“Descrizioni della natura. Roba che si vende sempre. Lo so bene.”
Fredrik Sjöberg - “RussinKungen” - 2009 [ * * * * ] Edizione italiana : IperBorea ( collana Narrativa, n. 268 - brossura cucita a filo di refe, carta leggera ma liscia, compatta e resistente ) - € 16.00 - 224 p. - traduzione ( fluida, scorrevole, inventiva, precisa ) di Fulvio Ferrari ( “il Re dell'Uvetta”, 2016 ).
Dai sirfidi (ditteri, mosche) si passa...
...ai lombrichi (oligocheti, vermi).
Da quando ho parlato di un precedente libro di Sjöberg, “FlugFällan” , di cui questo “RussinKungen” è l'ideale, diretto e logico proseguimento (ma non, ovviamente, completamento), è accaduta una cosa importante – tra le altre – nella vita dell'autore : gli è stato assegnato il premio IgNobel 2016 [ http://www.improbable.com/ig/winners/#ig2016 ] per la Letteratura. Niente paura, l'onorificenza non è assegnata dal M.I.T. (anche se sempre di Cambridge si tratta), dal CalTech o financo da Princeton, ma da Harvard, gente che se gli dici che 2 + 2 fa 4 sviene per overload.
Qui il punto in cui viene consegnato a Fredrick Sjöberg l'IgNobel per la Letteratura 2016 :
“Con tutto il rispetto per la ricerca naturalistica, ma che cos'è paragonata all'arte?”
Intriso di realismo razionale, sfronda la sua stessa olisticità innervandola di epistemologia sul campo, là dove il campo non è l'autofiction quanto l'autobiografismo, architettando così un trattatello di semiotica destrutturata, semantica esplosa e variegata ontologia umana, da Gustav Eisen (1847-1940), un otto/novecentesco-rinascimentale uomo di scienze polimorfo, a sé stesso (1958), passando per Charles Darwin (1809-1882) e tanti altri scienziati e artisti, famosi e non [ Louis Agassiz (1807-1873), Sven Lovén (1809-1895), Friedrich Ratzel (1844-1904), Alice Eastwood (1859-1953), Arthur B. Davies (1863-1928), Baldassare Forestiere (1879-1946)...].
E poi, ancora, certo, ovviamente : Ernst Jünger e Vladimir Nabokov. E August Strindberg.
Nei due romanzi di Sjöberg non viene citata - e perché dovrebbe : sto solo divagando ulteriormente - la copertina di "Barrett" (1970), il 2° (ed ultimo) album da solista del fondatore dei Pink Floyd, sulla quale però - disegnata e dipinta dall'autore stesso - sono raffigurati quelli che sembrano essere (anche se pare abbiano un solo paio di ali e non due) degli Imenotteri (ordine che comprende formiche, api e vespe) e non i rappresentanti della famiglia dei Sirfidi (dell'ordine dei Ditteri, a cui appartiene la famiglia dei Muscidi, ovvero le classiche mosche) :
Paradossalmente il miglior complimento che possiamo fare al libro di Sjöberg è riportarne uno stralcio (qui, invece, un'intervista), la migliore frase di lancio possibile, che contraddice il nostro intento...rafforzandolo e compiendolo : «Amo quel libro, “Recollections of the Development of My Mind and Character”. Non cercava di catturare niente, quella volta Darwin, solo raccontare un po' di sé alle persone che gli erano più vicine. Una raccolta di aneddoti. Niente di straordinario. Di pubblicarli non se ne parlava nemmeno, finché lui era in vita.»
La prosa di Sjöberg vive di estenuanti e rigeneranti contraddizioni inestinguibili : "Che cos'è la scienza di fronte all'arte?", si e ci chiede ripetendo il quesito attraverso varie declinazioni più volte lungo tutto il libro, libro che contraddice con la sua stessa esistenza questa domanda, per poi alla fine ribaltare il tavolo con un ultimo, conseguente, inevitabile guizzo : "Che cos'è l'arte di fronte alla scienza?". L'eterno dualismo forma/stile vs sostanza/contenuto genera l'unico motore eterno e perpetuo dell'universo, lo spirito umano, che persevera nel perpetrare, nonostante tutto, le magnifiche sorti, e progressive!
“Perché uno non si arrende? Che cos'è quel desiderio che lo spinge?”
Chissà, prima o poi Sjöberg potrebbe occuparsi anche di Grigorij Perel'man :
Il profumo del tanaceto in piena fioritura risvegliò inaspettatamente il ricordo di un lampione, una notte d'estate di tanti anni fa, in una strada di ghiaia che si incurva attraverso un idilliaco gruppo di villette addormentate tra il bosco e il mare, nel buio d'agosto: un ragazzo si è fermato sotto la luce e segue con lo sguardo una falena che si agita intorno alla lampada proiettando la sua ombra sulla strada. Pensa. L'ultima cosa che gli interessa è raccontare. Non desidera andare da nessuna parte e quasi non ha una storia. […] Il ragazzo non si muove. Solo, immobile, in mezzo all'alone di luce. Non si deve mai sottovalutare un dodicenne.
Le mie prime esperienze delle dolci notti d'estate, a casa, erano contrassegnate dalla più profonda serietà. Non sono mai stato tanto scienziato come allora, quando avevo dodici anni.
In seguito decisi di tornare al mio vecchio sogno di scrivere una storia naturale delle notti d'estate. Se non trovavo lì quel che cercavo, non l'avrei mai trovato da nessuna parte. Di questo ero sicuro. Ma solo per un breve periodo. Quel sentimento si dissolse come una di quelle fragili verità che brillano per un attimo nel momento in cui l'insonnia allenta la sua morsa, ma che il mattino successivo, quando rileggiamo l'appunto tracciato mentre eravamo mezzi addormentati, si rivelano vuote e banali come una canzonetta, nel migliore dei casi.
I suoi pensieri si misero a vagare… […] Ora, tanto tempo dopo, immagino che si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa che aveva dimenticato da un pezzo: di essere stato un ragazzo, in cammino per qualche parte.
Titolo originale Master & Commander. The Far Side of the World
Regia di Peter Weir
Con Russell Crowe, Paul Bettany, James D'Arcy, Edward Woodall, Chris Larkin, Max Pirkis
“L'origine delle specie” (1859) fece epoca, naturalmente, ed è stato uno dei libri più influenti della storia, imperituro come una roccia, ma “L'azione dei vermi” (1881) è più bello: è sia acuto che pieno di speranza […]. Abbiamo qui un uomo che ha raggiunto tutti i suoi obiettivi. Già in gioventù aveva visto il mondo nel suo lungo viaggio, e ora il mondo ha visto lui. Ancora i potenti della chiesa oppongo resistenza e denigrano pubblicamente il suo libro, ma lui sa chi vincerà alla lunga. Delle discussioni si cura sempre meno. È stanco delle polemiche… […] E così si ritira; coltiva il proprio giardino e scrive il libro sui lombrichi cui ha pensato per almeno metà della sua vita. Finalmente torna a fare il biologo sul campo.
Con Bert Svenhujsen, Jacques Bonnaffé, Barbara M. Messner, Germain Pengel, Yannick Pengel
Criticare la Chiesa attaccandola direttamente non porterà ad alcun risultato durevole. È come versare acqua su un'oca. Non c'è riuscito nemmeno Voltaire, con la sua penna affilata. […] O almeno […] ci si deve limitare, come si dice, a “slow & silent side attacks”. Un'attività di erosione sotterranea, semplicemente. Come i lombrichi. Costruiscono la terra dal basso, letteralmente, in silenzio e con ostinazione, di notte.
Titolo originale Hitler - ein Film aus Deutschland
Regia di Hans-Jürgen Syberberg
Con Harry Baer, Johannes Buzalski, Alfred Edel, André Heller, Peter Kern
Molti anni più tardi, quando Ratzel era professore a Lipsia, escogitò un concetto - niente più di una parola - che immediatamente macchiò la sua reputazione: LebensRaum, “spazio vitale”. Una sfortuna. Non era colpa sua se altri, molto dopo la sua morte, avrebbero sfruttato questo concetto che, inizialmente, si riferiva ai vegetali, agli animali e alla loro diffusione, non alla geopolitica. Se solo avesse potuto immaginare a cosa avrebbe portato, probabilmente avrebbe continuato ad occuparsi di vermi.
Con Henry Fonda, Victor Mature, Linda Darnell, Walter Brennan
“In America le città non nascono per regio decreto come da noi, ma in modo molto più semplice. Un uomo intraprendente costruisce una pompa e, vicino alla pompa, un albergo. Una dozzina di osterie e dry goods store aprono rapidamente lì intorno ed ecco che la città è nata. Emigranti e cercatori d'oro sfortunati vi si trasferiscono, bevono, giocano a carte, litigano e cianciano di politica. La comunità fiorisce! Tutti cercano di guadagnare quanto più denaro possibile nel più breve tempo possibile per poi tornare a casa con le tasche piene di soldi e mettersi a fare i signori. La fortuna però non è benevola come si pensava, la cassa non aumenta alla velocità auspicata. Qualcuno dei cittadini comincia a stancarsi della vita da scapolo e, dato che casualmente c'è una donna lì nelle vicinanze, niente impedisce un matrimonio. La signora X è la regina della città e contribuisce al dirozzamento della società. Cinesi cominciano ad affluire da tutte le parti, vivono nelle baracche, lavano e stirano, blaterano e strillano, per farla breve: alla nuova comunità non manca niente e può ora definirsi con fierezza una località importante della grande Repubblica. Un posto del genere era Merced.” - Gustav Eisen
Con James Stewart, Shelley Winters, Dan Duryea, Stephen McNally
Nemmeno quando riescono a percorrere tutta la strada fino al Mono Lake, il singolare cratere vulcanico a est dello Yosemite, dove ben pochi biologi erano stati prima di loro, nemmeno allora [Eisen] riesce a fare a meno di inserire un piccolo racconto morale sull'avidità. Il racconto del fucile che qualcuno getta via in pieno deserto per alleggerire il carico del cavallo sotto il sole cocente, perché lì le distanze sono lunghe tra una pozza e l'altra. Sembra una leggenda ma non importa. Quello che io cerco è il narratore. La storia comincia quando un altro uomo segue lo stesso percorso e trova il fucile. È un prezioso mauser, non una cosa che uno tira dritto e lascia lì. Quindi lo raccoglie ed è tutto contento di averlo trovato, perché è solo da poco che si è inoltrato in quel mare di sabbia. Poi la traversata si fa più pesante. Dopo qualche giorno il cavallo comincia ad essere esausto, le provviste e l'acqua scarseggiano e l'unico desiderio dell'uomo è di uscirne vivo. Getta via anche lui il fucile e sopravvive. Qualche tempo dopo ritorna per la stessa pista, ma cerca invano il fucile nel posto dove l'ha buttato. Sparito. Solo alcuni giorni più tardi, più all'interno del deserto, lo rinviene nella sabbia. “Evidentemente era stato ritrovato da qualcun altro, che aveva poi fatto la stessa esperienza del peso e della distanza,e si era visto costretto a gettarlo via. Si dice così che lo stesso fucile si sia spostato avanti e indietro per venticinque anni nel deserto del Nevada e – così si afferma – sarebbe ancora in movimento perpetuo, anche se ormai un po' consumato.” Questa storia la si ritrova presumibilmente in tutte le culture, anche se in versioni diverse. A me piace, anche se mi rendo conto che la sua morale – la ricchezza non è che un peso – ha più gusto nella bocca di chi è già messo piuttosto bene di suo.
Un uomo e una donna sono seduti uno di fronte all'altra in una sala d'aspetto da qualche parte, forse in un aeroporto. Non si conoscono, non si sono mai visti. I loro sguardi si incrociano quindi solo di sfuggita. Occhiate curiose, rapide come farfalle. Soffermarsi un po' più a lungo nello sguardo dell'altro è impossibile. Vorrebbero, ma non osano. Sono seduti troppo vicini. Poi, tutt'a un tratto, si sente una voce in un altoparlante, da qualche parte nella sala. Viene annunciato un ritardo, o forse qualcos'altro. Un annuncio che riguarda entrambi. E per tutto il tempo in cui quella voce risuona loro si guardano dritti negli occhi, senza vergognarsene. Nessuna esitazione. I versi di uccelli rari alla luce del crepuscolo aprono le stesse finestre. E anche certi racconti.
Con Valeria Solarino, Valter Malosti, Federica Fracassi
Di nuovo mi torna in mente Strindberg, quell'ultima estate che passò sulla mia isola nel 1891. Solo e infelice, si era immerso nello studio delle scienze naturali. Era ancora sposato con Siri von Essen, ma soltanto pro forma. Lei lo aveva lasciato. Così ora lui aveva bisogno di un microscopio.
“[…] Esaminato il mio seme! Spettacolo quanto mai vivace di migliaia di giovani, furiosi Strindberg un po' demoralizzati dopo due ore passate a cercare un ovulo. Sono deceduti per istinto sessuale insoddisfatto alle 4.10 del pomeriggio, alla temperatura di + 13° C. Erano nati alle 11.30 del mattino.” Come dicevo, era molto solo. E si era quasi alla mezza estate.
Con Vito Acconci, Donald Baechler, Stanley Bard, Sathima Bea Benjamin, Jamie Burke
La collezione privata di Davies era enorme. Sia a Parigi che a Firenze erano accumulate immense ricchezze, ed altre ancora ne trovarono a New York quando sgomberarono il suo studio all'Hotel Chelsea, un hotel che del resto ancora oggi mena vanto della tragica fine dei suoi stravaganti ospiti. Lì morì Dylan Thomas ucciso dall'alcol e lì, anni dopo e in un'altra stanza, Sid Vicious dei Sex Pistols ammazzò la sua ragazza, Nancy Spungen. Come è mai possibile che alberghi interessati a salvaguardare la loro immagine si vantino proprio di quegli sventurati ospiti che non hanno mai potuto saldare il conto e andarsene? Sarà anche un settore dove la concorrenza è spietata, ma insomma…
Eisen aveva salvato i più grandi alberi del mondo, ma erano gli abeti dell'infanzia a mormorare in Park Avenue dove, vecchissimo, abitava. Credo di capire il perché. Puoi far tue molte cose e amarle anche in paesi lontani, ma le emozioni più profonde che ti danno il bosco e i prati, gli uccelli e il profumo di rosa canina in una sera d'estate sono quello che resta quando, alla fine, la vecchiaia stessa è divenuta una specie di terra straniera. In un'[...]intervista Eisen disse, con un calore per lui insolito: “So di essere vecchio, e questo mi rende furioso.”
Mi chiesero di esporre le mie mosche a Venezia. Ora, mentre scrivo, si trovano lì, c'è tutta quanta la compagnia: la prova definitiva e ai miei occhi più bella che l'arte contemporanea internazionale è finita, è completamente allo sfascio. Tuttavia non esitai nemmeno un secondo. La mia collezione di mosche – custodita in 144 teche di plastica, a loro volta inserite in nove casse d'alluminio con coperchi di vetro – vale davvero la pena di essere vista. Forse non è arte, ma a differenza di tutte le mie altre opere (e intendo davvero tutte, a partire dal mio primo articolo, pubblicato a diciassette anni sul Västerviks-Tidningen, su una quercia pluricentenaria cava come una botte che uomini dell'azienda elettrica privi di qualsiasi cultura abbatterono nei pressi del Canale di Gränsö), a differenza dei libri e di tutto il resto, la collezione è nata senza altra intenzione che di divertirmi. Da questo punto di vista la collezione di mosche è un concentrato di felicità spensierata. Se ha qualcosa da dire, è che la libertà ha inizio quando si fa un passo di lato e, magari solo per un attimo, ci si occupa di qualcosa che è fine a se stesso, che non ha a che fare con una vana ricerca di rispetto, stima, potere, denaro, amore, fama...gloria.
Accanto alle mie mosche, per esempio, è appesa tutta una serie di opere dell'indecente artista Touko Laaksonen (1920-1991), alias Tom of Finland, che per tutta la sua carriera ha continuato a disegnare marinai e agenti di polizia con avambracci muscolosi e organi sessuali almeno altrettanto voluminosi. L'arte contemporanea deve provocare. Deve essere una sfida. O almeno dovrebbe esserlo. Anche questo passerà presto, si spera. Mi viene ora in mente che una volta, negli anni Ottanta, c'era un gruppo punk, a Göteborg, che si chiamava "i Cazzi di Sbirro Tatuati". La loro musica era più o meno quella che ci si può immaginare. Non un granché. Tutto quello che avevano di buono era il nome, un tesoro per chiunque fosse almeno un po' interessato alle possibilità del linguaggio. Presumibilmente era stato pensato come provocazione. Ma non funzionava, in primo luogo perché già allora la provocazione come mezzo artistico era stata istituzionalizzata e perfino imposta dall'accademia. Siamo ormai arrivati al punto che le provocazioni artistiche e le sfide obbligatorie ai tabù sono diventate una specie di consolazione per tutti quelli che non riescono a seguire una propria strada, o non osano. Non è difficile spingere alla riflessione. Ci riescono anche le anime semplici, e perfino i pubblicitari. Ma la bellezza, invece. Avvicinarsi a quella, oggi, se si è un artista con ambizioni che vadano oltre il ristretto ambito locale, richiede spesso un coraggio di cui gli arroganti, trasgressivi, sarcastici provocatori non hanno nemmeno idea. Se si appendono mosche a Venezia la fine è vicina, molto vicina.
Con Tilda Swinton, Bill Murray, Gael García Bernal, John Hurt, Paz de la Huerta
Posseggo ora un rilevatore di pipistrelli […]. Basta lasciar cadere qualche parola quasi di sfuggita, come parlando tra sé. “Pare ci siano un sacco di pipistrelli pigmei in volo, stasera.” […] Non c'è al mondo analisi di un film di Fellini che regga a una mossa del genere. Perfino Bergman può andare a casa a dormire.
Con Graham Chapman, John Cleese, Terry Gilliam, Eric Idle, Terry Jones, Michael Palin
Alla fine Eisen trovò il Santo Graal. Letteralmente. Il Graal! La coppa d'argento, antica di duemila anni, che i romantici di ogni epoca non hanno trovato, ma che hanno inseguito come un sogno. Eisen però era un uomo pratico, dotato di uno sguardo da intenditore, e quindi era l'autentico Graal che aveva trovato. Si scoprì che veniva da Antiochia, nella provincia romana della Siria. […] È quindi del tutto naturale che all'inizio mi fossi un po' spaventato, e anche depresso. Pover'uomo. È questo che succede? Il Santo Graal! Ci credeva davvero? Era ammattito? O non era ammattito affatto? Mi portai le mani alla fronte.
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