Non c’è niente che non sia stato già detto in The Square, ma il registro grottesco e il punto di vista ironicamente distaccato di Östlund rendono l’opera uno dei più potenti attacchi al mondo dell’arte in primis, quindi all’esemplare modello capitalistico svedese.
La La Land è un capolavoro, simbolo del periodo artistico che stiamo vivendo: nei confini poco definibili del postmoderno, l’unico moto rivoluzionario potrebbe non essere altro che un involontario, ma dichiarato, ritorno al passato.
Opera dalla sensibilità rara, Kenneth Lonergan offre un lucido e struggente ritratto umano. Forte di uno stile realista, il regista non accentua nessuna delle svariate sfaccettature del suo film, che sono poi le stesse della vita. Se per voi il cinema è prima di tutto scrittura e recitazione, ecco il film dell’anno.
Moonlight è un film riuscito in tutti i suoi aspetti, che rifiuta i soliti cliché del ghetto movie e sorprende per l’intensità delle interpretazioni. Un film sulla forza di decidere da soli la propria vita e sul non permettere alle circostanze, persone o ambiente che siano, di farlo al posto nostro. Toccante, spiazzante e mefistofelicamente affascinante, Moonlight porta alla luce il degrado di una parte di società spesso ignorata, diversa, ma lo fa con tatto e grande consapevolezza: se siamo tutti il risultato del nostro mondo personale, la condanna all’individuo giustamente non deve interessare al regista.
Se è ancora prematuro sbilanciarsi per un’opera appena uscita, il sottoscritto si sente comunque abbastanza sicuro nell’affermare che Dunkirk non sia solo uno dei film più riusciti (se non il più riuscito) del regista inglese, ma forse addirittura quello per cui verrà ricordato nei decenni a venire. Se c’è una cosa che Nolan ha fatto capire, è che il cinema ha bisogno di grandi storie per sopravvivere e di grandi narratori che le sappiano raccontare. Dunkirk li ha entrambi.
Silence è più che un film: è un’opportunità che andrebbe colta, un viaggio spirituale da compiere con gli stessi protagonisti. Scorsese ci dice una cosa fondamentale: è importante scindere la religione, che è dottrina opinabile, radicalizzata in una data cultura e per questo assolutamente da preservare, e credo, che è molto più importante, il nostro rapporto personale con un eventuale Dio o, semplicemente, col mondo e l’esistenza.
Hell or High Water è un thriller dalla trama per niente innovativa, ma girato in maniera sublime e interpretato ancora meglio. Inoltre, è un film che andrebbe guardato da chiunque voglia comprendere meglio i nostri tempi, il mondo in cui viviamo.
Se da un punto di vista concettuale Allen non può far altro che ripetere se stesso, con una certa variabilità dei toni, d’altra parte non si può negare quanto egli rappresenti tuttora, all’alba degli ottant’anni, una sicurezza per quanto riguarda la capacità di mantenersi ad altissimi livelli di scrittura. Inoltre, in linea con Café Society, l'autore di Brooklyn prosegue in una maggiore ricercatezza estetica.
Un cinico ritratto della natura istintuale dell'essere umano che, imprigionata dal sistema etico e sociale, genera mostri. Un invito amorale a non vergognarsi delle proprie perversioni, ma anche una condanna al genere maschile, minacciato dalla presa di terreno della donna emancipata. Elle è un film ambientato in un mondo di donne alpha, femminista, e Verhoeven se ne fa una grassa risata: raccontando un personaggio femminile estremamente vero, con l'apporto di una bravissima Isabelle Huppert, non privo di tutte le sfumature che rendono uomini e donne tanto diversi, quindi imparagonabili. Non un attacco al senso di un discorso riguardo all'uguaglianza dei sessi, ma piuttosto un metterne in discussione la direzione intrapresa.
Il gioco di Gerald è l'ennesima prova di quanto il genere horror sia adatto per raccontare il torbidume dell'animo umano, soprattutto nelle sue derive più tristi (nella più ampia concezione possibile del termine). Una prova tanto concettuale quanto estetica, grazie alla regia ispirata di Mike Flanagan che dà il suo meglio nelle allucinate scene mentali della protagonista, di gusto puramente surreale e decisamente inquietanti. La messa in scena rimanda al teatro dell'assurdo ed è retta da una Carla Gugino istrionica e convincente. Una promozione netta per l'autore di Oculus, che sfrutta al massimo le peculiarità del genere e, rovesciando l'animo della protagonista su un cielo ad ampia campitura rossa, complice un'eclissi solare e psicologica, suggerisce una possibile rivalutazione: horror neoromantico?
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