Esistono rari casi in cui i rifacimenti di determinate pellicole riescono ad eguagliare qualitativamente i film originali, arrivando a rappresentare ottimi esempi di rivisitazione/omaggio. Ecco alcuni dei remake più notevoli della storia del cinema.
Il grande regista italoamericano offre una personale versione del classico thriller del 1962. L'atavico magnetismo di Robert Mitchum e la fragilità di Gregory Peck sono qui proposti rispettivamente da un formidabile Robert de Niro e da un nevrotico Nick Nolte. Scorsese soppianta la regia "hitchcockiana" di J.Lee Thompson con riprese vorticose, primi piani schiaccianti e inquadrature suggestive. La perfetta alchimia che lega tutto il cast si associa alla potenza visiva delle immagini e all'audacia della sceneggiatura, la quale tende ad esplicitare i sottotesti che nel film originale erano soltanto suggeriti: Scorsese si spinge al limite miscelando erotismo, violenza e immoralità, elementi che caratterizzano gran parte delle sue pellicole. Il cupo bianco e nero del classico di Thompson si infiamma di tonalità pulsanti che saturano lo schermo.
Con questo splendido capolavoro Herzog si conferma l'erede assoluto del cinema tedesco. Il regista omaggia il manifesto espressionista di F.W.Murnau del 1922, Nosferatu il vampiro, rievocandone le atmosfere attraverso una dimensione estetica immortale, sublime e decadente: le musiche di Wagner accendono visioni di commovente romanticismo, mentre la pittoresca fotografia impreziosisce ogni inquadratura ammaliando lo sguardo dello spettatore. L' interprete Klaus Kinski dipinge il personaggio indimenticabile del vampiro tormentato, l'incarnazione del Male consapevole della sua mostruosità: l'attore feticcio del regista esaspera le movenze elaborate da Max Schreck nel ruolo del primo Nosferatu, umanizzando la figura del "non morto" e adattandola al pubblico degli Anni Settanta. Herzog concepisce una delle vette del cinema horror, mescolando bellezza e inquietudine, amore e morte in una vicenda tragica e struggente.
Con Mickey Rourke, Anthony Hopkins, Kelly Lynch, Mimi Rogers
Uno degli autori più rappresentativi della New Hollywood reinterpreta l'omonimo cult diretto da William Wyler. Se nel film del 1955 era Humphry Bogart a giocare col ruolo di antagonista, in quello del 1990 troviamo un Mikey Rourke non meno ambiguo: il pubblico si ritroverà, come i protagonisti sotto sequestro, ad empatizzare con la banda di aguzzini in una pericolosa forma di “sindrome di Stoccolma”. Straordinaria - oltre alla maestria registica messa in campo da Cimino - la tensione narrativa, intrisa di suspence, e la resa drammatica dei personaggi. Come nel caso di Scorsese, il regista esalta le situazioni ambigue ed equivoche che nella pellicola originale vibravano sotto la superficie.
John Carpenter, il veterano dell' horror e della science fiction, rivela la totale devozione al classico La cosa da un altro mondo datato 1951. Nel suo atto d'amore verso il cinema di genere degli Anni Cinquanta, il regista mescola alla perfezione - con spirito “lovercraftiano” - gli elementi più orrorifici e fantastici della vicenda, ravvivando i contenuti del film prodotto da Howard Hawks. L'insidiosa colonna sonora di E.Morricone accresce la paura che diviene sempre più incalzante, che sfocerà in terrificanti scene splatter dall'atmosfera ansiogena e claustrofobica.
L' incursione nel genere western da parte dei fratelli Coen ha le sembianze di un intenso racconto crepuscolare. In quanto remake del film interpretato da John Wayne, la pellicola ne ricostruisce le atmosfere fondendo l' avventura, il dramma e la storia di formazione, abbracciando così un pubblico notevolmente più vasto dei precedenti lavori del "regista a due teste". Tecnicamente privo di sbavature, il film vanta un cast eccezionale (Bridges, Damon, Brolin...) e una sceneggiatura perfetta che gli valse la candidatura all'Oscar.
Con Spencer Tracy, Ingrid Bergman, Lana Turner, Ian Hunter, Donald Crisp, Barton MacLane
La sconvolgente vicenda scaturita dalla penna di R.L.Stevenson irrompe nel cinema quale opera controversa che solo il regista di caposaldi quali Il Mago di Oz e Via col Vento poteva realizzare. Attraverso una regia fredda e analitica, Fleming viviseziona la materia filmica del classico horror del 1931 diretto da Robert Mamoulian neutralizzando la vena grottesca che lo caratterizzava per inasprirne l’umore tragico. Uno straordinario Spencer Tracy si misura col predecessore Fredric March in una performance dai risvolti disturbanti, apertamente “freudiani”. Attraverso le brutalità che Mr.Hyde compie sotto i nostri occhi, Fleming descrive senza censure le più basse inclinazioni della borghesia londinese del 1800.
Il coraggioso autore polacco traspone cinematograficamente la tragedia medievale di Shakespeare, misurandosi con la versione di Orson Welles del 1948 estrapolata dalla stessa materia narrativa. Impiegando l' inimitabile estro visionario che lo distingue nel panorama mondiale, Polanski opta per una profonda introspezione psicologica – a tratti allucinata – e tecniche filmiche d’avanguardia (riprese stranianti ed effetti sonori ricercati) che lo pongono allo stesso livello del regista di Quarto Potere. Oltre alla suggestiva messa in scena e alla variopinta fotografia, colpiscono le coinvolgenti interpretazioni degli attori e la presenza di numerosi simbolismi: è impossibile non essere stregati, come lo stesso Macbeth, dalla bellezza intrinseca di questa pellicola. Polanski estetizza una crudele opera letteraria trasformando il sangue e la follia in assoluti protagonisti.
Il talento neozelandese che portò sullo schermo l’intero universo “tolkeniano” con la trilogia de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit realizza il sogno di trarre un remake dal classico film del 1933 che vedeva protagonista un colossale primate. Jackson farcisce una storia d’avventura – dal sapore esotico e al contempo urbano – con strabilianti effetti speciali, integrandoli omogeneamente alla trama nel connotare visivamente la pellicola. Arte e intrattenimento si fondono magistralmente, garantendo al pubblico una magica evasione. Si tratta di un’impareggiabile esperienza filmica, degna della saga de La Terra di Mezzo.
Sokurov rivisita grandiosamente il dramma di Goethe, ammiccando all’immortale trasposizione di F.W.Murnau. Avvolgendo la storia in una sfera prepotentemente sensoriale, il regista russo sfiora vette di realismo tanto elevate da sconfinare nell’assurdo/metafisico. Nella sua verminosa e maleodorante dimensione audiovisiva, questo Faust si allontana dalla qualità grafica del film di Murnau per estenderne il contenuto fino a esasperarlo, amalgamandosi con la pura materia filosofica e religiosa. La sceneggiatura, geniale e corrosiva, si avvicina alle esperienze teatrali di S.Beckett e tratteggia contesti splendidamente bizzarri: il disfacimento morale condotto dal protagonista, in compagnia del diavolo, sarà vissuto intimamente dallo spettatore.
Un’opera spietata e raggelante diretta dal massimo esponente del cinema austriaco contemporaneo. Haneke si rende autore di un remake dell’ omonimo film che girò dieci anni prima, al fine di conferirne un afflato internazionale – come testimonia la scelta del cast (Tim Roth, Naomi Watts, Michael Pitt) – e rafforzarne la poetica disturbante. Il film, ormai cult del cinema estremo, offre una qualità registica inarrivabile e spiazzanti colpi di scena: trattandosi di una violenza innanzitutto psicologica, lo spettatore avrà il macabro privilegio di contemplare la vera essenza dei personaggi/attori. Visivamente asettica e minimale, la pellicola di Haneke gioca meta-cinematograficamente col voyerismo del pubblico, facendo interagire i carnefici con la macchina da presa.
Remake del poco conosciuto film canadese "La grande seduzione", con una sceneggiatura praticamente identica. La versione italiana è migliore, grazie alla bravura di Silvio Orlando.
Dicono sia il remake di "Le samurai" di JP Melville,ma non mi convince per solo qualche citazione,è un torto a Jarmusch e un torto a Melville, comunque...
Dei tanti remake dei classici horror anni 70 e 80 è forse l'unico degno di nota, e soprattutto riesce, seppur omaggiando l'originale, a restare fortemente personale.
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