Un'altra stupida classifica di fine/inizio anno. Che la fine abbia inizio. Che inizino le danze per abbaiare la fine. Finalmente giunse, tremebonda giacché ebbra d'onde mediatiche mefitiche donde s'usa dondoleggiar munifica idiozia, ciò ch'ebbi a partorire in lunghissime, dolorose sedute di riflessioni cine-spirituali, cine-filosofiche, cine-dannate. Annata di scandali, estate di sandali, estasi di ciondoli, eraserhead in sala ritornanti (perché Egli è grande) ed eraserSpacey rutilanti. S'eruttino allora undici perle, ruttino putrescente materia infernale undici porcate! Scelte mie – ineluttabilmente valdemariane; e incontestabili come una fede religiosa, felici come una fede al dito al primo giorno di nozze, feci come piovesse (ro castane, stitiche stille), fallaci come una fede religiosa (ehm …) –; commenti e iperboli ed espressioni (estrapolate come s'estrapola il cuor a scultoreo cadavere ancor esalante calor) di altri utenti del gaio universo filmtviano. Così, per dividere fama e infamia. Alla prossima.
[avvertenza: trattansi di film regolarmente distribuiti nelle italiche sale, anno solare 2017]
--------- Division #1. A VIOLENT YET FLAMMABLE WORLD ---------
L’ottica di Darren Aronofsky degenera la realtà, la distorce come fosse un mostro tentacolare, arrivando a racchiudere la peggior risma dell’umanità in quattro stanze, raggruppando i peggiori incubi, arrivando all’apocalisse, non prima di aver creato un fronte degno della guerra più mostruosa (tutto in una stanza). Una degenerazione che richiede aggettivi in serie: sprezzante di ogni ordinamento, sfrontato per come connette i rapporti umani, conturbante per come procede, vorace per come vuole tutto, estraneo per come fa sentire fuori luogo, folle, solo perché pensiamo di vivere in un altro mondo, disarmante per come lascia impietriti, diabolico per come porta l’inferno nel ventre di una casa, rabbrividente perché alcune estremizzazioni attecchiscono su quanto ben conosciamo. [supadany]
... lo sguardo malickiano si configura, come si era accennato, come "una regressione" rispetto allo sguardo tipico vigente nel cinema moderno: lo sguardo è diventato per Malick un ritorno verso una purezza delle cose. Il punto di vista dello sguardo malickiano è puro, splendente, scevro da impostazioni rigide e classiche, è uno sguardo che si imbatte nel mondo come se lo guardasse per la prima volta. E' uno sguardo che regredisce fino a farsi bambino. In ultima istanza, è uno sguardo che sovrasta la narrazione divorandola. [Dompi]
E anche quando lo spesso velo di assuefazione al putrido viene squarciato dall’insorgere di qualche sparuto rigurgito di dignità, quando si fa avanti l’indignazione ed il disgusto, questi nobili sentimenti si traducono solitamente in belle parole e fatti zero o incoerenti con quanto dichiarato quando non addirittura agli antipodi, utili a consolidare quella impalcatura di perbenismo ipocrita dietro cui trincerarsi e rendere credibile l’immagine tutta di facciata, sana-saggia-irreprensibile, minuziosamente costruita. [amandagriss]
Mi ritrovo a seguire con palpitazione il film, assorbito a tal punto da non rendermi quasi conto che c'è un'altra persona in sala. Che si fotta. Se vuole rubarmi il portafoglio giacché siamo soli faccia pure, basta che non mi disturbi. Inizio a venerare la Stone come una dea. Quasi mando a fanculo Ryan Gosling quando litigano seduti a tavola. Penso: se avessi una donna come Emma altro che tour in giro per il mondo, ma solo ai pirla capitano queste fortune? Arriviamo al finale: fa male. E per un attimo spero che sia tutto finto, che un'altra giravolta di regia mi restituisca i due protagonisti come li avevo lasciati cinque anni prima. Ma, come tutti i bei sogni, dura un battito di ciglia. Le luci si riaccendono (...) Bella cosa i sogni. Peccato che in pochi abbiano veramente il coraggio di inseguirli. Un pensiero poetico, sprecato di fronte all'ineluttabile grigiore della mia vita quotidiana. Bella cosa anche l'amore. Già. Chissà, forse un giorno. Intanto ripenso al film, alla musica, al jazz, agli occhi di Emma Stone. E mi viene da sorridere. Mi incammino a grandi passi verso una meta indefinita. City of stars, are you shining just for me? City of stars, there's so much that I can't see ... [George Smiley]
Umorismo artistico e ironia che fa arte distruggendo altra arte (non solo la bambina e i monticelli di ghiaia). L'arte che mangia se stessa. Una comica malattia autoimmune che ci dice che la fine (dell'arte) è vicina? No, si è sempre fatto, equivale ad un sano parricidio. Arte come divertimento distruttivo-rivoluzionaro (in tal caso l'incipit con la rimozione/distruzione della statua equestre sarebbe una dichiarazione d'intenti). Una risata vi seppelirà, insieme alla vostra arte. Il tizio con la sindrome di tourette scompagina completamente l'importanza e la compostezza e l'intero senso di un dibattito artistico. Seppelliti e cancellati da un'innocente, inattaccabile, liberatoria, irresistibile trivialità (una performance che dissacra, come tanta altra arte)... [SillyWalter]
Silenzio immobile, c’è forse un attimo in cui l’essere umano capisce, e allora tace. Nolan è riuscito a filmarlo quell’attimo. Davanti c’è il mare, oltre il mare le bianche scogliere di Dover, navi grandi e piccole in acqua, aerei nel cielo. Gli uomini aspettano, l’ultimo ragazzo è arrivato correndo dall’ultimo villaggio evacuato, è l’ultimo dei sopravvissuti, il nostro filo di Arianna fino all’ultima scena. La ripresa aerea filma gli uomini fermi sull’arenile come file di formiche, i pontili si piegano sotto il peso, aspettano, sperano di imbarcarsi, andarsene a casa da quell’inferno in cui sono finiti senza peccato. Dall’alto aerei nemici sganciano bombe, uomini ne cadono a mazzi, in mare affondano, silurate o bombardate, perfino navi della Croce Rossa che ne avevano appena caricati un bel mucchio e le brave crocerossine avevano distribuito sollecite tazze di thè e pane e marmellata. Manca il respiro, per tutto il film. [yume]
L'elegantissimo processo di rimediazione che Assayas compie in "Personal Shopper" inizia sotto molteplici punti di vista che pervadono quest'ultima opera del regista francese. Chi guarda davvero Maureen, il personaggio interpretato da Kristen Stewart? E' lo spettatore o uno spettatore - fantasma? (...) Posta in luce questa forte dialettica, il processo di rimediazione proposto da Assayas vede elementi diversissimi tra loro compenetrarsi continuamente all'interno del film: l'Astrattismo, lo spiritismo e l'immagine cinematografica. In altri termini, la pittura, la metafisica e il cinema, tre elementi che agiscono verso un unico obiettivo focale: plasmare l'(in)visibile. Questa invisibilità è tradotta nei termini in cui Marieen affronta la propria esistenza: si muove come un fantasma, vive da sola, esperisce emozioni da sola e aspetta che qualcun altro la contatti. Maureen risulta, sotto quest'ottica, un personaggio totalmente spersonalizzato, come sono i vestiti che sceglie per il proprio capo: il vestito è l'apparenza e la stessa Maureen vive di questa apparenza tanto da assimilare più volte, attraverso il gesto della vestizione, gli abiti destinati ad un'altra persona verso il proprio sè. Sembra quasi che Maureen rivendichi la propria natura-fantasma, un personaggio spersonalizzato che vive di apparenza. [Dompi]
Non è una sfilata, ma un’opera d’arte con un cast eccezionale, dove tutto è calibrato e niente è fuori posto. Nemmeno i ruoli, nemmeno le facce, nemmeno il setting: la Berlino del 1989, prima della caduta del muro, durante la guerra fredda ripresa e fotografata con una rara eleganza assieme agli indelebili primi piani della Theron. (...) il film è una spy story originale e interessante, girata divinamente, nonostante i numerosi e traumatici combattimenti corpo a corpo che hanno fatto perdere due denti alla bella Charlize nei duri preparativi alle scene, di cui è pienamente padrona e di una bellezza carismatica, potente ed estremamente empatica con la vita da spia. [gaiart] e :-) Figa Stratosferica :-) [BobtheHeat]
L’adesione al punto di vista della protagonista, solitaria professoressa di linguistica comparata incaricata di decifrare le forme di comunicazione di alieni atterrati in 12 diverse (e forse apostoliche) navi sulla Terra, è tale da permettere una confusione completa delle inquadrature con i suoi pensieri e da lasciare aleggiare un dubbio sulla natura stessa della percezione suggerita, sulla sua qualità di costrutto astratto o di deviazione dalla oggettività. Ma è il senso stesso del film questa ricerca di una definizione e descrizione del mondo attraverso il linguaggio, e di come questo ne determini la percezione e la comprensione, la sua interpretazione definitiva che non è mai del tutto collettiva bensì sempre personale. Il film si crea attorno ad un malinteso cronologico e sintattico che diventa il nucleo del suo racconto, che ricrea il processo affabulatorio della traduzione di un testo in immagini e di figurazioni in scritti comprensibili, e, in senso lato, la transustanziazione del pensiero in parole coerenti. Perché l’apparizione degli extraterrestri, inaspettati e imperscrutabili come modeste divinità, sono il preludio ad un’epifania conoscitiva, di una rivelazione della parola che, biblicamente, crea letteralmente l’universo e lo relativizza nominandolo. [lussemburgo]
Lelio sottolinea sin dal titolo la rivendicazione orgogliosa dell'essere donna, anche quando la prassi burocratica è ancora ben lontana dal suffragare tale legittimo sentimento e condizione interiori, e quando la situazione fisica si può per il momento solo definire come in corso di completamento. "La donna fantastica" è una melodrammatica storia d'amore che descrive un calvario di umiliazioni che affliggono una vittima solo apparentemente indifesa. La vicenda è in grado, con sapiente coerenza, di giostrarsi su più registri narrativi, spaziando dal dramma romantico allo studio psicologico, sbilanciandosi pure sul cote' giallo, quando indizi, macchinazioni e scellerate supposizioni gettano dubbi infamanti sulla morte per cause naturali dell'anziano amante affettuoso. Ed affossando responsabilità infamanti sulla innocente e sincera protagonista. [alan smithee]
Il regista segue da vicino, con la macchina a mano, con delicatezza e trepidazione, la loro storia tenerissima; il suo intrecciarsi con i condizionamenti impossibili da rimuovere; il suo trasformarsi quasi inevitabile in una vicenda cupa e disperata, regalandoci un gran bel film,duro ed essenziale, evitando di farne un insopportabile mélo e, meritoriamente, di ridurlo a descrizione sociologica. Egli si accontenta, invece, di inserire organicamente nel racconto, con notevole e realistica efficacia, i personaggi di una Roma di borgata, profondamente vera e attuale, terreno di coltura di un pericoloso malcontento xenofobo e di una delinquenza organizzata, pronta a cogliere le situazioni disperate per trarne il profitto più infame. [laulilla]
---------E, fuori da ogni ragione e logica, fuori da categorie ed etichette (eppure dai Cahiers in giù, hanno cercato di farlo), fuori da generi e mondi e medium, fuori e dentro ogni particella infinitesimale di cui è fatta la materia di sogni, incubi, (ir)realtà, in assoluto, la COSA del 2017 (What year is this?) : TWIN PEAKS. (toh, scopro con laurapalmeriano sconcerto che non ne esiste la scheda, qui su filmtv ... ma siete proprio fuori?) ---------
un breve estratto dal solitamente sintetico, sinestetico, estatico mck (andate a leggervi l'opera omnia) : " Tutta l'incertezza del mondo, composta in gran parte da dolore, viene cementificata e trascesa in un urlo, l'ultimo (primevo, arcaico, mitopoietico) in un battito di palpebre che sancisce l'inestricabile e invalicabile eternarsi della lotta tra bene e male, luce e tenebre, essere e non essere (Febbraio 1989 - Laura sogna Richard che Sogna Dale, e Audrey si sveglia - Settembre-Ottobre 2016), durante e lungo quel (vecchio) tratto di pellicola non impresso e sviluppato tra un fotogramma e l'altro, l'attimo in cui la luce inghiotte il buio, e, viceversa, l'oscurità divora il bagliore, il momento in cui due stati dell'(in/non)esistenza possono coesistere, Laura [Carrie (Carry/Carries) Page: portare/trasportare la (ultima) pagina] è e non-è, schrödingerianamente (Paradosso del Cat in the Box, Principio di Sovrapposizione), fino a quando noi non apriamo e/o chiudiamo gli occhi: svegliandoci, di nuovo, o riprendendo a sognare, sempre: non potremo, mai, coglierne l'essenza, heisenberghianamente (Principio di Indeterminazione, Collasso della Funzione d'Onda). "
Il tentativo di Castellitto e signora è arduo. Come si è potuto parlare nei giorni precedenti all’uscita del film di similitudini con le borgate romane pasoliniane dove tutto era dominato dalla disperazione dei suoi giovani e soprattutto della Mamma Roma indistruttibile e imparagonabile? Il regista ha voluto dare ancora una volta un tono alto alla sua opera, ma di alto si è visto solo quello delle voci e delle sequenze sopra le righe dei protagonisti, con una sceneggiatura spesso inefficace e dai dialoghi a tratti drammaticamente comici e sconclusionati. [michemar]
... accanto alla dark side rappresentata dal voltafaccia di Toretto pronto a rinnegare il proprio credo e a schierarsi col nemico (vedremo che la spiegazione è dietro l’angolo e che nulla è come sembra) il regista F. Gary Gray mostra una voglia di non prendersi sul serio che “Fast Furious 8” teorizza a circa metà del film, con la scena in cui la tensione che caratterizza il drammatico faccia a faccia tra Dwayne Johnson e Jason Statham si scioglie in una risata che la dice lunga sulla presunta serietà di ciò che vediamo. [nickoftime]
La circostanza che il soggetto scottante alla base del film sia "tratto da molti casi tragicamente avvenuti nella realtà" pare giustificare gli incauti sceneggiatori a lasciarsi andare e spingersi oltre ogni limite plausibile nella sostenibilità dei dialoghi che sorreggono la vicenda, spesso clamorosamente inascoltabili ed imbarazzanti. Stessa sorte è riservata a quasi tutti i personaggi di contorno: figure spesso campate per aria e costruite ad arte senza un minimo di plausibilità o spessore [alan smithee]
Al suo esordio dietro la macchina da presa Andrea De Sica dimentica completamente la lezione di nonno Vittorio, peccando soprattutto nell'imbarazzante direzione degli attori. Dal suo script pretenzioso escono personaggi che, più che figli della notte, sembrano figli di papà o di buona donna, tutti indistintamente odiosi, messi a corredo di una trama implausibile sul tema dell'iniziazione al male con venature horror (echi del cinema di Dario Argento) e di una cornice gotica che cerca di esibire con magniloquenza tratti autoriali, riuscendoci soltanto in alcuni momenti e rimanendo lontanissimo da film di ambientazione simile come Another country, Arrivederci ragazzi o Il nodo alla cravatta. [barabbovich]
E sono proprio la faccia immota, i capelli brizzolati, le parole sbiascicate, la lacrime ruffiane di Smith a rappresentare al meglio l’obiettivo del film: un polpettone retorico, finto dimesso, zeppo di star in raccolta fondi (...), che ha l’esigenza di lasciare allo spettatore una ridondante frase ad effetto ogni cinque minuti. Un lacrima-movie che ammicca continuamente alla più facile commozione dello spettatore, al contempo interessato a piacere al pubblico più colto laddove gioca con fantasia e realtà e comunque privo della spudorata consapevolezza di poter essere un guilty pleasure. [LorCio]
Chi guarda troppo al passato rischia di non vedere il presente: frase banale e aforisticamente inutile come quella di un Bacio Perugina, eppure il vero senso del film, su cui Ozpetek avrebbe dovuto costruire meglio l’impianto dei suoi assunti, invece di darsi ad agnizioni telefonate ed ellissi in parte oscure, invece di cercare allo sfinimento l’espressionismo negli sguardi e nei sorrisi mancati o stirati, nelle passioni impossibili, addirittura nella dichiarazione d’amore resa al marito dell’oggetto del desiderio. Il tutto su sfondo colorato, come da titolo: l’inebriante rosso delle case sul Bosforo, uno smalto ad abbellire mani già pronte all’innamoramento altrui, vestiti, accessori, interni di una Turchia odierna, mai così in bilico tra esigenze ed aneliti di modernità e spinte centripete che la conducono nel fuoco di un affascinante ma difficile passato. [MarioC]
Nel pot pourri di riferimenti, comunque confusi, gli umani tentano di costruire un racconto e il regista di far finta di interessarsene mentre guarda solo alla luce tagliata delle riprese, ai colori saturi di scene sovradimensionate, condite di esplosioni e della consueta devastazione generalizzata (con trucchi peraltro non sempre riusciti), riprendendo sempre dal basso con inquadrature ravvicinate e dalle lunghe focali. (...) l’azione è solo reazione ad esplosioni e fughe, con corpi volteggianti o scivolanti su superfici enormi, sullo sfondo di luminose deflagrazioni. Reduce imperterrito degli Anni 80, Bay continua a costruire levigate superfici prive di senso ma dense di segni, come un Tony Scott senza autoironia critica ed enfasi autodistruttiva, o un Ridley Scott disinteressato al racconto e ai personaggi, macinando immagini come un caterpillar alimentato a razzo per puro gusto distruttivo, simile ad un bambino cattivo che gioca con i pupazzetti di metallo per il solo gusto di romperli e farseli ricomprare. [lussemburgo]
Solo un bimbominkia dalla debole mente può autolobotomizzarsi praticamente senza alcun motivo e presupposto come accade alla nostra protagonista. Solo un bimbominkia può ritenere originali ed illuminanti le banali, qualunquiste ma soprattutto elementari - e parzialmente fuori tempo: la riflessione seria su questi temi, niente affatto pregiudizialmente critica e avversa, è su tutt'altro livello di complessità, certo non alla portata del bimbominkia - riflessioni e critiche contenute nel film - a confronto Wargames, The Net, persino SYNAPSE erano dei capolavori di sottigliezza argomentativa. [Karl78]
La ragazza nella nebbia ha due anime: quella thiller e quella della storia di denuncia sull’invasività dei media nella società contemporanea che più che di un colpevole ha bisogno di un agnello sacrificale. Le due anime si annullano a vicenda, non riuscendo a compenetrarsi non si giustificano, rimangono lì spiegate nel più didascalico modus operandi televisivo, il cui rimando almeno tematico e sintattico è palese. E’ il tentativo di girare una storia italiana, rimuovendola dal provincialismo e darle un aspetto da thriller internazionale ma i debiti di forma sono troppo onerosi da sostenere, soprattutto quando la parte più importante del film, la sceneggiatura, si arriccia su se stessa senza produrre climax e lambendo i territori della denuncia senza approfondirli mai. [ROTOTOM]
Ci sono anche tantissime parole in "Silence": dialoghi numerosi e articolati nonostante le diverse lingue in gioco e in più la voce narrante che legge epistole, racconta, illustra, spiega. Molti dialoghi sono esplicativi e puramente funzionali alla comprensione della scena mentre altri, più ambiziosi, mirano alla questione della fede su cui torneremo, l'effetto è quello di una verbosità abbastanza ingombrante, che diluisce la sostanza del discorso anzichè addensarla, dilatando tempi del racconto e modi di trasmissione del messaggio (...) In conclusione, nulla si intende togliere alla spettacolarità del film, una spettacolarità a cui però manca qualcosa per tradursi in vera magniloquenza, che non rinuncia a capitalizzare più e più volte gli stessi snodi, che pesca anche da un immaginario già ampiamente consolidato, immediatamente evocabile e agevolmente percorribile. [Cantagallo]
... una visione continua di battagle interstellari inframmezzata da qualche dialogo che riporta al passato per far riemergere figure mitiche (Luke Skywalker) che avrebbero fatto meglio a restare nell'oblìo se proposte in questo modo. Unico tema degno di nota la sottile divisione tra il lato oscuro e il bene assoluto incarnati dai due protagonisti Kylo Ren e Rey che cercano entrambi di attirare la propria nemesi dalla loro parte, senza rendersi conto che in fondo sia nel bene che nel male, ci sono lati opposti che a volte emergono per stravolgere le convinzioni e condizionare le rispettive azioni. Piccolo e unico imprevisto la (apparente) sconfitta del male assoluto rappresentato da Snoke che viene tolto di mezzo con un trucchetto degno di una banale imitazione del mago Silvan... [malkmus] [ e il grande Leo Ortolani : https://leortola.wordpress.com/2017/12/29/cinemah-presenta-ride-jedi-chi-ride-ultimo-la-recensione-di-episodio-viii-che-nessuno-vuole-leggere-perche-si-scopre-chelalalalalalalalala/ ]
No, non è un film s'uno stakanovista impiegato comunale o s'un occupante gli uffici pubblici causa sfratto. Nel solco di "il miracolo" e "In Grazia di Dio", Winspeare continua a seminare e coltivare germogli di futuro sullo strame del presente.
Non sono sicuro possa rientrare nel 2017 (in caso levalo. Ma il gesto ti porterà sfiga per tutto il 2018). Avevo anche scritto qualcosa, ma me l'ha mangiato il cane.
il suicidio, più della pazzia, come unico atto di libertà che l'uomo occidentale/borghese ancora possiede. Tutto il resto è pura soffocante formalità, è recita, è posa agonizzante.
Lo spaesamento esistenziale in tempi di Brexit è una fulva Naide italo-britannica che apprezza i formaggi, si ingozza di fish&chips e si concede facile, tranne che allo chef. Molto sesso (ma niente sentimenti) siamo inglesi.
Indovina chi viene a cena...o a chi è costretto a scappare nel dopo cena, magari al ritmo ambiguo e contraddittorio della nenia anticrucca 'Run Rabbit Run'. Black Power e mesmerismi all'ora del tè: il nero sfila e...ti allunga la 'vita'.
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