Dove eravamo rimasti?... Cahiers du Cinéma, si diceva: dopo Resnais e Rivette tocca ora a Rohmer guidarci alla scoperta dei suoi gusti e delle sue recensioni così come sono apparse sui Cahiers negli anni '50 e '60 (sforando un po' nei '70). Agli appassionati incontentabili consiglio il libro "Il gusto della bellezza", in cui il critico Jean Narboni ha meritoriamente raccolto gran parte degli scritti di cinema di Eric Rohmer in vista di un mio più agevole saccheggio... Poi: "trick or treat"? Per prepararci adeguatamente all'Halloween prossimo venturo, si è coagulato nel presente capitolo un comitato di amanti dell'horror come Robert Rodriguez, George A. Romero e Eli Roth. Se Rodriguez sguazza sostanzialmente nel "mainstream" e di Romero incuriosiscono soprattutto alcune scelte fuori dal suo genere d'appartenenza, chi porta veramente sangue nuovo alla causa (e sono FIUMI di sangue nuovo) è Roth... Ora, forse urge un chiarimento. Mai nella vita mi sognerei di dare dell'autore a Eli Roth. Ma nel presente caso, e non per la prima volta, a prevalere è stato prepotentemente il versante dei "consigli" sul versante "d'autore". Così come più volte è accaduto l'opposto e mi sono ritrovato a inserire controvoglia autori indiscutibili che sul versante dei consigli si rivelavano invece stitici e scialbi. In definitiva Eli Roth si è imposto a suon di sorprese. Sorprese a volte più "d'impatto" che di contenuto, ve lo concedo. E quasi tutte monomaniacalmente consacrate al genere horror. Ma il bello dei maniaci è che sono figure specializzate che non si fermano in superficie e che non hanno problemi a esporre la propria psiche alle peggiori efferatezze mai concepite da arti umane. Di conseguenza il buon Eli, nell'ottica nella nostra sempiterna ricerca del "capolavoro sconosciuto", non può che essere una risorsa. E poi va anche detto è uno che ama il cinema italiano come nessuno: tra le sue preferenze ci sono ben NOVE diversi registi italiani. È il caso di restituirgli un po' di questo affetto... Pure Nicolas Roeg, per quanto non sia regista strettamente "di genere" (anche se al genere ha regalato il bellissimo A VENEZIA...UN DICEMBRE ROSSO SHOCKING), ci apre le porte di casa e partecipa alla questua di Halloween con un titolo che potrà piacere agli amanti dell'horror come ...E ORA PARLIAMO DI KEVIN... Chiudiamo infine compensando con un tocco di serietà indipendente in compagnia di John Sayles. Per lui molti validi titoli d'impegno socio-politico tra cui anche due gentili omaggi al cinema di casa nostra. Così è.
Oggi facciamo trick-or-treating a casa di:
Robert Rodriguez (SIN CITY; MACHETE)
Nicolas Roeg (A VENEZIA...UN DICEMBRE ROSSO SHOCKING; L'INIZIO DEL CAMMINO)
Eric Rohmer (LA MIA NOTTE CON MAUDE; IL RAGGIO VERDE)
George A. Romero (LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI; ZOMBI)
Eli Roth (HOSTEL; CABIN FEVER)
John Sayles (FRATELLO DI UN ALTRO PIANETA; LIMBO)
Gli ARRETRATI :
1 - Da Allen a Aronofsky 9 - Da Jarman a Kieslowski
2 - Da Assayas a Bergman 10 - Da Kitano a Kurosawa
3 - Da Bertolucci a Tim Burton 11 - Da Lean a Loach
4 - Da Cameron a Craven 12 - Da Luhrmann a Menzel
5 - Da Cronenberg a De Sica 13 - Da Milius a De Oliveira
Con William Devane, Tommy Lee Jones, Linda Haynes, James Best, Dabney Coleman
consigliato da ROBERT RODRIGUEZ
"È un revenge-thriller, ma è molto figo – è intenso e brutale. Ci sono Tommy Lee Jones e William Devane, ed è scritto da Paul Schrader. È ambientato a San Antonio e si può vedere la sua influenza in più o meno tutti i miei film perché il tizio perde la mano ad opera dei cattivi e la sostituisce con un uncino. Le trasformazioni sono una cosa grossa nei miei film – cominciare in un modo e poi cambiare a 180 gradi in qualcos'altro – e di solito succede alla fine nei miei film. Gli SPY KIDS non diventano spy kids fino alla fine del film, o EL MARIACHI non diventa il tizio con la custodia di chitarra e le armi se non nell'ultima scena del film. Mi piace lasciare il pubblico con la sensazione che il personaggio si è trasformato, perché anche se non fai un sequel puoi immaginarli, perché i personaggi si stanno scaldando solo ora." ~ Robert Rodriguez
Con Adrian Pasdar, Jenny Wright, Lance Henriksen, Bill Paxton, Jenette Goldstein
In streaming su Amazon Prime Video
consigliato da ROBERT RODRIGUEZ
"C'è stato un periodo a metà anni '80, più o meno negli anni in cui ero al college, in cui sono usciti due film dello sceneggiatore Eric Red, THE HITCHER e IL BUIO SI AVVICINA. IL BUIO SI AVVICINA era un grande cult-movie di vampiri. È uscito nello stesso periodo di RAGAZZI PERDUTI ed è stato eclissato. Non è stato distribuito bene. Ogni volta che vedo Kathryn Bigelow la infastidisco parlando di IL BUIO SI AVVICINA. Mentre THE HITCHER l'hanno rifatto di recente ed è terribile, ma l'originale è grande. Finalmente sono riuscito a lavorare con Rutger Hauer in SIN CITY, ha una grande presenza scenica ed è un attore fottutamente grande. Lavorare con lui è stato un sogno." ~ Robert Rodriguez
LISTA COMPLETA di RODRIGUEZ
- Lo squalo (Spielberg)
- Blade runner (R. Scott)
- Il Padrino (Coppola)
- Notorious (Hitchcock)
- Rolling Thunder (Flynn)
- La casa 2 (Raimi)
- 1997: Fuga da New York (Carpenter)
- Flash Gordon (Hodges)
- The Hitcher –La lunga strada della paura (Harmon)
- Un lupo mannaro americano a Londra (Landis)
- Il buio s'avvicina (Bigelow)
- La cosa (Carpenter)
- Interceptor (Miller)
- Interceptor – Il guerriero della strada (Miller)
Fonti: Rotten Tomatoes; TheDailyBeast.com; IMDb
Su LA COSA di Carpenter: "Mi piacevano un mucchio di cose di Carpenter. Questo film mi ha mostrato quanto possa essere malleabile il materiale. All'inizio delle riprese Kurt Russell era solo uno dei personaggi di contorno, ma quando sono andati a girare in esterni, molto del lavoro nelle “locations” è consistito nel farlo avanzare in prima linea. Io lo faccio molto spesso. Una volta che gli attori hanno cominciato e io capisco che potere hanno sullo schermo, in fretta riscrivo ridicolmente sul set, al punto che la gente arriva la mattina, prende le nuove pagine, e andiamo a filmare e io dico: «Oh, no, quello non è il dialogo giusto!” E loro, «Ma ho appena avuto le pagine stamattina!» E io: «Oh, quelle sono già vecchie!» Riscrivo costantemente, provando a tirare fuori il massimo dall'attore in relazione al personaggio e a pensare ad esso dalla prospettiva di quello che il pubblico vuole vedere dal personaggio." ~ Robert Rodriguez
Su UN LUPO MANNARO AMERICANO A LONDRA di Landis: "Anche questo mi ha influenzato precocemente per ciò che riguarda la giustapposizione bizzarra di commedia da sbellicarsi e sequenze veramente terrificanti. Il mio migliore amico allora mi disse, «Io e mio padre siamo scappati fuori a metà film! Non riuscivamo a reggerlo. Era troppo intenso!» E io, «Pensavo dovesse far ridere.» E lui, «Fa ridere!» Amo questa combinazione. Quando vedo John Landis, gli faccio sempre un milione di domande su quel film. È una grossa influenza su di me dal punto di vista del tono. Landis sentiva di non dover seguire le regole del genere e le ha veramente mischiate, ed è un tono in cui è molto difficile trovare un equilibrio. È davvero impressionante ed esilarante, e allora sembrò qualcosa di veramente nuovo." ~ Robert Rodriguez
Su FLASH GORDON di Hodges: "Amavo FLASH GORDON! Ricordo che io e mio fratello minore vedemmo il trailer in televisione, e gli altri miei fratelli ne ridevano, dicendo, «Andate a vedere quello? Sembra da ritardati!» Così loro andarono a vedere il remake di SONG OF THE SOUTH, e mio fratello ed io andammo a vedere FLASH GORDON, e l'affare lo facemmo noi. Fu trasmesso un bel trailer di FLASH GORDON prima della proiezione di SONG OF THE SOUTH così subito si incazzarono per aver scelto il film sbagliato. È ancora oggi uno dei tormentoni nella nostra famiglia, l'abbiamo adorato – per le battute, e per la sua natura kitsch. Avevo l'abitudine di montare trailers falsi di FLASH GORDON e mostrarli alla Alamo Drafthouse ad Austin, e la gente andava fuori di testa." ~ Robert Rodriguez
Su BLADE RUNNER di Ridley Scott: "Amo i film noir, e questo è stato solo un nuovo modo di farli. Ambientato nel futuro, con parole inventate. È chiaramente un grande film; tutto funziona a dovere, il che è raro che accada. Il modo come tutto corrisponde, il lavoro artistico, il design, la musica, e quant'è resiliente la storia...si possono continuare a farne nuove versioni e tutte funzioneranno comunque! [Ride] Quando puoi rifare lo stesso film con le stesse riprese e modificarle giusto un pochino…" ~ Robert Rodriguez
Su 1997: FUGA DA NEW YORK di Carpenter: "Questo film mi ha veramente aperto gli occhi sul genere di film che volevo fare e sul perché volevo essere un filmmaker, per via della libertà che suggeriva. Quando vidi che John Carpenter l'aveva scritto, diretto, e musicato ho pensato, «È pazzesco. Si può fare?» Mi sembrava così fuorilegge. E puoi dichiarare che New York è un carcere e il pubblico se la beve? Questa è la libertà massima che puoi avere in un campo giochi di creare il tuo set di regole. E Iena (Snake) Plissken è l'antieroe definitivo e fa il genere di cose che non vedresti mai fare ad un eroe. Puoi farla franca in quel modo solo in un film cult. (...) Lo trovai molto liberatorio. Era fatto in maniera indipendente, e mi fece desiderare di cominciare a fare film... e cominciai a fare film da quel momento in poi. Fu una vera ispirazione. È un film che ha realmente segnato la mia vita." ~ Robert Rodriguez
"È un film meraviglioso. Mi è piaciuto molto e sono molto contento per Luc (Luc Roeg, suo figlio, produttore del film) che sia andato così bene con la critica e gli incassi – e credimi, so quant'è dura riuscirci." ~ Nicolas Roeg
"Ho scelto una sequenza da LA SIGNORA IN ROSSO, che è basato sul film francese CERTI PICCOLISSIMI PECCATI... il titolo francese è piuttosto particolare... “Un Elephant Ça Trompe Enormement”. È un pezzo comico, una scena che si può godere anche da sola, non connessa alla storia. Lo chiamo “Il gioco del cieco”, perché è così che lo chiamano nel film. Dicono: “Ti va di fare il gioco del cieco stasera?” Si tratta di un gruppo di uomini che vuole tirare su l'umore a un amico che si è appena separato dalla moglie. Ed è Charles Grodin che la interpreta. Un magnifico attore. (...) È slapstick. Le radici sono nel cinema muto. È una scena che potrebbe essere fatta solo al cinema. Forza il pubblico a guardare la reazione sul volto della gente... Ed ha un gran finale..." ~ Nicolas Roeg
Su Stanley Kubrick: "Devo dire che mi piaceva il suo atteggiamento verso i film e il fatto che fosse un artista e che fosse sufficiente a se stesso. Non rispondeva alla censura corporativa, e non provava mai a fare un film che avresti potuto incasellare in un genere particolare. Credo che si possa dire per ogni suo film." ~ Nicolas Roeg
Su SADISMO: "All'uscita del film, il critico di Life Magazine descrisse SADISMO come «il film più completamente inutile che abbia mai visto da quando ho cominciato a recensire.» Ce l'ho ancora da qualche parte, è uno dei pochi ritagli che ho conservato. La Warner Bros minacciò di farmi causa per non aver consegnato il film che si aspettavano. La presi molto male. Fu difficile continuare a credere in me stesso. Per credere in se stessi c'è bisogno di un po' di spirito di squadra e non ce n'era molto in giro. A peggiorare le cose c'era il fatto che la gente che criticava il film chiaramente non l'aveva affatto capito." ~ Nicolas Roeg
"Beh, ho iniziato, detto con Guerre Stellari, tanto tempo fa in una galassia lontana lontana. Non sapevo niente di cinema. Quando andavo al cinema da bambino e vedevo un film di guerra, pensavo che il generale fosse la star, e che Cary Grant fosse una comparsa. Non avevo idea di quale fosse la struttura di un film, ma amavo andare al cinema. Ci andavo con mia sorella, a cui piaceva vederli due volte. A quel tempo i film e il cinema in Inghilterra non erano considerati come lo sono ora. Non era una delle arti – erano i film. Molti anni fa, feci parte di un comitato di censura e domandai, «Hanno smesso di censurare il teatro – è stato eliminato l'ufficio di Lord Chamberlain – quindi perché ne parliamo per i film?» E uno del comitato – non dirò chi fosse, ma era un politico, disse, «Devi capire che il teatro in Inghilterra è una tradizione mandarina. Chiunque può entrare in un cinema, ma a teatro tu fai uno sforzo consapevole ed è parte della cultura.» Quand'ho iniziato dicevo alle madri delle ragazze con cui uscivo che studiavo per fare l'avvocato o qualcosa nella 'City', negli affari. Era in qualche modo una vergogna essere nell'industria del cinema. (...) Non c'erano scuole di cinema o cose del genere, così ho trovato un lavoro con una persona che aveva un piccolo studio che produceva film di guerra, documentari etc. Ho cominciato facendo il té per quelli che facevano questi semidocumenari dopo la guerra. Ed ho scoperto delle cose. Pensavo fosse fantastico – erano cose che allora non sapevo, era un affare molto segreto. Oggi si conosce tutto, fanno documentari su come vengono realizzati gli effetti speciali e tutto il resto. Allora era un mistero tremendamente eccitante, anche solo per girarci attorno. Non sapevo niente su chi fosse il capo sul set, o su cosa succedesse, ma era straordinario." ~ Nicolas Roeg
INTERVISTATORE: "Il tuo lavoro con altri registi ti ha influenzato? So che stimi molto Truffaut e il suo FAHRENHEIT 451 (di cui Roeg curò la fotografia).
NICOLAS ROEG : "Naturalmente. Nella vita apprendiamo da tutti. Ma se qualcuno ti piace e lo ammiri tremendamente, forse perché ragionate allo stesso modo, o perché ti piace come ragiona, allora è inevitabile che tu apprenda. Con François, mi piaceva il suo atteggiamento verso la vita. Le regole del film-making possono essere insegnate in cinque minuti; questo è ciò che fu detto anche a Orson Welles. Le regole vengono apprese per essere infrante, ma se non le conosci, allora manca qualcosa. François aveva le sue idee e il suo atteggiamento era davvero speciale. Ho imparato una cosa da lui: mi disse, «Mi è sempre piaciuto andare nel box del proiezionista la sera della prima – soprattutto perché non mi piace sedermi in mezzo al pubblico per vedere cosa sentono. Ma anche perché mi piace guardare il retro delle loro teste – posso capire di più su cosa ne pensano da lì che stando tra di loro.» L'ho fatto molte volte, e da lì ogni tanto penso, «Che problemi ha quello là in terza fila?» " ~ Nicolas Roeg
Su David Lean: "David Lean ed io abbiamo avuto un bellissimo inizio, una piuttosto strana e brutta parte centrale e una fine molto buona. Avevo girato un mucchio di roba in LAWRENCE D'ARABIA – mi aveva dato una mia unità, ed era un'unità grossa. Non eravamo riusciti a conoscerci bene, ma gli era piaciuta una delle ultime scene che avevo girato per lui. Mi volle per fare IL DOTTOR ZIVAGO, ma accadde una cosa curiosa, che ho capito non potevo evitare che accadesse. David era un perfezionista, ma io non lo ero, e ci fu una scena in cui la nostra relazione collassò. Eravamo in ritardo sulla tabella e arrivammo alla scena in cui Julie Christie e Rod Steiger sono su una slitta in movimento. Lui disse, «Questa non so come riusciremo a farla,» perché in quegli anni dovevamo usare delle enormi luci ad arco. Così io suggerii di lasciar perdere lo sfondo e di sistemare delle lucette attorno alla slitta. Lui disse che non avrebbe mai funzionato, ma io replicai che l'alternativa era spendere ore a sistemare le luci ad arco e che probabilmente avremmo perso un giorno intero e non avevamo tempo. Girammo la scena più e più volte, e funzionò. Il giorno seguente, arrivò un tizio della MGM e dopo aver visto i giornalieri disse, "È una gran ripresa, quella nella slitta." Quello stesso giorno David ed io eravamo seduti sulla gru, lui si voltò verso di me e disse, «Tu pensi che io sia fuori moda, vero?» Io dissi di no, che non lo pensavo – ed era effettivamente la verità. Ciononostante sapevo che il sipario sarebbe calato. Uno di noi doveva andarsene – era il suo film quindi me ne andai io. Anni dopo, David ed io ci siamo ritrovati nella stessa giuria o una cosa del genere per i BAFTA, e abbiamo passato un bellissimo pomeriggio e dopo siamo andati a cena insieme." ~ Nicolas Roeg
"Alcune persone sono molto fortunate e hanno la storia in testa. Io non ho mai fatto storyboard per i miei film. Mi piace l'idea del caso. Se c'è una cosa che fa ridere Dio è la gente che fa piani. (...) È per questo che faccio un mucchio di riprese. Dopo, durante il montaggio, con quel mucchio di materiale, vivi di nuovo il film. Faccio delle riprese della libreria per vedere cosa leggono i personaggi. Forse la scena richiederà che la persona perda concentrazione per un momento e dia un'occhiata a qualcosa, perché la nostra attenzione non è mai focalizzata in maniera particolare. Vagabondiamo." ~ Nicolas Roeg
"Sono diventato operatore e direttore della fotografia non per amore della fotografia, ma piuttosto per amore dei film, e del raccontare storie tramite i film. In seguito mi sono chiesto come fosse possibile che qualcuno diventasse regista senza conoscere il mestiere del direttore della fotografia. Sono stato molto felice, quando ho diretto i miei film, di non essere nelle mani di un direttore della fotografia e di dover sperare che lui facesse bene il suo mestiere. Sapevo quel che stava facendo, e potevamo discutere il look che avrebbe avuto la scena. In un certo senso sono stato fortunato a non essere andato ad una scuola di cinema e ad aver imparato tutto sul campo." ~ Nicolas Roeg
"Se vogliamo ripercorrere il mio itinerario estetico e ideologico, bisogna partire dall'esistenzialismo, da Jean-Paul Sartre, che agli inizi mi ha particolarmente influenzato. (...) Ho avuto il mio periodo esistenzialista prima di cominciare a occuparmi di cinema, ma l'influenza è rimasta e credo abbia continuato a guidarmi nei miei primi film. È stato Rossellini a distogliermi dall'esistenzialismo. È successo nel bel mezzo di STROMBOLI. Durante i primi minuti di proiezione, mi sono reso pienamente conto dei limiti di quel realismo sartriano in cui credevo che il film avrebbe finito per rinchiudersi. Ho detestato lo sguardo che mi invitava a gettare sul mondo, prima di capire che mi invitava anche a superarlo. E allora ho avuto la conversione. È questo che è formidabile di STROMBOLI, è stata la mia via di Damasco: a metà del film ero già convertito, e ho cambiato ottica. Ho fatto mio il percorso di Ingrid Bergman nel film. Il cinema permetteva di esistere a valori in quel momento completamente rifiutati, quei valori di grandezza, quella scelta di fare qualcosa di grande con qualcosa di grande, quando l'ideologia di allora voleva che si facessero cose da nulla." ; "Conosco poche altre opere contemporanee che abbiano esaltato in modo così sorprendente e diretto l'idea cristiana della grazia, e che, senza retorica, con la sola evidenza di ciò che ci è dato vedere, proclamino in maniera più alta la miseria dell'uomo senza Dio. (...) In Rossellini ogni cosa è presente, apparenza, forma palpabile, e non ammette altro aldilà della mano divina che presiedette alla sua genesi. L'universo di questo film ritrova in grandezza religiosa quanto perde in profondità morale. Una sorta di orrore tragico inchioda il nostro sguardo e gli impone una visione del mondo che non è nè interamente umana, per quanto esclude in termini di compassione, nè interamente divina, per quello che ispira ancora in termini di terrore. Nel momento in cui quasi tutte le arti basano la loro gerarchia di valori sull'idea di rivolta e di bestemmia, mi piace che la più giovane tra loro e in apparenza la più vile, in uno dei suoi aspetti più contestabili, il realismo, si ingegni improvvisamente, e quasi suo malgrado, a riscoprire il senso di questa virtù del “rispetto” di cui l'arte d'altri tempi aveva fatto il proprio emblema." ~ Eric Rohmer
"LA PYRAMIDE HUMAINE non ha niente del film maledetto, ma gli elogi tributatigli furono sorprendentemente misurati e vertevano più sull'interesse dell'esperienza che sui meriti dell'opera. Rouch forse, «in partenza», non è un artista, benché la fantasia –si potrebbe dire la poesia – della sua ricerca apparenti quest'ultima più all'arte che alla scienza. Certamente egli mirava, prima di tutto, alla verità: la bellezza, a quanto pare, gli è concessa solo come un sovrappiù, conformemente all'assioma per cui «niente è bello quanto il vero». (...) Se è vero che Rouch non fabbrica questa bellezza naturale, non si accontenta neanche di consegnarla come un pacchetto già confezionato: piuttosto la suscita, la fa nascere secondo una «maieutica» che costituisce la sostanza stessa del suo modo di procedere. Se ci desse soltanto cose che conoscevamo già in linea di massima se non nei dettagli, coglierebbe sempre solo il pittoresco. (...) In Rouch, razza, età, ambiente dei protagonisti appaiono costantemente motivi privilegiati. Questi privilegi ci vengono rivelati come il risultato delle cose stesse. Il fatto razziale, in particolare, non sembra più come in passato una singolarità, un caso e, partendo da una tara, una lacuna della natura, ma l'espressione della pienezza e della libertà di questa natura. C'è del tragico in questo psicodramma in cui le bocche dei liceali cambiano il piombo della psicoanalisi nell'oro della confessione, rispondono morale quando si parla loro di scienza, e questo tragico, se c'è, come ogni vero tragico, si basa non tanto sull'idea che il mondo è buono, ma che non si può concepirlo in maniera diversa da quello che è in effetti. Non si tratta più di un tema contingente, da scegliere tra molteplici possibilità, ma di un grande soggetto necessario, che il cinema «doveva», un giorno o l'altro, affrontare, non avendone incontrati di più belli nel corso della sua storia." ~ Eric Rohmer (Cahiers du Cinéma, luglio 1961)
Con Maria Schell, Christian Marquand, Pascale Petit, Louis Arbessier
consigliato da ERIC ROHMER
Alexandre Astruc su UNA VITA: "Ogni adattamento di un lavoro celebrato ha necessariamente un punto di vista. Volevo raccontare una storia in costume in un modo moderno. Una volta scelto questo punto di vista, dovevo seguirlo fino in fondo. Prima di tutto è stata una questione di sensibilità e stile narrativo. Essere fedeli non significa niente. Bisogna essere veri. Nei confronti del lavoro scelto, e di conseguenza verso se stessi. (...) In Maupassant ho incontrato alcune delle mie preoccupazioni attuali. Maupassant è uno scrittore realista, ma è anche un poeta. Quel che mi ha soddisfatto nel leggere “Una Vita” non è stato il realismo, ma la pazzia dietro al realismo. C'è un Maupassant familiare, credo, e un Maupassant non familiare. Il primo è come Alphonse Daudet, e il secondo come Edgar Allan Poe. Non scordiamoci che Maupassant è morto pazzo. Quello che mi è piaciuto è stato intravedere “Le Horla” in “Una Vita”. Mi sono reso conto all'improvviso che quel che Maupassant stava descrivendo erano forse meno i personaggi che l'impeto che li spinge. E questo mi ha affascinato. (...) Maupassant è uno degli autori più letti nei paesi anglosassoni così come in Russia, e la sua influenza su gente come Hemingway e Steinbeck, o Turgenev, è indiscutibile. Nel rileggerlo, ho provato a scoprire cosa c'era in lui che ha fatto nascere questa letteratura amara, violenta, angosciata, eppure poetica, in quelle nuove nazioni. Come Faulkner in “Palme Selvagge”, Maupassant non stava tanto descrivendo il carattere di una donna, quanto il passaggio della vita attraverso una donna. Quindi il soggetto non è affatto sottile. Da principio i miei personaggi, indipendentemente dalla loro psicologia, sono mossi da qualcosa di più forte della psicologia. È, se vogliamo, il contrario di un film analitico, per quanto la materia sia quella di un film psicologico. Abbiamo tentato di trasmettere l'atmosfera fantastica del libro più che il suo dramma borghese, di esprimere un generale sentimento nel suo slancio, il suo lirismo; non solo con la regia, ma anche con i costumi, le scenografie e la fotografia. (...) In “Una Vita”, Maupassant – uno scrittore che è al tempo stesso tenero e crudele, amaro e pieno di compassione – non stava descrivendo l'evoluzione di una donna mentre passano le stagioni, ma i riflessi delle stagioni sull'anima di questa donna. Sono i riflessi che mostro nel mio film."
Con Charles Denner, Anna Gaylor, Jean Yanne, Yvonne Clech
consigliato da ERIC ROHMER
"Mi sembra che i Cahiers da una parte e i critici dall’altra tendano troppo a interessarsi soprattutto al cinema in cui si sente la presenza della macchina da presa, dell’autore – il che non vuol dire che questo sia l’unico cinema d’autore – a detrimento di un altro cinema, il cinema del racconto, che viene considerato subito come classico, quando, a mio avviso, non lo è più dell’altro. (...) Quanto a questi ultimi (i registi del “cinema del racconto”— ndt), che non dico di preferire agli altri, ma che mi sembrano più vicini a quello che io stesso provo a sondare, chi sono? Dei cineasti nei cui film si percepisce la macchina da presa, ma non è questa la cosa essenziale: è la cosa filmata che ha maggiormente un’esistenza autonoma. In altre parole, sono interessati a un universo che non è un universo cinematografico nell’immediato. Il cinema, per loro, non è tanto un fine quanto un mezzo, mentre in Resnais, Godard o Antonioni, si ha l’impressione che il cinema contempli se stesso, che le cose filmate esistano solo all’interno del film, o del cinema in generale. Per loro il cinema è un mezzo di conoscenza, di rivelazione degli individui, mentre per i «moderni» il cinema è prima di tutto un mezzo per farsi rivelare il cinema. Sono cineasti che hanno girato solo pochi film, che non so dire se cambieranno o meno, se passeranno o meno dall’altra parte. Prendo i loro film così come sono, e del resto tengo in considerazione più certi momenti dei loro film che i film nel loro insieme: per esempio certi passaggi di DESIDERI NEL SOLE, in particolare la scena delle vespe, oppure quel film di cui avete fatto elogi molto misurati ma che a me è piaciuto tantissimo: UNA VITA ALLA ROVESCIA di Alain Jessua. O ancora, il meglio di Chabrol – perché chiaramente anche in Chabrol c’è un aspetto cinefilo, ma è un aspetto mistificatore, che non mi sembra il più profondo. I personaggi di Chabrol sono interessanti indipendentemente dal fatto che sono filmati." ~ Eric Rohmer (1965)
"Il merito principale, la grande originalità di Tashlin è quella di essere, in senso proprio, il primo caricaturista dello schermo. Ne conosciamo il motivo: è stato autore di disegni animati. Ma ciò che per il cartoon è la regola più semplice, quasi obbligatoria, si trasforma, a contatto con un materiale vivo, in una problematica eccezione. Non si tratta, si noti, di una caricatura solo intenzionale, scoglio su cui si bloccano i mediocri, ma assolutamente reale, scritta sulla pellicola. (...) Poco importa il mezzo con cui si ottiene questa seconda natura grafica. Sarà magari il semplice trucco materiale: la deformazione del volto di Tony Randall nell'opaco schermo televisivo, la rimodellatura del corpo di Jane Mansfield mediante abiti e biancheria intima adatti. Sarà, più semplicemente, la smorfia che semplifica, depura, si potrebbe dire, un volto, una silhouette. L'invenzione plastica non consiste più nella giustapposizione di elementi indeformabili, ma nel lavoro di “triturazione” operato su questi elementi. L'immagine di Rock Hunter indaffarato, che si sporge dal parapetto, resterà nella memoria ancor più di quella di Charlot all'inizio de L'EMIGRANTE. A priori, si sarebbe potuto pensare che, così facendo, si corresse il rischio di irrigidire la recitazione e la cosa sarebbe certo avvenuta se l'avesse guidata una mano meno esperta. Ma qui la deformazione caricaturale, invece di maltrattare l'espressione, la arricchisce di infinite sfumature. Dalla lotta continua tra la linea ideale e la realtà dell'anatomia umana, tra la carne e la geometria, nasce una forma di bellezza, dalla cui contemplazione deriva la metà, se non addirittura i tre quarti, del nostro piacere." ~ Eric Rohmer (Cahiers du Cinéma, novembre 1975)
Con Audie Murphy, Michael Redgrave, Claude Dauphian, Giorgia Moll, Bruce Cabot, Fred Sadoff
consigliato da ERIC ROHMER
"Questo film è stupendo e val bene una ritrattazione. Chi dice politica degli autori dice fedeltà, ed è certo più facile e seducente conservare la fede in un uomo che non in un sistema. Il cinema che di solito difendiamo sulla rivista (un cinema di costruzione spaziale o di espressione corporea, come direbbe il nostro amico André Martin) non ha alcun rapporto col cinema che propone Mankiewicz. (...) Questo film non lo si vede: «lo si legge». Il pubblico dimentica di essere pubblico e il suo silenzio evoca più la pace delle biblioteche che non la tensione nervosa di un uditorio. (...) (Rispetto al romanzo di Graham Greene) Mankiewicz grosso modo sopprime tutto ciò che aveva sentore di cinema: la insistita minuzia nelle descrizioni, le ellissi, i salti bruschi da un discorso all'altro, il comportamentismo, l'atmosfera fisica e carnale. Piuttosto del cinema che fu, preferisce proporci quello che sarà, il suo cinema e non quello di dominio pubblico. Poiché Mankiewicz è un chiacchierone, anche il film lo sarà: e perché dovrebbe tacere se i suoi dialoghi rendono superbamente sullo schermo? Se occorre una spiegazione, ovviamente del tutto provvisoria, diremo che il cinema ama gli estremi. O diffida delle parole, o le ama alla follia. Certo, anzitutto fa vedere, ma se apre uno squarcio su un mondo di brillanti conversatori, occorre che costoro siano i più facondi possibile. Per questo Mankiewicz «aggiunge». Prende le frasi che Greene taglia con l'accetta e le riveste dell'affabilità che ogni conversazione possiede, almeno tra persone che con la parola hanno confidenza. (...) È la prima volta, dopo OPERAZIONE CICERO dello stesso Mankiewicz, che ci accade al cinema di seguire una storia di spionaggio adulto e, forse, uno dei pochi film «politici» che la storia del cinema abbia conosciuto. Si dirà che una parte del merito va ascritta a Graham Greene, ed è vero. Ma è altrettanto certo che, fornendo all'intrigo una conclusione che è farina del suo sacco, il cineasta trasforma l'oro del soggetto nel più prezioso dei diamanti. (...) «Racconto una storia, non scrivo un'opera storica», dice Greene nella sua prefazione. Lo stesso fa Mankiewicz. Ci sia tuttavia consentito di trovare più vibrante nel film che nel romanzo l'eco della grande Storia che campeggia sullo sfondo di questa piccola cronaca sentimentale. (...) I personaggi del romanzo sono solo uno degli aspetti della personalità di quelli del film. Sul terreno della psicologia, e su quello dell'intrigo poliziesco e politico, il romanzo è davvero la brutta copia del film." ~ Eric Rohmer (Cahiers du Cinéma, agosto 1958)
Con Paul Merisse, Catherine Rouvel, Fernand Sardou, Jacqueline Marane
consigliato da ERIC ROHMER
"PICNIC ALLA FRANCESE è uno dei film più irrealisti mai girati. Possiede certe caratteristiche del teatro popolare d'avanguardia: lo schematismo, le volute ingenuità, il didattismo, fino alla famosa «estraniazione» che, ad esempio, fanno di «Il signor Puntila e il suo servo Matti» di Brecht l'archetipo assoluto dell'anticinema. Ma l'aspirazione del cinema, fin dall'inizio, non è stata quella di appropriarsi di tutto ciò che, nell'ordine naturale o in quello delle creazioni dell'uomo, gli sembrava più estraneo? La grande lezione di Renoir è di impedirci di confondere l'accidente con la sostanza, la vera bellezza dell'opera cinematografica con quella specie di fascino che, senza cadere nel ridicolo, potremmo chiamare «pellicolare». (...) Sono molti i film che, con la loro perfezione, hanno forzato non solo i confini del genere, ma quelli dell'arte. Ma ciò che altrove è l'eccezione qui diventa la regola. Renoir non ha mai voluto trovare una confortevole sistemazione nel cinema. Se gli piace tenersi un po' in disparte, è perché conosce il cinema meglio di chiunque altro. Sa che il pregio di quest'arte non è esattamente quello di aggiungere una nuova interpretazione della natura a quelle che hanno già fornito il pittore o lo scrittore. Renoir sa che la specificità del cinema non risiede solo nei mezzi, nell'ottica, nella scrittura, ma nell'originalità del rapporto che esso ci rivela tra la natura e l'artista, sa che il cinema è in grado di cogliere, di questa natura, gli aspetti più stravaganti, più irriducibili ai canoni dell'estetica, più «liberi». Per questo i rapporti fondamentali dell'apparire e dell'essere, della libertà e della norma sono al centro delle sue attenzioni, soprattutto nelle opere che definirei «riflessive» (benché tutte lo siano in qualche modo) e nelle quali ci consegna la sua Arte Poetica: MADAME BOVARY, LA CARROZZA D'ORO, e ora PICNIC ALLA FRANCESE. A più riprese ci hanno colpito le analogie che la sua vena comica presenta con quella di Howard Hawks, capofila di un cinema che si potrebbe chiamare «istintivo» – per quanto intelligente e studiato sia – cioè figlio delle proprie realizzazioni, esente da ogni ammiccamento alle altre forme artistiche. La rassomiglianza con IL MAGNIFICO SCHERZO, già segnalata per ELIANA E GLI UOMINI, è in questo caso flagrante. E non credo ci siano nozioni più interessanti per il cinema – e quindi più adatte a stimolarne la capacità dissacratoria – di quelle di Scienza e di Natura, simboli, l'una, del suo metodo, l'altra, del suo oggetto. La favola di PICNIC ALLA FRANCESE può essere letta come una parabola tanto estetica quanto morale." ~ Eric Rohmer (Cahiers du Cinéma, dicembre 1959)
"Stroheim mi ha insegnato un sacco di cose. Il più importante, forse, dei suoi insegnamenti è che la realtà non ha valore se non quando è trasfigurata. In altre parole, un artista esiste solo se riesce a creare il suo proprio piccolo mondo." ~ Jean Renoir (1958)
Con Michele Cossu, Peppeddu Cuccu, Vittorina Pisano, Attori non professionisti
In streaming su Amazon Prime Video
consigliato da ERIC ROHMER
Jean Douchet su BANDITI A ORGOSOLO (dai Cahiers du Cinéma, ottobre, 1961): "BANDITI A ORGOSOLO è stata la sola, vera rivelazione di questo Festival (Venezia 1961 - ndt), ciò che del resto la Giuria ha confermato, incoronando il film con il Premio Opera prima. È un grande modello di documentario, proprio nel senso in cui lo intendeva Flaherty. Il merito di Vittorio De Seta, tuttavia, sta nell’aver operato scelte stilistiche che muovono verso l’assoluta originalità. Piuttosto che muovere da un’idea preconcetta del mondo, De Seta si mantiene sul versante del più convincente realismo. È il primo, dopo Rossellini, ad aver fatto sincera professione di fede neorealista. Però, a differenza di Rossellini, che si preoccupa anche di non trascurare morale e politica, De Seta è soprattutto rivolto agli “effetti”, affidando allo spettatore la possibilità di scoprire le cause, per deduzione logica. Un cammino inverso rispetto all’autore di PAISÀ. Niente nel suo film si offre come piacevole spettacolo, da contemplare. Né l’ eroe né le pecore né i paesaggi, sono destinati a piacere. La grandezza originale discende anche dall’illuminazione particolare, dalla semplicità e la bellezza della fotografia. Dietro un’apparenza “virgiliana”, De Seta ci esorta a condannare quest’ordine di cose, che consente l’abiezione e la degradazione dell’ordine naturale."
Con Jean Gabin, Michèle Morgan, Michel Simon, Pierre Brasseur
consigliato da ERIC ROHMER
"Sono stato influenzato da Carné. Ho avuto due choc. Lo choc di STROMBOLI e, dieci anni prima, lo choc de IL PORTO DELLE NEBBIE, uno choc surrealistico-esistenzialista. Tutte le tendenze degli anni che precedono immediatamente la guerra sono riassunte ne IL PORTO DELLE NEBBIE. Trovo che la dimensione metafisica di Gabin in questo film appaia in maniera molto chiara, soprattutto in quella scena ambientata da “Panama” in cui egli non vuole che nessuno parli: c'è un rifiuto totale del linguaggio in quanto tale. Dico Carné, non solo Prevert, perché Carné ha subito fortemente l'influenza del cinema tedesco del “Kammerspiel”. Carné era un grande ammiratore di Murnau e credo gli abbia reso omaggio in una scena di PECCATORI IN BLUE JEANS, nella quale alcuni giovani vanno alla Cinematheque a una proiezione di TABÙ. (...) In Carné c'è un grandissimo rigore, sfortunatamente legato alla mancanza di immaginazione nelle inquadrature. Il resto del cinema francese fra le due guerre manca di rigore formale. Non c'è il legame profondo tra messa in scena e immagine che c'è in Carné, quel rigore dello spazio – benché il suo spazio sia uno spazio artificiale e fisso, soprattutto in confronto a quello di Renoir. Nelle sue opere c'è un lavoro notevole sulle scenografie." ~ Eric Rohmer (1983)
Con Léopold Tremblay, Alexis Tremblay, Abel Harvey, Louis Harvey, Joachim Harvey
consigliato da ERIC ROHMER
"Un film in cui la cinepresa di Cartier-Bresson, uscita dal cervello di Vertov, ricade sul cuore di Flaherty, dove troviamo un UOMO DI ARAN col suono in presa diretta." ~ Jean-Louis Comolli (Cahiers du Cinéma 1969);
"Bisogna dirlo, tutto quello che abbiamo fatto in Francia nell'ambito del cinema-verité viene dall'ONF (Office national du film du Canada). È Brault che ha portato una tecnica nuova di ripresa che non conoscevamo e che da allora abbiamo copiato tutti. Del resto, davvero, abbiamo la “braultite”, questo è chiaro; anche quelli che considerano Brault un rompipalle o che erano invidiosi sono obbligati a riconoscerlo." ~ Jean Rouch (Cahiers du Cinéma, giugno 1963)
"Esattamente come LA FINESTRA SUL CORTILE e L'UOMO CHE SAPEVA TROPPO, LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE è una sorta di parabola della conoscenza. Nel primo film, il fotografo voltava le spalle al sole (vale a dire alla vita) e vedeva solo ombre sulla parete della caverna (il cortile). Nel secondo, il medico troppo fiducioso nelle deduzioni poliziesche falliva anch'egli il suo scopo, colto invece dall'intuito femminile. Qui il detective fin dall'inizio sedotto dal passato (del quale è simbolo il ritratto di Carlotta Valdès con cui la falsa Madeleine pretende di identificarsi) sarà continuamente rinviato da un'apparenza all'altra: innamorato non di una donna, ma dell'idea di una donna." ~ Eric Rohmer (Cahiers du Cinéma, marzo 1959)
"No, Hitchcock non è solo un abile tecnico (ed in nome di cosa elevare a virtù l'incapacità?) ma uno degli autori più originali e profondi di tutta la storia del cinema. Altri hanno scelto altre vie, quelle delle mezze tinte e della verosimiglianza. Ma se il gusto dello straordinario non è la garanzia del genio, bisogna concluderne che non sia compatibile con lui? Andrò più lontano: è l'inverosimiglianza stessa del dato che dona ai dettagli questo accento di verità che, in Hitchcock mi diletta in ogni momento. (...) Hitchcock lo si loda spesso perché sa mantenere sempre alta la tensione. Questa suspense la vedo raddoppiata da un interesse altro, da un'attesa, non tanto dell'evento, quanto della sua influenza su un pensiero le cui linee mosse e sfuggenti non potrebbero essere alterate dalla precisione quasi metallica dell'immagine. Ed eccoci rivelata la ricchezza non solo psicologica, ma morale, di quel famoso tema del sospetto, di quella sorta di ricatto al coraggio, alla purezza, all'innocenza, che ritroviamo in ogni suo film. No, non è l'ignavia di eroi e eroine tanto disprezzati dai nostri esteti che, grazie a lui, viene così impietosamente messa a nudo, ma piuttosto, direi, lo scrupolo lacerante di una coscienza che, a un secondo dalla fine, si ritrova improvvisamente nuova a se stessa." ~ Eric Rohmer
"Dividerò i migliori film a colori, usciti fino ad oggi, in due categorie. Da una parte, quelli di cui ricordiamo l'armonia, il tono generale, dove l'autore, lo scenografo, il costumista, il fotografo hanno voluto fare opera, se non di pittori, almeno di uomini esperti delle cose pittoriche. LA PORTA DELL'INFERNO (Jigoku-mon), ROMEO E GIULIETTA, LOLA MONTÈS non hanno fatto molta fatica a imporre i loro meriti. Il colore è per loro una raffinatezza in più, un lusso quasi indispensabile per questi soggetti lussuosi: esso sfiora, sottolinea, arricchisce la trama drammatica, senza mai servirle però da unico stimolo. Nella seconda categoria invece, è il colore che, all'occasione certo, ma indiscutibilmente, conduce il gioco. Questi film ci ossessionano più per la forza di certi dettagli, di certe cose colorate che per il loro clima d'insieme: l'abito blu di Harriet ne IL FIUME, o quello, verde, di “Cuore Solitario” in LA FINESTRA SUL CORTILE. Questo blu, questo verde non servono a puntellare l'espressione; portano un'idea nuova, suscitano in noi con la loro presenza, in un momento determinato, un'emozione «sui generis».“ ~ Eric Rohmer («Arts», marzo 1956)
Con Lillian Gish, Robert Harron, Wilbur Higby, Loyola O'Connor, George Fawcett
consigliato da ERIC ROHMER
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LES ÉTOILES DE MIDI(Marcel Ichac & Jacques Ertaud, 1958, Francia, Documentario) La rappresentazione è una novità assoluta per quegli anni: la ripresa cinematografica di un salvataggio in alta montagna. Siamo nel Bianco e la grande guida Lionel Terray incontra un gruppo di cineasti che, fatta la conoscenza, cambiano i propri programmi e s uniscono all'alpinista famoso per rievocare un episodio realmente accaduto durante la guerra da poco terminata. Scoprono con lui la vera montagna e i suoi mille imprevisti; così effettuano una bella scalata di ghiaccio generosa di emozioni. Al rifugio scatta poi l'allarme per un soccorso. Due cordate riescono ad arrivare a circa 60 metri dagli alpinisti incordati. Grazie all'abilità dei soccorritori e alla ingegnosità di uno degli scalatori bloccati, viene portato a termine un salvataggio che pareva impossibile. Lionel Terray e Michel Vaucher festeggiano l'avvenimento ripetendo la parete Est del Grand Capucin per la via Bonatti e il cielo delle grandi altezze è di un azzurro così profondo che i due audaci possono vedere brillare le stelle: appunto «le stelle di mezzogiorno». Musiche di Maurice Jarre. ~ ( trentofestival.it)
"Penso, come pensava Bazin, che la finzione è sempre stata e sempre sarà la strada maestra del cinema, e che i documentari più belli, come quelli di Flaherty, avevano una parte, se non di storia, almeno di dramma. Se questo film, quindi, sostiene il confronto con gli altri, non è perché dimostra quanto vana è la loro impresa, ma perché li eguaglia – o li batte – sul loro stesso terreno; sdegnoso dell'intrigo, ci dà lo stesso tipo di piacere che procura la storia meglio raccontata, e la lotta che descrive contro la natura, la fatica o il dubbio, è drammatica quanto le vicissitudini di una passione amorosa, l'itinerario di un malfattore pentito o i preparativi di un prigioniero per evadere. (...) Ciò che ci allontana, oggi, da certe opere italiane del dopoguerra non è affatto il loro preteso realismo, ma la loro estrema teatralità. Per essere realisti, non basta volerlo: l'arte non riproduce la realtà, la scopre, un po' come lo scienziato scopre la materia. Per questo il realismo non è il nemico dello stile, bensì il suo migliore aiutante. Come ci insegna la storia del cinema è l'amore della realtà che, poco a poco, ha condotto gli uomini di cinema a creare uno stile proprio, lontano dall'enfasi teatrale e a portare questo stile al livello economico in cui si trova oggi. (...) Quello che mi interessa e mi seduce in LES ÉTOILES DE MIDI, per riprendere una frase di Rossellini, «non è l'immagine, ma l'idea». In questo film in cui il movimento e lo spazio la fanno da padroni, e che ritrova istintivamente alcuni dei segreti dimenticati sin dall'epoca del muto (il pubblico, in pena per la sorte dei protagonisti, si sorprende a ridere a certi passi falsi, come di fronte a quelli di Harold Lloyd o di Buster Keaton), introduce la nozione, modernissima, di continuità e durata. In questa lotta dell'uomo contro la pesantezza, l'ostacolo che ci sembra piu duro da superare non è lo spazio, ma il tempo, e cioè il lungo e meticoloso ripetersi di ogni gesto, in grado di provocare una vertigine più acuta di quella che nasce dal vuoto. È tramite il tempo che percepiamo a poco a poco l'inanità, l'orgoglio e nello stesso tempo la vera gloria dell'impresa, il raro piacere che ci può procurare. È grazie al tempo che entriamo nell'animo di questi uomini, e che la suspense, da fisica che era in partenza diventa psicologica e morale." ~ Eric Rohmer (Cahiers du Cinéma, aprile 1960)
LE RENDEZ-VOUS DE MINUIT (Roger Leenhardt, 1961, Francia) Un critico cinematografico (Michel Auclair) durante una proiezione nota una donna (Lilli Palmer) in lacrime, sola e depressa, che stranamente assomiglia all'eroina del film. Quando la donna esce dal cinema il critico la segue e scopre che si è identificata con il personaggio perché, come la protagonista, anche lei pianifica di suicidarsi. Le scene sullo schermo e i fatti riguardanti la donna si alternano mentre il dramma procede e il critico cerca un modo per fermare la sua ossessione autodistruttiva. – La storia rispetta l'unità di tempo, luogo e azione e invita a contemplare il potere della cinematografia e la sua potenziale influenza sulla vita degli esseri umani. Il film fu fatto quando l'entusiasmo per la Nouvelle Vague era in calo, ma fu uno dei suoi film dalla concezione più elaborata, sia esteticamente che formalmente. Sfortunatamente, per il pubblico, fu solo un altro esempio di un altro film d'autore che mandò in rovina i produttori, e confermò l'idea che l'approccio alla realizzazione dei film dovesse cambiare. ~ (febiofest.cz)
ASSASSINS ET VOLEURS (Sacha Guitry, 1957, Francia) Philippe Dartois, ricco libertino sfaccendato, si appresta a suicidarsi quando uno scassinatore penetra in casa sua. Subito gli viene in mente di farsi uccidere dal malfattore. Ma costui, artigiano coscienzioso ed esclusivamente specializzato nel furto con scasso, si mostra reticente. Si ostina a rifiutare anche quando Dartois gli propone in cambio di diventare il suo erede. Dartois comincia allora a raccontargli la sua storia. Molti anni prima ha assassinato il marito della sua amante e un innocente è stato condannato al posto suo. L'innocente non è altri che lo scassinatore che ha davanti, uscito fresco fresco di prigione. – Sacha Guitry aveva scritto il film pensando di recitarlo insieme a Michel Simon. Malato e costretto su una sedia a rotelle, dovette affidare i due ruoli principali al duo Jean Poiret e Michel Serrault e confidare per la messa in scena in Clément Duhour (non sempre a suo agio in questo esercizio). Ma l'essenziale è nella disinvoltura con cui srotola l'intrigo, vertiginoso imbroglio di tiri mancini, alternanza di flash-back e di sketch malevoli in cui si scontrano l'assurdo e l'orrendo. Si ritrova, come sempre, la sua verve brillante in questa apologia apertamente amorale del furto, dell'assassinio e dell'adulterio. Guitry ha confessato nelle sue memorie di aver immaginato questo efferato turbinio di atti odiosi sotto l'effetto della morfina che gli somministravano. È difficile non vedere delle allusioni al suo arresto arbitrario dopo la Liberazione nella parte che verte sul tema del falso colpevole e nelle scene caricaturali del processo. ~ (telerama.fr + lemonde.fr)
"La messa in scena è molto corretta perché necessità è virtù e non ci sono trentasei modi di girare in fretta delle cose precise. La cura ostinata, l'esitazione, la maniacalità, troppe ripetizioni e troppe riprese di sicurezza uccidono il comico e paralizzano la risata. Un film disinvolto e leggero deve essere realizzato con disinvoltura e leggerezza; è per questo che ASSASSINS ET VOLEURS trionfa dove si sono incagliati quest'anno IL FANTASTICO GILBERT (Carné), LE DIAVOLERIE DI TILL (Philipe), LE AVVENTURE DI ARSENIO LUPIN (Becker), CLUB DI RAGAZZE (Habib), etc. Questo film curioso prova che il successo non riposa per forza su dei malintesi e che un'opera realmente spassosa e insolente senza troppe volgarità, interpretata da dei comici di valore che non sono delle “vedettes” e che si dirigono da soli, girata senza regista, opera economica fino alla fine, raffazzonata fino alla provocazione, è benvenuta all'interno di una produzione impantanata per via di timidezza, codardia, manie di grandezza, snobismo e diffidenza sistematica." ~ François Truffaut (Cahiers du Cinéma, aprile 1957)
THE HORSE THAT CRIED / DOROGOY TSENOY (Mark Donskoy, 1957, URSS) L'anno è il 1830. Solomyi (Vera Donskoy) è stata costretta dalla famiglia ad un matrimonio di convenienza più conveniente per la famiglia che per lei. Così insieme al suo ragazzo, un servo inseguito dalle autorità, decide di scappare nella Bessarabia insieme a diversi altri contadini. Questo è il loro primo errore. Il secondo è di cercare riparo in mezzo a un gruppo di zingari ladri a cui la polizia dà la caccia. Ovviamente la coppia viene colta nel posto sbagliato nel momento sbagliato. – Adattamento di una storia di Mikhailo Kotsyubinsky, scrittore ucraino ucciso durante le purghe staliniste ma riabilitato nel 1955, anticipa il “cinema poetico” ucraino degli anni '60 nel suo focalizzarsi su amanti dal destino avverso e nella celebrazione della natura. ~ (letterbox.com + allmovie.com)
FOMA GORDEEV(Mark Donskoy, 1959, URSS) Foma, giovane figlio di un ricco mercante, non è mai riuscito a trovarsi a suo agio tra quelli della sua classe. Alla morte del padre eredita una gran fortuna ma non è capace di gestirla nella maniera appropriata. Non sopportando di assistere a tutte le ingiustizie del mondo, sviluppa un profondo conflitto con la società, mettendo in dubbio il potere delle classi più abbienti, trasformandosi per disprezzo in un derelitto e infine denunciando i capi locali, con tragici risultati. – Film tratto da un'opera di Gorky, compiutamente insaporito da abiti d'epoca, ambienti sfarzosi e vasti, nebbiosi panorami di una piccola città sul Volga. ~ (letterbox.com + moscowfilmfestival.ru)
LISTA COMPLETA di ROHMER
- Il Generale–Come vinsi la guerra (Keaton & Bruckman) - Ivan il Terribile (Eisenstein) - Pickpocket (Bresson) - La Pyramide humaine (Rouch) - Il fiume rosso (Hawks) - La regola del gioco (Renoir) - Aurora (Murnau) - Amore sulle labbra (Griffith) - La donna che visse due volte (Hitchcock) - Viaggio in Italia (Rossellini) - Le strane licenze del caporale Dupont (Renoir) - Desideri nel sole (Rozier) - Le donne facili (Chabrol) - Les Dernières Vacances (Leenhardt) - Il piacere (Ophuls) - La Proie pour l’Ombre (Astruc) - Una vita alla rovescia (Jessua) - Questa è la mia vita (Godard) - La bionda esplosiva (Tashlin) - Gangster cerca moglie (Tashlin) - Assassins et Voleurs (Guitry) - Un americano tranquillo (Mankiewicz) - Una vita (Astruc) - Les Étoiles de Midi (Ertaud/Ichac) - The Horse That Cried / Dorogoy tsenoy (Donskoy) - Il dominatore di Chicago (N. Ray) - L'educazione sentimentale (Astruc) - Le Rendez-vous de Minuit (Leenhardt) - L'amore a vent'anni (AA.VV.) - Le petit soldat (Godard) - Bande à part (Godard) - Fino all'ultimo respiro (Godard) - Banditi a Orgosolo (De Seta) - Il mondo senza sole (Cousteau) - Per la continuazione del mondo (Brault/Perrault) - Foma Gordeev (Donskoy) - Gardenia blu (Lang) - Grisbì (Becker) - La magnifica preda (Preminger) - Bonjour Tristesse (Preminger) - Exodus (Preminger) - Mogambo (Ford) - Ordet (Dreyer) - La paura (Rossellini) - La contessa scalza (Mankiewicz) - Rapporto confidenziale (Welles) - Dietro lo specchio (N. Ray) - Vittoria amara (N. Ray) - Sogni di donna (Bergman) - Il silenzio (Bergman) - Il settimo sigillo (Bergman) - Donne in attesa (Bergman) - Ugetsu monogatari (Mizoguchi) - Picnic alla francese (Renoir) - Elena e gli uomini (Renoir) - Il testamento del mostro (Renoir) - Il processo di Giovanna d'Arco (Bresson) - Un condannato a morte è fuggito (Bresson) - Nove giorni in un anno (Romm) - L'intendente Sansho (Mizoguchi) - Tirate sul pianista (Truffaut) - Cavalcarono insieme (Ford) - Boccaccio '70 (Visconti) - Gertrud (Dreyer) - Lo sport preferito dall'uomo (Hawks) - Hatari (Hawks) - Gli uomini preferiscono le bionde (Hawks) - Un dollaro d'onore (Hawks) - Marnie (Hitchcock) - Psyco (Hitchcock) - Gli uccelli (Hitchcock) - Il ladro (Hitchcock) - L' altro uomo (Hitchcock) - La finestra sul cortile (Hitchcock) - Caccia al ladro (Hitchcock) - L'uomo che sapeva troppo (Hitchcock) - La Punition (Rouch) - Stromboli (Rossellini) - Il porto delle nebbie (Carnè) - A me la libertà (Clair) - La porta dell'Inferno (Kinugasa) - La notte (Antonioni) - L'avventura (Antonioni) - Nanuk l'eschimese (Flaherty) - Estasi di un delitto (Buñuel) - Perfidia (Bresson)
Fonti: Sight & Sound (1962); Cahiers du Cinema 1954/1965; "Il gusto della bellezza" di Eric Rohmer; "Interviews with Eric Rohmer" by Bert Cardullo; lescahierspositifs.tumblr.com
INTERVISTATORE: "Quali sono i film o i registi che hanno maggiormente influenzato il suo lavoro, nello stile o nel tema?"
ERIC ROHMER: "Prima di tutto i film muti, anche se non so quanto sia diretta questa influenza. La gente dice che ci sono un sacco di chiacchiere nei miei film, che mi esprimo attraverso la parola più che con le immagini, eppure in realtà ho imparato quel che so di cinema guardando i film di Griffith, Stroheim, Murnau, e i comici del muto. Ci sono due autori dopo quel periodo che amo moltissimo, e sono Jean Renoir e Roberto Rossellini; loro sono i filmmaker che più mi hanno influenzato. Per quanto riguarda gli altri, ammiro Hitchcock, ma non credo di essere stato veramente influenzato da lui; se lo sono stato, è stato piuttosto inconscio."
"Credo che il cinema debba temere i suoi stessi luoghi comuni, più di quelli delle altre arti. Oggi io detesto, odio la cinefilia, la cultura cinefila. (...) Ci sono persone che hanno solo una cultura cinematografica, che pensano solo attraverso il cinema, e, quando fanno dei film, fanno dei film in cui ci sono esseri che esistono solo cinematograficamente. Sia che si tratti di reminiscenze di vecchi film, sia che si tratti di mostrare personaggi la cui professione è il cinema. Penso che al mondo ci siano altre cose oltre al cinema e che il cinema, al contrario, si nutra di cose che esistono attorno a lui. Il cinema è anche l'arte che meno può nutrirsi di se stessa. Per altre arti questo è sicuramente meno pericoloso." ~ Eric Rohmer (1983)
"Considero Hawks il cineasta più grande (eccezion fatta per Griffith) che sia mai nato in America. Ben superiore, secondo me, a Ford, generalmente più apprezzato. Quest'ultimo mi annoia (che ci posso fare?), mentre l'altro mi manda in estasi. (...) Credo che a Hawks vada riservato un posto particolare. Altri, e grandissimi (Renoir, Stroheim o Vigo) hanno brillato per doti esattamente contrarie: la ripulsa delle forme conosciute, un'intransigenza rude. Altri ancora, per una volontà di astrazione, di sistematicità, tutte cose cui l'autore di SCARFACE nemmeno fa caso. Dobbiamo volergliene per questo? Ammetto che il suo posto non sia proprio il primo, perché è giusto attribuire valore al rischio e all'ambizione. Ma si può rimproverare a un cineasta di non essere altro che cineasta, di non cercare di forzare i limiti della propria arte, anzi di mantenersi sempre al di qua di questi limiti, e di portare a livelli di perfezione classica generi popolari come il western, il poliziesco, la commedia musicale? (...) Penso che non si possa amare profondamente nessun film se non si amano profondamente quelli di Hawks." ~ Eric Rohmer
"Griffith, [Victor] Sjöström, gli espressionisti tedeschi, Chaplin, [Abel] Gance, e Eisenstein hanno, ognuno a proprio modo, creato linguaggi che si sono dimostrati quasi altrettanto espressivi, ricchi e duttili quanto il linguaggio parlato." ~ Eric Rohmer
"Ero professore in un liceo parigino e presentavo i film al cineclub del Quartiere Latino, là ho conosciuto Rivette. Rivette ha scritto sul bollettino del cineclub un articolo notevole sul cinema di montaggio. Abbiamo trasformato questo bollettino, con la collaborazione di Francis Bouchet, che oggi è un regista televisivo, in «Gazette du Cinéma», pubblicando articoli di Rivette e articoli di Godard firmati, questi ultimi, Hans Lucas. Truffaut non ha collaborato alla Gazette, l'ho conosciuto al Festival del Film Maledetto di «Objectif 49».Questo cineclub era considerato molto dilettantesco. I «Cahiers» derivano da un altro cineclub, formato da professionisti della critica, ex collaboratori della «Revue du cinéma»: Doniol, Bazin, Kast, Astruc, Dabat, etc. Ne erano padrini Jean Cocteau, René Clément, Robert Bresson. Era stato fondato alla fine del 1948, e si chiamava «Objectif 49». ~ Eric Rohmer
Su LA MIA NOTTE CON MAUDE: "Quel che conserva il vostro interesse in questo film è il fatto che i miei personaggi hanno un discorso da sviluppare, mentre nella maggior parte dei film, questo è assente. Nota che, in generale, ho sempre avuto dubbi riguardo ai film discorsivi. Ma spesso si è attratti dalle cose che sembrano meno attraenti e più pericolose. La mia idea era precisamente di integrare un discorso nel film e di evitare che il film fosse al servizio del discorso, al servizio della tesi. Ma lungo tutta la storia, a partire dai Greci, il discorso è stato molto importante nel teatro. Il teatro Greco era composto da massime, riflessioni morali, il che non gli impedivano di essere vero teatro." ~ Eric Rohmer
Su ORDET di Dreyer: "Un'arte così meditata sembra essere la più inadatta a perorare la causa del soprannaturale: non dirò che Dreyer contempla i suoi personaggi con l'occhio del clinico, ma il suo sguardo è troppo oggettivo per essere proprio quello dell'uomo, troppo volontariamente sfumato per confondersi con quello del creatore. Nessun invito a penetrare nelle coscienze, nessun appello al sentimento: noi vediamo, noi ascoltiamo, e il partito preso di continuità adottato in questo film non manca di corroborare questa impressione. Ma il mistero è forse più grande, per questo non ci viene offerta alcuna porta per penetrarvi: non afferriamo che l'apparenza, ben sapendo che non è altro che apparenza. Proprio come delle cortine che non lasciano penetrare in questa dimora che una luce chiara, ma diffusa, allo stesso modo la luce dello spirito divino non ci brucerà mai a fuoco pieno: ci vorrà il suo intervento nel mondo materiale, e il più straordinario, il miracolo per convincerci, ancora indirettamente, della sua presenza. Siamo lontani da quel costante appello a Dio che tutte le cose viventi o inerti, sia per la loro stessa finitezza, sia per la loro bellezza, sembrano lanciare, per esempio, nei film di Rossellini. Bisogna assimilare la distanza che separa l'universo dell'uno da quello dell'altro alla distanza che potremmo mettere tra il protestantesimo luterano e il cattolicesimo? Questo mi porterebbe troppo lontano dal mio proposito: dirò semplicemente che, in Dreyer, la natura di cui ci svela così avaramente gli aspetti, è sempre muta: tutt'al più si degna di rivolgerci un pallido e freddo sorriso e di dispensare ancora (come nei racconti di Andersen o nei romanzi di Jacobsen) più angoscia che conforto." ~ Eric Rohmer
"Non amo i campi lunghi, perché mi piace posizionare i personaggi in una scenografia dove possano essere identificati, e al tempo stesso mi piace che vengano identificati con gli sfondi. Quindi se li metto in un campo lungo non vedrete le persone, e se faccio una ripresa ravvicinata non vedrete la scenografia. Invece del campo lungo userei piuttosto una panoramica, che può descrivere l'ambiente al pubblico come farebbe un campo lungo. Faccio muovere la cinepresa per mostrare dove vanno i personaggi senza cambiare inquadratura. La cinepresa non si muove da sola. Credo che i miei personaggi siano legati all'ambientazione e che l'ambientazione abbia un effetto su di loro." ~ Eric Rohmer
"Non so se sono tanto nel solco della tradizione francese. Sono forse altrettanto in quello della tradizione inglese. I romanzi inglesi o Shakespeare mi sembrano più vicini allo spirito del comico, del ridicolo, dell'umoristico (non so come si può chiamare questo aspetto che si può trovare nei miei dialoghi) che non i francesi. C'è un autore che amo molto: è Courteline e penso che debba esserci talvolta anche qualcosa di courtelinesco in alcuni miei film. Non so se sono tanto francese, in ogni caso ho ricevuto molte influenze straniere, influenze della cultura antica, tedesca, inglese, e mi domando se gli stranieri non amino i miei film perché ci ritrovano ciò ma si immaginano che sia francese mentre può darsi che non sia poi così francese. Per me, come per i cineasti della Nouvelle Vague, le influenze passano meno attraverso la letteratura che attraverso la filosofia e la musica. Penso che, quanto a filosofia, eravamo tutti della stessa scuola, cioè della scuola idealista, diciamo, se volete, idealista trascendentale, cioè della posterità kantiana, passando attraverso Hegel e gli altri, e può anche darsi attraverso Marx, anche se non eravamo marxisti, oppure la scuola degli empiristi inglesi. Beninteso, affermavamo, penso, il primato dell'idea, non fosse altro che per la stessa nostra politica degli autori. Avevamo l'idea dell'autore e l'autore era più importante dell'opera specifica, cosa che i nostri avversari negavano." ~ Eric Rohmer
Con Moira Shearer, Robert Rousenville, Robert Helpmann, Léonide Massine, Ludmilla Tchérina
In streaming su Plex
consigliato da GEORGE A. ROMERO
"È il mio film preferito di tutti i tempi. Qualcuno potrà essere sorpreso da questa scelta, ma è il film che mi ha fatto venir voglia di fare film. È per via degli elementi fantastici che contiene, la regia...ed ha un paio di cose spaventose e bizzarre. La prima volta che l'ho visto avevo circa 12 anni, e mi ha spazzato via. Ero un ragazzino che amava i fumetti e la televisione...Robert Helpmann (attore ne I RACCONTI DI HOFFMAN) era stato il miglior Dracula che avessi mai visto. Il film si collegava a tutta la cultura pop con cui ero cresciuto, ma al tempo stesso ne uscii con qualcosa di più – l'idea di prendere un film, di prendere delle immagini, e di abbinarle alla musica. Qui siamo molto lontani da FANTASIA, questo è un film con attori in carne ed ossa, un video musicale. Ed è questo che mi è piaciuto allora – narrazione attraverso pure immagini. (...) È proprio meraviglioso – se pensate che è il 1951 e in realtà non è costato molto, hanno usato un sacco di trucchetti, molte tendine, trasparenti – trucchi teatrali vecchio stampo. Il resto è pura immaginazione... (...) A quel tempo non c'erano le videocassette e se volevi vedere un film a casa dovevi noleggiare un proiettore e una copia del film in 16 mm. C'era questo posto, “Janice”, dove andavo a noleggiare I RACCONTI DI HOFFMAN, ne avevano una copia sola e quando era fuori io sapevo chi ce l'aveva, ed era Martin Scorsese! Ci siamo pure incontrati, anche se non avevo idea di chi fosse. Eravamo come due navi che s'incrociano nella notte, credo fossimo gli unici due a noleggiarlo. Lui era di Brooklyn e io del Bronx. Lui dice che lo ha influenzato*, e di sicuro ha influenzato me. Nel film si può vedere molto chiaramente come sono state fatte le cose...hanno usato trasparenze, doppie esposizioni, slow motion, azioni mandate al contrario...alcuni dei fondali erano dipinti...mi dette un'idea del «processo» del fare cinema e, all'improvviso, tutta la cosa mi sembrò molto accessibile. Una volta ho avuto il privilegio di trascorrere un pomeriggio con Michael Powell, durante il quale l'ho ringraziato per i suoi doni, specialmente per I RACCONTI DI HOFFMAN. Mi disse che era un film che non aveva visto nessuno. Non c'è alcuna fantasia che abbia eguagliato la bellezza, l'anima o la forza di persuasione de I RACCONTI DI HOFFMAN. Ho letto, e sono d'accordo, che la sua stilizzazione diventa una costante metafora del potere che ha l'immaginazione di trasformare attraverso l'arte." ~ George Romero
* (Secondo Thelma Schoonmaker, montatrice di Scorsese e vedova di Michael Powell, Scorsese ha continuato a guardare I RACCONTI DI HOFFMAN durante tutte le riprese di TORO SCATENATO per studiarne l'uso del movimento)
Con Yul Brynner, Maria Schell, Claire Bloom, Lee J. Cobb, Richard Basehart, William Shatner
consigliato da GEORGE A. ROMERO
"Nessuno sarà d'accordo con me su questo film. È stucchevole, è Hollywood. Ma c'è “The Yul” (Brinner - ndt). C'è Lee J. Cobb, Richard Baseheart, Albert Salmi. C'è la sensuale Claire Bloom. C'è addirittura il Capitano Kirk! E Maria Schell. Wow! Fa una danza in una taverna, completamente vestita, che potrebbe anche essere il ballo più sexy mai registrato. Che posso dirvi? La musica mi fa piangere. E lo stesso fa David Opatoshu." ~ George Romero
INTERVISTATORE: "Qual'è il suo film horror preferito?"
GEORGE ROMERO: "LA COSA DA UN ALTRO MONDO è stato il primo film che mi abbia veramente spaventato. Avevo 12 anni quando l'ho visto, un'età molto vulnerabile. Mi ha messo a tappeto. Howard Hawks era un genio. Ha usato dialoghi veloci che si sovrappongono, rapidità di colpi. E la chiave del film sono le porte. Ogni volta che si apre una porta, appare La Cosa o succede qualcosa di scioccante. La cadenza è come quella di un attacco. Per me, questo è stato il primo film che ha posto seriamente la domanda «E se la scienza non fosse la risposta? E se gli alieni fossero davvero ostili?» Stephen Hawking crede che lo siano. (... ) Quando sono stato abbastanza grande da andare al cinema da solo, sono andato a vedere Frankenstein e Dracula sul grande schermo. Me ne sono semplicemente innamorato. Ho sempre amato il genere ed ho sempre voluto lavorare nell'horror. Molti dei miei amici sono persone che fanno horror: Wes Craven, John Carpenter, Stephen King."
Con Arnold Johnson, Stan Gottlieb, Allen Garfield, Archie Russell, Ramon Gordon
In streaming su Plex
consigliato da GEORGE A. ROMERO
INTERVISTATORE: "Chi ti piace nel cinema d'oggi? (intervista del 1969)"
GEORGE ROMERO: "In particolare i film che mi hanno più eccitato lo scorso anno sono stati EASY RIDER e AMERICA, AMERICA DOVE VAI? e poi ho perso la testa per PUTNEY SWOPE."
LISTA COMPLETA di ROMERO
- Karamazov (Brooks)
- Casablanca (Curtiz)
- Il dottor Stranamore... (Kubrick)
- Mezzogiorno di fuoco (Zinnemann)
- Le miniere di Re Salomone (Bennett)
- Intrigo internazionale (Hitchcock)
- Un uomo tranquillo (Ford)
- Repulsion (Polanski)
- L'infernale Quinlan (Welles)
- I racconti di Hoffmann (Powell & Pressburger)
- Fronte del porto (Kazan)
- La cosa da un altro mondo (Nyby & Hawks)
- Otello (Welles)
- Frankenstein (Whale)
- Il Labirinto del fauno (Del Toro)
- Suspense (Clayton)
- L'esorcista (Friedkin)
- Putney Swope (Downey Sr.)
- Easy Rider (Hopper)
- America, America dove vai? (Wexler)
Fonti: Sight & Sound (2002); Rotten Tomatoes; rogerebert.com; vanityfair.com; avclub.com; time.com; powell-pressburger.org; "George A. Romero: interviews" di Tony Williams; waybacktimes.com; indiewire.com
INTERVISTATORE: "C'è uno sbaglio nella sua carriera che vorrebbe poter cancellare?"
GEORGE ROMERO: "Immagino che sia aver rifiutato SCREAM. Ma lo stavano rifiutando tutti. Sono contento che abbia finito per farlo Wes (Craven). Ha rinvigorito la sua carriera."
Su SUSPENSE di Clayton: "Ero già abbastanza grande quand'ho visto questo, tanto che non avrebbe dovuto spaventarmi come invece ha fatto. Ero al college. Ci sono scene talmente memorabili che una volta viste non le dimentichi più, come il fantasma nel lago, e Deborah Kerr in classe. È un film del terrore fatto in maniera incredibile." ~ George Romero
Su REPULSION di Polanski: "Qui siamo in quella che è ritenuta la mia “zona” – i film horror. Molti non metterebbero REPULSION in questa categoria, ma io ce lo metto. LO SQUALO è un film horror? È horror IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI? Sì, lo sono. Ed hanno elevato il genere. Ma ehi, qui stiamo parlando di Roman! Se volete qualcosa di spaventoso, prendetelo da un tipo spaventoso. Andate a vedere REPULSION." ~ George Romero
"Non mi piacciono i nuovi trend dell'horror. Tutta questa roba di tortura mi sembra che abbia uno spirito meschino. La gente ha dimenticato come si ride, e non vedo nessuno che usi l'horror come allegoria. Gli horror che facevo io erano satirici in qualche modo o politici e credo davvero che questo sia il fine dell'horror. Non lo vedo succedere molto spesso. (...) Uno che mi piace in questo momento è Guillermo del Toro. Mi piacerebbe fare un film come IL LABIRINTO DEL FAUNO." ~ George Romero
"Quando ho cominciato a fare film non sapevo quel che stavo facendo e così semplicemente copiavo tecniche e illuminazione – principalmente da Orson Welles. Se guardate l'illuminazione di alcuni miei film con una benda leggera sugli occhi potete trovarci nascosto Welles. Quindi direi che Welles è quello a cui ho rubato di più." ~ George Romero
"Sono ancora incazzato con John Landis per THRILLER. Credo che abbia fatto un magnifico lavoro. È un gran divertimento. Ma perché diavolo hanno chiamato John e non me? Ridicolo!" ~ George Romero
"In entrambi i casi l'aspetto del film è stata una decisione conscia. Quando abbiamo fatto LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI ero un regista di pubblicità televisive. Alcune delle quali costavano molto più del nostro film. Erano molto patinate, sofisticate...per il film volevamo il look opposto. Volevamo che sembrasse un cinegiornale. Per ZOMBI, invece, volevo il tocco patinato, volevo tirare fuori la natura del centro commerciale, le vetrine dei negozi, i manichini. Ci sono volte in cui pensi che forse i manichini sono più attraenti ma meno reali – meno empatici anche – degli zombi. Metti quel genere di immagini una accanto all'altra, e sollevi ogni sorta d'interrogativo." ~ George Romero
"Ho fatto il primo film (LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI), poi all'improvviso la gente ha cominciato a scriverne come se fosse un fondamentale film americano. E un mucchio di cose del film sono state accidentali. Abbiamo scritturato un attore afroamericano perché era il miglior attore tra i nostri amici. E quando abbiamo finito il film, letteralmente mentre lo portavamo a New York nel bagagliaio della macchina, quella fu la notte in cui Martin Luther King fu assassinato. Così il film divenne un riflesso dei tempi. C'è già una certa rabbia nel film, ma gran parte dei motivi per cui viene applaudito dipendono dal fatto che Wayne è nero. Nella sceneggiatura la sua razza non è mai menzionata. Nella mia testa, quand'ho scritto quella scena iniziale, era un ragazzo bianco. E la polizia gli avrebbe sparato anche se era bianco. Ma siccome è capitato che fosse afroamericano, questo l'ha reso molto più forte, in particolare dopo l'assassinio. Non dovremmo prenderci tutto il merito per questo. Molto è dovuto al caso. Ma anche se ho sempre avuto l'impressione che forse ci vedessero un po' troppe cose, sono anche stato influenzato da quel che veniva detto. Quando è arrivato il tempo di fare il secondo film, ho fatto resistenza, non avevo un'idea, non mi veniva in mente niente. Poi ho conosciuto delle persone che avevano sviluppato un centro commerciale a Pittsburgh, e mi sono detto: «Oh, ci sono un sacco di cose su cui sparare a zero, in questo tempio del consumismo.» Sentivo che il film doveva essere all'altezza di queste enormi aspettative. Come ad esempio dover usare un attore nero. Molte decisioni prese inizialmente derivavano fondamentalmente da quel mio pensiero «devo essere all'altezza delle attese». È stato solo a metà della produzione che ho realizzato che dovevo prendere decisioni ad istinto come avevo fatto la prima volta. Una delle cose che mi ha sempre dato da pensare dei film horror è che l'unica ragione per farli è quella di sconvolgere la situazione, e sembra che tutti ristabiliscano l'ordine deliberatamente. Sparano al ragno gigante ed è tutto finito. A metà di quel film ho capito che non dovevo ristabilire l'ordine solo per far sopravvivere un paio di persone. E inoltre ho capito che dovevo seguire la corrente. Così ci ho buttato dentro un bel po' di umorismo in più e mi sono un po' divertito. Quando ho iniziato ZOMBI i miei motivi non erano innocenti, perché non pensavo mai di poter raggiungere quel genere di innocenza intuitiva del primo film, quando semplicemente mi dicevo «Vabbè, tanto non me ne frega proprio un cazzo se nessuno andrà a vedere questo film.» Quello stato non l'ho più ritrovato. Ma ho capito mentre facevo ZOMBI che ho questa specie di piattaforma, dove se ho voglia di dire qualcosa su quel che succede nel mondo, posso richiamare gli zombi e farlo di nuovo. Si può essere molto più astratti e allusivi con l'horror, ed è molto assolutorio per l'autore. Non devi prendere una posizione assolutamente positiva." ~ George Romero
Con Felissa Rose, Jonathan Tiersten, Karen Fields, Christopher Collet, Mike Kellin
consigliato da ELI ROTH
"Aah, SLEEPAWAY CAMP... Ricordo di aver visto questo film ad uno “sleepover” con Lenny Mead e un gruppo di amici a metà anni '80, e quando il film è finito siamo letteralmente schizzati in piedi urlando a pieni polmoni finché abbiamo avuto fiato. Non dirò perché – e non andate a vedere gli spoilers su internet perché vi toglierà tutto il divertimento. Fatevi il regalo di una meravigliosa sorpresa. Il film del regista Robert Hiltzik è tutto tranne che prevedibile. È uno “slasher” low-budget dei primi anni '80 ambientato in un campo estivo. Le morti sono divertenti, ma la fine è semplicemente imbattibile. Andate a noleggiarlo e guardate i vostri amici andare fuori di testa. Questo sarà il film di cui parlerete per settimane." ~ Eli Roth
"Questo è stato fatto prima di NON APRITE QUELLA PORTA. C'è tutto un filone di “giallo films” (in italiano nel testo originale - ndt) che non sono film di Dario Argento – tutti hanno visto i gialli di Dario Argento – e che sono B-movies meno conosciuti, spesso trascurati dai fans. Ma sono film fantastici e I CORPI PRESENTANO TRACCE DI VIOLENZA CARNALE ne è un ottimo esempio. (...) Sergio Martino ha girato anche MORTE SOSPETTA DI UNA MINORENNE e anche LO STRANO VIZIO DELLA SIGNORA WARDH, ma in realtà il suo capolavoro è I CORPI PRESENTANO TRACCE DI VIOLENZA CARNALE. (...) Tra gli attori c'è Luc Merenda, che intepreta l'ispettore di polizia all'inizio di HOSTEL 2. Luc ha interrotto un pensionamento durato 15 anni – ora commercia in antiquariato a Parigi – per venire a fare questa parte per me. Ha recitato in molti di questi “giallo films” ed è un attore superbo. (...) Come dice Quentin i primi 45 minuti / 1 ora del film quasi ti sfidano a continuare a guardarlo. È veramente incomprensibile ma in realtà è un film stupefacente e penso che sia un capolavoro. I primi 10 minuti sono confusi ma gli ultimi 30 si svolgono in una casa e una volta che arrivano in questa casa è incredibile, diventa uno dei migliori esempi di questo genere che abbia visto. Improvvisamente si innalza al livello di Hitchcock in termini di regia. È così fottutamente terrificante e teso. È un film veramente sottovalutato e sono così pochi quelli che lo hanno visto. (...) È probabilmente tra tutti il giallo più connotato sessualmente. Inizia subito durante i titoli di testa con una scena lesbo, e lungo tutto il film c'è un'incredibile sottotrama lesbo. Ci sono tonnellate di nudo, orge hyppy e roba così e le ragazze sono davvero sexy." ~ Eli Roth
"Il regista Narciso Ibanez Serrador è un po' come l'Hitchcock spagnolo. Il film è simile a THE WICKER MAN per il fatto che qualcuno va su un'isola dove c'è qualcosa di strano. Ma è un grande film del genere “bambini-assassini”, una di quelle cose in cui dei ragazzini perdono il controllo e li devi uccidere, e come fai a uccidere un mucchio di bambini? Quest'idea è fottutamente grande. Ho sempre sognato di fare un film di bambini-assassini e in realtà avevo anche una traccia, poi ho visto questo, e la mia idea si è rivelata spaventosamente simile a MA COME SI PUÒ UCCIDERE UN BAMBINO? (...) In realtà si basa su un libro. È una sorta di film a combustione lenta. Come WICKER MAN, è lento e cresce, cresce continuamente. Ma se resistete è incredibilmente teso. È fantastico." ~ Eli Roth
"Negli ultimi anni questo è diventato il film horror più preso in giro per molte, molte ragioni, tutte documentate nell'eccellente documentario BEST WORST MOVIE. Il regista, l'inimitabile “maestro“ (in italiano nel testo originale - ndt) italiano Claudio Fragasso, aveva uno script che non c'entrava nulla coi trolls, ma poteva trovare i finanziamenti se cambiava il titolo in TROLL 2. Fragasso lasciò che i finanziatori cambiassero il titolo ma si rifiutò di cambiare qualsiasi altra cosa, e come risultato ci sono molti goblin, ma non un singolo troll in tutto il film. Vi ci vorranno ore per arrivare in fondo a questa gemma perché continuerete a tornare indietro e riascoltare le battute ancora e ancora. TROLL 2 è uno dei rari sequels per cui non devi perdere tempo a guardare il primo, dal momento che i due film non hanno assolutamente nulla a che fare l'uno con l'altro. Ha davvero un seguito solido da film di culto, ed è stato recentemente riproposto in Blu Ray perché possiate godervelo in tutta la sua gloria altamente definita." ~ Eli Roth
Con Flavio Bucci, Macha Meril, Enrico Maria Salerno, Franco Fabrizi, Gianfranco De Grassi
In streaming su CineAutore Amazon Channel
consigliato da ELI ROTH
"Aldo Lado ha fatto anche LA CORTA NOTTE DELLE BAMBOLE DI VETRO. È un regista eccezionale. Questo film è copiato da L'ULTIMA CASA A SINISTRA, solo che è ambientato su un treno. Ed è davvero fottutamente terrificante. Ha il problema che a volte si vede che le carrozze del treno sono su un set cinematografico, ma è davvero molto spaventoso. Ci sono dei ragazzi italiani dall'aria sinistra e uno di loro fischietta un tema che è stato scritto da Morricone e che fa davvero venire i brividi. La parte delle ragazze sul treno in HOSTEL 2 è stata influenzata moltissimo da L'ULTIMO TRENO DELLA NOTTE." ~ Eli Roth
Con Tomas Milian, Adrienne La Russa, Georges Wilson, Mavie, Antonio Casagrande
consigliato da ELI ROTH
"Lucio Fulci è un regista enormemente sottovalutato. Tutti lo conoscono come il Padrino del Gore. Realizzò questi tre fantastici film in fila. Uno s'intitola UNA SULL'ALTRA. È un giallo molto buono. Poi fece UNA LUCERTOLA CON LA PELLE DI DONNA. Un film veramente fantastico. Ha delle magnifiche immagini oniriche del genere trip psichico. Ma tra i due diresse un dramma intitolato BEATRICE CENCI, basato sulla storia vera di questa donna del sedicesimo secolo il cui padre era un ricco proprietario terriero che la chiuse nella segreta di un sotterraneo. Lui la violentava, la famiglia ordì un complotto e lo uccise, e finirono tutti giustiziati. Ci fu un'enorme protesta pubblica a riguardo. BEATRICE CENCI è un film straordinario. Se uscisse oggi vincerebbe l'Oscar come miglior film. È così ben fatto, così contemporaneo, e la regia è così acuta. Non è mai arrivato negli USA. È il miglior film che Lucio Fulci abbia mai fatto. È fottutamente bello. Comincia e subito ci sei dentro; non dà per niente l'impressione di un film storico." ~ Eli Roth
"Il singolo film che più ha influenzato HOSTEL 2 è stato AVERE VENT’ANNI di Fernando Di Leo. Fernando Di Leo è un grande, ha fatto un mucchio di film fantastici. Questo film, interpretato da Gloria Guida e Lilli Carati, è più o meno sui differenti atteggiamenti generazionali verso il sesso. La giovane generazione che prende il sesso con leggerezza e la generazione più vecchia che vuole punirli. Queste ragazze vanno in giro per Roma scopando con con uomini e donne, e il loro motto è «Siamo giovani, belle e incazzate». Non si preoccupano di nulla, proprio non gliene frega un cazzo, e funziona un po' come una commedia sexy leggera, cosa per cui Gloria Guida è celebre in Italia. Ma poi stuzzicano i ragazzi sbagliati. (ATTENZIONE SPOILER!!) Alla fine vanno in questo ristorante e ci sono 'sti tipi fottutamente spaventosi. Le ragazze li provocano e li prendono per il culo e questi ragazzi le seguono nel bosco, e la fine è la più scioccante, impressionante fine che abbia mai visto in un film. È molto dura da guardare e davvero sconvolgente, e poi semplicemente finisce e scorrono i titoli di coda. Quando questo film è uscito ci sono state proteste e clamore, così hanno ritirato ogni singola copia dai cinema e le hanno distrutte o rimontate. L'hanno rifatto uscire con il finale cambiato, facendolo finire come un'allegra e divertente commedia sexy. Quindi un'edizione recente ha restaurato la versione di Di Leo e lui è stato attaccato duramente per questo. Dalla critica Di Leo non ha mai avuto ciò che meritava e ora non c'è più, ma questo film è un cazzo di capolavoro." ~ Eli Roth
"Umberto Lenzi è il regista di questo film, che è una specie di PLANET TERROR misto a 28 GIORNI DOPO. È fondamentalmente un film di zombi; c'è un aereo che atterra e ne esce tutta 'sta gente infetta. È grandioso. E ha 'sta cosa che ogni volta che gli infetti uccidono una ragazza prima le strappano via la camicetta. C'è una scena in un ospedale dove gli infetti vengono portati per essere curati – come in PLANET TERROR – in cui attaccano una ragazza e le strappano la camicia e poi le strappano via le tette. È incredibile. Penseresti che possa accadere forse una volta sola, ma Umberto Lenzi continua a farlo ancora e ancora. È piuttosto divertente. C'è anche un'intera scena ambientata in uno studio televisivo dove si sta svolgendo una lezione di aerobica, e tutti gli zombi infetti irrompono e cominciano a squarciare e infettare la classe di aerobica. INCUBO SULLA CITTÀ CONTAMINATA è fantastico." ~ Eli Roth
+ Non presente nel database di FilmTV.it :
PIECES(Juan Piquer Simon, 1982, Spagna/Portorico/Italia) Film che inizialmente acquistò notorietà per il suo slogan promozionale appropriatamente non troppo sottile: «Non occorre andare in Texas per un massacro con la motosega!» In questo caso bisogna andare nel campus di un college a Boston (che in realtà è Madrid), dove un maniaco si apre la strada tra una serie di universitari con l'attrezzo elettrico più amato dell'horror. Il suo intento è quello di comporre un puzzle di parti umane che replichi un altro puzzle, quello di una donna nuda che sua madre lo sorprese ad assemblare quando era bambino. In quell'occasione fece a pezzi la madre con un'ascia, come si vede in un prologo che fa uguale violenza all'accuratezza storica con un telefono a tasti e un sacco di plastica per rifiuti. Quarant'anni più tardi, quando nel campus viene trovata smembrata una ragazza, il playboy Kendall raggiunge tra i principali sospettati un professore impacciato e un minaccioso giardiniere. Il tenente di polizia Bracken decide allora di infiltrare nel college l'agente Mary Riggs in qualità di insegnante di tennis. ~ (fangoria.com + avclub.com)
"Guardare questo film con un pubblico è l'esperienza più divertente che abbia mai fatto da spettatore. L'ho mostrato ad un cinema stracolmo in un festival che ho curato qualche anno fa, e la gente si è divertita così tanto che dopo erano seriamente depressi perché non si sarebbero più divertiti allo stesso modo al cinema. Nel poster di questo film potevi vedere una sega elettrica, una ragazza morta piena di suture, e una frase che recita: «È esattamente quello che pensate». Alcuni film non rispondono esattamente alle aspettative. Juan Piquer Simon lo fa. Ma PIECES è anche uno dei più pazzi, più sorprendenti e fuori di testa slashers film mai fatti. Pensi di aver capito tutto ed è proprio lì che il film ti prende alla sprovvista. Ci sono moltissime scene classiche, come la famigerata partita di tennis, che hanno alcune tra le migliori comparse della storia del cinema. PIECES è davvero il mio slasher preferito di tutti i tempi, ed è l'unico film che riesce sempre a divertire completamente il pubblico dall'inizio alla fine. Ha anche un fantastico finale senza senso che può rivaleggiare con SLEEPAWAY CAMP. È stato fatto in Spagna e, fatta eccezione per Paul L. Smith, presenta soprattutto attori spagnoli con un pessimo doppiaggio veramente grandioso. Ha esempi di recitazione incredibilmente scadenti e fantastici ammazzamenti. Comincia subito con un flashback di un bambino che ammazza i suoi genitori. Sulla mia pagina MySpace qualcuno ha messo la clip con le migliori uccisioni di PIECES rimontate. Potete vedere tutto il film in cinque minuti." ~ Eli Roth
LISTA COMPLETA di E. ROTH
- Sleepaway Camp (Hiltzik)
- Ma come si può uccidere un bambino? (Ibanez Serrador)
- Zombi 2 (Fulci)
- Ichi the Killer (Miike)
- Audition (Miike)
- Pieces (Piquer Simon)
- La Cosa (Carpenter)
- The Wicker man (Hardy)
- Alien (R. Scott)
- La Casa (Raimi)
- Cannibal Holocaust (Deodato)
- Non aprite quella porta (Hooper)
- Shining (Kubrick)
- L'esorcista (Friedkin)
- Troll 2 (Fragasso)
- Il mistero della donna scomparsa (Sluizer)
- Creepshow (Romero)
- Eraserhead (Lynch)
- Suspiria (Argento)
- Toby Dammit (Fellini)
- I corpi presentano tracce di violenza carnale (Martino)
"Ho visto ALIEN a otto anni. Per me era come una combinazione di LO SQUALO e GUERRE STELLARI ed è il film che mi ha ha fatto desiderare di fare il regista. Mi ha traumatizzato. Ho vomitato tanto ero nervoso dopo averlo visto, ma è come il complimento più grande che si possa fare a un film horror. Poi, a 12 anni ho visto LA CASA e anche quello mi ha traumatizzato, ma mi ha anche fatto scoprire che l'aveva diretto un ragazzo di 21 anni, e che puoi andare nel bosco con i tuoi amici e per non molti soldi girare un classico." ~ Eli Roth
"Il mio film preferito di sempre? Cambia spesso, ma le pellicole su cui torno più spesso sono YELLOW SUBMARINE, SHINING, GUERRE STELLARI e MONTY PYTHON E IL SACRO GRAAL ." ~ Eli Roth
Su VELLUTO BLU di Lynch: "VELLUTO BLU l'ho visto quando avevo 14 anni. Mio padre era tornato dal cinema con mia madre, e mi ha detto: «Eli, questo è un film importante da vedere se vuoi diventare un regista». Siamo andati la sera dopo e sono rimasto affascinato. Non sono mai stato trascinato così tanto da un film senza tempo. Gli orologi erano degli anni '50, ma con un'ambulanza degli anni '60, e la musica di un'altra era, nonostante fosse ambientato in un mondo oscuro e moderno. È un capolavoro." ~ Eli Roth
Su MR. VENDETTA di Park Chan-wook: "Ho visto MR. VENDETTA nel 2002, e mi è piaciuto così tanto che ne ho passato una copia a Quentin Tarantino prima che lui partisse per Cannes, perché volevo che fosse preparato per OLD BOY. OLD BOY è un film incredibilmente complesso, bello e orrorifico che ti tiene nauseato e teso fino ai fotogrammi finali. È un racconto di vendetta oscuro, impazzito e malato, con una delle migliori scene di combattimento con un martello di sempre. Park ha una grande influenza su di me, ed è stato una delle mie grandi ispirazioni per Hostel." ~ Eli Roth
Su THE WICKER MAN: "THE WICKER MAN è davvero un film bizzarro. A dire il vero è un musical horror, ed è una di quelle cose che ti fanno chiedere, «Ma che crack si erano fatti quando l'hanno girato?» Ma è brillante. Il primo HOSTEL è stato molto ispirato da THE WICKER MAN – il villaggio, e lo straniero che viene da fuori, e il fatto che sono tutti drogati... Rimane probabilmente il più grande film horror britannico di tutti i tempi." ~ Eli Roth
Su TOBY DAMMIT di Fellini: "TOBY DAMMIT ha la migliore performance di un singolo attore che io abbia mai visto; è quella di Terence Stamp. È allo stesso livello di Malcolm McDowell in ARANCIA MECCANICA o di Jack Nicholson in SHINING. È girato come un trip acido surreale dal vivo. Doveva farlo Peter O'Toole, ma si tirò indietro, così Fellini fece un casting per i più decadenti attori a Londra e trovò Terence Stamp. L'ho mostrato a un mucchio di persone che hanno detto, dalla prima inquadratura, che era il film più fico che avessero mai visto. Gente a cui non è mai piaciuto Fellini, o che trovavano i suoi film noiosi o pretenziosi, mi hanno dato ragione e l'hanno trovato incredibile. È l'immaginazione di Fellini nella sua versione più selvaggia. E il finale è veramente terrificante. Ha un lato molto, molto ossessivo. Ho sempre amato Fellini, ma non sono mai stato un fanatico. E quando ho visto questo ho detto, «Questo è senza dubbio il miglior corto horror che abbia mai visto.» È un fottuto capolavoro e nessuno l'ha visto!" ~ Eli Roth
Su AUDITION di Miike: "AUDITION è un horror a combustione lenta che cresce e cresce lentamente e le cose diventano sempre più spaventose, ma gli ultimi 10 minuti sono i 10 minuti più tesi della vostra vita. È molto realistico e inflessibilmente brutale e terrificante, ma è realizzato in maniera brillante. È un film sulla perfezione e su gente ossessionata dalla perfezione. E la fotografia e le recitazione sono perfette. AUDITION è il film che mi ha dato la voglia di fare HOSTEL, l'ho visto e ho pensato, «Questo è il punto a cui è arrivato l'horror. È questo che voglio fare.» " ~ Eli Roth
Su ZOMBI 2 di Fulci: "ZOMBI 2 è cresciuto nel tempo fino a diventare uno dei film di zombi più amati, ha scene splatter così spettacolari e terrificanti che ancora sono una spanna sopra ogni film di zombi fatto da allora. Lucio Fulci è uno dei miei registi preferiti di tutti i tempi, e quando devo filmare una scena particolarmente splatter faccio chiudere gli occhi a tutti per provare a evocarlo come ispirazione." ~ Eli Roth
Con Toshiro Mifune, Eijiri Tono, Kamatari Fujiwara, Tatsuya Nakadai
consigliato da JOHN SAYLES
"È il film che più mi ha influenzato, per via di quel grande matrimonio tra le caratteristiche del genere e gli elementi emotivi dei personaggi. L'ho visto per la prima volta a 19 anni, e ricordo di esser stato colpito immediatamente dalla sua bellezza grafica. All'inizio del film non c'è esposizione verbale. Prima vediamo un tizio vestito da samurai, ma si sta grattando i pidocchi, quindi capiamo che non è molto agiato. Poi arriva ad un incrocio e getta in aria un bastone per decidere in che direzione andare, quindi sappiamo che non ha niente da fare. Poi passa correndo un cane con una mano in bocca e da quello apprendiamo che la città dove sta andando è nei guai. Tutto è allestito unicamente tramite immagini. Ero solo al college a quel tempo e non sapevo niente della storia del cinema o delle idee politiche di Kurosawa, quel che mi ha veramente catturato è stato l'incredibile uso dello spazio e i motivi visivi. Il regista sembrava usare molto più dello script per raccontare la sua storia. (...) Kurosawa raggruppa le persone allegoricamente. Il nostro eroe è spesso isolato al centro, e la cinepresa sfreccia da una parte all'altra, vediamo gradi spazi tra lui e le due bande su entrambi i fronti. Solo quando lui si fa da parte i due gruppi possono affrontarsi, che è poi il senso di quel che fa nel film. Spinge questa gente al confronto. Il film è pieno di queste metafore visive. Mi piace particolarmente lo splendido modo come le foglie svolazzano per la strada, rispecchiando come le due fazioni continuano ad avvicinarsi e ritirarsi. (...) Ha una bellissima struttura e un bellissimo uso dello spazio. Tiene davvero in considerazione la grandezza dello schermo. È molto simile a un Western. Ma la psicologia dei personaggi è molto giapponese. Qualcosa dei personaggi mi conquistò veramente. Tutta l'opera di Kurosawa rappresenta il suo modo di fare film di genere che siano anche molto umanisti. Un mucchio di buoni thriller sono in realtà solo delle macchine. Ho sempre detto che un thriller veramente buono è più o meno come un gran giro sulle montagne russe, ma quando vai sulle Space Mountain a Disneyland fai i tuoi urli e poi te ne vai, e dopo in realtà non ci ripensi poi troppo. Non hai un'esperienza veramente umana. Hai un'esperienza viscerale, ma non una emozionale. Una delle grandi cose che Kurosawa era capace di fare coi film di genere era far sì che la gente volesse sapere cosa sarebbe accaduto – vuoi sapere se i personaggi verranno uccisi ma in realtà stai anche pensando a degli esseri umani e ti dispiace per i personaggi. (...) La cosa più impressionante de LA SFIDA DEL SAMURAI? Il tono. Dico sempre agli studenti di cinema che ogni film in cui entri è un mondo a sè ed ha le sue regole. È essenziale far sapere alla gente dov'è nei primi cinque minuti. Ne LA SFIDA DEL SAMURAI non hai mai dubbi, sai sempre dove sei con Kurosawa." ~ John Sayles
Con Edward James Olmos, James Gammon, Tom Bower, Bruce McGill, Brion James, Alan Vint
consigliato da JOHN SAYLES
"Una tarda schermaglia nella cosiddetta Guerra Messicana. Il bisogno dell'oppressore di demonizzare l'oppresso raramente è stato realizzato meglio di così." ~ John Sayles
"Sono cresciuto in una città del sindacato (“union town”) quindi sono stato sempre consapevole degli sforzi dei lavoratori per conquistare i propri diritti. Questo film è molto italiano, e molto umano. Il sindacalista interpretato da Marcello Mastroianni è una specie di perdente: è povero, ha i buchi nei calzini, non è particolarmente bravo nel suo lavoro, ma prende dei rischi con successo. Le persone dei sindacati non sono nobili, sono solo persone. Hanno le loro divisioni e problemi. Perciò la prima volta che un tizio esce e nessuno lo segue, lui è là fuori da solo, e di conseguenza viene licenziato. È una cosa che mi ha colpito molto. I COMPAGNI parla di cose importanti, ma non è la storia unidimensionale socialista-realista della classe operaia. È molto umano. I diritti condivisi sono importanti, ma hai sempre a che fare con degli esseri umani e con tutti i loro difetti. Di solito non vanno d'accordo, anche se hanno dei problemi in comune. (...) L'ho apprezzato di più quando l'ho rivisto da adulto – tutta la questione dei personaggi. Ho visto alcuni degli stessi attori in altri film italiani e quindi c'è quel tipo di apprezzamento: «Oh, ho visto questo tizio in un altro film, interpreta sempre quel personaggio». Me ne sono ricordato mentre facevo MATEWAN, e ho pensato a come assicurarmi che non sembrassero semplicemente "nobili". Hanno i loro problemi. I sindacati sono una cosa fragile. Uno dei motivi di MATEWAN è che lo scontro è così terribile che unisce italiani, montanari e neri, ma questo non significa che il sindacato sia sostenibile. Gli Stati Uniti possono fare gruppo in tempo di guerra, ma siamo un paese piuttosto diviso. È nella natura umana, quella incredibile risposta alle avversità. Credo che sia una delle ragioni per cui la gente ama i film di invasori spaziali, perché possono vedere tutti gli esseri umani lavorare insieme, tanto per cambiare. Mentre a giudicare dalla storia del mondo, sarebbe più probabile che gli invasori alieni andassero dalla gente in fondo alla scala sociale a dire, «OK, se ci aiutate ci sbarazzeremo della gente che vi sfrutta»." ~ John Sayles
Con Richard Ganoung, John Bolger, Steve Buscemi, Adam Nathan, Kathy Kinney, Patrick Tull
In streaming su Plex
consigliato da JOHN SAYLES
"È stato uno dei primi film su degli uomini gay a riconoscere l'AIDS. Non perde mai il suo senso del divertimento e della solidarietà." ~ John Sayles
+ Non presentenel database di FilmTV.it :
L'ESATTRICE(Juzo Itami, 1987, Giappone) La funzionaria del fisco Ryoko esamina la contabilità di varie compagnie giapponesi, scoprendo profitti nascosti e recuperando tasse non pagate. Un giorno convince il suo capo a lasciarla investigare sul proprietario di una catena di "love hotels" ma alla fine del controllo non emerge nulla. Durante l'investigazione l'esattrice e il proprietario degli hotel sviluppano però un tacito rispetto l'uno per l'altra, più che altro per l'astuzia che entrambi dimostrano nel creare e risolvere misteri. Lei viene poi promossa ispettrice governativa e quando lo stesso caso riappare torna ad investigare e trova una stanza nascosta contenente prove incriminanti. Il giorno stesso l'esattrice aiuta il proprietario nella sua relazione col figlio adolescente trascurando al contempo il proprio, che a cinque anni deve scaldarsi la cena e mangiare da solo. Sei anni più tardi i due s'incontrano di nuovo. Lui è sottoposto a quotidiani interrogatori da parte del fisco. Lei prova a convincerlo ad arrendersi per amore del figlio, mentre lui le offre di andare a vivere insieme. Quando Ryoko rifiuta lui si taglia il dito e scrive col sangue il nome del conto bancario segreto su un fazzoletto della donna che aveva conservato dalla prima volta che si erano visti. ~ (da Wikipedia + rogerebert.com)
"La relazione individuale con il gruppo e con lo stato nel moderno Giappone, espresse in un duello tra un proprietario di "love-hotels" e un'investigatrice del fisco. Quanti sono i film che ti fanno desiderare di passare del tempo con un agente delle tasse?" ~ John Sayles
Su MISSING di Costa–Gavras: "Come REDS di Redford, rinforza l'idea che se un americano non era presente allora non è veramente successo, però esplora le ripercussioni dell'imperialismo degli Stati Uniti. Jack Lemmon e Sissy Spacek vanno dritti al sodo." ~ John Sayles
Su IL TERZO UOMO di Reed: "Un paio di cose mi impressionarono: la colonna sonora con lo zither, che legava insieme tutto quanto , e... Non sapevo chi fosse Orson Welles quando lo vidi la prima volta, ma ugualmente mi dissi, «Beh, questo tizio non è realmente morto» Anche se ero un ragazzino, prima che iniziassi a scrivere sceneggiature, potevo capire dove stava andando la storia. Mi dicevo, «Se Harry Lime salta fuori, sarà meglio che sia incredibile». Per via di come continuavano a parlarne. Non conoscevo allora la parola “carismatico”, ma sapevo che doveva essere qualcosa di grosso. E si rivelò essere Orson Welles, che porta al personaggio quell'aria spavalda, quell'umorismo e le giuste dimensioni. Così quando alla fine lo incontri ti dici, «Ok, ora capisco.» Ero così contento alla fine. Anche da ragazzo provavo fastidio per gli imbrogli nei film hollywoodiani, quando facevano quel che serviva ad ottenere più applausi, anche se non se li erano meritati. Credo fermamente che ogni film dovrebbe aver la fine appropriata. E quando Anna cammina incontro a Holly pensai, «Lei non può finire con quello smidollato di Joseph Cotten! Non lo farebbe mai." Questo è stato, a quanto pare, un gran motivo di scontro tra Carol Reed e gli studios, e ha vinto lui, e la fine è perfetta." ~ John Sayles
Su LO SPIRITO DELL'ALVEARE di Erice: "Questo film riesce veramente a catturare lo strano mondo in cui possono vivere i bambini, il loro mondo immaginario. Non sanno veramente come funzionano le cose nel mondo adulto, o quel che sta succedendo esattamente, ma hanno sentimenti intensi. C'è una scena in cui qualcuno mostra ad una bambina un fungo velenoso, le dice, «Quello è veleno,» e poi va via. E lei lo osserva: lì c'è qualcosa che potrebbe ucciderti, ed è li per terra. La posta in gioco è totalmente differente. Sono pochissimi i film che catturano il momento nell'infanzia in cui i bambini apprendono le cose basilari: «Finiremo per morire, non siamo necessariamente al sicuro», cose pesanti che i bambini vivono, e che non vengono trattate spesso. Come narratore, sono molto interessato a cose come queste: se la gente agisce in un determinato modo, cosa potrebbe passare per le loro teste? Se stai girando un film storico, è prima del movimento delle donne? È prima di Freud? È prima del capitalismo? Queste cose hanno cambiato tutto nel modo in cui le persone si vedevano. Quali sarebbero i dati di fatto in quel periodo? (...) E in questo caso cominci veramente a comprendere come queste bambine vedono il mondo. Il regista riesce in qualche modo a capire le limitazioni, la mitologia, le paure, ciò che le preoccupa che non è verbalizzabile, in certi casi. C'è questa grande scena in cui proiettano FRANKENSTEIN, vicino alla chiesa, e si sente solo la colonna sonora. Non si vede molto, ma capire che FRANKENSTEIN per quelle bambine è reale quanto qualsiasi altra cosa aiuta il tono generale." ~ John Sayles
Su MEAN STREETS di Scorsese: "MEAN STREETS è stata una rivelazione. C'è voluto un po' ai film americani per mettersi in pari col rock 'n' roll e la Motown. Facevano ancora fare la colonna sonora a gente degli studios, musica piuttosto comune. Non usavano la musica in relazione alle emozioni, solo per il sottofondo. MEAN STREETS è stato uno dei primi film a usare davvero musica contemporanea in modo impressionistico, in rapporto alle emozioni. Stabilisce il tono per questo mondo, ed è un gran tono. Inoltre, in qualche modo spiegò la mia infanzia. Non sono cresciuto a New York, ma sono cresciuto in un quartiere italiano. Le relazioni tra i personaggi, i ritmi, i ragazzi che cercano di impressionarsi a vicenda e di essere “cool” mi ricordarono gli anni della crescita. Ed essendo cresciuto cattolico, capii quello che attraversa il personaggio di Harvey Keitel. La religione ha ancora un potere su di lui, anche se tutti quelli che ammira sono piccoli gangster, e nessuno di questi presta attenzione ai 10 comandamenti. (...) C'era qualcosa di liberatorio nella narrazione che ti cala nelle vite di questi personaggi, piuttosto che ammassarli in una storia riconoscibile o in una struttura di genere. Così, come filmmaker, ragionarci è stato molto liberatorio. È qualcosa che ho messo sia nei romanzi che nei racconti che ho scritto. (...) Credo di avere fatto un mucchio di film che sono in realtà film collettivi, che riguardano l'esperienza di passare del tempo con determinata gente e capire il loro mondo, ma non sono legati ai generi, alle aspettative e agli esiti di un genere." ~ John Sayles
Su LA CIOCIARA di De Sica: "Ricordo di avere avuto questa esperienza: mio fratello lavorava per un programma chiamato ABC il secondo anno di college. ABC stava per A Better Chance (una possibilità migliore). Prendevano ragazzini da quartieri duri e scuole pessime, ragazzi che avevano delle vere qualità accademiche, e provavano a metterli in pari e a farli entrare in qualche scuola importante. Un gruppetto venne a casa di mio padre una sera, e c'erano suppergiù sette ragazzi di colore e un bianco povero del West Virginia. In TV quella sera davano LA CIOCIARA, e alla fine del film tutti questi ragazzi tosti erano in lacrime. È davvero un film emozionante. Sofia Loren è così viva che ti tiene agganciato al film e a quello che accadrà a lei e alla figlia. (...) Avevo una grande cotta per Sofia Loren." ~ John Sayles
Su L'ASSO NELLA MANICA di Wilder: "È un film molto cupo, e ha la visione acida di Billy Wilder nei confronti della natura umana. Mi toccò molto l'immoralità che proponeva, che era molto raro a quel tempo vedere rappresentata bene. Poi c'è la performance di Kirk Douglas. Kirk Douglas poteva interpretare un eroe, ma molto spesso, interpretava un cattivo carismatico. Qui sai fin dal principio che questo tizio è troppo grande per il mondo in cui è atterrato, e che sarà piuttosto spietato. Il noir è un genere claustrofobico. Non c'è fuga nei film noir. Ne L'ASSO NELLA MANICA c'è la claustrofobia della miniera, ma in realtà la claustrofobia è in questo sistema chiuso e sordido fatto di gente avida con i loro piani, ed andrà a finire in tragedia." ~ John Sayles
"Voglio dirigere film che non farà nessun altro. So che se non li facessi io, non potrei mai vederli. Certo, spero anche che qualcuno li vorrà vedere, ma non sarò compiacente col pubblico. Non proverò ad anticipare quel che uno studio hollywoodiano vorrebbe vedere in un film low-budget, in modo che così mi assumano la prossima volta. So che farò sempre un lavoro migliore se lavoro a progetti in cui credo veramente. E se non riuscirò più a dirigere un altro film, avrò comunque fatto dei film di cui potrò essere orgoglioso." ~ John Sayles
"Da bambino guardavo soprattutto Western, perché mi piacevano i colori e i cavalli che galoppavano nell'acqua e la gente che si sparava, cose così. (...) Il primo film che mi colpì forse fu un cartone animato, come LILLI E IL VAGABONDO. Ricordo anche di aver visto un trailer di un film di mostri che mi terrorizzò. Era un film su una locusta gigante, o qualcosa del genere. Mi piacevano i film di mostri: MOTHRA, ASSALTO ALLA TERRA, quel tipo di film. (...) L'ultimo anno di college feci un po' di teatro, recitando e curando le regie, ma non ero un fanatico del teatro, ero un cattivo studente a 360 gradi. (Ride) Poi sono entrato in una compagnia teatrale estiva e per un paio di estati ho guadagnato la stratosferica cifra di 80 dollari la settimana. Ho fatto anche dei lavori veri: ho lavorato in ospedali, in fabbriche, ho imballato carne. Poi ho cominciato a scrivere fiction e a spedirla in giro e dopo un paio d'anni sono riuscito a vendere alcuni racconti. Ho iniziato a scrivere romanzi e ho assunto un agente letterario che aveva dei contatti a Hollywood. Mi sono trasferito a Santa Barbara e dopo qualche mese ho ricevuto il compito di riscrivere la sceneggiatura di PIRANHA per Roger Corman. (...) Ho potuto lavorare con della brava gente: Lewis Teague, Joe Dante, Frances Doel, che è un bravissimo “script supervisor”. Roger ha fatto un mucchio di film ed ha un buonissimo istinto per le storie, per ciò che riguarda i ritmi di una sceneggiatura, su quando dovrebbe arrivare il prossimo attacco, se inserire un finto attacco o se dare al pubblico un po' di respiro. Parlava sempre dell'effetto “montagne russe”, devi portarli molto in alto prima di riportarli giù." ~ John Sayles
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