In un periodo in cui Hollywood è scevra di idee originali, è consuetudine riproporre le vecchie glorie del passato con i tanto vituperati remake. Di solito si tratta di robaccia inutile, totalmente priva di creatività e sostanza, la quale non fa che rovinare franchise duraturi e miti secolari. Ci sono però delle eccezioni che confermano la regola. Ecco quindi una lista personale dei migliori rifacimenti horror di sempre… Check this out!!
Il remake più riuscito della storia, in grado di superare l'ottimo “The Fly” di Kurt Neumann. Cronenberg pigia l’acceleratore sul gore; orientandosi verso la sua concezione sul peso della carne, mette su un capolavoro scioccante sulla pericolosità delle ricerche scientifiche e sui limiti della tecnologia nell’interazione tra uomo e congegni artificiali. Primo fra tutti è stato il regista che dagli anni ottanta ha ben compreso il legame progressivamente più indissolubile fra questi due elementi, prevedendo anche le fatali ripercussioni dell’ingegno sul corpo. Meno “mystery” de “L'esperimento del dottor K.”, “La mosca” di Cronenberg vanta di un trucco raccapricciante ed effetti speciali fantastici.
Con Colin Clive, Peter Lorre, Frances Drake, Isabel Jewell, Ted Healy
Non lo sanno in tanti, ma il bellissimo “The Mad Love” è un rimaneggiamento de “Orlac's Hände” (1924) di Robert Wiene. Con l’utilizzo del sonoro e una prestazione dalla mimica encomiabile di Peter Lorre (il quale non aveva nulla da invidiare dinanzi al grande Veidt) “Amore folle” divenne un classico intramontabile. Entrambe le pellicole sono da vedere almeno una volta.
Snobbato all’uscita per il paragone fuori luogo con l’indole graziosa dell’alienetto di “E.T.”, “The Thing” di Carpenter è un’esperienza claustrofobica e angosciante che non può essere dimenticata. La trama ha avuto dei cambiamenti significativi, senza però stravolgere il concept de “La cosa da un altro mondo” (1951) di Nyby e Hawks. La foggia imponderabile della creatura è una delle metamorfosi più interessanti e paurose mai appurate sullo schermo, e la peculiarità di ricalcare le caratteristiche fisiche dei ricercatori la rende agghiacciante. Il film è paranoico, rivoltante, affascinante. Superbo. Importante: bypassate allegramente i passaggi in tv, la censura infastidente è in agguato.
Il “Nosferatu” del 1922 era un impressionante, monumentale dramma espressionista, grazie al quale Murnau portò alla celebrità il romanzo leggendario di Bram Stoker; Herzog riprese i paesaggi imponenti e tenebrosi della Transilvania conferendogli un’estetica plumbea ed oppressiva. Amplificandone i temi naturalistici e lussuriosi nei sottotesti, il brillante demiurgo tedesco rimane fedele alla fonte aggiungendo uno strepitoso tocco autoriale.
“Dracula il vampiro” trascinava ad un nuovo livello la trasposizione del ’31 con Lugosi, inserendo nuance dai contenuti erotici appena accennati e una violenza scenica più efferata. Christopher Lee era cazzuto e la chimica con il Peter Cushing/Van Helsing galvanizzò il pubblico.
Con Peter Cushing, Christopher Lee, Hazel Court, Robert Urquhart
“The Curse of Frankenstein” aprì la strada ad una serie di successi della Hammer che rielaboravano i monster-movies di inizio anni trenta. Una grafica grinzosa, dei colori ruvidi e un Cushing spietato ne decretarono lo status di cult.
Con Christopher Lee, Yvonne Furneaux, Peter Cushing, Eddie Byrne
Bang!!! La Hammer!! “The Mummy” ripresentava il connubio vincente Lee/Cushing con gli immancabili set gotici e una componente action più sostenuta, ma non per questo sterile. What else?
Bistrattato dai puristi, il “Dawn of the Dead” del 2004 è comunque una baracconata molto divertente, nonché mordace e apocalittica al punto giusto. Inoltre il ritmo e la fotografia non sono niente male… Peccato che Snyder sia diventato un mero direttore di mediocri blockbuster.
Il capostipite bicromatico del 1933 era già arguto ed opulento nella tecnica; “House of Wax” del ’53 non è eccezionale, benché si mostri come un solido prodotto d’intrattenimento. Oltre alla buona performance di Price, non si può che notare lo sfavillante estro artigianale e cosmetico dei cineasti.
Uno dei low-budget più conturbanti e ammirevoli. Inferiore al metraggio dal sapore camp del ’58, in quanto grossolano nella metafora sulla guerra fredda, “The Blob” del 1988 è colmo in ogni caso di sequenze splatter dilettevoli, ed ha una suspense incessante.
Tom Savini ha fatto un lavoro apprezzabile. Non c’è lo spiazzante pessimismo distopico di Romero, bensì una prospettiva tangibilmente sovversiva nel ruolo della donna coraggiosa e gradualmente più tosta impersonata dalla protagonista. Cupe ed inquietanti, altresì, le musiche di background.
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