo per lui, credo che non ci siano molte somiglianze tra i nostri film. Anzi, direi che siamo molto differenti." ~ Shinya Tsukamoto
LISTA COMPLETA di TSUKAMOTO
- I sette samurai (Kurosawa)
- Bitterness of Youth (Kumashiro)
- Blade Runner (Scott)
- Videodrome (Cronenberg)
- Tenebre (Argento)
- La casa (Raimi)
- Non aprite quella porta (Hooper)
- Metropolis (Lang)
- Taxi Driver (Scorsese)
- Desiderio d'omicidio (Imamura)
- Terminator (Cameron)
- Il mio vicino Totoro (Miyazaki)
- Nikita (Besson)
- Gli amanti del Pont-Neuf (Carax)
- Ringu (Hideo Nakata)
- La strada della vergogna (Mizoguchi)
- Burst city (Ishii)
Fonti: Time Out; artaud.wordpress.com; "Shinya Tsukamoto" di Aguilar, Cueto, Rebordinos, Santamarina, Zapater; cinemalia.it; "Il Cinema di Shinya Tsukamoto" di Fontana, Tarò, Zanello; screenanarchy.com; YouTube
Negli anni prima che prendesse in mano una cinepresa, il più grande desiderio di Shinya Tsukamoto era quello di diventare un disegnatore di anime. Le sue serie d'animazione preferite includevano «Super Robot 28» (Tetsujin 28-Go), «Harisu no Kaze», «Tommy, la stella dei Giants» (Kyojin no Hoshi) e «Rocky Joe» (Ashita no Joe), tutti aventi per protagonista un ragazzo che lotta per realizzare grandi imprese. Tsukamoto riconosce che queste 4 serie ebbero un grande impatto su di lui: "Mi identificavo completamente con i protagonisti. «Rocky Joe» era su un pugile principiante che faceva grandi cose solo col talento e la forza di volontà e la storia ebbe una grande effetto su di me. Guardando «Super Robot 28» mi sentivo come se fossi io a manovrare quel grosso robot". Altre due serie d'animazione di cui non perdeva mai un episodio erano «Lupin III» (Rupan Sansei) e «Toriton» (Umi no Triton). "«Lupin III» era animazione di qualità molto alta", ricorda Tsukamoto, "nelle scene d'inseguimento in macchina le gomme stridevano e si deformavano. A volte, specialmente nei fine settimana, lo guardavo con mio padre e anche a lui piaceva molto quella serie." ~ ("Iron Man: The Cinema of Shinya Tsukamoto" di Tom Mes)
"È vero che metto in scena dei corpi, ma al tempo stesso cerco di usarli in maniera espressiva per far sì che sia possibile riconoscergli una completezza fisico/psicologica. Vivendo nelle città a volte ci si dimentica di essere qualcosa più di un semplice corpo e ci si comporta come se si fosse privi di una mente, come se non si fosse veramente esseri umani. (...) Mi limito a filmare ciò che conosco meglio, il mio vissuto. sono cresciuto nel dopoguerra, quando il Giappone ha avuto un rapido sviluppo economico. Sin da bambino ho visto un paesaggio artificiale ingrandirsi. I grattacieli diventavano sempre più alti. (...) Ho il terribile timore che la città e la tecnologia continueranno a svilupparsi mostruosamente. La conseguenza è che il corpo umano sta scomparendo, mentre le città, gli oggetti, sembra stiano acquistando intelligenza e autonomie proprie. (...) Si sta rarefacendo la coscienza di possedere un proprio corpo; a muoversi è il cervello ma non il corpo, che non si usa. Attraverso il dolore, si risveglia la coscienza della corporeità e di uno stato animale." ~ Shinya Tsukamoto
"Io non vedo sinceramente troppa differenza tra i vari film: in TETSUO per esempio la necessità di lavorare su una messa in scena di quel tipo era data dal fatto che stavo comunque girando un'opera di fantascienza, e non potevo certo eludere da determinati cliché. Ma in realtà ciò che mi interessava allora e mi interessa ancora oggi e cercare di ragionare sul rapporto tra l'uomo e le megalopoli nelle quali vive. Io sono di Tokyo, e so che il rapporto tra la mente e il corpo umano e ciò che lo circonda è estremamente conflittuale, come ho cercato di evidenziare in SNAKE OF JUNE, ad esempio. Ma non esiste una cesura netta, in realtà, tra le varie opere: tutte parlano della stessa cosa, di questo mondo soffocante nel quale l'uomo moderno si trova schiacciato, e deve cercare di resistere. Sul serio, non c'è differenza tra i miei film." ~ Shinya Tsukamoto
"Mentre nel primo TETSUO il mio interesse primario era di creare sullo schermo una sorta di sensualità dell'immagine, il motivo principale di TETSUO 2 è diventato il senso della fine del mondo, del caos." ~ Shinya Tsukamoto
"In TOKYO FIST e TETSUO 2 volevo trasmettere la sensazione che la città fosse di vetro e quindi facilmente frangibile. Entrambi i film sono rosso-arancio, cioè definiti cromaticamente come quella forma che gradualmente va mutando in metallo rigido. Così il corpo malleabile può diventare un martello capace di mandare in frantumi la città di vetro." ~ Shinya Tsukamoto
"Credo che in tutti i miei film abbiano un peso importante quella che chiamano cultura pop, i «kaiju eiga» (film di mostri), le serie televisive come «Ultra Q / Urutora Q» (1966) e i manga. Però, soprattutto, direi che quel che più mi ha influenzato sono stati i kaiju eiga e le serie televisive di effetti speciali di Eiji Tsuburaya come «Ultra Q / Urutora Q» e «Ultraman / Urutoraman» (1966-1967). Per questo, da adolescente, la prima cosa che ho voluto fare è stato creare un kaiju eiga con mezzi miei. (...) La combinazione di elementi incompatibili a volte dava ad «Ultra Q» una sorta di atmosfera surrealista. Avevo l'impressione che la gente che aveva realizzato la serie avesse iniettato intenzionalmente elementi di Surrealismo o di Dadaismo. Alle superiori ero piuttosto curioso riguardo al Surrealismo e credo che fosse il risultato di aver visto «Ultra Q»." ~ Shinya Tsukamoto
"È un'interessante coincidenza che AKIRA e TETSUO siano usciti nello stesso periodo. Il manga «Akira» esisteva già prima, ovviamente. C'è un personaggio chiamato Tetsuo in AKIRA, ma nel manga non si trasformava quanto nel film. Non sono stato influenzato dal manga quando ho fatto TETSUO, ma è davvero sorprendente che due film che parlano di cose così simili siano stati fatti nello stesso periodo." ~ Shinya Tsukamoto
"L'impressione che produssero in me le pellicole di Kurosawa fu così forte, così intensa, che determinò il fatto che abbia voluto dedicarmi definitivamente al mondo del cinema. Kurosawa contribuì a farmi rendere conto che non c'era alcun modo di fare film se non mettendoci ogni sforzo perché risultassero interessanti. Questa è la ragione del mio rispetto per l'opera di Akira Kurosawa." ~ Shinya Tsukamoto
"Il mondo di H.R. Giger cosi come appare in ALIEN di Ridley Scott mi interessava molto, perché mi sembrava un nuovo tipo di fantascienza, in cui anche l'interazione tea il metallo e la carne avesse una certa importanza. In tal senso credo che sì, probabilmente mi ha influenzato in una maniera o in un'altra." ~ Shinya Tsukamoto
INTERVISTATORE: "La paura di porsi in relazione con gli altri è un elemento ricorrente nel suo cinema, è qualcosa che le appartiene?"
TSUKAMOTO: "Sì, io ho sempre la sensazione che ci sia qualcosa di cattivo che potrebbe turbare la mia serenità, per natura sono una persona serena, ma ho sempre la sensazione che potrebbe finire da un momento all’altro con una semplice intromissione dall’esterno."
INTERVISTATORE: "Una specie di stalker emozionale?"
TSUKAMOTO: "Si potrebbe dire così, o meglio che si tratta di un’altra parte di me che viene fuori quando sono rilassato."
INTERVISTATORE: "Qual è il suo incubo peggiore?"
TSUKAMOTO: "Sono inseguito, nel buio e non vedo chi mi segue, ho paura ma nello stesso tempo provo piacere, come quando trattieni a lungo e poi lasci andare la vescica (ride)."
INTERVISTATORE: "Una liberazione dalla tensione, insomma."
TSUKAMOTO: "Sì, come fosse una cosa fisiologica."
INTERVISTATORE: "È esatto dire allora che lei queste contrapposizioni le porta dentro e le espone allo sguardo per liberarsene?"
TSUKAMOTO: "Non me ne libero, ma le metto fuori e poi tornano a perseguitarmi (sorride)."
INTERVISTATORE: "Lo spazio nei suoi film è sempre soffocante, come mai?"
TSUKAMOTO: "La vita serena è solo un’apparenza, io ammonisco con le ombre che rappresento, a stare sempre in guardia e a stare attenti all’illusione della serenità."
INTERVISTATORE: "Qual è il film che le ha fatto più paura?"
TSUKAMOTO: "RINGU, in Europa però, mi ha detto Gaspar Noè, che non ha fatto poi tanta paura…"
INTERVISTATORE: "Bè, non tutti la pensano così, molti hanno ritenuto che l’originale RINGU fosse molto più ansiogeno del remake americano…lei quali registi ritiene che le siano stati di ispirazione?"
Con Johan Heldenbergh, Koen De Graeve, Pauline Grossen, Wouter Hendrickx, Natali Broods
consigliato da JACO VAN DORMAEL
"Sono rimasto scioccato quando ho visto THE MISFORTUNATES (De helaasheid der dingen). È di gran lunga il più bel film che ho visto l'anno scorso. È dannatamente meraviglioso. Così pieno d'amore. Così pieno di caos. In questo senso è quasi shakespeariano. I personaggi sono al tempo stesso insopportabili e deliziosi. Fanno tutte le cose che preferiresti non facessero, eppure li ami lo stesso. Forse questa è una caratteristica dei film belgi: riusciamo a mostrare degli esempi ritraendo degli anti-modelli. Così le storie della vita vengono raccontate in un modo più ricco. Il ventaglio di possibilità si amplia. Il film dice anche: «Vedi? Anche questo film ritrae una vita possibile.» Così come per L'OTTAVO GIORNO, quando ho lavorato con persone con la sindrome di Down. Ma per tornare a THE MISFORTUNATES per un momento: che sceneggiatura, e che attori! Mi ha estasiato." ~ Jaco Van Dormael
Con Joanne Woodward, Estelle Parsons, James Olson, Kate Harrington
consigliato da JACO VAN DORMAEL
"È un film che mi ha portato a fare del cinema. Ho dovuto vederlo alla televisione quando avevo 14 anni ed è uno dei primi film in cui mi sono detto: «Guarda un po', è possibile non riprodurre la realtà ma la percezione della realtà dei personaggi, » cioè si ha l'impressione che il film sia ripreso dall'interno e non dall'esterno, che la cinepresa non sia un voyeur ma un attore. È una narrazione in prima persona in cui si è al tempo stesso dentro la percezione del reale e che, da un punto di vista cinematografico, è molto molto ben fatta. Non solo grazie alla voce-off: ma anche per i flashback, per le deformazioni. La cinepresa recita come un attore, e anche il montaggio è magnifico, l'attrice (Joanne Woodward) è formidabile. Stranamente è un'opera prima ma credo che Newman sia stato molto aiutato dai migliori direttori della fotografia e dalla migliore montatrice dell'epoca – si chiamava Dede Allen, credo. È un film che mi aveva colpito molto perché non sapevo che il cinema potesse avere la stessa libertà della letteratura, che non fosse incollato al qui e ora, che si potesse avere una percezione in cui non si sa veramente quale sia la realtà." ~ Jaco Van Dormael
INTERVISTATORE: "Sente di avere un debito nei confronti di Fellini?"
VAN DORMAEL: "Certamente. È il mio più grande esempio. Alcuni suoi film sembrano caotici, ma non è per nulla vero. AMARCORD dà l'impressione di essere fatto di memorie affastellate, ma ha una struttura in tre atti. Proprio come prescritto da Aristotele. Solo che Fellini li ha intrecciati. (...) Consciamente devo dire che ho amato molto la libertà espressiva di Fellini, credo che la struttura di AMARCORD e quella di TOTO LE HÉROS siano pressoché identiche."
"...Da un punto di vista più irrazionale devo dire che, pur non ritrovandolo nel mio cinema, ammiro Tarkovskij; mi piace quando in certi suoi film mi sembra di non capirci quasi nulla ma ad un certo punto mi scopro a piangere. (...) Quando ho deciso di fare cinema, il film che più mi ha colpito è stato LO SPECCHIO di Tarkovskij. Dovevo avere 25 anni quando l'ho visto. Dopo sono tornato a vedere anche gli altri film di Tarkovskij. Successivamente ho visto STALKER. Dopo circa 15 minuti mi sono reso conto, anche se adoravo il film, che l'avevo già visto 5 anni prima. Allora ero uscito dalla sala, tanto poco ci avevo capito. È in quel momento che ho compreso che si può percepire un film in modi molto diversi. In uno stadio della tua vita quello risuona, mentre in un altro non risuona per niente. Ci sono dunque delle cose che si vedono, che rientrano nello spettro del visibile, in un certo periodo della vita. E ce ne sono altre che forse non vi rientrano, in funzione di ciò che si vive."~ Jaco Van Dormael
INTERVISTATORE: "Lavori molto con i bambini nei tuoi film, credi che come regista sia più facile per te metterti in relazione con un attore giovane?"
JACO VAN DORMAEL: "No, non è più facile, ma è divertente scrivere per i bambini e avere personaggi di bambini. Ti permette di scoprire delle cose. Sono ribelli senza sapere di esserlo, fanno tante domande, non assomigliano troppo alle aspettative delle altre persone, sono sorprendenti. Prima che la scuola faccia loro qualcosa, è bello scrivere per dei ribelli."
INTERVISTATORE: "E invece come mai l’interesse per le persone con sindrome di Down?"
VAN DORMAEL: "È un puro caso. La mia prima esperienza è stata totalmente per caso, avevo 26 anni e mi fu richiesto di fare un documentario sulle paraolimpiadi per persone con handicap, e non riuscii a fare il documentario, perché c’era sempre qualcuno che si metteva davanti alla mdp e diceva: «Ciao, mi chiamo Jacques ecc.» e prendevano la mdp per portare il film verso qualcosa di completamente diverso. Però comunque avevo incontrato queste persone fantastiche e allora feci un’altra cosa, un cortometraggio dal titolo «L’imitateur» , che era una specie di improvvisazione con questo tipo di attori, a cui recitare piacque molto, e iniziarono a fare teatro. Così li seguii in questa compagnia teatrale. Uno dei personaggi di TOTO LE HÉROS, cioè il fratello, è un ragazzo con la sindrome di Down. Dato che avevo una certa libertà creativa, avevo pensato di dover usare questi attori altrimenti nessuno l’avrebbe fatto. E con loro è molto divertente lavorare. Pascal Duquenne, protagonista de L’OTTAVO GIORNO insieme a Daniel Auteuil, è in tutti i miei film perché quando finiamo di girare ogni volta mi viene a chiedere: «Cosa farò nel prossimo?» E quindi devo scrivere qualcosa per lui."
"Se non sei un compulsivo monomaniaco, non farai mai un film. È come riprendere lo stesso chewing gum ogni mattina e dire: "Ok, è molto gustoso," e continuare a masticarlo. Dopo aver scritto per sei anni, se mi fermassi, non succederebbe. Ma è stato davvero divertente. L'intero processo (per realizzare MR. NOBODY - ndt) sono stati 10 anni di felicità." ~ Jaco Van Dormael
"Quando comincio a scrivere, in realtà non scrivo mai su carta. Scrivo su delle piccole schede e per mesi riempio la mia scrivania di sempre più schede. Quando è il momento giusto, cerco di capire quale scheda potrebbe stare con un'altra scheda e a volte è una scena, a volte è solo un'immagine, a volte è solo una battuta e dopo aver organizzato queste schede su tre tavoli – il primo atto, il secondo atto e il terzo atto – comincio a scrivere dall'inizio alla fine. Dopodiché, di nuovo, metto tutto su delle schede e continuo a scrivere sulle schede e questo mi permette di lavorare in un modo non lineare per organizzare storie non lineari, un po' come fa la memoria o l'immaginazione. Dà molta libertà." ~ Jaco Van Dormael
"Di solito amo i film che fanno domande ma non danno risposte; ma al tempo stesso credo che la risposta si possa sempre trovare nella struttura. Così il modo scelto per raccontare la storia dà alla gente un certo tipo di percezione o sensazione. La maggior parte dei film fatti oggi, ad esempio, sono in 3 atti, con un inizio, un centro e una fine, il che significa che ti aspetti sempre una risposta che arriverà alla fine, una risposta che risponderà a tutto ciò che l'ha preceduta. Questa è una cosa a cui cerco di oppormi nei miei film, come quando ho fatto MR. NOBODY. In quel film è tutto invertito. Infatti, invece di focalizzare la narrazione sulla fine, quel film in realtà si allarga come un albero. Quindi con DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES ho creato un film episodico. Così come nel «Don Chisciotte», finisci per dimenticarti dove stai andando mentre sei sul sentiero. Invece ti concentri sui ciottoli che hai attorno e annusi i prati. È solo un momento che sta passando, e dopo quello c'è un altro momento e un altro e un altro. È questo che stavo cercando di creare. Per molti versi, credo che sia in realtà molto più difficile in questo modo, perché ogni momento che crei deve essere prezioso. Deve avere il profumo o il gusto di qualcosa di molto speciale. Questo richiede un mucchio di attenzioni, perché bisogna che tutto sia splendido." ~ Jaco Van Dormael
"Nello storytelling credo che parlare di complessità sia qualcosa di inusuale per il cinema. Ma se guardate INTOLERANCE (1916) di Griffith, che era un film muto, era già complesso, raccontava già tre diverse storie contemporaneamente e non era un problema. Credo che il cinema successivo, un certo tipo e stile di cinema, sia molto più semplificativo e dia risposte più che porre domande. Di sicuro il cinema che preferisco è quello che fa domande senza dare risposte. Inoltre c'è una scelta da fare per ogni filmmaker tra fare film che sembrano reali o non sembrano reali, e lo stesso vale per i film muti. I fratelli Lumiere dicevano: «Guarda, quello che vedi qui è realtà, il treno sta entrando in stazione», e c'era Melies che diceva: «Qui siamo sulla luna ma è un sogno e non dovete crederci, non credete che sia la verità». Quel che mi piace del cinema è che a volte non so qual'è la realtà, ma mi piace il cinema che riproduce in un certo senso l'idea che abbiamo della realtà, che può essere molto diversa da un momento all'altro. Mi piace il cinema che può funzionare così come funziona il nostro cervello assemblando cose molto diverse nello spazio e nel tempo, e in quel caso credo che il cinema abbia la stessa libertà della letteratura ed è questo che mi interessa." ~ Jaco Van Dormael
"La rappresentazione del sesso per Larry (Clark) è qualcosa di completamente diverso. Parliamo di una persona che è parte attiva delle centinaia di fotografie che scatta o delle scene che filma. Lui condivide le stesse esperienze che mette in scena. Conosco bene Larry. Nella sua prospettiva il problema della censura non esiste, non lo prende minimamente in considerazione; lui non gira i film per farli vedere al pubblico, li gira per se stesso e per una ristretta cerchia di amici o per il circuito dei festival. (...) A differenza degli altri registi in cui si evidenzia, sempre e comunque, un punto di vista esterno, per Larry il procedimento è completamente interno. Quando filma i ragazzi che assumono droghe o che fanno sesso è come se lo facesse lui." ~ Gus Van Sant
Harmony Korine (sceneggiatore di KIDS): Larry (Clark) era in giro a fare foto agli skater. Si siede vicino a me e gli chiedo della sua Leica. Mi dice che è un fotografo e che vuole fare un film. Gli dico che anch’io voglio fare film. Non sapevo niente di arte contemporanea, e nemmeno conoscevo le sue fotografie, non capivo bene se faceva sul serio o meno. Al tempo andavo sempre in giro con le videocassette di quello che avevo girato al liceo. Gliene diedi una. Larry mi chiamò per dirmi che gli piaceva la mia roba, voleva vedere se ero anche in grado di scrivere. Mi disse che aveva questo progetto di fare un film su un ragazzino, Telly, che ha la passione di sverginare le ragazze, come se fosse una specie di chirurgo delle vergini. Ero un enorme fan di BELLI E DANNATI e DRUGSTORE COWBOY; iniziai a capire che era tutto vero quando incontrai Gus Van Sant nell’appartamento di Larry a Tribeca, perché Gus aveva intenzione di produrre il film. Avevo previsto che ci avrei messo circa una settimana a scriverlo. C’era solo una vaga trama che Larry aveva buttato giù.
Larry Clark: Stava scrivendo di gente reale. Prendeva tutte queste esperienze che conosceva bene e le ha condensate in un periodo di 24 ore. È così che si fa un grande film: una specie di corsa sulle montagne russe.
Korine: Erano tutte voci che avevo nella testa, le voci dei miei amici. Scrivevo dieci pagine al giorno nel seminterrato di mia nonna. Lei mi mi cucinava delle bistecche che sapevano di suola di scarpa. In pratica la sceneggiatura ha avuto una sola stesura. L’ho passata a Larry e lui l’ha adorata. Volevamo fornire uno sguardo dall’interno di questa cultura giovanile così fica, impossibile da trovare altrove. KIDS è stato concepito come un’opera di cinema pop. In quel momento io venivo dalla scena skate, incazzosissima, ed era emozionante cercare di creare qualcosa che fosse ugualmente provocatorio.
Clark: Tutto quello che c’è nel film è successo veramente, tranne che per Jennie. Mi venne questa idea di una ragazzina che diventa sieropositiva dopo la sua prima esperienza sessuale. Il fatto è che all’epoca, nel ’94, le scuole avevano iniziato a distribuire preservativi, e la chiesa cattolica era insorta. L’Hiv era la notizia del giorno. È ciò che teneva insieme la storia.
Cloe Sevigny: Harmony e io eravamo ancora in contatto. Ci conosciamo dai tempi delle superiori, è sempre stato uno dei miei migliori amici. Mi aveva già parlato della sceneggiatura, ma questa volta mi fa: “Facciamo il film. Torna subito”. E io ho risposto: “Certo, cazzo”. Avevo fatto qualche servizio fotografico con Larry. Lui era più interessato ai ragazzi che alle ragazze, ma io alla fine assomigliavo un po’ a un maschio.
Rosario Dawson : Avevo appena finito le scuole medie, e me ne stavo seduta sulle scale davanti al mio palazzo. Lì vicino stavano girando una pubblicità e cercavano ballerine e cose del genere. Mio papà mi fa: “Tu ami ballare, saresti perfetta”. Vivevo in una specie di edificio abbandonato. C’era un senzatetto che chiedeva se c’era qualche appartamento libero, e io ho iniziato a ridere perché assomigliava a Gesù. A quel punto tutta la strada mi stava osservando.
Korine: Ho pensato: “Chi è questa ragazza stupenda?”
Dawson: Harmony era esaltatissimo e continuava a ripetermi: “Oh mio Dio, ho scritto questa cosa per te, non ti conosco nemmeno ma l’ho scritta per te”.
Dawson: “Papà, c’è un tipo strano che mi parla di fare un film”. Quindi mi danno la sceneggiatura, la leggo e la leggono i miei genitori, e pensano che sia una ficata. La maggior parte delle persone avrebbe reagito dicendo: “Cristo santo, no!”.
Sevigny: Rosario era super innocente. Se avessimo dovuto interpretare chi siamo realmente, lei avrebbe dovuto fare il mio personaggio e io il suo. Io ero quella più promiscua. Non proprio selvaggia: solo un pochino. Si pomiciava un sacco, ma coi vestiti addosso. È quello che fanno tutti, no? ~ (rollingstone.it)
"Alla sua uscita, GENTE COMUNE segnò l'apice dela produzione drammatica hollywoodiana degli anni '70 prima del lungo declino verso le attuali mega produzioni di film d'azione. A quell'epoca ero un regista alle prime armi, vivevo e studiavo a Hollywood e mi sentivo molto coinvolto dall'ambientazione del film, essendo cresciuto in un ambiente simile ultraconservatore. Mi piace il modo in cui Redford intreccia il crollo psicologico della famiglia americana modello con la perdita di certezze da parte di un personaggio dopo l'altro. Il tutto prende le mosse dalla morte di un personaggio avvenuta prima dell'inizio del film. Il giovane Conrad, interpretato da Timothy Hutton, è il punto focale di GENTE COMUNE. L'attore vinse un premio speciale dell'Academy per la sua interpretazione, un altro premio andò ai produttori per la categoria del miglior film. Poco prima dell'inizio delle riprese il padre di Hutton morì, e questo intensificò lo sguardo confuso e angosciato che sembra essere scolpito sul volto dell'attore per tutto il film. Ho visto GENTE COMUNE così tante volte, che ciascuno dei miei film contiene almeno un suo elemento. La convenzione hollywoodiana di raccontare le storie in modo lineare è particolarmente evidente nella struttura dei miei film DRUGSTORE COWBOY e BELLI E DANNATI, anche se le storie sono così diverse che non ci sono analogie tematiche. Le analogie sono invece strutturali e, ancora oggi, continuo a rifarmi a quelle tecniche." ~ Gus Van Sant
Titolo originale Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles
Regia di Chantal Akerman
Con Delphine Seyrig, Jan Decorte, Henri Storck, Jacques Doniol-Valcroze, Yves Bical
consigliato da GUS VAN SANT
"Alcuni anni fa, a New York, ero rimasto scioccato nel vedere le sette ore di SATANTANGO di Bela Tarr e JEANNE DIELMAN di Chantal Ackerman. Entrambi i film raccontavano storie e personaggi estremamente ordinari con uno stile rigoroso, ricorrendo a lunghi piani sequenza. Ciò che mi aveva impressionato era come i personaggi interagissero tra di loro e come, attraverso l'uso di lunghi piani, i registi riuscissero a trasmettere il passare del tempo. Ho tentato di recuperare questa tecnica, con piani sequenza meno statici, ma con le stesse finalità. Il piano sequenza è rischioso da realizzare, ma ti permette di restituire allo spettatore una grande immediatezza; si evita di ricreare continuamente la scena, come avviene con il campo e controcampo. Per me è stato straordinario verificare nei film della Ackerman e di Bela Tarr come confrontandosi con il nulla, almeno ciò che noi non consideriamo più perché appartiene alla nostra routine quotidiana, si potesse raccontare tutto, restituire una propria visione del mondo. È un fattore veramente destabilizzante per l'industria cinematografica statunitense, anche quella indipendente. Lo storytelling è un principio ineludibile senza il quale non si riesce a girare nulla secondo tutti i registi americani. Per quanto riguarda i dialoghi, ad esempio. Nel film della Ackerman e in quello di Bela Tarr i dialoghi sono scritti solo per la persona che li deve recitare e non in funzione di chi risponde. La visione di molti film di questo tipo mi ha consentito di ammirarli maggiormente e di utilizzare uno stile contemplativo. In JEANNE DIELMAN la protagonista discute con il proprio figlio della scuola in modo estremamente ordinario. È la discussione in se stessa che è bella. Si tratta di un procedimento non troppo dissimile dal mcguffin hitchcockiano, per cui una determinata cosa che noi vediamo nel film è importante per i personaggi, ma non per gli spettatori che guardano. Si vedono personaggi che viaggiano in macchina per l'intrinseco gusto di viaggiare. Non sono preoccupati di dove sono diretti, di qual è la loro destinazione. È il piacere puro del viaggiare e del guidare. È un'immagine che ho ripreso spesso sia con GERRY che in ELEPHANT. I personaggi di GERRY ed ELEPHANT si trovano spesso in uno stato di contemplazione, apprezzano ciò che li circonda." ~ Gus Van Sant
Con Philip Seymour Hoffman, Michelle Williams, Emily Watson, Catherine Keener
consigliato da GUS VAN SANT
"SYNECDOCHE, NEW YORK è un «pastiche» d'esistenza. Non c'è modo di descriverlo. È davvero intenso." ~ Gus Van Sant
LISTA COMPLETA di GUS VAN SANT
- Kids (Clark)
- Quarto potere (Welles)
- Aurora (Murnau)
- Giglio infranto (Griffith)
- Satantango (Tarr)
- The last of England (Jarman)
- Ritrovarsi (P. Sturges)
- Synecdoche, NewYork (Kaufman)
- Gente comune (Redford)
- Jeanne Dielman (Ackerman)
- Salò, o le 120 giornate di Sodoma (Pasolini)
- 2001: Odissea nello spazio (Kubrick)
Fonti: IMDb, filmdoctor.co.uk, Newsweek (2008), theyshootpictures.com, "Cult!" a cura di Bill Krohn, "Gus Van Sant, l'indipendente che piace a Hollywood" di A. Termenini; rollingstone.it; "Gus Van Sant" edizioni Il Castoro;
Su AURORA di Murnau: "Il film del 1927 di F. W. Murnau ci mostra l'opulenza della Hollywood degli anni '20. C'era uno stile nel creare set elaborati che non abbiamo più occasione di vedere." ~ Gus Van Sant
"Negli anni '80 ho dipinto molto, dipinti di fantasia, astratti. Poi, quando ho cominciato a fare cinema, la pittura per me era disegnare o dipingere singole scene, da punti di vista differenti, per capire che opzioni avevo a disposizione. Il cinema è per me la forma d'arte congeniale. Ho continuato a fare foto per tutta la mia vita, non solo sul set, ma di tutto ciò che mi sembrava interessante. Realizzare un film è, però, una sfida, un esercizio molto intenso, mentalmente e fisicamente. Devi riuscire a tenere tutto sotto controllo, nulla ti deve sfuggire. Per quanto riguarda la scrittura, tutti i tipi di scrittura, anche quella cinematografica, non ho mai avuto una storia completamente mia che fosse completa. Sono bravo ad iniziare storie molto mie come BELLI E DANNATI e GERRY, ma poi non le porto a termine, o le termina qualche sceneggiatore." ~ Gus Van Sant
"Dopo GERRY non penso più al plot. Sono diventato paranoico per quanto riguarda le location e il casting, i due elementi essenziali per realizzare un buon film. In Europa c'è un altro regista che lavora in questo modo e che ammiro molto, Alexander Sokurov. Per ELEPHANT mi sono anche ispirato ai documentari di Frederick Wiseman." ~ Gus Van Sant
"Oggi sono veramente pochi i registi che lavorano con un budget di 60 milioni e oltre di dollari mantenendo una loro integrità artistica. Uno di loro è sicuramente Martin Scorsese." ~ Gus Van Sant
"Ho cominciato presto a lavorare nel cinema, quando ero ancora adolescente, dopo essermi allontanato dalla pittura, e ho comprato una macchina da presa a soli 16 anni. Con essa ho cominciato subito a progettare dei piccoli film domestici in 8mm. All'epoca, c'era un professore di inglese che ci mostrava dei film a scuola. QUARTO POTERE, ad esempio. Dopo averlo visto, ho cominciato a girare dei cortometraggi. Le mie fonti di ispirazione, allora, erano, quasi esclusivamente, artisti visivi e sperimentali, non certo i film commerciali di Hollywood che vedevo perlopiù soltanto alla televisione. Anche al Moma, nel periodo in cui soggiornavo a New York, andavo per vedere soprattutto dei film underground. È stato quando mi sono iscritto alla scuola media superiore che ho girato il mio primo film drammatico, per vedere come poteva venire. E più tardi ho continuato con storie che erano sì orientate in direzione drammatica, ma che, contemporaneamente, rimanevano anche, in qualche misura, dei lavori in parte concettuali. Poi, nei primi anni '70, sono venuto a vivere in California, a Los Angeles, dove sono stato per 6 anni assistente del regista Ken Shapiro alla Paramount. Lui aveva fatto un film famoso, THE GROOVE TUBE. Ho poi diretto un film che mi sono finanziato da solo, ALICE IN HOLLYWOOD, prima di andarmene a New York dove ho fatto per un po' il direttore artistico di una agenzia pubblicitaria. Ma ho avuto anche un mio gruppo rock, Destroy All Blondes, con cui ho fatto due dischi. Sono poi tornato a Portland, dove ho finalmente tirato MALA NOCHE, il mio primo vero film." ~ Gus Van Sant
"Amo molti registi italiani. Ad esempio Pier Paolo Pasolini, soprattutto il suo SALÒ o LE 120 GIORNATE DI SODOMA, Federico Fellini, Bernardo Bertolucci. Penso di dovere parecchio al solito gruppo di celebri registi che hanno influenzato anche tanti altri colleghi prima e dopo di me, In primo luogo naturalmente Orson Welles, Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick, il cui stile di ripresa e i cui dialoghi, soprattutto in 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO, ho molto tenuto presente quando ho girato il mio ELEPHANT, e John Cassavetes. Recentemente le mie preferenze sono andate all'ungherese Bela Tarr, la belga Chantal Akerman e l'iraniano Abbas Kiarostami. Ve ne sono altri, probabilmente tutti i film che ho visto nella mia vita, prima o poi hanno svolto una parte nello sviluppo del mio modo personale di fare cinema. Quando ero adolescente, ad esempio, mi divertivo moltissimo con il film di W.C. Fields e dei fratelli Marx." ~ Gus Van Sant
INTERVISTATORE: "Quando ho visitato la scuola Withaker, dove hai girato ELEPHANT, mi sembrava di essere nell'Overlook Hotel di SHINING..."
GUS VAN SANT: "Forse sì, forse no. Sono stato sempre molto influenzato da Kubrick, che ritengo il più grande regista del passato assieme ad Hitchcock, ma penso che ELEPHANT rimandi ad alcuni dialoghi di 2001: ODISSEA NELLO SPAZIO, più che a SHINING. Kubrick è diventato famoso per i suoi corridoi, per l'uso della steadycam in SHINING, ma io ho voluto inquadrare i ragazzi di ELEPHANT di spalle per renderli anonimi, ordinari. Nel film di Kubrick quelle sequenze hanno soprattutto la funzione di creare continuamente nuovi spazi. D'altronde la Withaker School era una location perfetta, con quelle tonalità monocromatiche e quegli spazi apparentemente larghi, ma, allo stesso tempo claustrofobici."
"Una parte di me crede nell'arte anonima. È un'idea che ho avuto da uno scrittore di nome Jamake Highwater, che ha scritto sulla pittura prima del Rinascimento. Il modo in cui la gente si relazionava all'arte, ad esempio, nell'antica Grecia. Come riguardasse la comunità per la comunità e non l'esprimersi dell'artista. Ho pensato a GOOD WILL HUNTING e SCOPRENDO FORRESTER come se li facessi per la gente, e volevo parlare senza l'intralcio del mio stile. Non sono sicuro che sia possibile, ma questo era il mio fondamento logico." ~ Gus Van Sant
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