Libri a(ni)mati / 13 : Carlo Emilio Gadda - «Per Favore, Mi Lasci nell'Ombra» (Interviste: 1950-1972), a cura di Claudio Vela (1993) - L'ingegner Gadda sono questo - Cronache dalla civiltà in fiamme.
“Il cinema l’ho sempre visto da povero, cioè in posti mediocri e spesso senza capirne il senso raffinato. Di solito ci andavo che ero stanco del lavoro e finivo per addormentarmi, cosa che non accade a chi ama veramente il cinema.”
La cognizione metafisica del male (Hybris – Tísis). Dopo esser sopravvissuto all'inesistita giovinezza, e resos'in fin defunto, è rimasto vivo a oltranza, perseguendo l'onniscienza: come August Sander, J.L. Borges, Diderot-D'Alembert, voleva restituire il mondo al mondo, compierne il catalogo, a volte ricreandolo migliore. Dalla grammatica generativa chomskiana al correttore di bozze genetico: prima, in mezzo, e dopo, sta, la letteratura (scientifica, umanistica, speculativa, e gaddiana).
Ogni pezzo (intervista, saggio, elzeviro) contenuto nel volume - che pesca da articoli della carta stampata [quotidiani, settimanali (per entrambe queste categorie s'indicherà semplicemente il mese in cui cadde la pubblicazione) e mensili di cultura varia, riviste letterarie, prefazioni e postfazioni a libri del Gadda e non] e da programmi radiofonici e cine-televisivi dell'epoca, riuniti per la prima volta in un unico contenitore - non riporta il nome dell'autore: bisogna andare a cercarselo in coda al volume, nelle note.
Paradossalmente, ma nemmen tanto, data la natura degli intervistatori e di chi ne pagava le trasferte - da Milano come da un colle romano che non fosse il dorso o le pendici di Monte Mario (quartiere di Roma in cui è situata via Blumenstihl, zona Camilluccia, Roma Nord, residenza in affitto degli ultimi anni del Gadda), questo volume - che raccoglie le interviste (1950-1972) rilasciate da Gadda dopo esser diventato un Sofio Loren, un Lollobrigido, post Pasticciaccio e Cognizione, insomma, fino a un anno prima della morte - è anche, tra i tre libriccini della Piccola Biblioteca Adelphi che vanno a comporre quest'altrettanto piccola trilogia gaddiana, quello in cui la voce del Gran Lombardo ci arriva più ovattata, ammorbidita, castrata: gli altri due libercoli – usciti molti anni dopo di questo ch'è il primo – raccoglieranno altrettanti carteggi (con Parise, l'uno, in cui compaiono anche le risposte dell'autore de “il Prete Bello”, e con Citati, l'altro) e riusciranno a restituirci se non il “vero” Gadda, per lo meno - e per lo più - un essere umano più vivo di quanto queste richieste non richieste d'informazioni abbiano saputo e potuto fare.
Eccezion fanno alcuni pezzi (magnifici, che vanno a comporre il continuum delle Interviste Descrittive), in specie quelli di Alberto Arbasino [“la Formazione dell'Ingegnere”: Manzoni, Foscolo, Carducci, Pascoli (fenomenale la ricostruzione arbasinica della versione gaddiana del “Fanciullo Mendico” del “pigolante Zvânì”, dai “Canti di CastelVecchio”, e della sua scioccaggine: pagg.119-120), D'Annunzio, e...Arbasino: “E fra le esercitazioni fatte in questo periodo l'Ingegnere ne ricorda soprattutto una sull'apparecchio dell'udito, in cui la colcea (che ha la forma della spirale di Cartesio) funziona come estrattore di logaritmi delle scale sonore”], in primis, e poi Andrea Barbato (“l'Apotema del Mattone”), Cesare Garboli [“Felice chi è diverso”; spiega Garboli, ne “la Stanza Separata” (1969): “Mi recai da Gadda in un pomeriggio canicolare. L'intervista uscì sulla Fiera (Letteraria) col titolo ''Non sono un misantropo''. È un'intervista vieux jeu, non le so fare. Inserisco il pezzo in questa raccolta perché di Gadda si parla così tanto, oggi, si raccontano così spumanti aneddoti sull'Ingegnere, che una volta tanto cantare in coro non guasta”], Dacia Maraini [“Carlo Emilio Gadda (come uomo)”, in cui Gadda dice di aver iniziato la stesura di “Eros e Priapo” nel '28, mentendo sapendo di mentire, spudoratamente, ché non può essere un refuso casuale o un errore distratto della memoria: e anche se avesse voluto intendere il '38, beh...sempre lontani siamo], Alberto Moravia (“Nove domande sull'Essere e lo Scrivere”), Goffredo Parise (“le Bombe dell'Ingegnere”), Corrada Stajano (“la Sfilata del Disprezzo”) : ma lì, è ovvio, spesso non è il Gadda a parlare, in diretta, di sé, ma è il ritratto che ne fanno gli autori a prender vita, sovente interpretandolo, addomesticandolo, traducendolo (ed il suffisso è sempre “dolo”, ma è una coincidenza), in alcuni casi - e di principio ciò non è né bene né male - autocitandosi.
Particolarmente prezioso, interessante, sorprendente l'inserto fotografico, preso da un pezzo di G.Grieco pubblicato su Gente nel maggio del 1969, in cui, tra gli altri ritratti al nitrato d'argento compare anche la mitica (mai aggettivo così usurato ed inflazionato fu usato meno a sproposito) governante, Giuseppina Liberati (l'Archivio Liberati, infinita miniera di reperti gaddiani, nacque proprio da un suo lascito, datosi che il Gran Lombardo la nominò sua erede universale).
Cit. Bibl. [ISBN: 9788845910272] : Carlo Emilio Gadda - «Per Favore, Mi Lasci nell'Ombra» (Interviste: 1950-1972), a cura di Claudio Vela [Piccola Biblioteca n. 318 (brossura rilegata a filo di refe), 1993 (2a ed. 2007), pp. 291, € 15.°°].
Tutti i corsivi presenti in questa pagina s'intendono, senza eccezione alcuna che non sia debitamente e precisamente segnalata, opera di Carlo Emilio Gadda.
La prima parte della playlist comprende citazioni sparse di Gadda abbinate a “opportune” pellicole. La seconda parte della playlist raccoglie citazioni di Gadda raggruppate in base al volume gaddiano di cui parlano (e ad un'...“opportuna” pellicola). Eccezion fanno, messi a limine, diaframma, stenosi tra le due parti, “Quer Pasticciaccio Brutto de Via Merulana” - “un Maledetto Imbroglio”.
Con Gino Cervi, Dina Sassoli, Ruggero Ruggeri, Gilda Marchiò
“Il motivo precipuo della mia ammirazione per il Manzoni è da ricercare nel preciso e assoluto spirito di realtà con cui lui ha ritratto i caratteri, specialmente i caratteri degli umili. […] Tra gli umili certamente io sento una simpatia per il personaggio di Don Abbondio, il quale non ha altro torto di fronte alla morale illustre se non quello di aver ceduto alla violenza e al terrore della violenza.”
Dall'intervista televisiva del maggio 1963 a “l'Approdo”, poi in “l'Approdo Letterario” dell'aprile-giugno 1963, ed infine, ora, in “Gadda al Microfono” del 1993.
“Se un Dio… non il Padreterno morale, intendiamoci… ma se un Dio estetico mi domandasse in quale personaggio dei Promessi sposi vorrei identificarmi… risponderei subito: in Don Abbondio!… per la sua povertà disarmata, la sua paura fisica, la sua ragione stessa d’aver paura…” [...] “… Per la confessione che fa a se stesso della sua reale condizione umana. è quello che vede più chiara la sua posizione, al di fuori d’ogni esornazione teatrale… vera mancanza di spirito esibitivo, narcissico, gratuito… il più vicino alla mia mancanza di teatralità, di messa in scena…” [...] “I Promessi sposi riverberano la cultura illuministica e per così dire libertina (nel senso settecentesco di liberale), e quindi un punto di vista popolarmente libero dell’espressione… “Lorsignori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi… e poi, vengon da noi, come s’anderebbe a un banco a riscotere; e noi… noi siamo i servitori del comune”… Frase risicata, popolare, di un curato che denuncia come a se stesso il caso di due col bambino in viaggio… Non era vero: ma può dar l’impressione che Don Abbondio cerchi di suggerire una scappatoia ai bravi… (Lucia già col pancino… quindi per Don Rodrigo inutile cercar di cogliere una primizia…)… E altre frasi popolari: Renzo ubriaco con l’oste, Renzo col coltello sul carro dei monatti… E il linguaggio è continuamente elegante, ma popolare, lombardo-toscano. Nel linguaggio dei Promessi sposi la frase toscana impeccabile (o risciacquata) si alterna ai momenti per così dire espressionistici germinati dalla vitalità espressiva lombarda: poveri, curati, e le donne, Agnese e Perpetua (“lei, signor curato, è sempre disposto a calare le brache”…).”
Dall'...intervista-conversazione (“preparata con l'aiuto di Giulio Cattaneo”) di Alberto Arbasino - “Certi Romanzi (Genius Loci)” - 1977
Con Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Vito Annichiarico, Maria Michi, Marcello Pagliero
“Dirmi che una scarica di mitra è realtà, mi va bene, certo; ma io chiedo al romanzo che dietro quei due ettogrammi di piombo ci sia una tensione tragica, una consecuzione operante, un mistero, forse le ragioni o le irragioni del fatto… Il fatto in sé, l'oggetto in sé, non è che il morto corpo della realtà, il residuo fecale della storia… Scusi tanto.”
Dall'intervista di Andrea Barbato - “l'Espresso” - luglio 1962 (cit., già presente in “i Viaggi la Morte”, 1958)
Con Strelsa Brown, Giancarlo Sbragia, Clotilde Scarpitta
D. “Si parla da qualche tempo della fine della parola come mezzo espressivo. Saremmo all'inizio di una civiltà dell'immagine, del segno? Che ne pensi?” R. “Superi la mia possibilità di seguirti. Rifuggo dall'insicurezza dell'avvenire: sono una scatola cranica del perento Ottocento, del vecchio positivismo di Saint Louis Pasteur, come lo chiamò Bernard Shaw, nella prefazione della sua Santa Giovanna.”
Dall'intervista di Alberto Moravia - “il Corriere della Sera” - dicembre 1967
Con Totò, Aldo Fabrizi, Louis De Funès, Cathia Caro, Cesare Fantoni
D. (Ugo Zatterin e Osvaldo Pagani, “gli Italiani sono Democratici?”, Panorama, marzo 1963) “L'ufficio delle imposte dimentica di inviarle la cartella delle tasse, Lei la richiede spontaneamente?” R. (Risposta finora inedita presente s'un foglio dattiloscritto ritrovato nel Fondo Roscioni) “Cartella delle tasse. Richiedo l'invio, o il duplicato, se ho ragione di pensare a una svista, a un sovraccarico di lavoro derivante da insufficienza tipicamente italiana dell'ufficio: e di temerne conseguenze a mio danno.”
Per dire. Sono 18 mesi che non passano a leggere i numeri del contatore del gas (fosse dell'acqua, ma del gas...). Passano altri 6 mesi e ricevi (si, tu) un conguaglio di millantamila euro. T'incazzi. Perché sei doppiamente stupido. Soggetto: itagliano mediuglio. I “problemi” di oggi avevano già una soluzione di buon senso (poco comune) allora.
Con Johnny Dorelli, Giuliana de Sio, Bernard Blier, Laurent Malet, Andréa Ferréol
- “Compagni di Scuola” (Carlo Verdone, 1988)
D. “E questo qui chi è?” R. “Questo qui sono io.” D. “E i suoi compagni come erano?” R. “Mah, alcuni erano dei discreti, mediocri ragazzi. Altri erano dei deficienti. Questo qui, poverino, era quasi un deficiente.”
Dall'intervista radiofonica di Giancarlo Roscioni e Ludovica Ripa di Meana per il programma “Sulla Scena della Vita” di Claudio Barbati – maggio 1972 (trascritto in “l'Approdo Letterario”, giugno 1972)
“Non sono, non riesco ad essere, un lavoratore normale, uno scrittore «equilibrato»: e tanto meno uno scrittore su misura. Il cosiddetto «uomo normale» è un groppo, o gomitolo o groviglio o garbuglio, di indecifrate (da lui medesimo) nevrosi, talmente incavestrate (enchevêtrées), talmente inscatolate (emboîtées) le une dentro l’altre, da dar coàgulo finalmente d’un ciottolo, d’un cervello infrangibile [: sasso-cervello o sasso-idolo: documento probante, il migliore si possa avere, dell’esistenza della normalità: da fornire a’ miei babbioni ottimisti, idolatri della norma, tutte le conferme e tutte le consolazioni di cui vanno in cerca, non una tralasciata. Tra queste, l’idea-madre che quel sasso, o cervello normale, sia una formazione cristallina elementare, una testa d’angelo di pittore preraffaellita: mentre è, molto più probabilmente, un testicolo fossilizzato].”
Dall'intervista di Andrea Barbato - “l'Espresso” - luglio 1962 [cit., già presente in “Come Lavoro” (“Paragone,” febbraio 1950), e poi in “i Viaggi la Morte”, 1958; la parte tra parentesi quadre l'ho ripescata io da: http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/essays/comelavoro.php ]
Con Bert Svenhujsen, Jacques Bonnaffé, Barbara M. Messner, Germain Pengel, Yannick Pengel
D. “Fino a che età ha partecipato sentimentalmente alla religione?” R. “Fino alla pubertà.” D. “C'è stato qualcosa o qualcuno che l'ha aiutato a liberarsi?” R. “C'è stato un professore, per cui serbo un caro ricordo. Un professore di storia naturale, il quale per la prima volta mi ha parlato della teoria dell'evoluzione [il positivista Riccardo Besta; NdA/NdC]. Da allora mi sono allontanato dal cattolicesimo. Ma non per questo ho perso il senso di una religiosità. Non importa che sia una religiosità cattolica, biblica o cinese.” D. “Cosa intende per senso di religiosità?” R. “Il sentimento di qualcosa di superiore, che sta sopra di noi, anche in questo momento della nostra cultura. Questo io l'ho sempre avuto e ce l'ho ancora.” D. “Il sentimento dell'esistenza di Dio?” R. “Se si può chiamare Dio il complesso meccanismo del mondo...quello che a noi appare...la scienza insomma.” D. “Lei quindi fa un'identificazione fra la scienza e Dio.” R. “Può scrivere che io faccio mia la famosa frase di Laplace: ''Dio è una ipotesi di cui la scienza può fare a meno'' (*). Ma invertendola: ''La scienza è un'ipotesi di cui Dio può fare a meno''. Si può anche chiamarlo: il segreto meccanismo della consecuzione.”
Dall'intervista di Dacia Maraini - “Prisma” - maggio 1968
(*) “A Napoleone, che gli aveva chiesto perché Dio non fosse menzionato nel suo ''Trattato di Meccanica Celeste'', Laplace rispose: «Sire, je n'avais pas besoin de cette hypothèse»” [NdC].
“Poiché allo scrittore si domanda ormai dal pubblico e dai critici un vasto magazzino di idee e di informazioni, quasi il possesso mentale della interminata Enciclopedia, più esperienza di vita vissuta (eventualmente in un lager), più attitudini e abilità di carattere pratico-esecutivo quali condotta della macchina, tennis, alpinismo, guida velica su mare agitato, pronto soccorso al morso dei serpenti velenosi, gioco degli scacchi e della scopa maggiore o scopone, galuppamento di cocktails o sorbimento di long drinks, foto e riprese cinema, golf, pallacorda e ping-pong, così opino sia bene che lo scrittore impari di buon’ora l’arte del saper tutto, frequenti i filosofanti Geronti e le dive quindicenni, ammesso che Platone e Frine non disdegnino di intrattenersi con lui. Guadagnare o mendicar sua vita a frusto a frusto con ulteriore occupazione o commercio oltrepassa la misura ormai colma della pena e della fatica accettabile.”
Dall'intervista di Alberto Moravia - “il Corriere della Sera” - dicembre 1967
“La critica utile oggi, come sempre, è quella che comprende, che definisce e colloca uno scrittore: che ne ha pietà, nel significato più proprio del termine. Meno utile e direi totalmente inutile quella che discende da petizione di principio: che appende al suo chiodo il cartellone-paradigma, nella parete della scuola o del carcere […]. I Promessi Sposi riveduti e corretti […]. È un'idea: in cui non credo. Il lavoro, bello o brutto che sia, non è l'approssimazione maggiore o minore a un preesistente paradigma: salvo che per i pappagalli, o gli epigoni, i seguaci di bottega: è invenzione e costruzione, se pur lenta, sgraziata, infelice, che bisogna strapparsi dall'anima. Quando la critica si fonda e opera sulla base delle «vigenti disposizioni di legge», legge letteraria intendo, cioè sulla o sulle poetiche, sulle idee fisse che al momento imperversano, quella critica, no, non è fatta per mio soccorso. L'incriminarmi perché non appartengo a una scuola, è un condannarmi a tanti anni di galera perché non sono biondo.”
Dall'intervista di Alberto Cavallari - “Corriere d'Informazione” - dicembre 1957
1940 – Pinocchio [ Hamilton Luske e Ben Sharpsteen (Walt Disney) ] 1952 – Totò a Colori (Steno) 1959 – Priključenija Buratino (Ivan Ivanov-Vano e Dmitrij Babičenko) 1966-1999 – Pinocchio, ovvero: lo Spettacolo della Provvidenza (Carmelo Bene) 1971 – Un Burattino di Nome Pinocchio (Giuliano Cenci) 1972 – Le Avventure di Pinocchio (Luigi Comencini) 1994 – OcchioPinocchio (Francesco Nuti) 1999 – Lucignolo (Massimo Ceccherini) 2002 – Pinocchio (Roberto Benigni) 2012 – Pinocchio (Enzo D'Alò)
D. “Leggeva molto da ragazzo? […] E Pinocchio?” R. “Pinocchio si. Ma con qualche difficoltà. Non capivo bene il senso del burattino e di mastro Geppetto. Non riuscivo a chiarire la metafora; cioè l'idea del fanciullo che, non avendo ancora l'anima, è come un burattino. Ma forse già allora capivo che Pinocchio mi rivelava la presenza della donna. Potrei dire che Pinocchio è stata la mia prima lezione di sessuologia. La fata dagli occhi turchini, la serva che scende dal quinto piano, la lumachina, la capretta. La femminilità animale.”
Dall'intervista di Dacia Maraini - “Prisma” - maggio 1968
D. “Credi che la rivoluzione scientifica debba avere dei riflessi diretti nella letteratura? Non parlo di fantascienza, parlo di rapporto con il reale, del rapporto fra l’artista e la materia.” R. “Mi hai fatto verbalmente l’esempio di Einstein, ma qual è il « letterato » che può riflettere direttamente nella sua opera contenuti einsteiniani o quell’altro che può leggere Einstein? No, non credo a riflessi diretti della rivoluzione scientifica sulla ormai insopportabile letteratura. Bisognerebbe che il Creatore ricreasse l’uomo col cervello di un robot.”
Dall'intervista di Alberto Moravia - “il Corriere della Sera” - dicembre 1967
Out of List, per evidenti ragioni: “Harold and Maude” di Hal Ashby (finti suicidi), “Mishima” di Paul Schrader (suicidio per ragioni politiche), “Mar Adentro” di Alejandro Amenabar (suicidio per ragioni cliniche), Carlo Lizzani, Franco Lucentini e Mario Monicelli (suicidio per ragioni cliniche e politiche e di...vuoto legislativo)…
- “il Grido” (Michelangelo Antonioni, 1957) - “Mouchette” (Robert Bresson, 1967) - “Grand Hotel des Palmes” (Memè Perlini, 1977) - “Satantango” (Tarr Béla, 1994) - “il Gusto della Ciliegia” (Abbas Kiarostami, 1997) - “the Virgin Suicides” (Sofia Coppola, 1999) - “Ken Park” (Larry Clark ed Edward Lachman, 2002) - “Last Days” (Gus Van Sant, 2005) - “Caché” (Michael Haneke, 2005) - “la Strada di Levi” (Davide Ferrario e Marco Belpoliti, 2006) - “Post Tenebras Lux” (Carlos Reygadas, 2013)
“La vita moderna ha spento lo spirito di conservazione. Propone forme di brutalità.”
Dall'intervista di Ubaldo Bertoli - “il Giorno” - febbraio 1969
- “il Corpo del Duce” (Fabrizio Laurenti, 2011) - “il Sorriso del Capo” (Marco Bechis, 2011)
D. “Il suo ultimo libro ''Eros e Priapo'' reca come sottoitolo ''da Furore a Cenere''. Di chi è il furore e di chi è la cenere R. “Il furore è di chi pervenne in cinque lustri [Gadda conta a partire dal raggiungimento dell'età della...ehm...ragione (di Benito Mussolini, il “mascelluto batrace tritacco”); NdR], nei tumulti e nello strazio di una gente, al dominio dittatorio: e al teatrale e fanfaronesco usufrutto di esso in altri cinque. Il furore è del de quo e di tali o tali altri de quibus. La cenere o le ceneri son quelle dei sacrificati e dei martiri: e delle rane scoppiate con inturgidirsi a bovi: ''rana rupta et bos'', Fedro, libro I, 24” D. “Dai Suoi testi risulta una posizione di rifiuto violentemente polemico e talora angoscioso, nei confronti della realtà […].” R. “Nessuna astrazione, solo amara constatazione di fatto dopo gli eventi. L'autore ricusa la propria, singola, personale realtà ossia vicenda umana, dai prenatali alla morte non ancora raggiunta: e lamenta il destino delle generazioni incenerite nei roghi tumultuati dal fervore e dall'arbitrio.”
Dall'intervista di Mario Lunetta - “Vie Nuove” - luglio 1967
Con Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Luca Zingaretti, Luca Barbareschi, Toni Servillo
Prima : “Allonsanfàn” (Paolo e Vittorio Taviani, 1974) - “1860 - i Mille di Garibaldi” (Alessandro Blasetti, 1934) - “Viva l'Italia!” (Roberto Rossellini, 1961) - “il GattoPardo” (Luchino Visconti, 1963) - “Nell'Anno del Signore” (Luigi Magni, 1969) - “Piazza Garibaldi” (Davide Ferrario, 2011) Dopo : “San Michele Aveva un Gallo” (Paolo e Vittorio Taviani, 1972)
Se Foscolo e Pascoli (v. pagg. 119-120) sono inamati da Gadda, quando non propriamente derisi dal sarcasmo e onorati dell'acredine di un intero volume dedicatogli (“il Guerriero, l'Amazzone, lo Spirito della Poesia nel Verso Immortale del Foscolo”: «Il Foscolo è capace di scrivere in una lettera: “Ho passato un'intera notte a piangere”. È fisiologicamente impossibile!»), Carducci riceve sorte migliore: è amato, si….e/ma: “Rispetto profondamente il Carducci, la sua la sua povertà letterariamente felice, la malinconia dei suoi giovani anni maremmani, i suoi versi tirrenici. Ma… Ma è indubbio che il suo verso ci propone a tratti dei veri e propri errori espressivi o sbagli derivanti da non sufficiente riflessione nei confronti della propria ispirazione e dei fatti di conoscenze specifiche: storiche o politiche, per esempio”.
“[Nell'Ode al Piemonte di Giosuè Carducci ad un certo punto] muore Carlo Alberto in esilio a Oporto: «…e nel crepuscolo dei sensi | tra le due vite al re davanti corse | una miranda visïon: di Nizza | il marinaro | biondo che dal Gianicolo spronava | contro l’oltraggio gallico…». E qui prima di tutto all’Ingegnere non pare serio che un re, sia pure in esilio, muoia sognando un marinaio, per di più a cavallo: tanto più che un marinaio a cavallo è sempre una contraddizione in sé, non meno che un cavaliere in barca. E tanto più nel caso di Garibaldi, che spronava dal Gianicolo; cioè a molti chilometri dal mare. «Perché mai avrebbe dovuto abbigliarsi da marinaro, per spronare dal Gianicolo? Senza contare che quando spronava si era già nel ’49, non era più né giovane né biondo, aveva più di quarant’anni, soffriva di reumatismi dolorosi…».”
Dall'...intervista-conversazione (“preparata con l'aiuto di Giulio Cattaneo”) di Alberto Arbasino - “Certi Romanzi (Genius Loci)” - 1977
“Si informa dei risultati del premio Viareggio, e gli dispiace che Anna Banti, col suo nuovo romanzo, ''Noi Credevamo'', non abbia avuto un riconoscimento. «Penso che sarebbe stato meritato».”
Dall'intervista di Cesare Garboli - “la Fiera Letteraria” - agosto 1967
“Il valsente del premio [Viareggio, 1953] è tal somma da concedermi un poco d'anni di meditato lavoro, nei quali conto portare a termine le scritture intraprese e forse altre metterne in cantiere. Devo affrettarmi poiché i vent'anni sono ormai lontani, come un orizzonte bleu che si saluti a sera dopo averlo sorpassato a mattina. La somma [due milioni di lire, NdR], credo si possa dire pubblicamente, è stata offerta dal munifico gesto di Adriano Olivetti (*), che ad una eccezionale capacità di amministratore e di direttore di felici e provvide industrie, unisce una egualmente eccezionale sensibilità verso i problemi dell'organizzazione sociale, del pensiero, e dell'arte. Egli ha impersonato nei miei confronti quel moderno mecenate di cui ho invano sognato per tanti anni.”
Dall'intervista di Leone Piccioni - “la Fiera Letteraria” - settembre 1953
(*) Ancora, altrove: “Pensai all'uomo illustre, al ''lavoratore'', che dopo le fatiche si è fatto mecenate del premio”.
“Fra noi, faceva uno spicco particolare. Avevamo per lui curiosità, deferenza, ammirazione, stupore, incredulità, perché la sua cultura scientifica prevaleva su ogni altra. Poi scoprimmo anche la sua cultura umanistica e altre forme di cultura, ma tutto sotto un manto di riservatezza schiva; così insomma, non voleva essere lodato,ammirato, preferiva dire male di sé, e anche degli altri naturalmente...”
Eugenio Montale : dall'intervista televisiva del maggio 1963 a “l'Approdo”, poi in “l'Approdo Letterario” dell'aprile-giugno 1963, ed infine, ora, in “Gadda al Microfono” del 1993.
[Avvertenza: riponete le armi da fuoco e da taglio, disinserrate i pugni e tenete a freno gli scalci: le domande che seguono chiamano sangue, quello - se pure oramai secco – dell'intervistatore]
D. “Qualche volta pensa alla morte?” R. “Qualche volta si, con pacatezza, con serenità, vero.” D. “Che cosa rappresenta per lei: il trapasso oppure l'aldilà?” R. “Questo è un po' difficile da rispondere. Certo è il trapasso in modo indubbio, vero, i francesi la chiamano anche 'trépas'.” D. “Ma la teme, oppure no?” R. “Posso temerla, ma in limiti, in limiti del comprensibile, dell'utile.” D. “Che cos'è più importante per lei: è più importante la morte o la vita?” R. “Secondo me è più importante la vita, perché è un fatto positivo, insomma.” D. “E nella sua vita, qual è la persona che ha contato di più?” R. “Questa è una domanda molto difficile… Mia madre.” D. “Perché?” R. “Mi si polverizza la memoria...”
Dall'intervista radiofonica di Giancarlo Roscioni e Ludovica Ripa di Meana per il programma “Sulla Scena della Vita” di Claudio Barbati – maggio 1972 (trascritto in “l'Approdo Letteraraio”, giugno 1972)
A riprova, AV tutto da gustare per come Gadda, in vari punti, sbotta contro l'insipienza interlocutrice [altri elementi rimarchevoli: il “contadino finitimo” (si veda sopra, nel corpo introduttivo della playlist, il glossario gaddiano), i compagni di scuola semideficienti (si veda sopra, all'inserimento in lista di “Cuore”), etc…] : https://www.youtube.com/watch?v=wIM3LAMVTcU
Con Denis Lavant, Géraldine Pailhas, Philip Desmeules, Rick Hancke, Marijke Pinoy
D. “S'è voluto vedere un rapporto [sic., non grammaticale ma di senso: il rapporto è carnale, consumato, in atto; NdR] tra certi suoi libri e l'opera di Céline...” R. “Di Céline… Credo che il rapporto sia giusto, esatto insomma, perché veramente Céline mi ha preceduto nell'impostazione narrativa e stilistica.”
Dall'intervista radiofonica di Giancarlo Roscioni e Ludovica Ripa di Meana per il programma “Sulla Scena della Vita” di Claudio Barbati – maggio 1972 (trascritto in “l'Approdo Letteraraio”, giugno 1972)
Con Claudia Cardinale, Pietro Germi, Claudio Gora, Eleonora Rossi Drago, Franco Fabrizi
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“Quer Pasticciaccio Brutto de Via Merulana” - Garzanti - 1957 (Letteratura, 1946)
“Il giallo psicologico mi permetterebbe […] di esprimere certo sarcasmo nei confronti di aspetti della società moderna, che io non approvo. A questo proposito, occorre che aggiunga che esiste in me un'intenzione, un'ossessione, addirittura una fatalità del sarcasmo: sarcasmo autentico, quindi, più forte di me; direi una satira deliberata.”
Dall'intervista di Massimo Franciosa - “la Fiera Letteraria” - dicembre 1951
“La prima stesura è fatta di getto, ma successivamente viene per lo più guastata da numerose ''ridipinture'', che avvengono a distanza di tempo. E devo dire che quello che per lo più ci rimette, in questi ritorni correttivi, è la chiarezza del dettato. Voglio dire che, ricercando una espressione sempre più adeguata al concetto, finisco per concedere, a volte forse troppo a questa ricerca linguistica, tecnica. […] Un eventuale seguito [al Pasticciaccio] ci sarà senz'altro (se non crepo prima).”
Dall'intervista di Luigi Tundo - “Paese Sera” - dicembre 1957
“Attualmente […] sto lavorando - ma da diverso tempo - al secondo volume del Pasticciaccio.”
Da un'inchiesta di “Italia Domani” - marzo 1959
“Il presidente, il libro di Manchester [“the Death of a President”, William Manchester, 1967]. Sono preso da questa lettura, ammirato dalla bravura dell'autore, dalla sua capacità di restituire quel groviglio di supposizioni, di sensazioni, attorno a quella vicenda, l'uccisore che diventa l'ucciso di un altro uccisore… Un vero pasticcio, un pasticciaccio. Altro che il mio.”
Dall'intervista di Cesare Garboli - “la Fiera Letteraria” - agosto 1967
“L'incompiutezza, il frammentismo, hanno avuto le solite, forse riprovevoli, più probabilmente ineluttabili cause. Sono stati anzitutto un pressoché disperato tentativo di recuperare il tempo che s'era dissolto nella disòpera e nel dislavoro, ove comprendo in essi anche la fatica inutile e la pena inflittami da strutture educative inadeguate alle mie naturali attitudini […]. Il rifiuto del finito, nel caso del giallo, traînant per riprovevoli divagazioni e per alcuni eccessi verbali, è dovuto al consapevole desiderio di chiudere in apocope drammatica il racconto che tendeva a deformarsi.”
Dall'intervista di Alberto Moravia - “il Corriere della Sera” - dicembre 1967
R. “Il pasticciaccio l'ho troncato apposta a metà perché il ''giallo'' non deve essere trascinato come certi gialli artificiali che vengono portati avanti fino alla nausea e finiscono per stancare la mente del lettore. Ma io lo considero finito.” D. “Letterariamente concluso.” R. “Si, letterariamente concluso. Il poliziotto capisce chi è l'assassino e questo basta.”
Dall'intervista di Dacia Maraini - “Prisma” - maggio 1968
“la Cognizione del Dolore” - Einaudi - 1963 (Letteratura, 1938-1941)
“Il titolo ''La cognizione del dolore'' è da interpretarsi alla lettera. Cognizione è anche il procedimento conoscitivo, il graduale avvicinamento a una determinata nozione. Questo procedimento può essere lento, penoso, amaro, può comportare il passaggio attraverso esperienze strazianti della realtà. La morte di un giovine fratello caduto in guerra può distruggere la nostra vita. Si ricordino i versi disperati di Catullo (*). Moralmente il titolo è troppo lontano da ogni forma di gioia e d'illusione che mi possa valere il consenso di chi deve pur vivere: di ciò chiedo perdono a coloro che vivono e che ancora vivranno.”
Dall'intervista televisiva del maggio 1963 a “l'Approdo”, poi in “l'Approdo Letterario” dell'aprile-giugno 1963, ed infine, ora, in “Gadda al Microfono” del 1993.
(*) “Quelli del carme 101 citato in ''Catullo-Quasimodo'' […] col «più tragico de’ suoi versi: Et mutam nequiquam adloquerer cinerem»” (“«la Cognizione del Dolore» di Carlo Emilio Gadda”, Emilio Manzotti, in “Letteratura Italiana Einaudi - le Opere”, a cura di Alberto Asor Rosa, 1996)
“Carlo Emilio Gadda è più che mai […] sotto il segno de ''La cognizione del dolore'': un dolore profondo, originario, immedicabile, che ne investe la personalità alle radici: il dolore dell'essere oltre che dell'esistere.”
Costanzo Costantini, da una sua intervista a Gadda (“il Messaggero”, agosto 1967), ''ruba'' a Gadda: quella derivazione da “immedicato”, nella Cognizione: “Era il male oscuro di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare la causa, i modi: e lo si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d'una vita, più greve ogni giorno, immedicato” : e qui s'approda a Giuseppe Berto, che pone questo passo gaddiano in esergo al suo “il Male Oscuro”, del 1964.
“L'incompiutezza ebbe moventi lirici, affettivi (paesaggio, suoni dell'ora), o più apertamente sociali (povera gente).”
Dall'intervista di Alberto Moravia - “il Corriere della Sera” - dicembre 1967
“Il titolo non mi pareva così fuori tema come dici: novelle (= notizie) dal ducato (= dallo stato del duce merda) consegnato alle fiamme (della lussuria demenziale, della follia narcissica, e delle bombe al fosforo.”
R. “[…] Ogni uomo si sceglie, per i suoi balocchi, una stanzuccia, un balconcino, un'aiola...” D. “E la sua aiola...quale sarebbe?” R. “È stata press'a poco l'Italia, cioè il ducato… Molti sono a rimproverarmi le fiamme. Io le rimprovero a loro. Ribattono che ho sventolato il fazzoletto ai bombardieri inglesi. Vi giuro che non è vero. Il mio ambiente è veduto e rappresentato con simpatia, con bontà, con affetto… È popolato, come l'Arca di Noè, di tutto un campionario zoologico… […] Qualche personaggio [dei miei racconti] potrebbe apparir vittima del mio scherno […]. ma, in fondo, non li accuso di gran colpa. Né mangiare né bere costituiscono reato grave ai miei occhi. Tanto meno grave durante la psicosi che accompagnò la carestia. Ero un convinto fautore della borsa nera, praticata da tutti, incriminata da tutti, massime dai suoi beneficiari più avveduti, dai suoi profittatori più grassi.” […] D. “La Carla [personaggio di “Prima Divisione della Notte”, racconto poi contenuto anche - come tutte le novelle del Ducato in Fiamme, e con l'aggiunta di altri scritti inediti - in “Accoppiamenti Giudiziosi”, 1963] è una ragazza ricca...” R. “Si, mi hanno rimproverato anche questo. Da parte mia certo è stato un errore imperdonabile. Il naturale ribrezzo che il denaro suscita in tutti noi ci fa desiderare un tipo di romanzo da cui le ragazze ricche siano sbandite. Provvederò col mio prossimo libro: lo riempirò di pidocchi. In clima neorealista bisogna avere il cuore agli sbréndoli...”
AutoIntervista stesa in occasione del Premio Viareggio (1953) : rimasta all'epoca inedita, fu poi pubblicata in varie occasioni da Giulio Cattaneo, per esempio ne “il Gran Lombardo”, con vari titoli, tra i quali quello utilizzato da Claudio Vela in questa sede, ovvero: “Oh, fossi nato a Pantelleria!”.
“Giornale di Guerra e di Prigionia” (1915-1919), con il “Diario di Caporetto” (1917) - Sansoni, 1955 / Einaudi, 1965 / Garzanti, 1999
D. [“Gadda parla volentieri di quegli anni anche perché, con un'uniforme addosso, forse per l'unica volta nella vita, fu esaudito il suo desiderio di normalità, il suo voler essere come gli altri.] Com'era, Gadda, quando partì per la guerra?” R. “Come si fa a giudicare i pensieri di ieri? La mia idea era di andare all'ultima guerra del Risorgimento italiano alla quale non potevo mancare. Il trauma emotivo del sacrificio creava un certo orgoglio in noi giovani, alimentando quel senso di coscienza virile per il quale pareva essenziale poter dire: io c'ero.”
“Ero sul Mrzli, la catena di montagne antistante il Monte Nero, a quota 1900. Il 23 ottobre vedemmo il ribollìo delle artiglierie sul fondo della valle dell'Isonzo e una gran quantità di palloncini austriaci con la scritta ''Italiani attenti alle retrovie''. Il bombardamento continuò tutto il giorno. La mattina del 24 una staffetta portò l'ordine di scendere a valle e di cercare il ponte X sull'Isonzo. La mia compagnia, un reparto di mitragliatrici, si incamminò subito, l'Isonzo era in piena, i ponti saltati. La prima cosa che vedemmo fu un carro, una carretta manzoniana, pieno di cadaveri e di contadini in fuga, bruciacchiati, blu lividi, e capimmo che i tedeschi avevano usato i gas. Il nemico aveva già passato il fiume, noi eravamo prigionieri in una sacca e cominciammo a togliere i percussori alle mitragliatrici. Ci addossammo al monte: fu allora che vidi lo spettacolo più straordinario e incredibile di tutta la guerra: un reparto di soldati tedeschi, in alta uniforme di parata, la divisa blu e l'elmetto a chiodo, marciava davanti a noi come il giorno della festa imperiale. La sicurezza di vittoria del generale Otto von Below aveva programmato, coi piani della battaglia, anche quella sfilata del disprezzo.”
“Il tempo è trascorso in un ribollire. Con quello che è accaduto dopo, lo sterminio degli ebrei, i campi di eliminazione, la bomba atomica, dovrei dire che la guerra del '15 non lascia traccia nella storia del mondo. In realtà quella guerra atroce che ci trovò impreparati sia dal punto di vista tecnico, sia da quello psicologico, ebbe un significato profondo perché favorì l'unificazione morale degli italiani mancata in cinquant'anni di regno.”
“Non credo più alle vittorie, ogni vittoria in guerra è una vittoria di Pirro.”
Dall'intervista di Corrado Stajano - “il Corriere della Sera” - 1968
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