Forse i fortunati che hanno visto il documentario di Tavernier VOYAGE À TRAVERS LE CINÉMA FRANÇAIS non troveranno molto di che sorprendersi nella lista di consigli che porta il suo nome. È un'ipotesi, visto che non l'ho visto. E potrei sbagliare ma non credo sia tanto una mia pecca quanto una mancanza della "distribuzione", questa fantomatica entità che decide il destino delle creature cinematografiche. Comunque sia, per tutti quelli ancora in grado di stupirsi qui abbiamo un pot-pourri molto corpulento di titoli non prelevati dal suddetto documentario ma da svariate fonti laterali e trasversali sempre comunque firmate Tavernier. Le caratteristiche pressoché uniche della sua lista sono direi imputabili al fatto che, tra tutti i registi ex-Cahiers, il buon Bertrand è chiaramente il meno turco dei giovani turchi, il meno intransigente, il meno incline a incendiare indiscriminatamente i sentieri che conducono al "cinema di papà" sull'altare del rinnovamento. Ecco quindi che sulla sua Arca trovano posto nomi che altri suoi colleghi, amici e compari avrebbero voluto screditati e dimenticati: i Gremillon, i Delannoy, i Duvivier, gli Autant-Lara, per citare solo i più in vista...ma va detto che Tavernier va ben oltre e "ripesca in profondità", salvando e rivalutando senza posa qualsiasi film che colpisca il suo entusiasmo cinefilo refrattario a firme o etichette prestampate. Sempre relativo a Tavernier, un consiglio per chi mastica il francese: se non l'avete ancora fatto, fate visita al sito www.tavernier.blog.sacd.fr , che altro non è che un succoso blog di cinema (in francese ma non solo sul cinema francese) curato direttamente dallo stesso Tavernier. È da lì che provengono i provvidenziali commenti che accompagnano la maggioranza dei film presenti nella sezione dedicata al regista di 'ROUND MIDNIGHT. Poi: poco da segnalare su Johnnie To, tranne l'impressione che cacci un sacco di balle nelle interviste, soprattutto rispetto al ritornello "non preparo niente, neanche le sceneggiature, seguo solo l'istinto del momento". Chiude la Triade un loquace Lars von Trier che ci porta in dono, tra l'altro, uno dei titoli più interessanti e più nascosti della filmografia di Ken Russell e diversi frutti della sua terra sotto forma di prodotti filmici diretti dai connazionali Jørgen Leth, Nils Malmros e Palle Kjærulff-Schmidt. Questo è quanto.
I consiglieri:
Bertrand Tavernier ('ROUND MIDNIGHT; L'OROLOGIAIO DI SAINT-PAUL)
Johnnie To (ELECTION; THE MISSION)
Lars von Trier (LE ONDE DEL DESTINO; DANCER IN THE DARK)
Gli arretrati:
1 - Da Allen a Aronofsky 11 - Da Lean a Loach
2 - Da Assayas a Bergman 12 - Da Luhrmann a Menzel
3 - Da Bertolucci a Tim Burton 13 - Da Milius a De Oliveira
4 - Da Cameron a Craven 14 - Da Pasolini a S. Ray
5 - Da Cronenberg a De Sica 15 - Da Reed a Rivette
6 - Da Dreyer a Frears 16 - Da Rodriguez a Sayles
7 - Da Friedkin a Hathaway 17 - Da Schrader a Scorsese
8 - Da Haynes a P. Jackson 18 - Da Ridley Scott a Spielberg
9 - Da Jarman a Kieslowski 19 - Da Tarantino a Tarantino
"Senza voler determinare delle gerarchie, posso dire che Walsh é un regista più versatile (di Hawks); i suoi interessi erano più vasti, e c'erano momenti in cui poteva fare un western quasi metafisico come NOTTE SENZA FINE che Hawks non avrebbe mai osato affrontare. D'altro canto, Walsh non è mai stato in grado di fare nulla di tanto controllato quanto ACQUE DEL SUD e quanto alcune commedie di Hawks. Hawks è un grande regista, ma limitato; ha sempre fatto gli stessi 3 o 4 film. Ci sono persone che hanno una visione ristretta del mondo, e Hawks è uno di questi. Tu non senti il mondo in un film di Hawks. Non senti il mondo come lo senti in un film di Walsh. Hawks era limitato. Capiva un certo tipo di persona, un tipo di eroe, un tipo di azione – non lavoro, azione. Con quella gamma, ha fatto dei capolavori. A volte era un genio. Ma Walsh ha fatto delle cose audaci – e molto, molto in anticipo. Walsh è handicappato dalla sua leggenda. Quando l'ho conosciuto ho scoperto che era molto più colto di quanto la gente pensasse. La gente lo considerava un bravissimo regista di action e direttore di uomini. È molto più di questo. A volte Walsh era capace di sperimentare. Certi suoi film, come THE REGENERATION del 1915, sono stupefacenti. È un film dieci, quindici anni in anticipo. Anticipa Stroheim. Martin Scorsese mi ha detto dopo averlo visto che se dovesse girare in Bowery (street) non cambierebbe un fotogramma di quel film. Quando davano a Walsh qualcosa con cui sperimentare, lui era immediatamente pronto. Walsh era a suo agio con i set, che erano molto avanguardisti, di William Cameron Menzies ne IL LADRO DI BAGHDAD. Poteva fare IL GRANDE SENTIERO in 70mm. Fece un'interessante abitudine del diagonale – un elemento geometrico che usava molto – nelle inquadrature, nei movimenti di camera, nel modo di muoversi delle persone nello spazio. (...) Io insisto anche che Walsh sia un bravo direttore di donne. Il più delle volte le attrici sono fantastiche nei suoi film; anche le attrici di medio livello, come Virginia Mayo, che è assolutamente sbalorditiva in LA FURIA UMANA; e quando lavorava con Ida Lupino, Olivia de Havilland, o Anna Nilsson, i risultati erano vistosi ed esprimevano una visione che era autenticamente romantica." ~ Bertrand Tavernier
"ZAMPE BIANCHE di Gremillon è un capolavoro, un film maledetto che dovrebbe ritrovare infine un pubblico. E quelli che guardano dall'alto in basso Anouilh (che doveva realizzare il film) dovrebbero studiare questa bella sceneggiatura, questi dialoghi lirici, tesi, inventivi, con questi sprazzi di compassione, queste lacerazioni di cui Michel Bouquet, che trova il suo primo grande ruolo, rende tutte le sfumature, le delicatezze come i lampi d'asprezza. Il regista non nasconde la sua stima per il lavoro intrapreso da Anouilh: «Sono particolarmente sensibile alla ricchezza, al vigore, alla crudeltà del dialogo di Jean Anouilh da cui ho l'onore di trarre un film. Per essere l'illustratore più fedele della storia di ZAMPE BIANCHE sto tentando di usare al meglio le risorse della scrittura cinematografica.» Si può dire che ci sia riuscito. Ecco un film scritto e filmato a fior di pelle, con una padronanza sconcertante dello spazio, una scienza del découpage. Quando penso che i Cahiers parlavano di «mediocrità gremillonesca» quando invece ci si trova di fronte a un vortice di sentimenti che cozzano contro una Natura che sembra orchestrarli. Arlette Thomas è magnifica per dignità e lirismo trattenuto. Paul Bernard, ancora una volta, raro, nell'avventurarsi in colori non ancora vestiti. Fernand Ledoux ha quella forza, quella onestà che consente a una storia quasi gotica di attecchire. Magnifica musica di Elsa Barraine, grande partigiana, compositrice appassionante dimenticata dal mondo dei dischi." ~ Bertrand Tavernier
"ECCO IL TEMPO DEGLI ASSASSINI è il capolavoro di Duvivier degli anni '50 e non ha preso una ruga. Magistrale rievocazione dei «Les Halles» (i mercati generali di Parigi, ricreati in studio), della vita di un ristorante (tutte le scene di lavoro collettivo possono rivaleggiare con i migliori momenti di GARÇON di Sautet). Gabin e Delorme sono ammirevoli. Questo film noir, con delle sequenze di una durezza ineguagliata (tutte quelle che si svolgono all'hotel tra Delorme e sua madre), dà un'aria da operetta a un bel po' di film americani, per come gli autori negano ogni facile spiegazione psicologica." ~ Bertrand Tavernier
INTERVISTATORE: "Il polar è alla fine dei conti il mezzo migliore per trattare i problemi della società?"
TAVERNIER: "Sì, è un genere molto ospitale. Non è un caso che molti scrittori di romanzi noir fossero, all'epoca, vicini al partito comunista. Usavano il genere per parlare della Grande Depressione, come Horace McCoy o Dashiell Hammett, che è anche stato in prigione per questo. Il polar permette di far passare un messaggio di contrabbando. In Francia, dopo la guerra, il Partito Comunista Francese era contrario ai film noir. I suoi dirigenti denunciavano il vizio e la depravazione e si battevano contro dei cineasti di sinistra! In seguito si sono evoluti... Così, la critica ha trascurato film come LA VERITÀ SU BEBE DONGE, di Henri Decoin, che oggi è considerato un capolavoro."
"LA VERITÀ SU BEBE DONGE si rivede sempre con passione. É un capolavoro. É uno dei migliori adattamenti di Simenon e bisogna rendere omaggio al lavoro sensazionale dello sceneggiatore e dialoghista Maurice Aubergé che ha saputo preservare la durezza dell'intenzione, ha adottato e mantenuto il partito preso di non integrarlo in un'epoca precisa, cosa che paradossalmente (e una volta tanto), affila i sentimenti e le emozioni, dona loro una priorità assoluta, una sfumatura eterna. E una vera modernità. Si capisce dai primi piani che Decoin è ispirato, posseduto dal soggetto, cosa confermata da Michel Deville che era assistente in questo film, e lo tira un po' alla volta verso la tragedia: quella della distruzione di un'anima che vi sconvolge ulteriormente ad ogni visione. L'argomento è incredibilmente femminista, cosa non così diffusa nel cinema francese, ad eccezione dei film scritti da Prévert e Aurenche. Il decoupage di Decoin, incisivo, netto, depurato, utilizza in modo ammirevole le scenografie. Guardate come usa la scala in particolare nell'ultimo quarto d'ora, ma anche i rapporti tra piani, le entrate di campo: la scoperta di Gabin e la prima apparizione di Darrieux sono magnifiche. C'è un'eleganza formale che evoca quella, contemporanea, di Preminger. L'ultima immagine, punteggiata dalla magnifica musica di Jean-Jacques Grunenwald, di quest'auto che sprofonda nella notte fino al nero assoluto, è indimenticabile." ~ Bertrand Tavernier
"Omaggio a Pierre Schoendoerffer – Dobbiamo a Pierre Schoendoerffer una serie di film notevoli, unici, dal tono molto personale. Film che si interpellano gli uni con gli altri, si rispondono, si completano, che occupano un posto a parte nel cinema francese. Pierre, tu eri ai margini di tutto. Non ti abbiamo annesso alla Nouvelle Vague nonostante la fotografia di Raoul Coutard per 317° BATTAGLIONE D'ASSALTO sia altrettanto innovativa e rivoluzionaria di quella di FINO ALL'ULTIMO RESPIRO (e che dire di quella de L'UOMO DEL FIUME) nè ai suoi avversari che temevano le tue cronache di Grandezza e Schiavitù militare. Tu non facevi parte di nessun clan, di nessuna cricca. Soprattutto politica. (...) Rivedere 317° BATTAGLIONE D'ASSALTO al festival di Lione è stato un grandissimo momento. È un capolavoro che io metto sullo stesso piano de I FORZATI DELLA GLORIA di Wellman e di FUOCHI NELLA PIANURA di Kon Ichikawa. Ti ricordi, Pierre, quando tu mi parlavi senza posa di questo terribile film giapponese mentre preparavo il comunicato stampa di 317° BATTAGLIONE D'ASSALTO, quando io mi domandavo come aggirare i pregiudizi di una certa critica, persuasa dell'ideologia di un film che secondo questa non poteva che essere colonialista e militarista. In un articolo sublime de l’Observateur, Michel Cournot aveva distrutto per sempre queste scempiaggini. Parlava del suono del film, del modo in cui era filmata la giungla, la Natura: «Questo film è stato fatto cento volte, con un altro battaglione decimato in un'altra guerra. È quasi una specialità dei cineasti americani. Perché proprio questo è un capolavoro? Innanzitutto, perché è vero. Tutti i gesti sono veri. Tutte le parole sono vere. Tutti gli sguardi, tutte le voci, tutti i rumori sono veri. È il primo film di guerra vero... Ogni dettaglio si trova al proprio posto, nella propria luce, nel proprio slancio... La memoria non è una facoltà donata a tutti. La memoria del reale è rara. Rara del resto come la percezione. Un uomo ha saputo fissare la guerra, ha saputo ascoltarla, e lei è là... IL 317° BATTAGLIONE d'altro canto è un capolavoro perché la guerra non viene, come d'abitudine, mostrata o presentata. Non viene servita su un piatto d'argento. Non è sottolineata, indicata. Non è nemmeno spiata, vista di spalle, come nei notiziari di guerra. La guerra non è inquadrata.» Rileggere questo testo (che si potrebbe applicare anche alle scene di battaglia di DIEN BIEN PHU) mi ha suscitato molta emozione. Ho assistito al ritorno di Pierre, malato, minato dalla malaria. Era dimagrito quanto Jacques Perrin, spossato quanto i personaggi del film. Ho seguito il montaggio, ho visto nascere questo capolavoro, la bella musica di Pierre Janssen e ho capito che il tenente Torrens e il maresciallo Willsdorff facevano parte della mia vita. Pierre mi ha chiesto di fare il trailer, di scriverne il testo poi letto dal suo montatore, il mio futuro montatore, il meraviglioso Armand Psenny. E non ci si è più lasciati." ~ Bertrand Tavernier
"L'ARMATA SUL SOFÀ e IL MIO UOMO È UN SELVAGGIO sono due meravigliose commedie di Jean-Paul Rappeneau dove la Deneuve si rivela una grandiosa attrice comica." ~ Bertrand Tavernier
"Avevo provato un tale shock con CASCO D'ORO che bruciavo dall'impazienza di scoprire tutto Becker. FALBALAS è uno dei suoi film che più mi ha emozionato, mi ha fatto conoscere un universo. È vedendo questo film che ho preso coscienza dell'importanza del lavoro per Becker, del fatto che tutti quanti sgobbavano con lui. È forse il cineasta francese che più mi ha influenzato da questo punto di vista." ~ Bertrand Tavernier
"Magnifico. Western insolito e questo già dalle prime inquadrature. Due cavalieri si avvicinano ad un villaggio in mezzo a una neve molto fitta. Abbiamo visto questa scena già cento volte. Salvo che il villaggio, o piuttosto il paesino, non assomiglia a nessun paesino dei western. É un gruppo di case costruite non importa dove. Solo che la neve sembra paralizzare i cavalli. Che De Toth non inserisce nessun primo piano che venga a spezzare l'impressione di solitudine, di desolazione. E che la meravigliosa musica si interrompe per riprendere qualche secondo più tardi. Impone subito un tono unico, un universo claustrofobico. Ogni entrata o uscita dei personaggi è filmata in maniera magistrale. NOTTE SENZA LEGGE è un western austero, opprimente, talmente rigoroso che lo si potrebbe definire dreyeriano, per via del suo ascetismo visivo, del suo clima soffocante, bucato da alcuni lampi lirici folgoranti. Non riusciremo a dimenticare la sequenza del ballo durante la quale una banda di disertori assassini, tutti violentatori potenziali, ballano il valzer con le poche donne (De Toth utilizza tutti gli attori di secondo piano a cui è affezionato e Tina Louise ha veramente l'aria terrorizzata) sotto lo sguardo del loro capo che sta morendo. La cavalcata del titolo francese (LA CHEVAUCHÉE DES BANNIS) è ambientata in paesaggi straordinari. I cavalli sprofondano nella neve, un uomo non può premere sul grilletto della sua arma perché le sue dita si sono congelate. De Toth sovverte il genere, rifiuta l'individualismo che è la sua spina dorsale, conferisce alla Natura un potere tanto di morte quanto di redenzione. Infatti condivide con altri cineasti europei immigrati (Tourneur, Lang, Preminger) questa diffidenza verso un cinema affermativo, positivo a tutti i costi. S'ingegna a cambiare le carte in tavola, a spostare i centri d'interesse, a trattare certi soggetti per rifrazione." ~ Bertrand Tavernier
"INSIANG di Lino Brocka torna nelle sale ed è una gioia constatare che questo capolavoro non ha preso una ruga. Ci parla oggi come quando l'abbiamo scoperto grazie a Pierre Rissient. In questi momenti in cui l'immagine cade sovente nella melma più merdosa, in cui si manipolano i fatti e le emozioni in maniera abietta, lo sguardo di Lino Brocka rimette le cose a posto. Lui vede l'orrore ma non se ne compiace. In un unico movimento, integra sia il dolore che la pietà." ~ Bertrand Tavernier
"MACAO, L'INFERNO DEL GIOCO è un film straordinariamente brillante – d'altronde quando Scorsese l'ha visto, ha esclamato: «What is this film? It's great! It's fucking great!" ; "Ho mostrato a Scorsese alcuni estratti del film (VIAGGIO ATTRAVERSO IL CINEMA FRANCESE di Tavernier - ndt) e come me anche lui è rimasto sbalordito dai movimenti di camera di MACAO, L' INFERNO DEL GIOCO. La carrellata che parte da Erich von Stroheim per finire sulle gambe di Mireile Balin, che maestria... (...) Jean Delannoy è stato vilipeso – e talvolta a giusto titolo. Vi dirò: è l'uomo con cui più mi sono annoiato al mondo, durante un pranzo in cui si era mostrato estremamente pontificante. Ma MACAO, L'INFERNO DEL GIOCO e RAGAZZO SELVAGGIO con Madeleine Robinson, sono superbi..." ~ Bertrand Tavernier
"Nella collezione Gaumont raccomando molto caldamente il magnifico RAGAZZO SELVAGGIO di Jean Delannoy (molto belli i dialoghi di Jeanson), interpretato da un superbo trio di attori. Frank Villard è formidabile nella parte del protettore vanitoso, pavido e infido. Bisogna vederlo lamentarsi del colpo di temperino che gli ha graffiato una mano, colpo inferto dal ragazzo perché lui malmenava Madeleine Robinson: «Se ogni volta che si pesta una donna...». Jeanson e Delannoy eliminano il pittoresco dai personaggi meridionali, filmati e interpretati con rara sobrietà. Una scoperta." ~ Bertrand Tavernier
"JOE MITRA tocca delle vette. È vivo, divertente, intelligente e inventivo. L'avevo sottovalutato e guadagna molto ad essere rivisto. Constantine è molto bravo proprio come Wilson e un Pierre Brasseur molto sobrio e trattenuto, cosa piacevole in particolare negli scambi con i suoi figli. Deville con l'aiuto di Nina Companez dona anche al film una grazia, una malinconia molto personale. Nei bonus, Claude Brasseur rende omaggio a Deville per avergli lasciato improvvisare il suo personaggio e i suoi dialoghi con suo padre. Deville dichiara allora che tutto quello che ha raccontato Claude è falso e che i due personaggi erano stati concepiti molto prima delle riprese. Ne fornisce peraltro la dimostrazione. Questo doppio intervento è divertente e rappresenta bene lo spirito di JOE MITRA." ~ Bertrand Tavernier
"Un grande film noir. (...) IL VIZIO e LA NOTTE di Gilles Grangier, uscito nel 1958, mostra la diversità sociale, ma lo fa con calma, senza dire: «Attenzione! Guardate! Stiamo infrangendo dei tabù!». Lo fa con una sorta di sicurezza e di evidenza tranquille. (...) Sentimenti molto duri sono trattati in maniera obliqua. Non sono mai in superficie, mai pubblicizzati dalla messa in scena. Grangier firma dei film calorosi, in cui l'attenzione è rivolta ai personaggi più che alla trama." ~ Bertrand Tavernier
"Ho rivisto LA NOTTE È IL MIO REGNO di Georges Lacombe, che era stato una vera sorpresa quando l'avevo scoperto per caso. Ed ho ritrovato la stessa emozione davanti alla sobrietà del tono, all'attenzione per i personaggi popolari, alla completa mancanza di pathos nella recitazione di Gabin. Chiaramente si pensa a L'ANGELO DEL MALE, cosa che ingigantisce la forza di certi piani (anche se per un breve momento Lacombe e Agostini utilizzano un trasparente), specialmente quello che inquadra in plongée Gabin, dopo l'incidente, barcollante sulla massicciata, perduto nel vapore che esce dalla locomotiva, o l'improvvisa apparizione in controluce di Gerard Oury, il dispensiere dell'istituto, che interrompe un momento di tenera intimità tra Gabin e Simone Valère, e ci fa comprendere il rapporto che intrattiene con l'istitutrice. Oury interpreta questo dispensiere geloso con una vera sobrietà che aggira ciò che il personaggio potrebbe avere di convenzionale... Sceneggiatura diretta, franca, mai ostentata di Marcel Rivet, di cui è il fiore all'occhiello, e buoni dialoghi di Charles Spaak con una bella battuta finale. Bella interpretazione di Susanne Dehelly, toccante nella parte della suora anche se l'evoluzione del suo personaggio verso la cecità è troppo prevedibile. E musica lirica ma non invasiva di Yves Beaudrier. È uno dei titoli sconosciuti del secondo periodo di Gabin, che è miracoloso per leggerezza, per moderazione. Esprime una vera grazia in tutti i momenti in cui il suo affetto per Simone Valere diventa amore, valorizzando i suoi tentativi, la sua rudezza, le sue oscillazioni maldestre. (...) Per questa interpretazione Gabin vinse la Coppa Volpi a Venezia." ~ Bertrand Tavernier
"IL MERAVIGLIOSO PAESE è un capolavoro, uno dei western più belli della storia del cinema, anche uno dei più romanzeschi, e due sue scene tra le più belle furono scritte da uno scrittore sulla Lista Nera, Walter Bernstein." ~ Bertrand Tavernier
INTERVISTATORE: "Quali sono i film americani della Golden Age che più ami?"
TAVERNIER: "Ce ne sono molti. Raoul Walsh, John Ford, Ernst Lubitsch. Anche alcuni registri non celebrati come Andre De Toth. In Francia ho un contatto e insisto per far uscire un mucchio di film Western in DVD che sono impossibili da trovare nel nostro paese. Come IL MERAVIGLIOSO PAESE di Robert Parrish, che è uno dei miei film preferiti. Ho moltissime commedie – L'IMPAREGGIABILE GODFREY di Gregry La Cava. E poi screwballs, amo le screwballs comedy. LA SIGNORA DEL VENERDÌ, ovviamente. Ma amo anche il cinema britannico e francese. Amo tutto il cinema!"
Su Robert Parrish: "I suoi film sconcertano al primo sguardo. Ci si trovano solo in minima parte le qualità hollywoodiane, ritmo rapido, idee di regia, narrazione efficace, o l'influenza dei generi americani (western, thriller). È un cinema vecchio stampo, disincantato, alla ricerca di uno stile Romanzesco e lineare, in cui la riflessione conta più dell'azione, e intelligenza o sensibilità più dell'impatto drammatico. Da dove proviene questo lirismo, questo gusto per la (buona) letteratura, queste preoccupazioni morali? Gli eroi di Parrish sono sradicati e persi ovunque. Sono nostalgicamete alla ricerca di una pace interiore e della lucidità che solo l'amore di una donna può dar loro. La tristezza de IL MERAVIGLIOSO PAESE, PIANURA ROSSA o IN THE FRENCH STYLE evoca quella di Henry David Thoreau. Film semplici, sentimenti elementari. Nel lavoro di Parrish è necessario cercare altre ambizioni oltre allo story-telling." ~ Bertrand Tavernier
"All'interno nel genere poliziesco ASFALTO CHE SCOTTA è un film completamente a parte, cosa che all'epoca non fu per nulla riconosciuta. Fu ignorato dalla critica e considerato il risultato di una produzione in serie, appena inferiore a un film di Edouard Molinaro. Rivedendo il film si rimane molto stupiti perché è in effetti un film innovatore. Da subito si differenzia per il tono dalla maggior parte degli altri polar, non c'è alcuna descrizione del milieu, nulla di pittoresco. Ed è un film che gira attorno a un tema raramente affrontato dai polizieschi: la decadenza. La maggior parte dei polizieschi sono incentrati su un'azione che potremmo definire positiva, anche quando non lo è moralmente, un colpo, una rapina in banca; qui abbiamo un film sulla sopravvivenza, su un uomo che sprofonda un po' alla volta, che è braccato, che vive ai margini...che va verso la morte. Il che è tutto il contrario di, ad esempio, altri capolavori come GRISBI o LA GRANDE RAZZIA. È anche un film che ruota attorno alla famiglia, ai figli, al fatto che l'inseguimento della polizia disintegra la famiglia e separa un padre dai suoi figli. (...) Sautet disse che vedeva il film come «la storia di un uomo che cammina e di due bambini che camminano 50 metri dietro di lui» e lì lo sceneggiatore Josè Giovanni sentì che Sautet aveva compreso qual era il cuore del film. (...) Sautet è il vero erede di Becker, cosa che ha subito avvertito Josè Giovanni. Diceva che avevano lo stesso rapporto con le emozioni, coi sentimenti veri e che Sautet e Becker avevano lo stesso pudore, e lo stesso desiderio di rendere anche le cose più piccole comprensibili per lo spettatore, senza tuttavia dare delle spiegazioni." ~ Bertrand Tavernier
AU NOM DE LA LOI(Maurice Tourneur, 1931, Francia) Un ispettore di polizia viene assassinato. Le circostanze del crimine sono misteriose e l'inchiesta si orienta rapidamente verso gli ambienti della droga. Un poliziotto, Lancelot, si vede incaricato di pedinare la principale sospettata, Sandra, una bella ragazza che, con tutta evidenza, è coinvolta nel traffico di stupefacenti. Contrariamente ad ogni aspettativa s'innamora dell'oggetto del suo pedinamento, al punto di volerla proteggere. Cosa che non manca di complicargli il compito. Lancelot, col proseguire dell'inchiesta, viene trascinato suo malgrado in meandri in cui la verità è difficile da raggiungere... ~ (telerama.fr)
"AU NOM DE LA LOI è stata una rivelazione. Un'opera originale, quasi unica tra i film polizieschi francesi degli anni trenta per via della sua ricerca realista (scenografie, accessori, comparse, l'importanza degli esterni reali) e della sua ricerca formale: fotografia e inquadrature magnifiche, tono spoglio, interpretazione sobria, contenuta, in cui spicca il «miscasting» di Marcelle Chantal." ~ Bertrand Tavernier
IT ALWAYS RAINS ON SUNDAY(Robert Hamer, 1947, Gran Bretagna) Terzo film di Robert Hamer per gli Ealing Studios – che, in attesa delle loro celebri commedie, erano allora noti soprattutto per i film drammatici e di guerra –, IT ALWAYS RAINS ON SUNDAY può probabilmente essere considerato il primo esempio di realismo ‘kitchen-sink’ britannico. Tratto dal romanzo omonimo di Arthur La Bern, il film racconta ventiquattro ore a Bethnal Green, quartiere dell’East End londinese ancora piagato dagli effetti della guerra e dalla miseria del dopoguerra. Rose Sandigate (Googie Withers) vive in ristrettezze con il marito di mezz’età e le due figlie di lui, frutto di un precedente matrimonio. Quando il suo ex amante Tommy (John McCallum), appena evaso, le chiede di nasconderlo, la donna è lacerata tra la nuova e la vecchia vita. Il lavoro del direttore della fotografia Douglas Slocombe è qui magistrale. Fotoreporter di guerra, Slocombe era stato apprezzato dal regista Alberto Cavalcanti che lo aveva chiamato agli Ealing Studios per lavorare a FOR THOSE IN PERIL e DEAD OF NIGHT. Le riprese in esterni, nei mercati e nelle strade affollate erano allora pressoché sperimentali nel cinema britannico, ma il vero colpo da maestro di Slocombe è la scena finale dell’evaso in fuga lungo i binari tra i treni in corsa. Il chiaroscuro un po’ noir della sequenza notturna, spesso accostato al realismo poetico del cinema francese degli anni Trenta, richiama Renoir e Carné. Quando IT ALWAYS RAINS ON SUNDAY uscì, la Cinematograph Exhibitors Association lo definì “un film sgradevole… che può piacere solo a persone dalla mentalità aperta”. Il pubblico britannico però non si lasciò condizionare e fece del film il principale successo al botteghino della Ealing per quell’anno. Venticinque anni dopo un altro romanzo di Arthur La Bern, «Goodbye Piccadilly, Farewell Leicester Square» sarebbe diventato FRENZY di Hitchcock. ~ (ilcinemaritrovato.it)
"Un capolavoro...un lavoro corale scritto in maniera brillante." ~ Bertrand Tavernier
BAGARRES(Henri Calef, 1948, Francia) Carmelle, bella cameriera di fattoria, è innamorata di un ragazzo senza un soldo. Costui le suggerisce di mettere gli occhi su Rabasse, un ricco fattore in età avanzata. Loro potranno così continuare a vedersi, oltre ad essere materialmente al riparo. Carmelle consegue i suoi obiettivi: sposa Rabasse e diventa sua erede universale. Ma a quel punto viene tradita dal suo amante... ~ (telerama.fr)
Henri Calef sul suo film: "Questo soggetto struggente, profondamente umano, si presta a degli sviluppi psicologici, a studi di carattere, a spinte potenti, anche a una certa componente di psicanalisi. Tutti i miei personaggi saranno veri, semplici e complessi al contempo, opposti o sottomessi ai loro istinti, alle loro passioni..."
LES SIÈGES DE L'ALCAZAR(Luc Moullet, 1989, Francia) Come molti altri suoi colleghi dei Chaiers du Cinéma, anche Moullet è stato prima critico e poi regista. Prima ancora però è stato un cinefilo, un “mangiatore di film”, ed è questo che ci mostra nell’autobiografico LES SIÈGES DE L'ALCAZAR, cortometraggio del 1989 dove riguarda con tenerezza ad un periodo della sua vita e della storia del cinema ormai molto lontano, gli anni ’50, un periodo dove la stessa cinefilia era qualcosa d’altro, un atto d’amore che costava anche grandi sforzi. La trama è minima e si può dire che il film non si basi su un vero e proprio intreccio, quanto più su un accostarsi di situazioni che hanno per centro la sala del cinema. Così vediamo Guy Moscardo, il protagonista, alter ego di Moullet, che ci parla dell’Alcazar, il cinema con “la migliore programmazione di tutta la Francia”, un cinemino squallido e chiassoso. Assistiamo a discussioni con i proprietari per pagare di meno, per scegliersi il posto, osserviamo le relazioni fra i vari cinefili e fra critici di riviste rivali. Il film è denso di riferimenti, com'è logico per un film che vuole rappresentare la cinefilia di un giovane critico, a partire dal titolo: letteralmente “I posti a sedere dell’Alcazar”, nulla di strano, se non fosse che in francese si usa la stessa parola per dire “posto a sedere” e “assedio”. Come se non bastasse Alcazar non è solo il nome del cinema, ma anche quello della piazzaforte di Toledo, assediata dai repubblicani durante la guerra civile spagnola. Ma non finisce qui, perché su questo fatto storico fu girato anche un film nel ’40, da un regista italiano, Augusto Genina, non un capolavoro, ma tanto per ribadire che sempre e comunque di cinema si sta parlando. Però cos'ha a che fare una battaglia con questo film? Apparentemente niente, ma ad uno sguardo più attendo risulta essere metafora della condizione passata di Moullet, assediato per il suo essere non schierato, quando non apertamente anti-comunista. Una situazione che ricalca anche quello che era lo scontro tra le due più importanti riviste di cinema francesi, i Cahiers du Cinéma, per la quale scriveva Moullet, che non faceva politica in senso stretto, e Positif, con un'ideologia marcatamente di sinistra. Il parallelo dell’assediato è reso ancora più forte dal nome del personaggio alter ego, Moscardo, che non a caso era anche il nome del comandante nazionalista che difese il forte. ~ (revolart.it)
NOOSE(Edmond Greville, 1948, Gran Bretagna) Adattato da Richard Llewellyn a partire da un suo testo teatrale, NOOSE è una sorta di compromesso transatlantico. Calleia, un malvagio gangster simil-mafioso più perfido di Edward G. Robinson nei suoi giorni migliori, dirige un proficuo racket al mercato nero nella Soho postbellica abbandonandosi a scatti d'ira e coltivando piaceri edonistici (la sua ex ragazza viene malmenata con un tirapugni e poi scaricata nel Tamigi) mentre il suo socio, un allegro trafficone Cockney (Patrick), si occupa del lato affaristico. Il suo castigo – concretizzatosi quando un'intrepida reporter (Landis) agita le acque e suo marito, ex militare, guida delle truppe di lavoratori locali in un pugilistico soccorso – è molto british e leggermente ridicolo. Ma tenendo il film per la collottola il talentuoso Greville lo trasforma in qualcosa di ricco, strano e decisamente meraviglioso. La sua regia audacemente stilizzata, supportata dalla fotografia espressionista di Hone Glendining e dalle ardite performance sopra le righe (Calleia e Patrick sono entrambi meravigliosi), dà a questo thriller avvincentemente nero eppure cupamente divertente un taglio quasi Wellesiano. ~ (timeout.com)
"Film noir mozzafiato che dimostra un considerevole controllo visivo, NOOSE è tipico del talento altamente personale di Greville. Si può confrontare la sua descrizione di Soho con quella de I TRAFFICANTI DELLA NOTTE che lo precede di due anni: stessi traffici, stessi imbrogli che sfociano nella violenza e nel crimine. Joseph Calleia potrebbe essere un cugino italiano (è maltese) di Herbert Lom e il mondo del catch rimanda ai pugili di NOOSE. Il paragone si arresta qui, perché Greville sceglie a volte un tono curiosamente leggero (Carole Landis, molto ben fotografata, perde continuamente le scarpe) che disinnesca la continuità della tensione, con delle gag più o meno apprezzabili, uno stile di recitazione talvolta spettacolarmente teatrale (Calleia, che dà di matto, è incredibile e Nigel Patrick, straordinario, ruba la scena); ci sono anche delle sequenze di vioenza ammirabilmente inquadrate (la morte di una giovane donna in una palestra di pugilato), delle idee visive sorprendenti, delle ellissi folgoranti, delle inquadrature audaci (Calleia che parla al terribile barbiere che gli fa da torturatore su una scala; Annie che realizza che è in pericolo di morte: è filmata in contro-plongée, inquadratura che evoca il Powell de I RAGAZZI DEL RETROBOTTEGA). Ma quello che trovo toccante sono queste scene con giovani donne, come quel momento in apparenza inutile in cui la bella Ruth Nixon entra nel night club mentre Olive Lucius canta una canzone in francese: una ragazza si trucca, delle cameriere si riposano, una donna dele pulizie pulisce il pavimento ed ha luogo un omicidio che Greville traduce in una stola che scivola a terra." ~ Bertrand Tavernier
LA FAUVE EST LACHÉ / THE BEAST IS LOOSE(Maurice Labro, 1959, Francia) Ex malvivente, graziato per la sua partecipazione alla Resistenza, Paul Lamiani (Lino Ventura) si è ritirato dagli affari e conduce un'esistenza tranquilla tra moglie, figli e il suo ristorante. Un giorno la DST (agenzia d'intelligence francese) lo contatta per chiedergli di riallacciare i rapporti col suo amico Raymond Maroux (Paul Frankeur), implicato in un traffico di documenti segreti. Paul è reticente ma la DST lo compromette in un affare di dollari falsi montato appositamente. Paul è obbligato a cedere: simuleranno la sua evasione dal carcere e lui andrà a chiedere rifugio al suo vecchio amico. Raymond accoglie Paul a braccia aperte. Qualche tempo dopo lo stesso Raymond viene ammazzato da uomini della sua banda che vogliono "fargli le scarpe". Prima di morire chiede a Paul di vegliare sulla sua amichetta Nadine (Estella Blain). Paul si reca a Le Havre dove il luogotenente di Raymond gli deve consegnare i famosi documenti rubati. Ma i documenti sono spariti. Paul si è appena accorto della sparizione che cade nelle mani della banda rivale. Riesce però a scappare dopo un drammatico inseguimento sulle scogliere di Étretat. Tornato a Parigi Paul scopre che Nadine ha i documenti che cercava. Paul sta per portarli alla DST quando viene avvertito che la banda rivale ha appena rapito suo figlio. Glielo restituiranno in cambio dei documenti. É qui che la belva ("fauve") si scatena... ~ (Wikipedia)
OCTOBRE ÀPARIS(Jacques Panijel, 1962, Francia) "È un documento eccezionale che riporta gli avvenimenti della notte del 17 ottobre 1961, quando circa 30.000 persone d'origine algerina sfilarono per le strade di Parigi nel corso di una manifestazione pacifica indetta dalla Federazione francese del Fronte di Liberazione Nazionale. Questo assembramento fu provocato dalla decisione di Maurice Papon, prefetto della Polizia della Senna, di imporre un coprifuoco discriminatorio diretto esclusivamente ai musulmani francesi d'Algeria. Quella sera la polizia si abbandona ad una repressione spietata contro i manifestanti. Gli storici oggi rievocano 11.000 arresti, decine di assassinati e centinaia di espulsioni. Si ritrovano cadaveri nella Senna e tutte le denunce presentate restano senza seguito. Questa notte diventa un capitolo dimenticato della nostra Storia nazionale. La manifestazione non viene filmata ma, l'indomani, i membri del comitato Maurice-Audin (giovane matematico comunista assassinato dai paracadutisti ad Algeri nel 1957), cercano di realizzare un film sull'avvenimento. Per quanto numerosi registi della Nouvelle Vague vengano avvicinati, nessuno si dimostra interessato. Alla fine è Jacques Panijel che viene scelto. Biologo e vecchio partigiano, quest'uomo di profonde convinzioni è uno dei membri fondatori del comitato Audin. Le riprese sono realizzate clandestinamente, dall'ottobre 1961 al febbraio 1962, nel quartiere della Goutte-d'Or e nelle bidonville di Gennevilliers e di Nanterre. Il film dà la parola agli uomini, alle donne e ai bambini terrorizzati e filma i luoghi che li riuniscono. A queste riprese documentarie si mescolano, per sopperire alla mancanza d'immagini d'archivio, la ricostruzione dell'organizzazione dello sciopero e la messa in scena delle fotografie della manifestazione messe a disposizione dal fotografo Elie Kagan. Il film, presentato a Parigi nel maggio del 1968 contemporaneamente a LA BATTAGLIA D'ALGERI di Pontecorvo, viene censurato e Jacques Panijel è minacciato di denuncia. Nel 1973, in seguito ad uno sciopero della fame dell'anziano partigiano René Vautier, il film riceve il visto di sfruttamento. Il suo regista rifiuta tuttavia di mostrarlo finché non verrà aggiunto un preambolo in forma di prefazione. Un'operazione che necessita di sovvenzioni rimaste fin lì introvabili. Il progetto viene quindi abbandonato. Alla morte di Jacques Panijel nel 2010, la società di distribuzione «Les Films de l'Atalante» negozia la sua distribuzione con gli aventi-diritto ed è a Medhi Lallaoui, autore di un documentario consacrato agli avvenimenti del 17 ottobre 1961, LE SILENCE DU FLEUVE, che tocca il compito di realizzare l'introduzione del film. OCTOBRE À PARIS è presentato nelle sale per la prima volta in Francia il 17 ottobre 2011, cinquant'anni dopo i fatti, quando lo Stato francese non li ha ancora riconosciuti. Un anno dopo, il 17 ottobre 2012, François Hollande pubblica questo comunicato: «Il 17 ottobre 1961 degli Algerini che manifestavano per il diritto all'indipendenza sono stati uccisi durante una sanguinosa repressione. La Repubblica riconosce con chiarezza questi fatti. Cinquantun anni dopo questa tragedia, rendo omaggio alla memoria delle vittime»." ~ Bertrand Tavernier (lacinetek.com)
LISTE COMPLETE di TAVERNIER
TOP 10
- La regola del gioco (Renoir) - La grande illusione (Renoir) - Duello a Berlino (Powell/Pressburger) - L'Atalante (Vigo) - I gioielli di Madame de... (Ophuls) - I cavalieri del Nord Ovest (Ford) - Sentieri selvaggi (Ford) - I sette samurai (Kurosawa) - L'intendente Shansho (Mizoguchi) - La folla (K. Vidor)
ALTRI PREFERITI
- I prigionieri del sogno (Duvivier) - Il delitto del signor Lange (Renoir) - Alba tragica (Carné) - Il cielo è vostro (Gremillon) - Zampe bianche (Gremillon) - Tempesta (Gremillon) - Au nom de la loi (M. Tourneur) - Ecco il tempo degli assassini (Duvivier) - La bella brigata (Duvivier) - I Miserabili (R. Bernard) - Les croix de bois (Bernard) - La verità su Bebe Donge (Decoin) - Piccola ladra (Decoin) - Il bandito delle 11 (Godard) - Il tagliagole (Chabrol) - 317° battaglione d'assalto (Schoendoerffer) - Desideri nel sole (Rozier) - Cleo dalle 5 alle 7 (Varda) - Il corvo (Clouzot) - Evasione (Autant-Lara) - I 400 colpi (Truffaut) - L'armata sul sofà (Rappeneau) - Mélo (Resnais) - Parole, parole, parole... (Resnais) - Falbalas (Becker) - Edoardo e Carolina (Becker) - Scala al paradiso (Powel/Pressburger) - Prigionieri dell'oceano (Hitchcock) - Furore (Ford) - Il sole splende alto (Ford) - Quel treno per Yuma (Daves) - Notte senza legge (De Toth) - Le catene della colpa (J. Tourneur) - Ho camminato con uno zombie (J. Tourneur) - Mancia competente (Lubitsch) - Cupo tramonto (McCarey) - Il gusto del saké (Ozu) - Acque del sud (Hawks) - Umberto D. (De Sica) - Europa '51 (Rossellini) - I racconti della luna pallida d'agosto (Mizoguchi) - It Always Rains on Sunday (Hamer) - Insiang (Brocka) - Lo Scopone scientifico (Comencini) - Una vita difficile (Risi) - Floating Clouds (Naruse) - Il pasto (Naruse) - Macao, l'inferno del gioco (Delannoy) - Ragazzo selvaggio (Delannoy) - Il commissario Maigret (Delannoy) - Allo Berlin? Ici Paris! (Duvivier) - Toni (Renoir) - Il vizio e la notte (Grangier) - Bob le flambeur (Melville) - Landru (Chabrol) - Bagarres (Calef) - La notte è il mio regno (Lacombe) - Les sièges de l'Alcazar (Moullet) - Noose (Gréville) - Joe mitra (Deville) - The Beast Is Loose (Labro) - Tutto finisce all'alba (Ophüls) - L'espoir (Malraux) - Octobre à Paris (Panijel) - Un femme en blanc se révolte (ClaudeAutant-Lara) - Il meraviglioso paese (Parrish) - Il commissario Pelissier (Sautet) - Asfalto che scotta (Sautet)
FILM AMERICANI PREFERITI fino al '64 (muti esclusi)
1. L' albero degli impiccati (Daves) - 2. Notte senza fine (Walsh) - 3. Il covo dei contrabbandieri (Lang) - 4. Seduzione mortale (Preminger) - 5. Un amore splendido (McCarey) - 6. Acque del sud (Hawks) - 7. La campana ha suonato (Dwan) - 8. Cantando sotto la pioggia (Donen / Kelly) - 9. Spettacolo di varietà (Minelli) - 10. Sentieri selvaggi (John Ford)
Fonti: lacinetek.com; http://jdcopp.blogspot.it/2006/09/bertrand-tavernier-10-best-films; "Cahiers du Cinéma" '54/'65; filmoteca.cat; latimes.com; lemonde.fr; "Bertrand Tavernier" edizioni Il Castoro; Movies Unlimited Catalog, 1997; combustiblecelluloid.com; www.tavernier.blog.sacd.fr; www.lavie.fr; "Bertrand Tavernier: interviews" by Higgins, Jefferson Kline;
"Ho cominciato a vedere film durante la mia degenza in sanatorio. Ma la mia vera passione è nata quando avevo 13 anni. Collezionavo foto di film, con i crediti, su un quaderno. Annotavo i nomi dei registi. Quando tornavo dal collegio, l'autobus mi scaricava alla Porte Maillot, e io seguivo un percorso rituale: risalivo l'Avrnue de la Grande Armée, per passare davanti allo Studio Obligado, dove proiettavano tutti i film che sognavo di vedere. E anche davanti al Napoléon. Guardavo i manifesti. Dopo, prendevo il metro, scendevo al Palais Royal e rientravo nella chiesa di San Rocco per studiare il programma di «Radio Cinema», che è diventato più tardi «Telerama». Mi buttavo sulle valutazioni del Centro Cattolico. Ce n'erano due davvero sublimi: la 5, «sconsigliato», e la 4-bis «sconsigliato, a meno di fondati motivi». Inutile dire che i film sconsigliati erano quelli che io decidevo di andare a vedere ad ogni costo". ~ Bertrand Tavernier
"Ho sempre amato la ribellione e la collera. Quando ho conosciuto persone come Herbert Siberman e Abraham Polonski, quello che amavo in loro era la loro capacità di indignarsi, restare contrariati. Battersi. Ho sempre sognato di imitarli. Jacques Prevert, Joris Ivens, Dalton Trumbo erano anche questo. Quando avrò la loro età, spero di mantenere la loro combattività. Perché sì, ero in collera contro un certo comfort, contro la fiacchezza di certi francesi, contro l'autocompiacimento." ~ Bertrand Tavernier
"Volevo spogliare la Storia. Volevo scalfire il versante «antiquariato», il versante «museo». Mi sono sempre preoccupato di togliere la vernice dalla Storia Ufficiale, a costo di scandalizzare quegli storici che guardano la Storia come dei poliziotti intenti a frugare tra i reperti con occhio indagatore... Ho letto Michelet, Saint-Simon. Mi ha sempre interessato ritrovare il rapporto quotidiano con gli oggetti, come hanno saputo fare in teatro Vilar e Planchon, o ancora Strehler e Peter Brook. Per esempio, mi sono domandato come una stanza era riscaldata, per scoprire come i personaggi potevano comportarsi. Il fuoco di legna condiziona i movimenti. Per la luce è lo stesso. È una lezione che ho imparato da Jacques Tourneur... Grazie ai lavori di Braudel, Duby, Le Goff, si impara a stabilire un rapporto reale tra i personaggi e il décor. Un oggetto diventa un fattore drammatico... Fare un film storico è un modo per capire la realtà. Michelet ha scritto una frase sublime: «per trattare la Storia bisogna essere irrispettosi». È la chiave del mio procedimento. Io affronto la vicenda in modo irrispettoso, insolente. Lo scopo è quello di far dubitare lo spettatore, riguardo alle versioni ufficiali della Storia. È il modo migliore per farlo dubitare della realtà contemporanea." ~ Bertrand Tavernier
"I miei film sono apparentemente classici. Ma spero che al loro interno risultino pieni di dissonanze. Capita spesso che un concerto di Duke Ellington, un pezzo di Lester Young, o una canzone di Billie Holiday, sottendano novità, contengano fratture, dispieghino una modernità più sconvolgente di certe opere atonali d'avanguardia. Non voglio dire che Albert Ayler, John Coltrane, Archie Shepp o Charlie Mingus non siano degli innovatori. È vero che nei miei primi tre o quattro film ho cercato innanzitutto di aderire alla sceneggiatura, alla vicenda, ai personaggi. Ma, dopo, ho subito un'evoluzione. Ho fatto in modo che il film in questione mi ponesse dei problemi di regia diversi da quelli dei film precedenti, mi costringesse ad affrontare cose molto lontane dalla mia sensibilità. Quello che mi coinvolge sempre di più e il rapporto tra un piano e il piano successivo. I problemi narrativi: come spezzare il ritmo interno del film, far saltare la struttura drammaturgica. Come, tutt'a un tratto, decollare. Dopo che, all'inizio, mi son detto: «Questo lo giro interamente a piani fissi, senza mai muovere la camera», in capo a due o tre giorni mi lascio andare e non mi sottraggo a immensi movimenti di macchina per tentare di andare al di là, di scatenare il lirismo, prendere di petto l'emozione. In UNA SETTIMANA IN VACANZA o UNA DOMENICA IN CAMPAGNA ho osato adottare una libertà narrativa forse non tanto visibile ma per me significativa, col passaggio estremamente rapido dal presente al passato, senza che lo spettatore possa accorgersene... Quello che appare naturale, spontaneo, non sempre è così semplice come sembra. È come la musica di Fauré: ha una linea chiara, ma quando la si sintonizza con una scena se ne scopre la complessità, ed è difficile tagliarla. Una parte delle mie ricerche, peraltro, ha a che fare con la musica che ascolto ogni mattina recandomi sul set, e che faccio ascoltare agli attori. Tengo anche molto al décor. Ho bisogno di avere paesaggi che mi ispirino, che alimentino le emozioni. Ho avuto bisogno di sentire che Noiret si fondeva negli interni lionesi, che Galabru e l'Ardèche facevano tutt'uno, che Dexter Gordon aderiva ai corridoi del suo hotel e del Blue Note, che Bernard-Pierre Donnadieu era integrato con le pietre del suo castello. Non mi preoccupo di dare la priorità al décor, semmai del contrario: di non separare il personaggio dal suo décor. È certo a causa del mio passato di cinefilo che ho imparato ad essere sensibile all'incrostazione dei personaggi di Walsh o Losey nei luoghi che frequentavano." ~ Bertrand Tavernier
"L'ossessione della composizione ha preso corpo a partire da I MIEI VICINI SONO SIMPATICI. Da allora ho provato a lottare contro la simmetria. Credo di non aver più fatto scene in campo-controcampo, oppure le ho fatte con ottiche differenti. Mai un piano che ne introduca un altro in modo automatico. È in IL QUARTO COMANDAMENTO che ho più lavorato in questo senso. Ho cercato inquadrature spezzate, frantumate, organiche al movimento degli attori. In realtà ho sempre cercato di creare uno spazio adeguato all'interno del quale l'attore dia la sensazione di muoversi senza sforzo, abbia l'aria di far parte dello spazio che attraversa." ~ Bertrand Tavernier
"LA GRANDE ILLUSIONE mi ha toccato enormemente quando l'ho scoperto. Avevo 14/15 anni e avevo in testa i racconti di mio padre sulla Resistenza, sul coraggio di certe persone. Quando guardavo LA GRANDE ILLUSIONE, che si svolge durante la Prima Guerra Mondiale ma è stato girato durante l'inverno del 1936-'37, ci vedevo un'incarnazione dei valori del Fronte Popolare: l'aiuto reciproco, l'amicizia, il senso di comunità che prevale sull'individualismo... Sono valori che mi emozionavano e continuano a emozionarmi. La mia ammirazione per Jean Renoir è immensa, ma questo non mi ha impedito di criticarlo per aver scritto, prima di partire per gli Stati Uniti nel 1940, una lettera ad un ministro d'estrema destra per domandargli di liberare la Francia dagli ebrei, in un'epoca in cui Vichy cominciava a promulgare le sue leggi contro di loro. Penso che sia il solo cineasta francese ad aver scritto questo genere di lettera. Questo spiega perché il ritrovarsi tra Renoir e Gabin per le riprese di FRENCH CANCAN nel 1954 non fu molto caloroso. Gabin non gli perdonò mai il suo atteggiamento." ~ Bertrand Tavernier
"Era formidabile lavorare sui film di Godard. Il produttore Georges de Beauregard mi spingeva a mentire, a dire ai giornalisti che il nuovo Godard seguiva una sceneggiatura. Era falso. IL DISPREZZO e IL BANDITO DELLE 11 erano film ispirati. L'etichetta Nouvelle Vague non ha più valore dell'etichetta Realismo Poetico, che hanno incollato su cineasti come Gremillon e Carné. Non ho mai ammirato un movimento. Ho ammirato delle opere e dei cineasti, Truffaut, Varda, Chabrol... Dopo aver lavorato per Beauregard, mi sono occupato di dieci film di Chabrol. La qual cosa prova che tra di noi c'era amicizia e condivisione. Dal momento che, come addetto stampa, sceglievo i film da difendere. Non mi venivano imposti." ~ Bertrand Tavernier
"I SENZA NOME presenta un concetto buddhista che trova un'eco anche in alcuni dei miei lavori. Qui vediamo tre eroi costretti in una situazione unica in cui la loro amicizia è più importante di qualsiasi altra cosa." ~ Johnnie To
Su I SETTE SAMURAI: "La scena d'apertura con i cavalli è una delle migliori di tutti i tempi. Mi ipnotizza tutte le volte." ~ Johnnie To
"Non mi interessava davvero fare film action, è stata colpa di Tsui Hark, è stato lui a dirmi di dedicarmi a quelli. Facevo sempre dei film wuxia per la TV, così quando ho cominciato a fare cinema non avevo nessuna voglia di fare dei film action." ~ Johnnie To
"Gli attori mi sorprendono molto raramente, e la ragione è che non do loro uno script, per cui non c'è qualcosa rispetto a cui sorprendermi. È il contrario. Sono loro ad essere sorpresi, non io. Sì, è molto raro, perché non hanno abbastanza tempo per rigirare la situazione e sorprendermi. È più difficile." ~ Johnnie To
INTERVISTATORE: "Le tue sequenze d'azione sono molto complesse. Ne hai già alcune pronte, quando vai a filmare? Sono molte le cose che prepari in anticipo, in particolare con il tuo direttore della fotografia, discutendo di come vuoi organizzare una scena?"
JOHNNIE TO: "In realtà non penso a nulla finché non sono sul set. Quando sono sul set e la camera sta riprendendo posso cominciare a pensare alla parte visiva. Perciò prima di quel momento nessuno sa cosa sta facendo. E una volta sul set l'ispirazione arriva e le scene d'azione cominciano ad uscire. Prima non potrei dirti cosa andrò a fare. Nessuno sa veramente cosa farò finché non arrivo, e inoltre io non so quando arriverà l'ispirazione. A volte non arriva per niente e a volte arriva proprio al momento giusto."
"I film migliori hanno personaggi veramente memorabili. Se non hai un personaggio a cui la gente tenga o che sia memorabile, allora non importa quanto sia forte la storia, il tuo film non avrà molto impatto. Non funzionerà. Io penso sempre: «Nella vita vera esiste un personaggio del genere?» Perché anche se è un film sugli alieni, devi stabilire un rapporto. Dovresti poter affermare: «Conosco qualcuno così» o «mia madre conosce qualcuno così»." ~ Johnnie To
"Perché escono così tanti «killer films» da Hong Kong? Chiaramente sono molto simili ai film di arti marziali, a ad Hong Kong il tipo di film dominante fin dai giorni degli Shaw Brothers e della Golden Harvest (sono loro che l'hanno sviluppato davvero) è stato ovviamente quello di arti marziali. L'idea del killer film usa in una certa misura l'intelaiatura del film di arti marziali. A volte è una buona storia e a volte no, ma se la raccontiamo come la storia di un killer, almeno possiamo metterci un po' di arti marziali. Per cui, in termini generali, se non altro il genere ti costringe a creare azione e movimento nel film. Senza ovviamente scendere nei particolari, questo può descrivere la storia del cinema di Hong Kong. Ma negli ultimi dieci anni ci sono stati troppi killers nei film usciti da Hong Kong, e il pubblico ora è davvero stanco di vedere questi film. È diventato noioso." ~ Johnnie To
"L'esistenza delle Triadi è sempre stato un problema per Hong Kong. Ci furono insurrezioni guidate dalle Triadi nel 1957 e di nuovo nel 1967, è parte di una lunga e complicata storia. I gangster sono sempre stati un fastidio per il governo. I miei film ELECTION si occupano di come le Triadi abbiano tentato di trasformarsi e di sopravvivere dal 1983, quando la Cina ha cominciato a negoziare col governo britannico il ritorno di Hong Kong, fino al 1997. Prima della restituzione di quell'anno il governo centrale mandò delle persone ad Hong Kong, in veste sia ufficiale che non ufficiale, per ingraziarsi i gangster concertando degli accordi con loro. A quel tempo, nei tardi '80 e negli anni '90 (come mostra il film TRIADS: THE INSIDE STORY), un certo numero di società di produzione cinematografica, come la Win's Entrainment, avevano un qualche legame con le Triadi, una delle cose che il governo centrale voleva risolvere. (...) Altri film di gangster potrebbero essere stati d'ispirazione, ma tra tutti i film gangster prodotti al mondo solo i film di Hong Kong potrebbero avermi influenzato. ELECTION è un tipo di film gangster di Hong Kong di una Nuova Epoca, che guarda indietro alla restituzione del 1997. In realtà mentre stavo preparando – e anche più avanti – le riprese dei film ELECTION, ho detto alla mia troupe di non trarre alcuna ispirazione dalla trilogia del PADRINO, o da nessun altro film di gangster." ~ Johnnie To
"Mi è piaciuto molto e riconosco che ispira il modo in cui penso alcune delle mie inquadrature. C'è una scena in cui i bambini trovano riparo su un enorme baobab dopo un diluvio. È un momento indimenticabile che rievoca un ricordo dell'infanzia. Da piccolo, ho costruito anch'io capanne sugli alberi, e adoravo arrampicarmici. Quella scena mi ha ispirato sia per L'ELEMENTO DEL CRIMINE, sia per le sequenze finali di EUROPA. Mi piace anche la scena in cui si salvano su un'immensa roccia. (...) I FIGLI DEL CAPITANO GRANT l'ho visto una sola volta, ma ce l'ho stampato sulla retina." ~ Lars von Trier
"LO SPECCHIO di Tarkovskij è un film che ho visto almeno venti volte e che mi ossessiona completamente." ; "(Quand'ho visto LO SPECCHIO) ero ipnotizzato! È la cosa più simile a una religione che io abbia – per me lui è un dio. E se non avessi dedicato il film (ANTICHRIST) a Tarkovskij, allora tutti avrebbero detto che stavo rubando da lui." ~ Lars von Trier
"INDIA SONG fu una rivelazione. Fa parte di quell'esiguo numero di film che mi hanno segnato profondamente. (...) È meraviglioso considerare un film come un Ufo, qualcosa che non è stato concepito qui sulla Terra. Non posso esprimermi diversamente. È quello che ho provato davanti a INDIA SONG, ma forse anche davanti a LO SPECCHIO di Tarkovskij. INDIA SONG mi ha incantato. Ho visto vari film di Marguerite Duras, ma non mi hanno toccato allo stesso modo. Nemmeno HIROSHIMA MON AMOUR che ha scritto per Alain Resnais. (...) INDIA SONG è prima di tutto un film d'ambiente in cui la trama in sé ha meno importanza. Ci si potrebbero trovare contenuti simbolici, ma i simboli non sono interessanti se li si interpreta. Come spettatore non ho avuto bisogno di interpretarli. Il film tiene per i suoi ambienti e la sua strana grandeur." ~ Lars von Trier
INTERVISTATORE: "Hai conosciuto altri cineasti, durante i tuoi anni di studi cinematografici, che ti abbiano colpito o affascinato?"
LARS VON TRIER: "Certo, prima di ogni altro Jørgen Leth e due dei suoi lavori: L'UOMO PERFETTO e IL BENE E IL MALE. Quest'ultimo mi ha influenzato enormemente. Sono film a cui mi rifaccio sempre e che devo aver visto una ventina di volte."
INTERVISTATORE: "Cosa ti ha affascinato in quei film?"
LARS VON TRIER: "Per prima cosa, erano anticonformisti, non raccontavano una storia in senso tradizionale. All'epoca, mi interessavo molto alle immagini della pubblicità, come Jørgen Leth: alle foto di «Vogue» o di quel genere di riviste. Come nature morte dal soggetto umano. E i film di Jørgen Leth appartenevano alla stessa corrente di quelle foto. Ma non è mia intenzione limitarli a un'espressione estetica pura e semplice, perché per me i film di Jørgen Leth hanno ben più importanza. I suoi film ritraggono ambienti, esperienze e sensazioni che non possiedono solo un carattere estetico. Era liberatorio vedere opere che non assomigliavano ad altri film danesi e a metà degli anni '70 il cinema danese era completamente inconsistente."
"Mi ricordo anche un altro film che trovo straordinario: BILLY IL BUGIARDO di Schlesinger. Quello che mi piace è il suo mondo immaginario. Il protagonista si ribella nei sogni. Per esempio, si vede mentre getta una bomba a mano su una signora anziana. In realtà lavora alle pompe funebri, dove dovrebbe distribuire calendari ai clienti. Invece se ne frega completamente e durante le pause pranzo se ne sbarazza strappandoli e gettandoli nella toilette. Adoro BILLY IL BUGIARDO. Sono rari i film che tengo così a mente." ; "BILLY IL BUGIARDO è il primo film che ricordo di aver visto e di aver amato molto. Fu una fantastica esperienza, quella «new wave» londinese era fantastica." ~ Lars von Trier
"In GERTRUD si sprigiona un'atmosfera molto ipnotica. È un film meraviglioso, anche se detestato in Danimarca. È uno dei miei preferiti." ; "I film di Dreyer non possono affatto essere trattati come «drammi psicologici»; non stanno su quel piano. Il suo modo di semplificare e comprimere il dialogo crea problemi d'interpretazione perché normalmente le persone non si esprimono così. Si tratta più che altro di frammenti di sottotesto posizionati un po' qui un po' là. Dreyer tende verso una stilizzazione sublime e sconvolgente. Il punto non è mai realismo o psicologismo, se così si può dire; i suoi personaggi sono quasi delle icone. L'arte di Dreyer è più prossima alla pittura che al cinema." ; "Per riassumere la mia fascinazione per Dreyer devo usare un termine vecchio e consunto: onestà. Trovo un'onestà nei suoi film che non ho visto in nessun altro film." ~ Lars von Trier
INTERVISTATORE: "Tenevi al fatto che Selma (in DANCER IN THE DARK) venisse da un paese dell'Est?"
LARS VON TRIER: "Sì, ma trovo anche che sia un bel nome. Sai che ho una figlia che si chiama Selma! Mi piaceva l'idea di opporre un paese dell'Est agli Stati Uniti. Il mio film richiama JOE HILL. Un altro grande film. Ti ricordi la scena finale? L'uccello che passa nel momento in cui il protagonista viene fucilato. Non credo che lui possa averlo visto con gli occhi bendati. Lo sente soltanto. Fantastico!"
"Ho i miei film preferiti, tra quelli di Orson Welles: LA SIGNORA DI SHANGAI e, soprattutto, L'INFERNALE QUINLAN, che è secondo me uno dei suoi migliori. È magnifico! QUARTO POTERE non mi ha affascinato così tanto. Lo ammiro, e il suo lavoro sulla profondità di campo è interessante, ma è un po' troppo stucchevole, come IL PROCESSO. Le scenografie di quel film mi sono sembrate artificiali, come di plastica... Quando Welles si confronta con Kafka il risultato è ridondante, Welles è già kafkiano in partenza. Preferisco il suo lato al cento per cento americano, come ne L'ORGOGLIO DEGLI AMBERSON. Non mi piace quando un americano si mette a fare l'europeo." ; "Le scene della diga alla fine de L'ELEMENTO DEL CRIMINE sono un riferimento diretto a L'INFERNALE QUINLAN e al suo finale favoloso. Quel film di Welles è un capolavoro della storia del cinema. Ho un debole per LA SIGNORA DI SHANGAI, probabilmente a causa di tutte le retroproiezioni, l'impiego degli specchi, e Rita Hayworth è senz'altro magnifica. La sequenza nella sala degli specchi ha qualcosa di geniale... Detto questo, L'INFERNALE QUINLAN è un film guida, per me. C'è stato un periodo in cui lo vedevo di continuo." ~ Lars von Trier
"IDIOTI è ispirato al film danese WEEKEND, che è un gran film, e si potrebbe assolutamente dire che IDIOTI è la versione moderna di WEEKEND – una specie di ritratto di gruppo o una «ensemble comedy»." ~ Lars von Trier
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DELIUS - SONG OF SUMMER(Ken Russell, 1968, Gran Bretagna) Diretto per la BBC da Ken Russell come parte di una serie di biografie di compositori, il film registra gli ultimi anni di vita di Delius, visti attraverso gli occhi del suo assistente, Eric Fenby. Delius (Max Adrian) è sia paralizzato che cieco ed è questa sua terribile situazione che attira l'attenzione del giovane musicista e aspirante compositore Fenby (Christopher Gable). Appreso di Delius dalla radio, Fenby gli scrive offrendogli i suoi servizi per aiutarlo a completare diversi lavori non terminati. Quando l'offerta viene accettata Fenby si reca a casa del compositore in Francia, dove si trova incastrato in una specie di dittatura e comandato a bacchetta da un tiranno malato. Delius infligge i suoi umori imprevedibili e i suoi capricci a una famiglia condotta quasi al punto di rottura, una famiglia in cui Fenby deve svolgere un ruolo vitale per cinque anni. La drammatizzazione di Russell è estremamente riuscita. Riesce a catturare l'atteggiamento da orco del Delius che sbraita ordini senza mai perdere di vista la creatività e il genio che nasconde. Riusciamo a provare empatia per quello che un tempo era un grande uomo e un amante virile, ora intrappolato in un corpo inutile, ma con una mente ancora piena di musica che spera di definire. La relazione tra il pagano Delius e il cattolico Fenby è dipinta in maniera affascinante con prove attoriali superbe sia di Adrian che di Gable (al suo primo ruolo d'attore). Li supportano abilmente Maureen Pryor nel ruolo di Jelka, la martoriata sposa di Delius, e David Collings nel ruolo dell'atletico ed eccentrico amico di Delius, il collega compositore Percy Granger, che irrompe in casa loro come una ventata d'aria fresca. La famiglia è sommamente disfunzionale, un luogo di ideali contrastanti, con regole rigorose e quasi puritane da rispettare, mentre sui muri scorrazzano nudi dipinti da famosi artisti. Russell gestisce i contrasti in modo superbo. (...) Lo stesso Ken Russell sosteneva che DELIUS fosse il miglior film che avesse mai fatto e che non avrebbe voluto cambiarne neanche un fotogramma. ~ (www.eyeforfilm.co.uk)
"In questo momento (l'intervista è del 1984 - ndt) ascolto soprattutto musica pop contemporanea, arie piuttosto facili. Ma mi sono interessato alla musica. Per un certo periodo mi sono piaciute molto la musica impressionista e le opere per pianoforte. Molte grazie al film DELIUS di Ken Russell. È certamente il più disciplinato dei suoi film e lo trovo geniale. Russell ha realizzato film su più compositori: su Tchaikovsky o Liszt in LISZTOMANIA, per esempio. Quelli erano film francamente inconsistenti, ma DELIUS è notevole, in bianco e nero, per di più." ~ Lars von Trier
IL DOLORE DELL'AMORE/ PAIN OF LOVE(Nils Malmros, 1992, Danimarca) In questo film sulla vita di sua moglie prima che lo incontrasse, il personaggio basato su Malmros è solo una presenza secondaria. PAIN OF LOVE ci propone scene dalla vita di Kirsten (Tanja Skov) che coprono la sua infanzia e gli anni dell'adolescenza fino alla prima maturità. Come scopre il sesso e gli uomini; come uno dopo l'altro tutti i ragazzi finiscono per essere una delusione; come la sua vita lentamente diventa un inferno di depressione e disperazione. La vita di Kirsten è attentamente – ma non troppo attentamente, – modellata su quella della moglie di Malmros, il che fa di PAIN OF LOVE una specie di prequel o di controparte di SORROW AND JOY (2013). Qui molte delle esperienze e dei dilemmi a cui SORROW AND JOY allude soltanto sono esaminati in dettaglio. E mentre SORROW AND JOY trova il modo di terminare su una nota di grazia inquieta, PAIN OF LOVE è una discesa negli abissi. Le sensazioni di solitudine, inadeguatezza e irrilevanza di Kirsten in un mondo che sembra così esigente e vasto sono semplicemente devastanti. Una delle più sconvolgenti, esaltanti e illuminanti esperienze nella filmografia di Malmros. ~ (www.filmlinc.org)
"PAIN OF LOVE [IL DOLORE DELL'AMORE], di Nils Malmros è un film meraviglioso, il suo migliore, e mi ha fatto venire voglia di girare LE ONDE DEL DESTINO." ~ Lars von Trier
LISTA COMPLETA di VON TRIER
- India song (Duras)
- Lo specchio (Tarkovskij)
- I figli del capitano Grant (Stevenson)
- L'uomo perfetto (Leth)
- Il bene e il male (Leth)
- Il portiere di notte (Cavani)
- Billy il bugiardo (Schlesinger)
- Edvard Munch (Watkins)
- La dolce vita (Fellini)
- 8 ½ (Fellini)
- La notte (Antonioni)
- Family life (Loach)
- Il nuovo mondo (Troell)
- Cinque pezzi facili (Rafelson)
- Loulou (Pialat)
- Delius (Russell)
- Joe Hill (Widerberg)
- Teorema (Pasolini)
- Berlin Alexanderplatz (Fassbinder)
- Gertrud (Dreyer)
- L'infernale Quinlan (Welles)
- La signora di Shangai (Welles)
- Providence (Resnais)
- La caduta degli dei (Visconti)
- La morte corre sul fiume (Laughton)
- Il dolore dell'amore / Pain of love (Malmros)
- West Side Story (Wise/Robbins)
- Cantando sotto la pioggia (Donen/Kelly)
- L'enigma di Kaspar Hauser (Herzog)
- Weekend (Kjærulff-Schmidt)
- Come in uno specchio (Bergman)
- Il silenzio (Bergman)
- Persona (Bergman)
- Luci d'inverno (Bergman)
- Alice nelle città (Wenders)
Fonti: "Lars von Trier, Il cinema come Dogma, Conversazioni con Stig Björkman"; "Lars Von Trier: Interviews" di Jan Lumholdt;
"Quando ero giovane leggevo molto Strindberg, ma la pittura probabilmente mi ha influenzato di più. Il ritratto di Edvard Munch nel (tele)film di Peter Watkins mi ha stordito. Fu una rivelazione. Dopo averlo visto ho sentito l'obbligo di mettermi a dipingere...e a grattare la tela con il manico del pennello. La follia di uno Strindberg o di un Munch era per me il massimo del romanticismo artistico. È interessante notare come si siano entrambi recati in Danimarca per farsi curare dal dottor Jacobsen, il grande psichiatra danese dell'epoca. Era un eccentrico che passeggiava coperto da una cappa. Ma dopo l'incontro con il professor Jacobsen, Strindberg ha scritto romanzi sempre più noiosi e Munch ha dipinto quadri sempre più insignificanti, si è trasformato in un pittore figurativo stile Carl Larsson. Il professor Jacobsen è dunque un vero scellerato, ai miei occhi. Li avrà pure curati, ma la loro arte ha sofferto delle sue «cure». Poco prima, Strindberg in Danimarca aveva scritto due dei suoi drammi più importanti: «Il padre» e «Signorina Giulia», e Munch aveva dipinto quelle sue opere incredibilmente schizofreniche... Gli artisti debbono soffrire, il risultato è migliore!" ~ Lars von Trier
"All'epoca (dei miei primi film) adoravo Pasolini e l'ho studiato molto. Mi piaceva la trilogia che ha realizzato a fine carriera, DECAMERON, I RACCONTI DI CANTERBURY e IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE. E TEOREMA è un film superbo. Anche SALÒ è interessante; ha dimostrato non poca audacia. Un film veramente estremo! Per fortuna sono esistiti grandi cineasti come lui. Senza di loro il cinema sarebbe ben povero." ~ Lars von Trier
"CINQUE PEZZI FACILI di Bob Rafelson è un film geniale. Per altro, il suo IL RE DEI GIARDINI DI MARVIN è banale e ricercato. Tutto è calcolatissimo, mentre CINQUE PEZZI FACILI ha una certa spontaneità e leggerezza. Come se si fossero detti: «Bene, facciamo un film insieme» e poi hanno girato CINQUE PEZZI FACILI con spensieratezza e piacere." ~ Lars von Trier
Su Fellini: "Mi piaceva Chagall, il pittore preferito da mia madre. A volte il suo stile è troppo «carino», lezioso, ma mi piacciono molto i suoi personaggini leggeri in levitazione nella volta celeste. All'epoca, apprezzavo molto anche i film di Fellini. Come quelli di Chagall, i suoi personaggi hanno la capacità di involarsi, di essere leggeri, in senso reale e figurato. Trovavo AMARCORD superbo: divertente e affabulatorio, un linguaggio cinematografico voluttuoso. Più tardi ho avuto problemi a sopportarlo. Penso che Fellini sia un cineasta che si abbandona crescendo, benché continuino a piacermi LA DOLCE VITA e 8½. In ROMA ci sono scene che mi piacciono molto e altre che mi lasciano indifferente. Per esempio, la sequenza con gli affreschi nel metrò in costruzione ha un'aura eccessivamente mielosa. È difficile sopportare il simbolismo di Fellini quando è troppo evidente, preferisco quando prende il sopravvento il misticismo." ~ Lars von Trier
Su LA NOTTE di Antonioni: "Magnifico e assolutamente unico nella cinematografia. La nebbia al di sopra del campo da golf, per esempio! È un film prodigioso, curioso e personale." ~ Lars von Trier
"LA MORTE CORRE SUL FIUME è straordinario. Un capolavoro. Nessuno può raggiungere una tale intelligenza formale, una tale originalità... In EUROPA ci sono delle scene ispirate a Laughton, in particolare quelle girate sott'acqua, alla fine del film. L'idea della morte di Leo mi è venuta riguardando le immagini de LA MORTE CORRE SUL FIUME in cui si vede Shelley Winters annegata, seduta in una macchina in fondo al fiume con i capelli che fluttuano come alghe." ~ Lars von Trier
"In Bergman vedo l'immagine di un padre, ed è dunque del tutto logico che non ci si parli. Durante i miei studi di cinema all'università abbiamo dedicato sei mesi di studio a Bergman. Quel signore occupa un posto enorme nella mia memoria cinematografica. Ho visto tutti i suoi film, anche i suoi spot pubblicitari per una marca di sapone. (...) Ammiro Bergman innanzitutto come sceneggiatore, sa veramente come si scrivono i dialoghi. Più difficile giudicare il suo talento come direttore degli attori, anche se tutti quelli che hanno lavorato con lui sembrano apprezzarlo." ~ Lars von Trier
INTERVISTATORE: "Ci sono dei filmmakers che rispetti, in particolare tra quelli attivi? Ce ne sono là fuori che fanno qualcosa di nuovo e interessante?"
LARS VON TRIER: "È dura. Ho visto dei film di Jarmusch, e lui è piuttosto splendido, ma non sento un sentimento religioso – come ho sentito con Bergman. Oggi non più – è quasi il contrario – ma allora...e, ovviamente, Dreyer. Con lui ho quasi una relazione sacra. E Tarkovskij – LO SPECCHIO è stata una rivelazione. Non mi piace IL SACRIFICIO. È stato un grosso errore. Davvero, finché era in Unione Sovietica, le cose andavano alla grande, ma quando è venuto in occidente, è finito tutto. (...) Bergman dopo SUSSURRI E GRIDA, il suo più grande successo internazionale, non credo che abbia più fatto dei buoni film. I miei preferiti sono PERSONA, IL SILENZIO, LUCI D'INVERNO. Film estremamente importanti. PERSONA è molto interessante. E mi piacciono anche i suoi film più vecchi, ma non sopporto FANNY E ALEXANDER."
"Il lavoro di creazione ha degli aspetti negativi e positivi al tempo stesso. Questo bisogno di creare genera una dipendenza. Sono soggetto a numerose fobie e se non canalizzo la mia energia in un lavoro creativo mi trovo direttamente a confronto con le mie angosce. Forse questo situa la mia attività artistica in una strana prospettiva: non sarebbe un bisogno o una pulsione creativa ma piuttosto un mezzo di sopravvivenza. (...) Ammettiamolo. Penso che questa pulsione mi appartenga e sia in rapporto con il mio malessere psichico. Questo funzionamento può sembrare più meccanico, a confronto con l'ispirazione cercata all'esterno, ma procura la stessa dose di adrenalina, la stessa euforia. Faccio comunque fatica a comprendere come funzioni." ~ Lars von Trier
INTERVISTATORE : "Quali sono, secondo te, le tue maggiori qualità come regista?"
LARS VON TRIER: "La mia testardaggine. E un senso concreto del fare."
INTERVISTATORE: "E le peggiori?"
LARS VON TRIER: "Dipende da quello che intendi con peggiori. Se vuoi dire quello che mi imbarazza o quello che infastidisce gli altri. In entrambi i casi, penso che sia la mia mancanza di pazienza. D'altra parte, se avessi avuto più pazienza il mio lavoro non avrebbe forse posseduto quell'intransigenza verso cui tendo, intransigenza che mi è tanto cara. Mi dispiace anche che la mia immaginazione sia limitata, perché sono troppo egocentrico."
INTERVISTATORE: "A partire da IL REGNO ti sei concesso una forma cinematografica più libera e aperta. Come ti è venuta l'idea di questo metodo e cosa apporta di nuovo rispetto al sistema precedente, più rigoroso e formale?"
LARS VON TRIER: "È un metodo che mi consente di fare molto più in fretta. Inoltre è una forma di cinema più intuitiva, e questa mi pare una qualità essenziale. La rapidità implica un contatto più intenso con tutti i partecipanti, davanti e dietro la macchina da presa, e ne sono stato ovviamente stimolato. Oserei quasi dire che mi ha ridato voglia di lavorare. È Tomas Gislason che mi ha dato l'idea, attirando la mia attenzione sul telefilm americano HOMICIDE: LIFE ON THE STREET, creato da Barry Levinson. I primi episodi avevano un'originalità formale mostruosa. Rifacendomi a quella tecnica di lavorazione, ho fatto espressamente spostare gli attori fra ogni ripresa in modo che dicessero le loro battute in punti diversi della stessa stanza. Più avanti, in fase di montaggio, ho avuto l'impressione che la materia filmica fosse molto più ricca. Ho mantenuto quel metodo nelle ONDE DEL DESTINO con un risultato ancora più efficace, perché il film è girato in cinemascope. È una tecnica che permette alle immagini di guadagnare una potenza e un'intensità rare."
INTERVISTATORE: "In cosa, secondo te, il tuo tocco è unico e inconfondibile? Per cosa i tuoi film si distinguono come tuoi?"
LARS VON TRIER: "Potrà sembrare pretenzioso, ma spero che in un modo o nell'altro si veda che ogni immagine contiene un pensiero. Sarà presuntuoso o falso, ma ogni inquadratura e ogni taglio in montaggio sono frutto di una riflessione. Non sono frutto del caso."
"Mia madre era comunista, una fervente sostenitrice dell'educazione libera e del diritto del bambino all'autodeterminazione. (...) Quello che Inger Trier, mia madre, voleva creare era, almeno apparentemente, un individuo libero. Allo stesso tempo, voleva che corrispondessi a quei canoni creativi o artistici che non aveva potuto realizzare personalmente. (...) Pare che, quando mi ha concepito, volesse garantirsi dei geni artistici. Mio padre, Ulf Trier, non lo era da un punto di vista biologico: mia madre me l'ha raccontato sul letto di morte. Ha avuto una relazione con un uomo i cui geni, secondo lei, avrebbero potuto essermi utili. A posteriori vedo con quanta lucidità abbia perseguito i suoi piani. (...) Decidevo quando andare a scuola, se dovevo andare dal medico o dal dentista...ero respondabile delle mie spese...Questa fiducia può essere positiva, ma un'assunzione forzata di responsabilità comporta anche numerose conseguenze negative. Ero un bambino molto inquieto, a sei anni mi capitava di passare ore accucciato sotto un tavolo per paura che la bomba atomica mi cadesse addosso. Quando uno sente di avere una libertà totale nelle proprie scelte è costantemente traumatizzato dal mondo esterno, in cui questa libertà di scelta non esiste. Mi é mancata un'autorità che avrebbe potuto aiutarmi e consigliarmi sulle decisioni da prendere. Ho dovuto crearmi la mia personale autorità, e non é una cosa semplice per un bambino.(...) Aspetti positivi di questo tipo di educazione sono stati una forte autodisciplina...di cui per altro soffro anche. E poi anche un rigore che mi permette di nutrire una grande fiducia nelle mie capacità. Ma siamo anche piccoli esseri sensibili e, a questo livello, la mia educazione mi crea alcuni problemi...problemi inutili." ~ Lars von Trier
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