Una macchina bianca procede lentamente in un viale alberato in leggera salita. Pur non essendo pienamente invernale la campagna circostante ha qualcosa di vagamente minaccioso, perlomeno ostile, saranno quegli alberi spogli, le foglie secche al suolo o forse quella simmetria, quell'ordine, che inquieta.
La macchina da presa frontale si abbassa e arretra un poco inserendo nel quadro un cancello chiuso, la macchina si ferma, una ragazza scende dal lato passeggeri, richiude lo sportello e a piccoli passi incerti cammina verso il cancello, lo apre, e mentre si scosta per far sì che la macchina possa entrare, lancia un'occhiata verso la casa, fuori quadro, ma è ovvio che là sulla destra c'è una casa. E quello sguardo diretto a qualcosa fuori quadro è già una storia.
Dalla macchina scende una donna, le due si salutano velocemente, un breve scambio di battute, la ragazza resta sola. Entra in casa. E da quel momento inizia un balletto macabro, accompagnato da un lavoro finissimo sul suono che accompagna, sottolinea, crea. Un pavimento che scricchiola, l'apertura di una finestra su una ringhiera che pare disegnata da Escher. L'accensione di una sigaretta. I passi della protagonista che si muove all'interno della casa con un prezioso mix di consapevolezza ed incertezza, con una sofferenza antica, pesante, sorda. Poi dall'interno della casa arrivano i primi rumori, quel genere di rumori sentiti mille volte in thriller di alto e basso livello. Eppure questa volta è subito chiaro, lo spettatore lo sa già: il pericolo non viene da fuori, non è esterno, non si immagina un serial killer acquattato in un angolo pronto a sgozzarla, il problema è dentro di lei. E allo scadere esatto del quinto minuto, infatti, la protagonista sussurra: Sei tu, Lewis?

Questa è la scena di apertura di Personal Shopper, l'ultimo film di Assayas, protagonista indiscussa Kristen Stewart. Sono solo cinque minuti, cinque minuti che rapiscono lo sguardo, l'udito, la mente. Cinque minuti che si attaccano come tentacoli alla pelle, che proiettano ombre sul futuro pescando da un passato pesante, che fanno lavorare il cervello e si moltiplicano in maniera esponenziale, che creano immagini assenti dallo schermo ma forti e potenti nell'immaginazione dello spettatore.
Ci sono tante scene di apertura che mi hanno sedotto nel corso della mia carriera di spettatore. A volte è stato per merito di un dialogo spiazzante (Le iene), altre per l'elevata spettacolarità (Dalla Russia con amore), altre ancora per la felicità delle scelte cromatiche o per un uso perfetto di luci e ombre (quasi tutti i film di Orson Welles), per un montaggio geniale (Mission: Impossible), un piano sequenza pazzesco (ancora De Palma in Omicidio in diretta).

La scena di apertura di un film è responsabile di amori a prima vista, illusioni, abbandoni precoci, folgorazioni. Chi gira film lo sa, ormai: grandi budget vengono spesi sui primi cinque minuti. Per questo ho ammirato l'apertura di Personal Shopper: per come riesce a costruire una tensione originale senza particolari fronzoli e semplicemente girando intorno alla protagonista che si muove all'interno di uno spazio non dichiaratamente, smaccatamente ostile.

Raramente sono rimasto deluso dai film che mi hanno saputo catturare all'inizio. Spesso sono come le prime impressioni quando si conosce qualcuno: tutti dicono di non fidarsi e che possono essere sbagliate ma poi, se la relazione va avanti, arriva un momento in cui quella prima impressione vi ritorna addosso, giusta: si tratta solo di saper aspettare.

Ma non divagate. Ah no, sono io che sto divagando, come al solito. Torniamo sul centro, stiamo concentrati sul cinema, avanti ditemi di voi, tirate fuori le scene di apertura che vi hanno folgorato. Che vi hanno stupito, ammaliato, irretito. Potete farlo qui, in questa lista aperta. E se il film che avete in mente è già stato inserito da qualcuno, potete anche solo aggiungere il vostro voto e lasciare un segno del vostro passaggio.