Pigmalione
- Drammatico
- Gran Bretagna
- durata 96'
Titolo originale Pygmalion
Regia di Anthony Asquith, Leslie Howard
Con Leslie Howard, Marie Lohr, Wendy Hiller, Wilfrid Lawson
La quindicesima porta dentro di sé la sorpresa di una mezza costola croccante dei “Cahiers du Cinéma” anni '50 / '60. Solo un giovane danese daltonico e dislessico è tanto alieno alla realtà da cercare di stare al passo dei due giovani turchi a braccetto. Ovviamente senza successo. Ma è comunque encomiabile e divertente il tentativo di Nicolas Winding Refn di compensare il difetto d'esperienza magnificando allo spasimo qualsiasi film gli sia minimamente piaciuto di qualsiasi genere il Dio del cinema abbia messo in terra: quindi preparatevi a veder mescolare allegramente Dreyer e Chuck Norris, Tarkovsky e Deodato, PRETTY WOMAN e LES PARAPLUIES DE CHERBOURG, per non parlare di quel paio di titoli assurdi ripescati da qualche catacomba underground che, valore a parte, è bello sapere che esistono e che qualcuno si ricorda di loro... Sprofondiamo poi comodamente in piena Nouvelle Vague con Alain Resnais & Jacques Rivette. Grazie al travaso indiscriminato delle preferenze che i due autori in fieri esprimevano negli anni '60 sulle pagine dei Cahiers, possiamo in parte ripercorrere gli entusiasmi, i cambiamenti, le fluttuazioni critiche (e alcuni amori bislacchi) che hanno dato forma alla rivoluzione. Sono liste mooolto nutrite che ospitano più di una scommessa persa, più di un titolo non decollato, più di un amico critico che critico è dovuto rimanere dopo un exploit registico non fortunato (ma spesso non privo di genio). Nel caso di Rivette per chi volesse integrare e approfondire con interviste e saggi consiglio jacques-rivette.com (in inglese)... La sorpresa (?) del capitolo è forse rappresentata da un impronosticabile trait d'union tra il giovane Refn e l'ex giovane Rivette, entrambi accesi e vociferanti sostenitori di SHOWGIRLS di Verhoeven... Completano il quadro due inglesi che non amavano molto mettersi in mostra (questione d'aplomb). Karel Reisz, per quanto "abbottonato", ci consente se non altro di mettere per la prima volta sotto i riflettori Humphrey Jennings, documentarista/poeta che fu diretta e dichiarata ispirazione per i giovani arrabbiati del free cinema. Fin.
"Cameron non è malvagio, non è uno stronzo come Spielberg. Vuole essere il nuovo De Mille. Sfortunatamente, non riesce a dirigere neanche se stesso fuori da un sacchetto di carta." ~ Jacques Rivette
OGGI SERVIAMO I FILM PREFERITI DI:
Carol Reed (IL TERZO UOMO; IL FUGGIASCO)
Nicolas Winding Refn (BRONSON; DRIVE)
Karel Reisz (MORGAN MATTO DA LEGARE; LA DONNA DEL TENENTE FRANCESE)
Alain Resnais (HIROSHIMA MON AMOUR; L'ANNO SCORSO A MARIENBAD)
Jacques Rivette (LA BELLA SCONTROSA; CÉLINE E JULIE VANNO IN BARCA)
Gli arretrati:
1 - Da Allen a Aronofsky 8 - Da Haynes a P. Jackson
2 - Da Assayas a Bergman 9 - Da Jarman a Kieslowski
3 - Da Bertolucci a Tim Burton 10 - Da Kitano a Kurosawa
4 - Da Cameron a Craven 11 - Da Lean a Loach
5 - Da Cronenberg a De Sica 12 - Da Luhrmann a Menzel
6 - Da Dreyer a Frears 13 - Da Milius a (de) Oliveira
7 - Da Friedkin a Hathaway 14 - Da Pasolini a S. Ray
Titolo originale Pygmalion
Regia di Anthony Asquith, Leslie Howard
Con Leslie Howard, Marie Lohr, Wendy Hiller, Wilfrid Lawson
Titolo originale La kermesse héroïque
Regia di Jacques Feyder
Con Françoise Rosay, Micheline Cheirel, Lyne Clevers, Maryse Wendling
consigliato da CAROL REED
LISTA COMPLETA di REED
- All'Ovest niente di nuovo (Milestone)
- La moglie del fornaio (Pagnol)
- La kermesse eroica (Feyder)
- Luci della città (Chaplin)
- Amanti perduti (Carné)
- Via col vento (Fleming)
- Ninotchka (Lubitsch)
- Pigmalione (Asquith & Howard)
- La Ronde (Ophüls)
- Varieté (Dupont)
Fonti: Cinematheque Belgique (1952); flickeringmith.com; wellesnet.com; "Carol Reed" di Peter William Evans; IMDb
"So che ci sono grandi registi, come Visconti e Bergman, che hanno una certa visione della vita, ma non credo che un regista che sappia come mettere insieme un film abbia bisogno di imporre le sue idee al mondo." ~ Carol Reed
"Credo che il compito del regista – come nel vecchio teatro – sia quello di trasmettere fedelmente ciò che l'autore aveva in mente. A meno che non si sia lavorato con l'autore fin da principio non si può trasmettere agli attori quel che aveva in mente nè si può trasmettere al montatore alla fine l'idea originale. Quando si fa un film si deve ritornare allo stadio iniziale per capire quanto qualcosa possa essere importante per fondare questa scena o quel personaggio." ~ Carol Reed
Quando gli chiesero quale dei suoi film l'avesse soddisfatto maggiormente: "Sono tutti deludenti alla fine. Vedi solo le cose che avresti voluto fare. A teatro puoi prendere un testo e poi cambiarlo durante il tour, ma una volta che hai finito un film e l'hai mostrato, è finita... No, non ho preferenze." ~ Carol Reed
"Non ero un grande attore, ho cominciato con parti minuscole e poi ho girato le campagne col teatro di repertorio, ma anche se ho ottenuto parti decenti, non sono mai stato molto bravo. Però sono contento di averlo fatto per circa sette anni perché mi ha aiutato successivamente a capire i problemi degli attori." ~ Carol Reed
"Devi sempre fare come più ti piace, scommettendo sulla possibilità che ciò che ti piace sia anche commerciale. Di solito venivo criticato molto per i finali non felici dei miei film. Un tempo si pensava che tutti i film dovessero finire con un abbraccio così che il pubblico potesse andare a casa felice, ma io non credo lo facesse. Un film dovrebbe finire come deve. Non penso che nella vita ci sia qualcosa che finisce “nel modo giusto”. La fine di IDOLO INFRANTO è solo parzialmente felice. Ne IL TERZO UOMO, Graham Greene voleva che Joseph Cotten raggiungesse Alida Valli in macchina; poi il film sarebbe finito con la coppia che s'incamminava per la strada. Io ho insistito perché lei gli passasse accanto e lo superasse. David Selznick aveva dei soldi nel film. Devo dire che fu molto gentile ed elogiativo non appena vide il film, ma disse, «Gesù, non potremmo fare una scena in cui la ragazza e il tipo finiscono insieme?» Io dissi, «Era nello script originale, poi l'abbiamo buttata. Non so se sia stata una buona idea.» Ma vedi, il punto col personaggio di Alida Valli è che lei ha vissuto un amore fatale... e poi arriva questo sciocco d'un americano!" ~ Carol Reed
"È noioso rimanere sullo stesso tipo di soggetto e per di più è dannoso per il proprio lavoro. Ripetersi rende i registi stantii e fa sì che perdano la presa come intrattenitori. Si dà il caso che a me piacciano le strade buie, coi ciottoli bagnati, e una piccola, furtiva figura sotto un lampione all'angolo. Ogni volta che giro in esterni istintivamente cerco qualcosa del genere. Ma questo è dannoso, completamente dannoso per me, e stancante per il pubblico. La varietà è un esercizio essenziale per un regista. Ogni film nuovo dovrebbe essere un nuovo inizio, e nessuno dovrebbe mai poter dire con certezza, «Oh, quello è un soggetto alla Carol Reed» o «Quello non è un soggetto alla Carol Reed». Ciò che primariamente mi interessa è fare bene quel particolare lavoro – ed ogni sorta di lavoro. Non credo che conti molto il tipo di soggetto." ~ Carol Reed
Titolo originale Tôkyô nagaremono
Regia di Seijun Suzuki
Con Tetsuya Watari, Chieko Matsubara, Hideaki Nitani, Ryuji Kita
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"Unico, brillante, fantastico! Amo questo film!" ~ Nicolas Winding Refn
Titolo originale The Harder They Come
Regia di Perry Henzell
Con Jimmy Cliff, Janet Barkley, Carl Bradshaw, Ras Daniel Hartman
Titolo originale Andy Warhol's Frankenstein
Regia di Paul Morrissey
Con Udo Kier, Joe Dallesandro, Monique van Vooren, Dalila Di Lazzaro, Arno Juerging
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"IL MOSTRO È IN TAVOLA...BARONE FRANKENSTEIN è l'unico film che avrei voluto essere stato io a farlo. Nella sua perfetta combinazione di regia, scrittura, fotografia, musica, sonoro e recitazione, questo film è puro cinema. Paul Morrissey, Andy Warhol, Frankenstein, camp, sesso, morte...tutto nel nome del buon gusto. (...) La prima volta che l'ho visto ho pensato, «Oh mio Dio, si possono fare cose del genere?» " ~ Nicolas Winding Refn
Titolo originale Night Tide
Regia di Curtis Harrington
Con Dennis Hopper, Linda Lawson, Gavin Muir, Luana Anders, Marjorie Eaton
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"È una favola su uno che s'innamora di una sirena. È puro fantasy. È stato girato in California, in bianco e nero, nel 1963, con Dennis Hopper come protagonista. È stato di grande ispirazione per me quando ho fatto THE NEON DEMON perché era un altro film sul lato magico di Los Angeles. (...) Ho avuto la fortuna di diventare amico di Curtis Harrington, che ha scritto e diretto NIGHT TIDE, prima della sua morte nel 2007. Ho sempre pensato che il suo film fosse una perfetta combinazione di mistica, amore e orrore. È una perfetta favola, molto poetica e con una gran fotografia. È un film molto personale in un certo senso. Curtis è stato un filmmaker veramente visionario ed è stato molto, molto sottovalutato. Amo così tanto questo film che ne ho comprato i diritti; ho la proprietà dei negativi. È stato fatto poco prima dell'inizio della New Hollywood ma è un film completamente personale che conquista la propria originalità e sarà sempre unico nel suo genere perché prescinde da un certo movimento politico o da una corrente cinematografica. È solo puro cinema. È un film eterno." ~ Nicolas Winding Refn
Titolo originale Valley of the Dolls
Regia di Mark Robson
Con Barbara Parkins, Patty Duke, Sharon Tate, Susan Hayward, Paul Burke
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"Ho fatto vedere a Elle Fanning LA VALLE DELLE BAMBOLE prima di iniziare a girare THE NEON DEMON. È un film realmente interessante, molto complesso. Quello che mi piace è che non sai cosa stai guardando. È un melodramma, o una commedia, o un'odissea camp, o cosa? (Quello che però sai è che è tutto visivamente favoloso.) È per questo che così tanti critici l'hanno odiato. Quando non riesci a definire un film il più delle volte finisce per spaventarti, ed è esattamente la reazione opposta a quella che dovresti avere; dovrebbe incoraggiarti, dovrebbe sorprenderti. Per altro anche la musica è grande, da Dionne Warwick che canta la “title track” ai titoli di coda." ~ Nicolas Winding Refn
Titolo originale Beyond the Valley of the Dolls
Regia di Russ Meyer
Con Dolly Read, Cynthia Myers, Marcia McBroom, John Lazar, Michael Blodgett, David Gurian
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"Questo è un autentico capolavoro a mio modo di vedere, è un film talmente unico... Russ Meyer era un filmmaker veramente unico da un punto di vista visivo e nel montaggio, specialmente a inizio carriera. I suoi film sono proprio come riviste di pin-up, perché è come se si sfogliassero pagina per pagina. Sono vivaci, veloci, caotici. E soprattutto LUNGO LA VALLE DELLE BAMBOLE è una combinazione di così tanti tipi diversi di film, è quasi inebriante. Il montaggio viene portato davvero all'estremo. E al tempo stesso, è come un film di formazione. È un film su una stella nascente. È un melodramma. È un dramma. È un film horror. È una commedia. È una farsa. È satira sociale. È politico. È come se tu venissi sballottato continuamente, e non riuscissi mai ad atterrare in piedi finché il film non è finito. Ed ha una colonna sonora devastante. (...) Russ Meyer si interessava più che altro di composizione. Quando fece gli altri suoi film lavorò sempre con budget bassissimi. Era un fotografo, e così aveva un gusto meraviglioso e grandi conoscenze tecniche. Ma affrontava tutto in funzione del suo feticismo. Quello che si può prendere dai suoi film è limitato. Ma di certo mi sono divertito molto a guardarli, e ancora mi diverto quando mi capita di vederli. (...) Specialmente film come FASTER PUSSYCAT! KILL! KILL! o LORNA hanno una grande colonna sonora, un gran senso musicale. I suoi film non si preoccupavano molto della narrazione. Erano più interessati al flusso delle emozioni di cui lui era appassionato – o da cui era ossessionato. Russ Meyer faceva cinema erotico; non faceva pornografia. Il suo cinema era molto sexy, e alla fine diventò un po' troppo ripetitivo, perché non volle mai soccombere alla pornografia. Mantenne sempre il suo stile, ma poi il suo stile divenne il suo nemico. Come in ogni cosa, devi sempre sfidarti a fare tipi di film differenti. Ma lui era sempre ossessionato da quell'unica cosa. Questa è una buona lezione da imparare. Credo che quello di cui si occupasse in realtà fosse la violenza sessualizzata, ma lui la rendeva molto erotica. Ha sempre raffigurato le donne come il sesso forte. Erano sempre le donne ad avere la meglio. Ho appena finito di girare THE NEON DEMON, che ha solo donne come protagoniste. Il tormentone è che è un nuovo LUNGO LA VALLE DELLE BAMBOLE [in originale BEYOND THE VALLEY OF THE DOLLS - ndt]. Abbiamo scherzato molto su come la seconda parte si sarebbe intitolata Beyond The Neon Demon." ~ Nicolas Winding Refn
Titolo originale En kärlekshistoria
Regia di Roy Andersson
Con Ann-Sofie Kylin, Rolf Sohlman, Anita Lindblom, Bertil Norström
Titolo originale Deep End
Regia di Jerzy Skolimowski
Con John Moulder-Brown, Jane Asher, Diana Dors, Erica Beer
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"Questo brillante racconto di formazione ha una gran vista sulla Londra di fine anni '60, ma l'ironia è che è stato fatto da un polacco ed è stato girato perlopiù in Germania, il che gli dona un tono veramente insolito. Ricordo di averlo visto e di aver pensato, «Oh mio Dio, questo è veramente un film unico.» E anche qui c'è una storia tipo favola, cosa che amo. Inoltre è un film davvero magnifico sull'adolescenza. Chiunque sia stato un adolescente innamorato di una persona piu grande può entrare in sintonia con LA RAGAZZA DEL BAGNO PUBBLICO." ~ Nicolas Winding Refn
Regia di Mario Bava
Con Barry Sullivan, Norma Bengell, Evi Marandi, Ángel Aranda, Massimo Righi
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"È uno di quei film incredibili che sono una combinazione di tutti i generi: è fantascienza, è un film horror, è un giallo, è un film esistenzialista. I costumi sono eccezionali; è molto orientato alla pop-art e alla moda. Bava faceva film nello stesso periodo di grandi registi come Fellini e Antonioni, ma io penso che sia importante quanto loro. Ecco perché è stato bello presentare il nuovo restauro di TERRORE NELLO SPAZIO a Cannes Classics quest'anno. È stato un onore contribuire a portare a Bava quel riconoscimento che tanto merita." ~ Nicolas Winding Refn
Titolo originale Distant Voices, Still Lives
Regia di Terence Davies
Con Freda Dowie, Pete Postlethwaite, Angela Walsh, Dean Williams, Lorraine Ashbourne
Titolo originale Liquid Sky
Regia di Slava Tsukerman
Con Anne Carlisle, Paula E. Sheppard, Susan Doukas, Otto von Wernherr, Bob Brady
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"Amo questo film. In realtà amo molto anche la colonna sonora. E in un certo senso è probabilmente la versione filmica più accurata di come fosse la "club culture" a New York in quel periodo. È stato girato in quell'area e in quegli anni. Oltre ad essere un film di fantascienza veramente stravagante, è un grande, quasi storico ritorno ad un'era che di certo non c'è più. È un po' come vedere certi film sulla Swinging London. È davvero unico, ed è un peccato che [le sceneggiatrici Anne Carlisle e Nina V. Kerova] non abbiano fatto altri film perché questo lo amo moltissimo. Dimostra, a mio avviso, che la perfezione è il vero nemico della creatività. È un film a cui ripenso spesso." ~ Nicolas Winding Refn
Titolo originale Idi i smotri
Regia di Elem Klimov
Con Aleksej Kravchenko, Olga Mironova, Liubomiras Lauciavicius
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"Penso di aver visto per la prima volta questo film quando avevo 12 anni o giù di lì, ma solo perché ero nel cinema di mio zio e stavo aspettando un altro film. Così vidi solo l'inizio, dove i due ragazzi cercano le armi e trovano un fucile. E poi 20 anni dopo circa l'ho beccato casualmente su un canale televisivo svedese. Ho pensato, «Oh mio Dio, mi ero dimenticato di questo," ma non ho visto il finale. E poi a 35 anni ho visto il film per intero. Mi ha assolutamente inorridito. Questo film dovrebbe essere mostrato a chiunque voglia andare in guerra. Si sbarazza di ogni patina di fascino. È un film implacabile. Ho potuto parlare con della gente che conosceva un po' il regista, e ho visto anche alcuni dei suoi primi film. Ma VA' E VEDI è una conquista talmente grande dal punto di vista cinematografico che è come LA BATTAGLIA DI ALGERI. È piuttosto unico nel suo genere. (...) È così audace e inflessibile. Sul piano tecnico è superbo, e sul piano sonoro è assolutamente inquietante. Ha probabilmente una delle migliori svolte strutturali che abbia mai visto, e una delle migliori questioni morali. Il finale è davvero unico, il modo come lo rappresenta, ancor'oggi lo uso come esempio di grande narrazione. È un film che va oltre l'essere un film, ma più che ogni altra cosa per motivi etici." ~ Nicolas Winding Refn
Titolo originale Code of Silence
Regia di Andrew Davis
Con Chuck Norris, Henry Silva, Molly Hagan, Bert Remsen, Mike Genovese, Nathan Davis
consigliato da NICOLAS WINDING REFN
"Chuck Norris è il re, e IL CODICE DEL SILENZIO è davvero un bel film." ~ Nicolas Winding Refn
+ Non presenti nel database di FilmTV.it:
MAN OF VIOLENCE (Pete Walker, 1968, Gran Bretagna) Dopo un inizio carriera fatto di film sexploitation a budget ultra-basso, Pete Walker guadagnò maggior fama per i suoi cosiddetti "terror films", come HOUSE OF WHIPCORD, FRIGHTMARE (entrambi del 1974), in cui gente comune si ritrova alla mercè di psicopatiche figure autoritarie. Con MAN OF VIOLENCE Walker produsse qualcosa di ulteriormente differente. È un thriller sagace che segue le vicende di un killer su commissione di nome Moon, mentre lavora per dei boss della malavita rivali, in un'avventura che ci conduce in luoghi esotici, tra cattivi stereotipati e attrici degli horror della “Hammer” come Luan Peters e Virginia Wetherell. MAN OF VIOLENCE offre parecchio di cui godere e sorprendersi, non ultima la sequenza in cui Moon cerca di ottenere informazioni da un gay passando la notte con lui. ~ (bfi.org.uk)
"MAN OF VIOLENCE me l'ha fatto conoscere un mio amico di nome Sam Dunn, che dirige l'etichetta “BFI Flipside”. Mi ha conquistato non appena l'ha menzionato; adoravo il titolo. È uno dei migliori esempi di quei grandi gangster-movie stravaganti che la Gran Bretagna produceva allora, è molto particolare. A un certo punto Moon, il sicario macho protagonista del film, deve sedurre un tizio gay per avere delle informazioni. Non vedresti mai nulla del genere in un gangster-movie americano. A Peter Walker non è mai stato riconosciuto il giusto merito a causa del tipo di film di genere che faceva, ma io lo rispetto molto." ~ Nicolas Winding Refn
THE ASTROLOGER (Craig Denney, 1975, USA) È la storia dell’ascesa e del tracollo di un ciarlatano di nome Craig Markus Alexander, che partendo da un luna park di Long Beach diventa una celebrità grazie ai suoi apparenti poteri psichici. Diventato Alexander “The Great”, Craig molla la vita da saltimbanco, s’improvvisa trafficante di pietre preziose e inizia a viaggiare. Prima meta il Kenya, dove finisce in prigione salvo evadere e sottrarre un carico di gemme di valore inestimabile a un tempio maledetto, battendo sul tempo le avventure del ben più credibile Indiana Jones e una nidiata di cobra che proteggono i preziosi. Con le autorità alle calcagna Alexander riesce a lasciare il Paese a bordo di una barca a vela, ripara a Tahiti e qui, finalmente, vende il bottino e torna a Long Beach con 2 milioni di dollari e le premesse per una nuova vita, a cominciare con la realizzazione di un film sulle proprie peripezie intitolato…"The Astrologer!" che, a differenza di quello vero, incassa la bellezza di 145 milioni di dollari. – Craig Denney nel film si auto-dirige interpretando fondamentalmente la parte di se stesso (Denney era davvero un astrologo). THE ASTROLOGER fu girato senza una sceneggiatura, ma sulla base del verdetto degli oroscopi giorno per giorno. Stando ai racconti di Arthyr Chadbourne, amico stretto di Craig Denney nella vita e nel film, Denney finì nei guai finanziari proprio a causa del fallimento di THE ASTROLOGER, con tanto di FBI alle costole. Arrivò persino al punto di simulare la propria morte e in più di un'occasione affermò di voler lasciare gli Stati Uniti. Un giorno Chadbourne si recò a casa dell’amico dove la sorella gli comunicò il decesso di Denney avvenuto pochi giorni prima. Che fosse vero o l’ennesima messinscena nemmeno Chadbourne lo sa, resta il fatto che da quel momento Denney scomparve. ~ (Nocturno.it)
"Questo è il piu stupefacente film che si possa immaginare. È scritto, diretto, prodotto e recitato dalla stessa persona. È su un astrologo che diventa famoso e viaggia per il mondo e poi, ovviamente, fallisce miseramente. È di quel bizzarro periodo negli anni '70 in cui chiunque poteva fare un film se riusciva a trovare i soldi. (...) È magnifico...porta il concetto di autore ad un altro livello." ~ Nicolas Winding Refn
SANGUE MISTO (Paul Morrissey, 1984, USA) Marilia Pera (PIXOTE; CENTRAL DO BRASIL) è Rita La Punte, una sorta di Fagin (personaggio di Oliver Twist - ndt) al femminile che istruisce e si prende cura di una gang di spacciatori adolescenti. Questi spartiscono anche un sudicio loft con lei e col figlio ritardato Thiago, con cui lei a volte va anche a letto. Il film riporta gli ambiziosi tentativi di Rita di monopolizzare il mercato della droga nella parte del Lower East Side di New York chiamata "the alphabet". Rita ha il suo bel da fare per cambiare loro la biancheria, fare i letti, lavare i piatti e fare il bucato. Ma è anche una donna di carattere. Quando uno dei ragazzi viene spinto giù da un tetto dai membri di una gang portoricana rivale, lei dimostra la sua sofferenza con un lungo sospiro. Poi indossa il vestito migliore, insieme ad alti stivali neri, prende il suo bastone e, come una specie di Matta Brasiliana di Chaillot, guida la sua banda di feroci monelli dal becchino per prendere gli accordi necessari, ammettendo: "Non mi piacciono più i funerali. Prima mi piacevano, ora invece..." – Comico, brutale, primitivo e sofisticato, una commedia con le maniere di un cartone animato live-action per adulti insensibili. Morrissey è un tipo diverso di comico satirico che mischia camp e realismo sociale. È anche un filmmaker astuto. SANGUE MISTO è spesso genuinamente e intenzionalmente divertente e, subito dopo, così esplicitamente e crudelmente truculento che vorresti vomitare. Un minuto stiamo guardando una scena divertentissima in cui un gruppo di spacciatori si lamenta con i poliziotti della gentrificazione del quartiere, e il minuto dopo una sparatoria tra gang con secchiate di sangue che inzuppano lo schermo. E il fatto che il sangue sia visibilmente finto non mitiga l'orrore. ~ (NYtimes.com)
"Credo che Paul Morrissey sia uno dei grandi registi americani degli anni '60 e '70. È un vero voyeur individualista che porta un nuovo significato al termine feticismo. SANGUE MISTO è un gangster movie da K.O. ; un grande dramma action. In realtà è un'opera action, è molto operistico. Ed è anche uno dei grandi film su New York. Ritrae un'epoca che non è molto documentata." ~ Nicolas Winding Refn
LISTA COMPLETA di REFN
- Deriva a Tokyo (Suzuki) - La battaglia di Algeri (Pontecorvo) - Vampyr (Dreyer) - La morte corre sul fiume (Laughton) - Videodrome (Cronenberg) - Il mostro è in tavola...barone Frankenstein (Morrissey) - Piombo rovente (Mackendrick) - La mia vita a quattro zampe (Hallström) - La bella e la bestia (Cocteau) - Le lacrime amare di Petra Von Kant (Fassbinder) - La farfalla sul mirino (Suzuki) - Non aprite quella porta (Hooper) - La dolce vita (Fellini) - The Filth and the Fury (Temple) - Più duro è, più forte cade (Henzell) - Enter The Void (Noé) - Una storia vera (Lynch) - A Swedish Love Story (R. Andersson) - Hong Kong Express (Wong Kar Wai) - Luci della città (Chaplin) - Voci lontane...sempre presenti (Davies) - Suspiria (Argento) - Night Tide (Harrington) - La notte dei morti viventi (Romero) - Alien (Scott) - Kwaidan (Kobayashi) - Shining (Kubrick) - Man of violence (Walker) - La valle delle bambole (Robson) - La ragazza del bagno pubblico (Skolimowski) - Il codice del silenzio (Davis) - Terrore nello spazio (Bava) - Sadismo (Roeg & Cammell) - Scorpio rising (Anger) - L'occhio che uccide (Powell) - Man on fire (T. Scott) - Liquid sky (Tsukerman) - Pretty woman (Marshall) - La montagna sacra (Jodorowsky) - El Topo (Jodorowsky) - Cannibal holocaust (Deodato) - Sangue misto (Morrissey) - Interceptor (Miller) - Showgirls (Verhoeven) - King Kong (Cooper & Schoedsack) - Mean streets (Scorsese) - The driller killer (Ferrara) - 2001: Odissea nello spazio (Kubrick) - Stalker (Tarkovsky) - Il pianeta proibito (Wilcox) - Cittadino dello spazio (Newman) - Gli invasori spaziali (Menzies) - Lungo la valle delle bambole (Meyer) - Va' e vedi (Klimov) - Assassinio di un allibratore cinese (Cassavetes) - Clerks (Smith) - Cloverfield (Reeves) - Les parapluies de Cherbourg (Demy) - The Astrologer (Denney) - Strade violente (M. Mann)
Fonti: moviemaker.com; theskinny.co.uk; criterion.com; dazeddigital.com; avclub.com; thedissolve.com; theartsshelf.com; empireonline.com; mubi; birthmoviesdeath.com; deadline.com; maximumfun.org; IMDb
"Amo tutto quello che ha fatto Terence Fisher, è un regista molto sottovalutato." ~ Nicolas Winding Refn
"LA DOLCE VITA di Fellini è forse il film più bello di tutti i tempi." ~ Nicolas Winding Refn
Su LA MIA VITA A QUATTRO ZAMPE: "Ho visto questo film con mia madre quando ero molto giovane. È l'unico film fatta eccezione per LA VITA È MERAVIGLIOSA durante il quale ho pianto di gioia." ~ Nicolas Winding Refn
Su NON APRITE QUELLA PORTA di Tobe Hooper: "È un film incredibile. È più che altro come un'istallazione filmica. È mascherato da film horror, mascherato da film exploitation, mascherato da film fatto per puro profitto, ma in realtà è una molto singolare, non-sessuale opera d'arte. Quando lo vidi per la prima volta avevo 14 anni. L'età giusta per vedere qualcosa del genere. È un'età in cui sei molto influenzato dalle tue esperienze. Ricordo che quando decisi di realizzare dei film volevo fare quello che quel film aveva fatto a me. È allora che ho scoperto che i film sono una forma d'arte. (...) Questo pezzo d'arte era stato fatto da un regista col chiarissimo intento di penetrare nella tua mente, violarla, e poi andarsene. E tu non sarai più lo stesso. Mi ha fatto venir voglia di creare. A 14 anni era una sensazione del tipo: «Ecco...l'ho trovato.» Aveva anche una struttura decisamente non convenzionale. Fino ad allora ero più abituato ai tre atti hollywoodiani. Che sono una gran cosa, ma questa struttura era addirittura senza logica. Era un'esperienza, e solo dopo riuscivi a fare chiarezza. È anche molto interessante il fatto che il film sia privo di sessualità. È questo che lo rende così affascinante. È per questo che non sembra mai sordido, degradante, o misogino. (...) Il film di Tobe Hooper va contro ogni logica del filmmaking così com'è insegnato altrove. Non ha una ragione o un significato, se non l'impatto emotivo. Lo trovo molto puro. Mi ha mostrato anche che i film possono essere una colonna sonora. Possono essere un concerto di John Cage. Possono essere un flusso di immagini che nel giusto ordine ha significati diversi. A questo film attribuisco molto del merito di aver dato il via alla mia carriera. (...) Ogni volta che faccio un film ho ancora in testa quella colonna sonora. Perché era molto, molto oscura e molto sperimentale." ~ Nicolas Winding Refn
"VAMPYR mi ha sempre ricordato un sogno misterioso che ho avuto una notte quando ero molto piccolo. Il film è sempre rimasto con me. Lo guardo prima di girare ogni film, eppure ancora rimane un mistero per me." ~ Nicolas Winding Refn
"Avevo 24 anni quando ho fatto il mio primo film PUSHER (sul mondo della droga danese), e per farlo ho rubato tutto quel che ho potuto, sia visivamente che tecnicamente, da LA BATTAGLIA DI ALGERI di Pontecorvo e da CANNIBAL HOLOCAUST di Deodato. (...) CANNIBAL HOLOCAUST è davvero abietto e implacabile, è sgradevole vederlo fino in fondo. È veramente troppo duro per me. Apprezzo le sue qualità, ma è così implacabile. [Ride] L'idea è molto interessante: esaminare se stessi attraverso la depravazione, ed allo stesso tempo è interessante per l'exploit di puro intrattenimento e guadagno finanziario, che rivendica però sempre un messaggio nascosto. Una volta che hai visto questo film, non lo dimentichi più." ~ Nicolas Winding Refn
"LA MONTAGNA SACRA è una vera esperienza. È interessante e non esiste niente di simile. Sono molto amico di Alejandro (Jodorowsky). Durante THE NEON DEMON abbiamo fatto letture di tarocchi ogni weekend. Lui mi piace molto. E credo che LA MONTAGNA SACRA sia uno di quegli esempi che vanno oltre l'essere semplicemente un film. Sia EL TOPO che LA MONTAGNA SACRA – amo tutto di loro. (...) Continuo a fare letture con Alejandro. Ne ho avuta una il mese scorso per il nuovo film. È andata bene, e stranamente abbiamo continuato a parlare della stessa questione per un certo numero di letture, ultimamente. Continua a saltar fuori la stessa risposta. Ho capito che ero sul sentiero sbagliato e avevo bisogno di cambiare direzione. Mi piace l'incertezza data dai tarocchi, dove tutto è intuitivo ma tu non sai veramente dove sta andando." ~ Nicolas Winding Refn
"PRETTY WOMAN è uno dei più grandi scherzi giocati da Hollywood. Perché moralmente è in completa bancarotta. Pensate alla vicenda. È un gran film, ma è così moralmente disgustoso e viene venduto come la più grande di tutte le favole. Se ha a che fare con THE NEON DEMON? Oh sì, moltissimo. È l'illusione di un mondo che è tutta finzione. Aspira alla nostra immaginazione. Pensate solo di cosa tratta. È sessualmente contorto." ~ Nicolas Winding Refn
"MAN ON FIRE è molto bello, e mi piace un sacco Tony Scott. Credo di averlo visto in televisione. Denzel Washington è molto bravo. Era un film molto bizzarro. È grottesco. Celebra la vendetta come pura pornografia. Ho visto un sacco di cose folli nei film, ma folle è interessante." ~ Nicolas Winding Refn
"Ricordo quando io e mia moglie siamo andati a vedere SHOWGIRLS al cinema e lei lo ha detestato! Ugh! Pensava fosse un film abietto, degradante, misogino. C'eravamo appena conosciuti, così le davo completamente ragione, dicendo cose tipo, «Oh, è proprio vero.» Ma dentro di me pensavo, «Oh Dio! Quanto cazzo è bello questo film?!» " ~ Nicolas Winding Refn
"Avevo lavorato per mio zio nella distribuzione ogni anno a Cannes, e il mio lavoro era quello di trovare film fuori dalle varie competizioni da suggerire a lui perché li distribuisse. Andai a vedere CLERKS, e incontrai Kevin Smith alla proiezione, e lui mi disse di aver lasciato la scuola di cinema per fare il suo film. E poi vidi il suo film, e la mia reazione fu, «Questo posso farlo anch'io.» Mia madre mi avrebbe dato $ 70.000. Il mio patrigno aveva una cinepresa 16mm. Mio zio aveva un teatro-cinema. Sapevo che i film “crime” vendevano. E questo in un anno in cui i film di genere non erano in voga. Lo erano i logorroici film indipendenti americani del Sundance, post modernismo francese. La gente faceva solo film in cui tutti andavano a passeggio chiacchierando. Io volevo fare un film apertamente di genere. Prima di ciò, ero andato a una scuola di recitazione a New York perché John Cassavetes era andato alla stessa scuola. A 18 anni avevo visto ASSASSINIO DI UN ALLIBRATORE CINESE di Cassavetes. Ricordo di aver pensato, «Questo è il genere di recitazione che voglio sviluppare. Come ci arrivo?» Così sono andato alla sua stessa scuola di recitazione e mi sono accorto che faceva schifo, e sono stato sbattuto fuori. È allora che ho visto CLERKS e ho pensato, «Se lui può farlo, posso anch'io.» Tutti continuavano a dirmi, «Devi andare a una scuola di cinema, imparerai come fare i film e stringerai contatti col mondo dell'intrattenimento.» L'anno prima avevo fatto domanda per entrare alla [Britain’s] National Film And Television School e non ero stato preso. Feci di nuovo richiesta, e di nuovo venni respinto. Allora feci domanda per la Danish Film School e venni accettato l'anno seguente, e non ci andai perché stavo facendo un film. Riuscii ad avere delle sovvenzioni per PUSHER dal governo. Feci richiesta per un finanziamento di $ 800.000, e me li dettero davvero, cosa che non succederà mai più, perché non avevo credenziali artistiche. Ma era un periodo in cui il cinema danese non era molto popolare, di certo non in ambito internazionale. E non c'era molto interesse per ciò che succedeva nel cinema in Danimarca. Per qualche ragione la mia domanda fu approvata e all'improvviso avevo tutti questi soldi. Due mesi dopo avrei dovuto cominciare la scuola di cinema, e mia madre era molto preoccupata riguardo al mio futuro. Avrei dovuto fare un film o andare a scuola? Mio padre mi disse, «Tu non lo sai come si fa un film. È ovvio che dovresti andare alla scuola di cinema.» Ma il mio patrigno, che è stato molto importante nella mia vita, mi disse, «Senti, tu fallo. Qual è la cosa peggiore che può capitare?» E così lo feci." ~ Nicolas Winding Refn
"Sono cresciuto a New York con mia madre e il mio patrigno che erano fotografi. Avendo vissuto in quella che si potrebbe chiamare una famiglia socialista scandinava dell'alta società newyorchese, tutto quello che era realmente americano era considerato fascista e tutto ciò che era europeo era grande, specialmente il cinema europeo degli anni '60, la Nouvelle Vague francese e consimili. Da ragazzo, non potendo ribellarmi attraverso la musica – perché mia madre aveva fotografato Jimi Hendrix e Miles Davis etc. – mi rivolsi ai film di genere come mia ribellione senza causa, rintracciando film estremi, e questo di sicuro li faceva scaldare perché pensavano che fossero le cose più vili da vedere. Sono sempre stato molto affascinato dalle immagini, forse perché sono dislessico e non ho imparato a leggere fino a 13 anni, per cui le immagini divennero il mio modo di capire la narrazione. (...) Sono anche daltonico, quindi non posso vedere i colori di mezzo. È per questo che nei miei film ci sono solo colori contrastanti, se fossero diversi non potrei vederli." ~ Nicolas Winding Refn
Titolo originale The Palm Beach Story
Regia di Preston Sturges
Con Mary Astor, Claudette Colbert, Joel McCrea, Rudy Valee
consigliato da KAREL REISZ
"Le mie esperienze migliori le ho vissute con i film che raccontano storie, il buon western, il thriller, l'azione; io preferisco i film di Ford, di Mankiewicz e Wellman, di Preston Sturges, di Howard Hawks, di Huston. Naturalmente, mi piace Buñuel, mi piace Renoir, e ci sono molti registi che apprezzo, ma è un fatto che preferisco i narratori. Sono molto poco critico nei confronti dei film che mi piacciono; quando mi piace il tocco generale del film, sono pronto a seguirlo e a concedergli tutti i benefici del dubbio. E allora mi rendo conto che una parte del film non m'interessa. Ora non vado più a vedere certe cose. Ma vedrei ogni film di Martin Scorsese, di Coppola o di Buñuel, e anche il loro più brutto film mi fa gioire. Per fortuna non è più il mio mestiere dare un sei o un nove. Ora posso sguazzare in ciò che mi piace. Trovo che sia molto difficile essere un buon critico e do il benvenuto a chi si sforza di rendere manifesta la sostanza di un film." ~ Karel Reisz
Regia di Renato Castellani
Con Vincenzo Musolino, Maria Fiore, Filomena Russo, Luigi Astarita
consigliato da KAREL REISZ
+ Non presenti nel database di FilmTV.it:
FIRES WERE STARTED / GLI INCENDI COMINCIARONO (Humphrey Jennings, 1943, Gran Bretagna, Docu-fiction) GLI INCENDI COMINCIARONO è considerato il più ragguardevole film sulla Gran Bretagna in guerra. Utilizza immagini potentemente poetiche per offrire una drammatica ricostruzione degli eventi associati al Blitz su Londra, offrendo al tempo stesso un alto grado di realismo emotivo nelle caratterizzazioni. La storia segue l'attività di soccorso del Sevizio Ausiliario dei Vigili del fuoco utilizzando i veri componenti del Servizio Ausiliario. Il film ebbe una poderosa influenza sulle successive generazioni di filmmakers britannici. In un famoso articolo su Sight and Sound del 1954 Lindsay Anderson scrisse: "Si potrebbe ragionevolmente affermare che Humphrey Jennings sia l'unico vero poeta che il cinema britannico abbia fin qui prodotto." Karel Reisz riconobbe l'influenza del lavoro di Jennings e citò GLI INCENDI COMINCIARONO come "la sorgente del Free Cinema". ~ ("Encyclopedia of the Documentary Film" di Ian Aitken)
LISTEN TO BRITAIN (Humphrey Jennings / Stewart McAllister, 1942, Gran Bretagna, Docu-fiction) Documentario, pubblica informazione, tonico per il morale, film di propaganda – tutte descrizioni applicabili allo straordinario film di guerra di Jennings e McAllister. Usando la sua abituale combinazione di poesia e propaganda, Jennings costruisce un collage delle varie genti e classi britanniche, a casa e al lavoro, in guerra e in pace. Il risultato, per quanto non facesse proselitismo direttamente, risuonò come un chiaro appello al pubblico nazionale ed internazionale a combattere e salvare la Gran Bretagna dalla carica della guerra. In LISTEN TO BRITAIN Jennings vende un mito di unità nazionale, il mito che a dispetto delle differenze prebelliche tutte le classi fossero unite in un socialismo di guerra, ma è una visione dal basso che evidenzia l'individualità, “l'unità all'interno della diversità”. Avendo appreso che i britannici erano infastiditi dal sentore di propaganda, Jennings usò uno stile poetico per mascherarla. L'uso degli effetti sonori in questo fu vitale, permettendo al montaggio delle riprese di insinuare significati nascosti, come il suono di un aereo non visto in una giornata apparentemente pacifica. Per mascherare ulteriormente gli intenti propagandistici Jennings ricostruì le scene enfatizzando imperfezioni e casualità, cercando in tal modo di dar l'illusione del cinema-verité. Manca inoltre la voce di un narratore onnisciente, il regista usò invece le voci molto differenti di persone di tutte le classi, si nascose dietro uno stile impersonale per far sì che lo spettatore potesse ascoltare e rivedersi nei suoni e nelle canzoni della Gran Bretagna. ~ (bfi.org.uk + Wikipedia)
LISTA COMPLETA di REISZ
- Il fascino discreto della borghesia (Buñuel)
- I figli della violenza (Buñuel)
- Terra (Dovzhenko)
- Gli incendi cominciarono (Jennings)
- Listen to Britain (Jennings/McAllister)
- Lady Eva (P. Sturges)
- Ritrovarsi (P. Sturges)
- Nashville (Altman)
- Toro scatenato (Scorsese)
- La regola del gioco (Renoir)
- L'altro uomo (Hitchcock)
- I sacrificati di Bataan (Ford)
- La carovana dei mormoni (Ford)
- Viaggio a Tokyo (Ozu)
- All'Ovest niente di nuovo (Milestone)
- L'Atalante (Vigo)
- Luci della città (Chaplin)
- Alba tragica (Carné)
- Miracolo a Milano (De Sica)
- L'Avventura (Antonioni)
- Due soldi di speranza (Castellani)
Fonti: Sight and Sound (1952-1962); rogerebert.com; questia.com; Sight & Sound (2002); "Karel Reisz" ed. Il Castoro;
"Il Free Cinema è un modo di pensare che porta a ritrarre gli uomini in funzione del loro lavoro, del loro ambiente, delle loro abitudini [...] I nostri mezzi espressivi li trovavamo nelle città, nelle costruzioni, negli oggetti, nell'occhio sullo schermo." ~ Karel Reisz
"Sono sempre dipeso dagli scrittori con cui ho collaborato. C'è una sorta di mito intorno al cinema che attribuisce al regista la responsabilità di ogni cosa. È vero che il regista dà il tono e il tocco definitivi, ma la scelta originale del materiale che dipende da una sensibilità indipendente e completamente differente – lo scrittore – è un dato cruciale." ~ Karel Reisz
"I documentari del «free cinema» volevano essere una reazione alla produzione inglese del tempo. Volevano guadagnare terreno, fare il vuoto per partire da una realtà credibile. Poi lentamente siamo ritornati allo stile, alle forme dei film che noi ammiravamo. Non nutro entusiasmo per il neorealismo o per il cinema-verité; le cose che si possono dire per mezzo di un'osservazione più o meno passiva sono molto limitate. Si ha molto presto il desiderio di esprimere di più, di andare all'interno, di andare dietro. Per me lo stile non è qualcosa che si applica a un film per conferirgli un'unità, ma è l'espressione del personaggio centrale. I miei film sono molto diversi d'assetto perché prendono la loro forma di sensibilità dal centro, io rubo il mio stile ai miei personaggi." ~ Karel Reisz
"L'arte del montaggio sta nel conservare la sua innocenza. Il regista conosce talmente il suo materiale che gli occorre un modo per restare aperto, disponibile davanti al suo film. C'è molta ebbrezza nel montaggio. Perché il film cresce, balza in avanti molto più che nelle tappe assai laboriose della stesura della sceneggiatura, della preparazione del film e delle stesse riprese. In moviola si ritrova la libertà." ~ Karel Reisz
"Non penso che ci sia una sensibilità ceka nei miei film. Il fatto è che – benché abbia vissuto in Inghilterra più di trent'anni e abbia fatto film solo in Inghilterra e negli Stati Uniti – io mi sento un “outsider” in entrambi i Paesi. Per questo suppongo si veda sullo schermo un tocco freddo, un punto di vista distaccato (da outsider). C'è anche qualcosa che mi ha spinto a identificarmi con gli outsider, con chi è fuori dalla società. Tutti i miei film sono ritratti di persone che in un modo o nell'altro non sono accettati dalla società, sia come eroi o come villains, o per qualunque altro motivo." ~ Karel Reisz
INTERVISTATORE: "Da un punto di vista politico come quello che ha ispirato il Free Cinema, pensi che l'arte, e il cinema in particolare, possa non solo registrare ma anche influenzare i cambiamenti della società?"
KAREL REISZ: "Beh, in un modo politico probabilmente non molto; principalmente il cinema riflette la società più che cambiarla, perché all'improvviso intercetti cose diverse nei nervi del pubblico, e quelle sono le cose che diventano popolari. Ma questi movimenti, questi cambiamenti, sono estremamente difficili da notare. Credo che dovrei dire che non c'è molta influenza. Non credo che le arti cambino la società nel senso di cui parli. Come sai, ci hanno provato, i tedeschi ci hanno provato, i russi ci hanno provato. Se il tentativo di cambiare il mondo è troppo evidente, il pubblico lo respinge perché pensano che tu gli stia facendo la predica, così la risposta alla tua domanda è un altamente qualificato no."
"Non credo che i film in costume siano necessariamente una fuga dalla realtà. Penso che lavorare a distanza di sicurezza in un diverso periodo o in un paese diverso a volte renda più facile identificare i significati perché sono allontanati dalla realtà quotidiana. Credo che “La donna del tenente francese”, il romanzo, la storia Vittoriana, sia un soggetto relativamente tradizionale. Voglio dire, non è così diverso da alcuni dei romanzi di Thomas Hardy. Tranne che credo ci sia in esso un elemento costituito, si potrebbe quasi dire, da un romanzo Vittoriano usato come una sorta di veicolo fantascientifico, dal momento che presenta la possibilità di una donna con desideri del ventesimo secolo che vive nel diciannovesimo secolo e deve di conseguenza vivere moltissimo nella sua immaginazione e acquisisce un certo tipo di libertà d'associazione che in una vita normale non avrebbe. C'è quindi una cosa molto strana che succede nel romanzo: a circa tre quarti della sua lunghezza, lei cambia completamente. Noi non vediamo la transizione. A un certo punto c'è questa grande scena e lei scappa via, poi sparisce e non la vediamo, e poi quando la vediamo successivamente è come diventata una specie di donna del ventesimo secolo, si è come emancipata." ~ Karel Reisz
Titolo originale Le sang d'un poète
Regia di Jean Cocteau
Con Enrique Rivero, Elizabeth Lee Miller, Pauline Carton, Odette Talazac, Jean Desbordes
consigliato da ALAIN RESNAIS
"Come nasce una vocazione? Fose perché un giovane legge un giorno a Vannes (città natale di Resnais - ndr) una critica che demolisce LE SANG D'UN POÈTE, va a vedere il film e lo ama profondamente." ~ Alain Resnais
Titolo originale Désiré
Regia di Sacha Guitry
Con Sacha Guitry, Jacqueline Delubac, Jacques Baumer, Saturnin Fabre, Alys Delonce, Arletty
consigliato da ALAIN RESNAIS
"Ho sempre amato il teatro, in particolare Sasha Guitry, ma anche autori oggi sottostimati come Henry Bernstein. Guitry era più leggero, Bernstein più drammatico, a loro modo sono entrambi molto musicali. Sono sempre stato fedele a Guitry dal lontano 1934, è un tipo di teatro a cui sono sempre stato molto sensibile, certe sue battute sono diventate mitiche. Per di più mi affascinava molto anche come attore. Appena appariva in scena, Guitry emanava un tale magnetismo che gli spettatori ne erano letteralmente stregati, come nell'arena, e lui finiva sempre per vincere. Il modo in cui Guitry filmava le sue “pieces” non è per niente invecchiato: penso a QUADRILLE, DESIRÉ, MIO PADRE AVEVA RAGIONE. Questi film li ho proiettati spesso ai miei collaboratori, che ne sono rimasti affascinati. Quando Guitry faceva dei film faceva del cinema autentico, reinventava i trucchi usati dalla settima arte. È un po' in questo spirito di libertà, di leggerezza, che ho girato MELÒ. E ne ho provato un grande piacere." ~ Alain Resnais
Titolo originale Monsieur Ripois
Regia di René Clément
Con Gérard Philipe, Valerie Hobson, Margaret Johnston, Natasha Parry
Titolo originale Sait-on jamais...
Regia di Roger Vadim
Con Robert Hossein, Françoise Arnoul, Christian Marquand, Franco Fabrizi
consigliato da ALAIN RESNAIS
Recensione di Jean-Luc Godard (Cahiers du Cinéma, 1957): "Avremmo torto ad applaudire UN COLPO DA DUE MILIARDI solo perché questo film è tanto decisamente moderno quanto PIACE A TROPPI. Roger Vadim “fa parte del giro”. È chiaro. I suoi confratelli, per la maggior parte, girano ancora “a vuoto”. È altrettanto chiaro. Ma non si dovrebbe ammirare Vadim semplicemente perché fa con naturalezza quello che da tempo dovrebbe essere l'ABC del cinema francese. Cosa potrebbe essere più naturale, davvero, di respirare l'aria dei tempi? Quindi non c'è motivo di complimentarsi con Vadim per essere in anticipo sul suo tempo, perché quel che è successo è che tutti gli altri sono in ritardo mentre lui è aggiornato. Un'eccellente ragione, potreste dire, per provare il teorema che propone Vadim come il migliore dei giovani registi francesi attivi oggi. Ragione necessaria, risponderei, ma non sufficiente. Quindi vediamo di cercare una prova per avvalorare questo teorema. Dove trovarla? In UN COLPO DA DUE MILIARDI? È lì? Sì, c'è. (...) Qui, dichiaratamente, c'è una sceneggiatura molto convenzionale. Il suo unico valore sta nella misura in cui il regista ha sondato i personaggi stereotipati fino a trasformarli in esseri viventi. E questi personaggi sono vivi quanto nessun eroe in un thriller francese è mai stato (con l'eccezione di quelli di LA NOTTE DELL'INCROCIO di Renoir). La grande forza di Vadim è infatti che lui parla solo di cose che conosce bene, utilizza personaggi che lui vede 50 volte al giorno, e soprattutto, in quanto principiante, descrive se stesso con tutte le sue qualità e difetti attraverso quei personaggi. Da cui l'aria di estrema novità del dialogo e l'incisività della messa in scena non toccata da complessi o pregiudizi. (...) Vadim diventerà un grande regista perché le sue scene non sono mai determinate da un'idea di ripresa puramente astratta o teoretica; piuttosto è l'idea di una scena, in altre parole un'idea drammatica, che determina l'idea della ripresa. Detto questo, concordo assolutamente sul fatto che il secondo film di Vadim è meno personale del primo, meno sofisticato, ma forse più riuscito, e anche più segreto. In PIACE A TROPPI, la tenerezza era attutita dall'erotismo. In UN COLPO DA DUE MILIARDI è il contrario."
Titolo originale Salt of the Earth
Regia di Herbert J. Biberman
Con Rosaura Revueltas, Will Geer, David Wolfe, Mervin Williams
Titolo originale Lettre de Sibérie
Regia di Chris Marker
consigliato da ALAIN RESNAIS
"Parlare di Chris Marker non è affatto comodo perché è un amico, uno molto grande. (...) Se riesco a dimenticare che è un amico, mi sembra un personaggio affascinante, a mia conoscenza unico al mondo. Non conosco nessuno che possa avere al tempo stesso questo senso dei problemi politici contemporanei, questo gusto del bello, questa specie di gioia davanti alla cultura e all'arte, questo senso dell'umorismo. E che riesca quando fa un film a non separarsi da nessuna di queste tendenze. (...) Credo che sia tempo di studiare l'opera di Marker e la sua influenza sul cinema francese e sulla televisione. Ha riallacciato i rapporti con una tradizione dimenticata, e per lui la colonna sonora non è affatto un parente povero del cinema. Ci sono delle idee preconcette che sono dure a morire: una buona musica da film non la si deve sentire; un buon commento deve passare inosservato. Evidentemente io preferisco un commento che passa inosservato a un commento importuno, estremista, ridicolo, breve, insomma a un cattivo commento. Ma non si vede perché, col pretesto che si è in una sala cinematografica, non si abbia il diritto di dare importanza al testo. (...) Recentemente sono stato colpito, nel corso di una trasmissione televisiva, dal constatare che in ogni commento c'era molto nettamente un lato Marker, e perfino questa sua maniera di incastrare la cadenza del commento e la cadenza del montaggio. D'altra parte all'atto pratico i testi di Marker non possono fare a meno delle immagini: c'è una sorta d'interazione tra le emozioni fornite dalla plasticità dell'immagine e quelle donate dal ritmo, il bilanciamento del testo. È sotto questo aspetto, aspetto completamente appassionante, che Marker apporta qualcosa di nuovo e che non è solamente un signore che deposita un commento su delle immagini. Da principio la gente è stata colpita soprattutto dal suo lirismo, dalla sua cultura, senza rendersi conto di questa saldatura perfetta. Tutto questo ora è entrato nel costume." ~ Alain Resnais (da "Image et son", giugno 1963)
Titolo originale Okaasan
Regia di Mikio Naruse
Con Kinuyo Tanaka, Kyôko Kagawa, Eiji Okada, Akihiko Katayama, Daisuke Katô
Titolo originale South Pacific
Regia di Joshua Logan
Con Rossano Brazzi, Mitzi Gaynor, John Kerr, Ray Walston, Juanita Hall
Titolo originale La dénonciation
Regia di Jacques Doniol-Valcroze
Con Maurice Ronet, Françoise Brion, Nicole Berger, Sacha Pitoeff
consigliato da ALAIN RESNAIS
"Jacques Doniol-Valcroze aveva cominciato ad occuparsi di cinema nel 1946, quando divenne segretario di redazione di Cinémonde. A quegli anni risale l' incontro con Jean Cocteau, che avrebbe influenzato la sua poetica e molte sue scelte. Tra gli scritti raccolti nel catalogo, che l' ultima Mostra del Cinema di Venezia ha dedicato a Cocteau, ce n' è anche uno di Doniol-Valcroze che, tra l' altro, ricorda: «E' ... verso il 1948 che noi noi giovani che stavamo gettando, con Bazin in testa, le basi dei Cahiers cominciammo a frequentare Jean Cocteau. Con Robert Bresson e Roger Leenhardt, egli accettò di patrocinare il Cineclub Objectif 49 (primo nucleo della Nouvelle Vague) e fu su sua idea e con il suo aiuto che organizzammo, a Biarritz, il Festival du Film Maudit nel 1950. I rapporti con lui furono sempre facili e noi provammo subito nei suoi confronti una grande ammirazione e una profonda amicizia....» Al gruppo della Nouvelle Vague, di cui è ritenuto uno dei fondatori, Doniol-Valcroze rimase legato per anni. Con Jean Cocteau, nel 1950, fece una breve esperienza di attore in Orfeo. Esperienza che avrebbe ripetuto in seguito, offrendo buone interpretazioni, generalmente ricche di humour, come in La dolce età di Pierre Kast o L' immortale di Alain Robbe Grillet del 1963, di cui fu addirittura protagonista. L' esordio come regista fu nel 1955 con alcuni cortometraggi e del 1959 è il suo primo film-fiction, Le gattine, girato in un castello barocco, un' analisi di sentimenti realizzata con molta delicatezza. E' anche il film che viene considerato il più riuscito. Tra gli altri titoli del suo cinema figurano La spiata (1962), La casa dei Bories (1971), L' uomo del cervello trapiantato (1971), La donna fatale (1974)." ~ (la Repubblica.it)
Titolo originale Moi, un noir
Regia di Jean Rouch
Con Oumarou Ganda, Petit Touré, Alassane Maiga, Amadou Demba
consigliato da ALAIN RESNAIS
Jean-Luc Godard su MOI, UN NOIR (da "Arts", marzo 1959): "Tutto è chiaro ora. Fidarsi del caso significa sentire le voci. Come la Giovanna d'altri tempi, il nostro amico Jean se n'è andato, con una cinepresa, per salvare se non la Francia, per lo meno il cinema francese. Una porta aperta su un cinema nuovo, dice il manifesto di MOI, UN NOIR. Come ha ragione. Rouch è importante quanto Stanislawsky perché, per il solo fatto che il cinema esiste, lui ha già come punto di partenza quello che il regista russo cercava come punto d'arrivo. Più importante anche di Pirandello, perché spontaneamente ambizioso, e non spontaneo per calcolo, come il Visconti di LA TERRA TREMA. Certo, MOI, UN NOIR è ancora lontano dal valere INDIA '58 (di Rossellini). C'è un lato burlone in Jean Rouch che nuoce un po' al suo proposito. Non che gli abitanti di Treichville non abbiano il diritto di infischiarsene di tutto, ma c'è una certa facilità ad accontentarsene. Un giocherellone può come chiunque altro approfondire le questioni, ma questo non deve impedirgli di essere severo con se stesso. Sono rimproveri del genere che bisogna fare a Jean Rouch, ma nient'altro. E lui del resto lo sa bene. Sa che i suoi grandi film cominciano a non essere più paragonabili con i piccoli reportages puramente etnologici. Sa che uscendo dalla sua crisalide d'artigiano, è diventato un artista."
Titolo originale La tête contre les murs
Regia di Georges Franju
Con Jean-Pierre Mocky, Charles Aznavour, Anouk Aimée, Paul Meurisse, Pierre Brasseur
Regia di Augusto Genina
Con Louise Brooks, Georges Charlia, Augusto Bandini, André Nicolle
consigliato da ALAIN RESNAIS
"Ho per Buñuel la più grande ammirazione. La prima volta che vidi UN CHIEN ANDALOU e L'AGE D'OR ebbi un autentico shock, come per L'ORGOGLIO DEGLI AMBERSON di Welles o LA FINE DI SAN PIETROBURGO di Pudovkin (le citazioni potrebbero moltiplicarsi). Tra i cinquanta e più maestri che ho sempre ammirato, Welles e Buñuel vanno a braccetto con Cocteau, Renoir, Antonioni, Fellini e tanti altri... Senza dimenticare UMBERTO D. di De Sica e MISS EUROPA di Augusto Genina, un film pre-neorealista girato per le vie di Parigi nel 1931 che mi fece un'impressione enorme." ~ Alain Resnais
Titolo originale L'enclos
Regia di Armand Gatti
Con Herbert Wochinz, Jean Negroni, Hans Christian Blech, Jean-Marie Serreau, Slavko Belak
consigliato da ALAIN RESNAIS
+ Non presenti nel database di FilmTV.it:
EL TORERO (Renè Wheeler, 1954, Francia/Spagna) Contro l'opinione del suo manager, il famoso torero Mario Montes, idolo di tutti i tifosi, si impegna a fare una corrida con dei tori a cui non siano state limate le corna. Uno dei suoi protetti, il matador Miguel Murillo, che lo odia intensamente, organizza una trappola da cui spera che non esca vivo. Per portare a termine il suo piano conta su un toro allenato, sul manager e su Geneviève, una francese che si disputa il suo amore con María Cristina, padrona di un allevamento di tori da combattimento. — EL TORERO è uno dei soli tre film che Wheeler diresse. Wheeler collaborò anche alla sceneggiatura di RIFIFÌ e a quella di PELLE DI DONNA di Autant-Lara. A metà anni '60 alcuni suoi film figurarono nelle liste dei migliori film dell'anno per i Cahiers du Cinéma. ~ (FILMAFFINITY)
PREHISTORIC WOMEN (Gregg Tallas, 1950, USA) Tigri fa parte di una tribù di sole donne dell'età della pietra. Le cavernicole odiano gli uomini ma le sagge anziane del gruppo dispongono che le giovani vadano a caccia di mariti per riprodursi e poter così dare un futuro alla tribù. In una sessione di caccia le donne s'imbattono in 4 cavernicoli montanari e li catturano. Tra di loro c'è Engor che, più furbo degli altri uomini, fugge, scopre il fuoco e dà prova di sè affrontando enormi dinosauri. Seguirà uno scontro di volontà per determinare qual è il sesso dominante. ~ (www.bmoviecentral.com)
DER UNTERTAN / IL LACCHÈ DEL KAISER (Wolfgang Staudte, 1951, Germania Est) Diederich Heßling ha paura di tutto e tutti. Ma crescendo arriva a capire che deve offrire i suoi servigi all'autorità costituita se vuole esercitare potere lui stesso. Il suo motto ora recita: inchinati a chi sta sopra e calpesta chi sta sotto. In questo modo il successo gli arride sempre: sia come studente in una confraternita dedita ai duelli, che come businessman in una fabbrica di carta. Tra le altre nefandezze lusinga l'obeso presidente del distretto amministrativo Von Wulkow e ne conquista il favore, diffama i rivali in affari ed escogita un complotto con i socialdemocratici nel consiglio comunale. Durante la sua luna di miele con la ricca moglie Guste, finalmente trova l'occasione per fare un favore all'amato Kaiser. E quando un monumento al Kaiser Guglielmo viene svelato davanti ai dignitari della sua città, Diederich pronuncia un discorso in cui dichiara che la Germania non può prosperare in pace, ma può solamente raggiungere la gloria sul campo di battaglia. Si scatena un temporale che disperde i presenti, ma lui continua il discorso agitando il pugno al cielo. Mentre si inchina davanti alla statua prima di andarsene si sente la musica di sottofondo cambiare, le immagini si annebbiano e la statua ricompare tra le rovine della città, distrutta dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. — Tratto dall'omonimo romanzo satirico del 1918 di Heinrich Mann, che per il suo attacco al conservatorismo guglielmino incontrava il favore del Partito Socialista della Germania Est (tanto che veniva studiato a scuola e considerato vitale dall'establishment per la rieducazione della popolazione). Nel realizzarlo Staudte fu quasi completamente esentato dall'interferenza della censura di stato: l'importanza del film era tale che non fu toccato dalla campagna Anti-formalista iniziata in quegli anni nella DDR. Nel 1995 un team di giornalisti e accademici nominato dalla Deutsche Kinemathek incluse il film tra i 100 più importanti nella storia della Germania. ~ (Wikipedia)
LA CASA DEL ÁNGEL (Leopoldo Torre Nilsson, 1956, Argentina) Proiettato al festival di Cannes del 1957, è il film che ha fatto di Torre Nilsson una star dei film d'arte. Basato su un romanzo della moglie (e abituale sceneggiatrice) Beatriz Guido, LA CASA DEL ANGEL si concentra sulla classe dirigente argentina degli anni '20, una società profondamente repressiva dove i litigi politici venivano spesso appianati da duelli, e le giovani donne ci si aspettava che fossero totalmente ignoranti riguardo al sesso. Con cupi, espressionisti angoli di ripresa che hanno scomodato paragoni con Orson Welles, Torre Nilsson racconta la sua storia di ipocrisia politica e scoperta sessuale tramite gli occhi di una bellissima adolescente segregata (la sua “musa” Elsa Daniel) la cui perdita dell'innocenza è resa in straordinarie immagini di luce e ombra. "In La casa del ángel c’è una critica al liberalismo, alla decadenza della borghesia, agli intrighi politici" ricorda il regista. "Nessun dubbio sul fatto che è in un certo modo la mia pellicola fondamentale, o professionalmente fondamentale, quella dell’incontro con l’immaginazione letteraria di Beatriz e anche con una tematica di mia particolare preferenza, con la possibilità di approfondimento sugli esseri umani, sull’incomunicabilità, sui pregiudizi di una società popolata di tabù, controllata da chiusi concetti religiosi. A questo tendeva la mia opera cinematografica sin dall’inizio". ~ (rarefilmm.com + cinelatinotrieste.org)
THE FORTY-FIRST (Grigori Chukhrai, 1956, URSS) Nel 1919, durante la Guerra Civile Russa, alcuni soldati dell'Armata Rossa dopo una sconfitta sono forzati dai Bianchi a fuggire nel Deserto del Karakum (Turkmenistan). Tra di loro c'è Maria, cecchino che può vantare già 38 nemici abbattuti. Quando l'unità sorprende un caravan di cammelli che trasporta soldati Bianchi, Maria ne uccide due ma manca il loro ufficiale (il quarantunesimo = the forty-first). L'uomo è un luogotenente di nome Otrok e porta delle informazioni per degli alti generali. Maria è incaricata di sorvegliarlo. Otrok è un aristocratico beneducato ed è sia divertito che impressionato dai rozzi tentativi di Maria, figlia orfana di un pescatore, di comporre poesie “Agitprop”. Quando i cammelli vengono rubati, il comandante decide di portare il prigioniero al quartier generale in Kazalinsk attraversando il lago d'Aral. Un'improvvisa tempesta ribalta la loro barca, si salvano solo Maria e Otrok, naufraghi su un'isola deserta. Maria si prende cura di Otrok quando prende la febbre e i due finiscono per innamorarsi dimenticandosi della guerra. Fino al giorno in cui una barca si avvicina all'isola. — Prima regia di Chukhrai, tratta dall'omonima opera di Boris Lavrenyov. Nonostante l'inappropriata storia d'amore tra Rossi e Bianchi lo script venne approvato dalla Mosfilm (dopo sei revisioni) grazie all'appoggio degli eminenti registi Ivan Pyryev e Mikhail Romm. Il film fu visto da 25.1 milioni di Sovietici. Al Festival di Cannes 1957 vinse il Premio Speciale della Giuria e fu nominato per la Palma d'Oro. ~ (Wikipedia)
LA MORTE — SAISON DES AMOURS (Pierre Kast, 1961, Francia) Sylvain (Pierre Vaneck) e Geneviève (Françoise Arnoul) sono giovani sofisticati che vivono in campagna tra le rovine di una delle città non terminate da Louis XV. Sylvain era visto in passato come un promettente scrittore in virtù del suo primo libro, ma da allora non ha più scritto nulla. Geneviève ha avuto molte relazioni e ora che si è sistemata con Sylvain, si annoia e soffre per le poche attenzioni del marito. Quando Jacques (Daniel Gélin), un politico locale, s'innamora di Geneviève, lei si sorprende a contraccambiare l'affetto; inoltre Sylvain è momentaneamente attratto da Françoise (Françoise Prévost), la moglie di Jacques. Geneviève rimprovera a Sylvain l'immaturità e la mancanza di ambizione e in seguito a un litigio decide di lasciarlo e di tornare a Parigi con Jacques, il quale è contento di disfarsi sia della carriera politica che della moglie frigida. Mentre si preparano per partire Geneviève si rende però conto che Sylvain è totalmente indifeso senza di lei, anche se lei ha comunque bisogno del più maturo Jacques. — Pierre Kast è stato un regista cinematografico e sceneggiatore francese che fu anche redattore e critico sulle riviste “La revue du cinéma” e i “Cahiers du cinéma”. Kast condivise i canoni estetici della Nouvelle vague che applicò nella regia di alcuni cortometraggi di valore tra i quali nel 1949, in collaborazione con Jean Grémillon, LES CHARMES DE L'EXISTENCE (I piaceri della vita), che vinse il Gran premio del cortometraggio alla Mostra del cinema di Venezia. I suoi successivi film, incentrati sui temi dell'amore, si distinguono per la descrizione analitica delle caratteristiche psicologiche dei personaggi e per una originale visione di fondo ispirata ai moralisti e libertini francesi. ~ (TCM.com + fandor.com + Wikipedia)
LA PROIE POUR L'OMBRE (Alexandre Astruc, 1961, Francia) Anna (Annie Girardot) ha 27 anni ed è sposata con Eric (Daniel Gélin), un architetto. I due formano una coppia moderna che ha però col tempo perso il fuoco della passione. Anna sogna la libertà e rimprovera al marito di soffocarla. Al fine di riguadagnare indipendenza assume la direzione di una galleria d'arte e fa in seguito la conoscenza di Bruno (Christian Marquand), direttore artistico di una casa discografica. Allontanatasi da Eric, Anna diventa l'amante di Bruno, che crede di amare appassionatamente. Dopo un'accesa spiegazione Anna lascia il marito e inizia a vivere con l'amante. Ma non tarda a smontarsi, accorgendosi che anche Bruno la tratta da donna oggetto. Vorrebbe allora tornare con Eric... — La sceneggiatura originale fu scritta da Astruc, Claude Brulé e Françoise Sagan. Terzo film (dopo LES MAUVAISES RENCONTRES e UNA VITA – IL DRAMMA DI UNA SPOSA) di un trittico sulle differenze psicologiche e sociali tra i sessi nel mondo moderno. ~ (telerama.fr + Wikipedia)
LES HONNEURS DE LA GUERRE (Jean Dewever, 1961, Francia) Nell'agosto del 1944, una ventina di soldati tedeschi in ritirata occupa il villaggio di Nanteuil mentre i suoi abitanti stanno festeggiando prematuramente la liberazione. Terrorizzata, la popolazione si rifugia in chiesa. Alcuni abitanti di Muzière, un villaggio vicino, organizzano una spedizione di soccorso. Nel frattempo i tedeschi, stanchi e privi di un capo, stabiliscono una tregua e negoziano la resa. Ma l'arrivo di un capitano della Wehrmacht, ansioso di riprendere il comando degli uomini, mette fine al processo di pace. Il capitano propone di andare incontro agli americani per arrendersi a delle truppe regolari piuttosto che a dei civili. Gli abitanti di Muzière, per un malinteso, credono interrotta la tregua e sparano ai tedeschi scatenando il conflitto a fuoco. — Il film fu lodato dalla critica nel suo complesso e in particolare da Truffaut, Resnais e anche da Renoir, ma i distributori e i proprietari di sale cinematografiche si opposero per 18 mesi alla proiezione credendo di vederci un attacco ai sentimenti patriottici e alla resistenza (nonostante la censura ufficiale non fosse intervenuta). A seguito di diverse campagne stampa a cui parteciparono registi quali Astruc, Chabrol, Colpi, Daquin, Demy, Kast, Varda, etc...il film potè essere proiettato (ma in una sola sala, a Parigi, per sole 3 settimane e in pieno luglio). Divenne poi quasi invisibile fino alla sua trasmissione in TV nel 1970 e al suo ritorno in sala nel 1988 e nel 2006. Dewever era stato aiuto-regista per Jacques Becker e Marcel L'Herbier, da regista per il cinema realizzò solo due lungometraggi (l'altro è LES JAMBES EN L'AIR, notevole il titolo italiano: WEEKEND PROIBITO DI UNA FAMIGLIA QUASI PER BENE). In seguito lavorò a telefilm e documentari per la televisione. ~ (chaussin.pierre.perso.sfr.fr + Wikipedia + critikat.com); "In pieno gaullismo trionfante, e in grande anticipo su LE CHAGRIN ET LA PITIÉ, un cineasta francese osò affrontare la riscrittura ufficiale della Storia e mostrò la Resistenza come una reazione tardiva, aleatoria e minoritaria. Coniugando sensualismo “renoiriano” e umanesimo da battaglia, Dewever denunciò tutta l'assurdità di una guerra che fu prolungata per non aver osato iniziarla a tempo debito." ~ (Les Inrockuptibles, 26 maggio 1999)
LISTA COMPLETA di RESNAIS
- Le sang d'un poète (Cocteau) - I Vitelloni (Fellini) - Il selvaggio (Benedek) - Le amanti di Monsieur Ripois (Clément) - Mother (Naruse) - Il cappotto (Lattuada) - Il tesoro dell'Africa (Huston) - Spettacolo di varietà (Minnelli) - La ragazza del secolo (Cukor) - Grisbi (Becker) - El Torero (Wheeler) - Lo sceicco bianco (Fellini) - Johnny Guitar (N. Ray) - La finestra sul cortile (Hitchcock) - Prehistoric Women (Tallas) - La contessa scalza (Mankewiecz) - L'oro di Napoli (De Sica) - La Strada (Fellini) - Les Mauvaises Rencontres (Astruc) - La valle dell'Eden (Kazan) - Sfida a Silver City (Biberman) - Senso (Visconti) - Il Bidone (Fellini) - Gioventù bruciata (N. Ray) - La morte corre sul fiume (Laughton) - Cittadino dello spazio (Newman) - La selva dei dannati (Buñuel) - Prima linea (Aldrich) - Un condannato a morte è fuggito (Bresson) - Der Untertan (Staudte) - È sempre bel tempo (Donen/Kelly) - Le Amiche (Antonioni) - Il ladro (Hitchcock) - La Casa del Angel (Torre Nillson) - Un volto nella folla (Kazan) - The Forty-first (Chukhrai) - Le notti di Cabiria (Fellini) - Estasi di un delitto (Bunuel) - Cenerentola a Parigi (Donen) - Un colpo da due miliardi (Vadim) - L'amore in città (AA. VV.) - Les Amants (Malle) - Il Grido (Antonioni) - Professione reporter (Antonioni) - I dannati di Varsavia (Wajda) -Lettre de Sibérie (Marker) - Le notti bianche (Visconti) - Il giuoco del pigiama (Abbott/Donen) - Sogni di donna (Bergman) - L'infernale Quinlan (Welles) - South Pacific (Logan) - Ugetsu Monogatari (Mizoguchi) - Il posto delle fragole (Bergman) - Moi, un noir – Io, un nero (Rouch) - Pickpocket (Bresson) - I 400 colpi (Truffaut) - Un dollaro d'onore (Hawks) - La tigre di Eschnapur (Lang) - La fossa dei disperati (Franju) - La donna che visse due volte (Hitchcock) - La diabolica invenzione (Zeman) - Description d'un Combat (Marker) - Otto ore al buio (Gatti) - Lola, donna di vita (Demy) - La Morte – Saison des Amours (Kast) - La Notte (Antonioni) - Parigi ci appartiene (Rivette) - La Proie pour l'Ombre (Astruc) - Una vita — Il dramma di una sposa (Astruc) - Ombre (Cassavetes) - L'inverno ti farà tornare (Colpi) - La donna è donna (Godard) - Cleo dalle 5 alle 7 (Varda) - Sfida nell'Alta Sierra (Peckinah) - La spiata (Doniol-Valcroze) - L’Eclisse (Antonioni) - Les Honneurs de la Guerre (Dewever) - Jules e Jim (Truffaut) - La calda amante (Truffaut) - Il processo (Welles) - Vita privata (Malle) - Questa è la mia vita (Godard) - Quelle due (Wyler) - La conversa di Belfort (Bresson) - Quarto potere (Welles) - La regola del gioco (Renoir) - Quadrille (Guitry) - Desiré (Guitry) - Mio padre aveva ragione (Guitry) - Casanova (Fellini) - E la nave va (Fellini) - Miss Europa (Genina) - Umberto D (De Sica) - La fine di San Pietroburgo (Pudovkin) - L'orgoglio degli Amberson (Welles) - L'age d'or (Buñuel) - Un chien andalou (Buñuel)
Fonti: Cahiers du Cinéma (1954/1962); http://jdcopp.blogspot.it/2006/11/alain-resnais-cahiers-du-cinema-10-best; "I film di Alain Resnais" di Flavio Vergerio; "Alain Resnais, l'avventura dei linguaggi" a cura di Roberto Zemignan; "Alain Resnais" ed. Il Castoro;
"Il momento delle riprese è l'unico in cui ci si può lasciare andare alla fantasia e alla casualità. Non sono un regista intellettuale, giro in maniera istintiva, gioco... Ho sempre giocato con i miei film come si gioca a dadi. E mi piace innovare, mescolare i generi, tentare delle cose che al cinema non si vedono, o si vedono solo raramente. (...) “Cineasta filosofo” è un appellativo che mi fa paura, perché presuppone che io rifletta molto. No, io sono un “bricoleur” del cinema. È stato spesso detto che giocavo con il cinema come in altri tempi si giocava con il Meccano. (...) Non mi considero nè un intellettuale nè un creatore: le storie che scrivo sono scritte da altri, e cerco sempre dei soggettisti e degli sceneggiatori diversi proprio per non ripetermi. Mi lascio condurre dalle emozioni, quelle che mi comunicano i personaggi (e i loro shock emotivi) e quelle che vorrei suscitare nello spettatore." ~ Alain Resnais
"Sono nato montatore. Debbo molto al libro di Karel Reisz, “The Technique of Film Editing”. Cerco di fare in modo che la costruzione di un film si crei continuamente su un piano emozionale. Spero in questo di non essere troppo lontano dalla scrittura automatica dei surrealisti." ~ Alain Resnais
Su Truffaut: "Con Truffaut ci siamo visti più volte negli anni '50; avremmo anche potuto essere molto amici, in parte lo siamo stati, ma all'epoca Truffaut mi intimidiva molto (ricordate le sue polemiche contro il “cinema di papà”?) e avevo paura di non essere all'altezza. Ricordo che una volta François mi disse: «Vorrei scrivere una sceneggiatura per lei!». Rimasi molto sorpreso da questa proposta esaltante. La passione di Truffaut per il cinema mi affascinava, divoravo i suoi articoli, ma non ero d'accordo su certe sue stroncature. La virulenza e l'ingiustizia di certi suoi punti di vista all'epoca erano cose a cui non potevo associarmi, non erano nel mio stile. Quando poi si è messo a dirigere dei film ha cambiato evidentemente opinione, e ha avuto l'onestà di confessarlo. Discutendo, una volta François mi rimproverò di essere un perfezionista: «Lei ama solo i film che sono perfetti da tutti i punti di vista, io invece mi preoccupo delle imperfezioni!» Gli feci notare che entrmbi amavamo molto Sacha Guitry, i cui film non sono certo perfetti. (...) I film di Truffaut che preferisco sono forse JULES E JIM e LA CALDA AMANTE: montaggio, recitazione, dialoghi, immagini, ritmo, tutto è straordinario." ~ Alain Resnais
Su Fellini: "Dopo aver visto LA STRADA decisi di andare a rendere visita a Fellini a Roma. All'epoca ero un illustre sconosciuto, ma Fellini mi accolse con un calore straordinario, per un intero pomeriggio parlammo di fumetti. Fellini non riusciva a capacitarsi di come un bretone come me potesse conoscere così bene l'illustratore Giove Poppi, che era stato un suo maestro. (...) Adoro il suono della vostra lingua, che ho imparato un po' da ragazzo leggendo in italiano i fumetti dell'editore fiorentino Nerbini: l'Avventuroso, Flash Gordon, Mandrake... Grazie ai fumetti ho cominciato a conoscere il nome di Fellini, che lavorava come disegnatore per Nerbini. Ero talmente appassionato di fumetti che per otto anni fui abbonato alla Gazzetta Del Popolo di Torino, era l' unico giornale che all'epoca pubblicava le avventure di Mandrake! Sono ancora iscritto all'Associazione romana degli Amici del Fumetto. (...) Fellini è un autentico creatore di immagini. Sono molto rari i cineasti che abbiano una tale concezione dell'immagine e dello spettacolo. CASANOVA per esempio è davvero impressionante a livello visivo, per l'atmosfera fantastica che riesce a creare, è il trionfo del cinema-immagine, immagini allo stato puro: la grande testa che emerge dalla laguna all'inizio e subito dopo vi ripiomba, il ballo finale con la bambola meccanica..." ~ Alain Resnais
Su Antonioni: "Antonioni mi colpì sin dai primi film, in particolare con LA SIGNORA SENZA CAMELIE, la sua terza opera, più ancora che con CRONACA DI UN AMORE. (...) Mi sento talmente un dilettante davanti ad Antonioni! Rivedere i film di Antonioni è una straordinaria lezione per un cineasta. Alla fine della proiezione di L'ECLISSE e di PROFESSIONE REPORTER mi emozionai al punto che per un quarto d'ora non riuscii più a muovermi. Antonioni mi ha comunicato la passione, l'ossessione per l'immagine: c'è qualcosa di ossessivo nelle sue immagini, le “compone” con una cura straordinaria che mi ricorda certi pittori ferraresi come Cosmè Tura e Francesco del Cossa. Le sue immagini sono al tempo stesso molto ricercate ed essenziali. Più che un maestro dell'astrazione lo vedo come un artista figurativo, perché fa sempre percepire con molta precisione dove ci troviamo. Antonioni non è un filosofo, è un autentico poeta. Insieme alla maestria formale dei suoi film, mi colpisce soprattutto l'intensa emozione che comunicano. Si è detto a volte che i suoi film sono di ghiaccio: ma è un ghiaccio che brucia, eccome!" ~ Alain Resnais
Su Feuillade: "I film di Feuillade sono come dei sogni. Se non se ne prende nota subito al risveglio, è impossibile ricordarsene in seguito. Il cinema di Feuillade è al tempo stesso prossimo al sogno e di un realismo totale." ~ Alain Resnais
Su LA REGOLA DEL GIOCO di Renoir: "...uno choc emotivo così violento prende senza dubbio origine dal montaggio del film, nella maniera con cui sono stati orchestrati i movimenti dei personaggi da un'inquadratura all'altra, giustificando la frase chiave del film, che mi aveva tanto colpito: «Ciascuno ha le sue ragioni» " ~ Alain Resnais
"Sono stato molto segnato nella mia adolescenza dalla scoperta del surrealismo, dalla scrittura automatica, dalle leggi dell'inconscio. Quando avevo sedici anni, tutto ciò mi ha molto scosso; ho letto i testi di Breton e d'Aragon. Questo non basta evidentemente per dire che faccio dei film surrealisti, ma quell'esperienza mi ha senza dubbio portato a lasciare che il caso organizzi i miei film. Non cerco mai di metterci un simbolo, ma se mi accorgo, al montaggio, che un'immagine è divenuta simbolica, dal momento che c'è, la lascio. Mai mi porrò il problema di come simbolizzare qualcosa, lascio che l'immagine arrivi da sola. Se essa resta due giorni nella mia testa, non cerco di spiegarmela, la metto nel film e faccio i conti con essa, la chiarisco in seguito." ~ Alain Resnais
INTERVISTATORE: "Qualcuno l'ha attaccata (Godard) a proposito della prima inquadratura di HIROSHIMA MON AMOUR, dicendo che era “amorale” mettere in rapporto immagini di corpi bruciati dalla bomba e dei corpi degli amanti…"
ALAIN RESNAIS: "In effetti è scandaloso. Ma è venuto così: il proposito era l'associazione d'idee. La pelle che dà il massimo del piacere e il massimo del dolore. È vero che sia nell'amore che nella tortura o nella sofferenza, è il corpo che reagisce; è il corpo l'elemento comune fra queste due situazioni, ed è tremendo riflettere su ciò. Forse volevamo far riflettere su come l'uomo possa essere irrazionale al punto di non riservare il proprio corpo al piacere e come possa infliggere la tortura al corpo degli altri. Questo continua a stupirmi!"
"Se non si dimentica, non si può nè vivere nè agire. Il problema si è posto per me quando ho fatto NOTTE E NEBBIA; non si trattava di fare un monumento in più ai meriti, ma di pensare al presente e al futuro. L'oblio deve essere costruzione. È necessario sul piano individuale come sul piano collettivo. La disperazione è l'inazione, il ripiegamento su di sé. Il pericolo è fermarsi. Per HIROSHIMA invece non si trattava di fare un monumento ai morti. Laggiù, più che altrove, è importante vivere. Dappertutto si sente la presenza della morte. Per reazione si prova un violento desiderio di vivere, una volontà di sensazioni immediate. Questo può spiegare un certo bisogno di liberazione sessuale." ~ Alain Resnais
"Quando faccio un film penso più alla struttura del film che alla storia. I personaggi ci sono per darmi delle velocità differenti e un certo senso delle prospettive. Mi piace che il cinema passi da un angolo all'altro attraverso una specie di deriva, di scivolamento, come se si cadesse in un altro punto di vista." ~ Alain Resnais
"Credo che se si definisse il film con un diagramma eseguito su una carta millimetrata, si arriverebbe a scoprire una forma vicina alla forma sonora del quartetto: temi, variazioni a partire dal primo movimento, di qui le ripetizioni, i ritorni, che possono essere insopportabili per quelli che non entrano nel gioco del film. L'ultimo movimento, in particolare, è un movimento lento, sconcertante. C'è un decrescendo. Questo attribuisce al film una costruzione a triangolo, a imbuto... Evidentemente è una costruzione pericolosa..." ~ Alain Resnais
Su L'ANNO SCORSO A MARIENBAD: "Ho sempre avuto l'impressione di fare film realisti. In MARIENBAD la camera era nella testa dei personaggi. In MURIEL, attorno alla loro testa. Ne LA GUERRA È FINITA ho voluto che la camera fosse insieme dentro e attorno. (...) Il mondo è vero per tutti, differente per ciascuno, dice più o meno Marcel Proust. È quello che rende così difficile la comunicazione tra gli esseri umani. L'immaginario li colloca ad ogni istante su una lunghezza d'onda differente. (...) Si può descrivere l'angoscia dall'esterno. Ma c'è la vita mentale. Io ho amato molto LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE di Hitchcock. Filmare quello che succede nella testa non è soggettivismo, è un altro realismo. Lei è qui, beve il tè. Ma nello stesso tempo varie cose passano nella sua testa. Ognuno vive nei propri fantasmi. (...) Desidererei che lo spettatore si lasciasse andare e partecipasse, creando continuamente la propria interpretazione. Il film è fatto al 50% da quello che si mostra sullo schermo e per il resto dalle reazioni e dalla partecipazione dello spettatore. MARIENBAD è un film aperto, che impone ad ognuno un impegno, una scelta. Se mi si parla di gratuità soggettiva, dirò al contrario che noi abbiamo voluto toccare un pubblico immenso. (…) MARIENBAD è un film che si pone interamente sul piano delle apparenze. Tutto è equivoco. Di una scena non si può dire che si svolge oggi, ieri, o un anno fa: di un pensiero se appartiene a questo o quel personaggio. Realtà e sentimenti, tutto è rimesso in discussione, quello che è sognato e quello che non lo è. (...) Poiché si tratta di un film che tenta di esplorare l'inconscio, abbiamo preferito adottare uno stile e una recitazione estremamente intenzionali, esibiti, che ricordano, in un certo modo, la lirica. C'è in MARIENBAD una struttura da poema musicale, un valore incantatorio del testo che si ripete, un tono di recitativo che corrisponde all'opera lirica. In ogni istante si ha l'impressione che i personaggi possano smettere di parlare e continuare la loro parte cantando. Vorrei fare film che fossero guardati come una scultura e ascoltati come un'opera. (...) Inoltre, dato il clima onirico, era necessario costruire una messa in scena che indicasse soltanto l'essenziale, un po' come nei quadri di Giotto, in cui una pietra smisuratamente grossa diventa una montagna, e una foglia d'albero ingrandita una foresta." ~ Alain Resnais
Titolo originale Shin heike monogatari
Regia di Kenji Mizoguchi
Con Narutoshi Hayashi, Raizô Ichikawa, Tatsuya Ishiguro, Michiyo Kogure, Yoshiko Kuga
consigliato da JACQUES RIVETTE
"Come parlare di Mizoguchi senza cadere in una doppia trappola (il gergo dello specialista o quello dell'umanista)? Forse questi film sgorgano dalla tradizione o dallo spirito del Noh o del Kabuki ma allora chi ci insegnerà il loro profondo significato, e non sarebbe come spiegare il non conosciuto attraverso il non conoscibile? È innegabile che l'arte di Mizoguchi si fondi sull'azione del genio personale all'interno della cornice di una tradizione drammatica; ma ci porta da qualche parte il desiderio di approcciarlo nei termini della cultura nazionale e il volerci trovare, aldilà di tutto, certi grandi valori universali? Il fatto che gli uomini sono uomini ad ogni latitudine è qualcosa di piuttosto prevedibile; esserne sorpresi ci insegna qualcosa solamente su noi stessi. Eppure questi film – che in una lingua sconosciuta ci raccontano storie completamente estranee ai nostri costumi e ai nostri modi di vivere – questi film ci parlano veramente in un linguaggio familiare. Quale linguaggio? L'unico su cui, tutto considerato, un filmmaker dovrebbe avanzare diritti: quello della messa-in-scena. In fondo gli artisti moderni non hanno scoperto i feticci africani attraverso una conversione agli idoli, ma perché quegli insoliti oggetti li hanno colpiti come sculture. Se la musica è un idioma universale, altrettanto si può dire della messa-in-scena: è questo linguaggio, e non il giapponese, che bisogna imparare per comprendere Mizoguchi. Un linguaggio comune, ma qui portato a un livello di purezza che solo raramente il nostro cinema occidentale ha conosciuto. (...) È sufficiente paragonare i film di samurai di Kurosawa con i film storici di Mizoguchi, dove si cercherebbe invano ogni traccia di duello o il più piccolo grugnito (le "pittoresche" qualità che hanno determinato il facile successo de I SETTE SAMURAI, del quale possiamo ora chiederci a ragione se mirasse espressamente al mercato d'esportazione), e dove un acuto senso del passato è raggiunto coi mezzi di una sconcertante e quasi Rosselliniana semplicità. Basta coi paragoni: il piccolo gioco Kurosawa-Mizoguchi è finito. Lasciamo che gli ultimi campioni di Kurosawa si ritirino dal match; si può solo paragonare ciò che è paragonabile e di pari ambizioni. Soltanto Mizoguchi impone il senso di un linguaggio e di un mondo specifici, tenuti a rispondere solo a lui. Mizoguchi ci affascina perché da principio non fa alcuno sforzo per affascinarci e non fa alcuna concessione allo spettatore. Unico, sembra, tra tutti i filmmakers giapponesi a restare all'interno della tradizione (Yang Kwei-Fei è parte del repertorio nazionale alla stessa maniera del nostro Cid), è anche l'unico che può avanzare pretese di vera universalità, che è quella del singolo individuo. Il suo mondo è quello dell'irrimediabile; ma in esso il destino non è al tempo stesso fato: nè il Fato nè le Furie. Nessuna accettazione remissiva, piuttosto la strada per la riconciliazione; qual'è l'importanza delle storie dei dieci film che oggi conosciamo? Tutto in loro si svolge in quel tempo puro che è l'eterno presente: lì il passato e il futuro spesso uniscono le loro acque, la stessa identica meditazione sulla durata li attraversa tutti quanti; tutti scorrono con la calma delizia di chi ha conquistato gli illusori fenomeni delle prospettive. L'unica suspense è quella irrefrenabile linea che sale verso un certo livello di estasi, la “corrispondenza” di quelle note finali, quelle armonie sospese senza fine che non risolvono chiudendo il cerchio, ma spirano col respiro del musicista. Alla fine tutto coincide nella ricerca di un luogo centrale dove le apparenze e quello che chiamiamo “natura” (o vergogna, o morte), sono riconciliate con l'uomo – una ricerca affine a quelle dell'Alto Romanticismo tedesco, a quella di un Rilke, di un Eliot; e che è anche quella della cinepresa: sempre posizionata nel punto esatto così che il più lieve spostamento piega tutte le linee spaziali, e capovolge la faccia segreta del mondo e dei suoi dei. Un'arte della modulazione." ~ ("Mizoguchi vu d’ici" by Jacques Rivette, Cahiers du Cinema)
Titolo originale Happy Together
Regia di Wong Kar-wai
Con Leslie Cheung, Tony Leung Chiu Wai, Chang Chen, Gregory Dayton
consigliato da JACQUES RIVETTE
"HAPPY TOGETHER lo amo davvero molto. Ma credo ancora che i più grandi registi asiatici siano i giapponesi, nonostante l'inflazione critica dell'Asia in generale e dei registi cinesi in particolare. Penso che siano abili e ingegnosi, forse un po' troppo abili e un po' troppo ingegnosi. Per esempio, Hou Hsiao-hsien mi irrita veramente, anche se mi sono piaciuti i primi due suoi film che sono apparsi a Parigi. Trovo il suo lavoro completamente prefabbricato e piuttosto sgradevole, ma molto politicamente corretto. L'ultimo (GOODBYE SOUTH, GOODBYE) è così sistematico che in qualche modo diventa di nuovo interessante ma anche così credo che sia una specie di trucco. Hou Hsiao-hsien e James Cameron, stesso problema. Mentre con Wong Kar-wai, ho avuto i miei alti e bassi, ma trovo HAPPY TOGETHER incredibilmente toccante. In quel film, è un grande regista, e prende dei rischi. HONG KONG EXPRESS è stato il suo più grande successo, ma quello era un film fatto in una pausa durante le riprese (di ASHES OF TIME), e piuttosto minore. Ma è sempre così. Prendi Jane Campion: LEZIONI DI PIANO è il peggiore dei suoi quattro film, mentre RITRATTO DI SIGNORA è magnifico e tutti ci hanno sputato sopra. Stessa cosa con Kitano: HANA-BI è il meno buono dei suoi tre film usciti in Francia. Ma queste sono le regole del gioco. Dopo tutto, Renoir ha avuto il suo più grande successo con LA GRANDE ILLUSIONE." ~ Jacques Rivette
Titolo originale Povest plamennykh let
Regia di Yuliya Solntseva
Con Boris Andreyev, Antonina Bogdanova, Evgeniy Bondarenko, Vera Kapustina, Zinaida Kirienko
Titolo originale De man die zijn haar kort liet knippen
Regia di André Delvaux
Con Senne Rouffaer, Beata Tyszkiewicz, Hector Camerlynck, Hilde Uitterlinden
Titolo originale The Woman on the Beach
Regia di Jean Renoir
Con Joan Bennett, Robert Ryan, Charles Bickford
consigliato da JACQUES RIVETTE
"Il primo di una trilogia di grandi capolavori. Per quanto sia mutilato in confronto all'originale, può ancora essere giudicato imparzialmente quanto, mettiamo, GREED di von Stroheim. E se mai c'è stato un regista che, nonostante l'importanza che attribuisca alla composizione, percepisce ogni parte come un microcosmo dell'intero, questo è Renoir. LA DONNA DELLA SPIAGGIA, più di ogni altro lavoro di Renoir, assomiglia a un film fatto da Fritz Lang (e Lang avrebbe presto ricambiato il complimento realizzando LA BESTIA UMANA), ma è vicino a Lang solo in apparenza. La tragedia de LA DONNA DELLA SPIAGGIA non proviene dall'inesorabile movimento di qualche forza del destino, come nei film di Lang, ma al contrario, dalla fissazione e dall'immobilità: ognuno dei tre personaggi è congelato in una falsa immagine di se stesso e del proprio desiderio. Chiuso in un ambiente delimitato da un lato dai ritmici movimenti delle onde, il pittore cieco si è perso nelle sue tele, proprio come Ryan e Joan Bennett si sono persi in un'ossessione puramente sessuale. Il fuoco infrange l'incantesimo e li riporta alla realtà. LA DONNA DELLA SPIAGGIA rappresenta il culmine di quello che potrebbe essere chiamato il secondo apprendistato tecnico di Renoir. Le stravaganze tecniche sono state completamente soppresse. I movimenti di camera, pochi e brevi, trascurano la parte superiore dell'inquadratura in favore di riprese a livello occhi montate per continuità orizzontale e classici dialoghi da campo-controcampo. D'ora in avanti Renoir mette in primo piano i fatti, uno dopo l'altro, e la bellezza germoglia dall'inesorabilità con cui si susseguono. Non c'è nient'altro che una spoglia successione di azioni; ogni inquadratura è un evento. Per quanto sembrino ornati più riccamente, i film seguenti di Renoir usano questa semplice struttura come un'impalcatura, e nei loro momenti più intensi accantonano le decorazioni eleganti e le permettono di mostrarsi in trasparenza. Bisogna preferire le grandi Passioni al Clavicembalo Ben Temperato? Forse, ma se esiste qualcosa come il cinema puro deve trovarsi ne LA DONNA DELLA SPIAGGIA." ~ Jacques Rivette
Titolo originale La vieille dame indigne
Regia di René Allio
Con Sylvie, Victor Lanoux, Malka Ribowska, François Maistre, Etienne Bierry
Titolo originale Ossos
Regia di Pedro Costa
Con Vanda Duarte, Nuno Vaz, Maria Lipkina
consigliato da JACQUES RIVETTE
"Credo che sia magnifico, per me Pedro Costa è genuinamente grande. È un film bellissimo e forte. Anche se ho fatto fatica a capire le relazioni tra i personaggi. Come con CASA DE LAVA (1994), nuovi enigmi si svelano ad ogni nuova visione." ~ Jacques Rivette
Titolo originale Rendez-vous de juillet
Regia di Jacques Becker
Con Daniel Gélin, Maurice Ronet, Brigitte Auber
Titolo originale Charles Bubbles
Regia di Albert Finney
Con Albert Finney, Billie Whitelaw, Liza Minnelli, Colin Blakely
Titolo originale Showgirls
Regia di Paul Verhoeven
Con Elizabeth Berkley, Kyle MacLachlan, Gina Gershon
consigliato da JACQUES RIVETTE
"STARSHIP TROOPERS l'ho visto due volte e mi piace molto, ma preferisco SHOWGIRLS, uno dei grandi film americani degli ultimi anni. È il miglior film americano di Verhoeven e il suo più personale. In STARSHIP TROOPERS usa vari effetti per far sì che tutto vada liscio, ma in SHOWGIRLS è totalmente esposto. È il film americano più vicino ai suoi lavori olandesi. Ha grande sincerità e lo script è molto onesto, smaliziato. È così ovvio che sia stato scritto dallo stesso Verhoeven piuttosto che da Mr. Eszterhas, che non vale niente. E quell'attrice è fantastica! Come ogni film di Verhoeven, è molto sgradevole: è sul sopravvivere in un mondo popolato da stronzi, e quella è la sua filosofia. Di tutti i film americani recenti ambientati a Las Vegas, SHOWGIRLS è l'unico reale – garantisco io, che non ho mai messo piede in quel posto! STARSHIP TROOPERS non prende in giro il militarismo americano o i cliché di guerra – quello è solo qualcosa che Verhoeven dice nelle interviste per apparire politicamente corretto. In realtà, lui ama i cliché, e c'è un lato fumettistico in Verhoeven, molto vicino a Liechtenstein. E i suoi scarafaggi sono magnifici e molto divertenti, molto meglio dei dinosauri di Spielberg. Difendo sempre Verhoeven, così come ho difeso Altman negli ultimi vent'anni. (...) Altman è un filmmaker incostante ma appassionato. Allo stesso modo, ho difeso Clint Eastwood da quando ha iniziato a fare il regista. Mi piacciono tutti i suoi film, anche i film-scherzo “per famiglie” con quella scimmia ridicola, quelli che tutti cercano di dimenticare – anche quelli sono parte della sua opera. In Francia perdoniamo quasi tutto, ma ad Altman, che prende rischi ogni volta che fa un film, non perdoniamo niente. Mentre per Pollack, Frankenheimer, Schatzberg...i rischi neanche esistono per loro. I film di Eastwood e Altman appartengono a loro e a nessun altro, non puoi non amarli." ~ Jacques Rivette
Titolo originale Deviat dniej odnogo goda
Regia di Mikhail Romm
Con Aleksej Batalov, Innokentj Smoktunovskij, Tatjana Lavrova
Titolo originale Adieu Philippine
Regia di Jacques Rozier
Con Jean-Claude Aimini, Daniel Descamps, Stefania Sabatini, Yveline Céry, Vittorio Caprioli
consigliato da JACQUES RIVETTE
"Poema interrotto, film di sentimenti e film di personaggi" (Godard).
"Il più chiaro successo del nuovo cinema dove la spontaneità è ancora più potente in quanto risultato di un lungo e attento lavoro" (Truffaut).
Titolo originale Anémone
Regia di Philippe Garrel
Con Anémone, Pascal Laperrousaz, Maurice Garrel
consigliato da JACQUES RIVETTE
+ Non presenti nel database di FilmTV.it:
LES DERNIÈRES VACANCES (Roger Leenhardt, 1947, Francia) Nell'estate del 1922 una famiglia si ritrova per le ultime vacanze in una grande proprietà di campagna in rovina che sta per essere venduta. Tra due ragazzi nasce un idillio che lascerà lui con la bocca amara. Chi ha tentato di fare film alla maniera di I VERDI ANNI DELLA NOSTRA VITA (dal romanzo "Le grand Meaulnes" di Alain-Fournier, 1913), è scivolato nel poeticismo pomposo e un po' ridicolo: quello di Leenhardt è l'eccezione alla regola per l'equilibrio che è riuscito a stabilire tra l'idillio dei due adolescenti e il ritratto realistico di una grande famiglia decaduta. Molto amato da Truffaut, Godard e gli altri giovani della Nouvelle Vague. ~ (il MORANDINI)
LES MAUVAISES RENCONTRES (Alexandre Astruc, 1955, Francia) In un ufficio del Quai des Orfèvres, Catherine Racan (Anouk Aimée) viene interrogata da un poliziotto sospettoso su un caso di aborti clandestini. Si trincera dietro un ostinato mutismo ma tutte quelle domande la costringono a rivedere gli ultimi anni della sua vita e gli uomini che ha conosciuto. Adattamento di un romanzo di Jacques Laurent (alias Cécil Saint-Laurent), allora direttrice della rivista "Arts" e associata al movimento letterario detto "degli Ussari". Si tratta del primo lungometraggio di Alexandre Astruc, conosciuto segnatamente per i suoi scritti (come il noto "Nascita di una nuova avanguardia: la camera-stylo"). Il suo film si situa piuttosto sul versante della ricerca formale, con molte riprese ad effetto e inquadrature dall'illuminazione molto (troppo) elaborata. Ne risulta un sentimento di artificiosità, certamente amplificato dal senno di poi, ma già nel 1962, ossia 7 anni dopo la sua uscita, Astruc diceva di trovare che il film fosse invecchiato ("Io critico l'eccesso e la sovrabbondanza dei movimenti di camera, delle inquadrature troppo ricercate, degli svolazzi. In tutto questo c'è qualcosa di vecchiotto e puerile"). Si può avvertire l'influenza di Orson Welles. C'è anche Michel Piccoli in un piccolissimo ruolo. ~ (http://films.blog.lemonde.fr)
"Astruc sa quel che fa e non lascia nulla al caso: ogni gesto e ogni battuta del film ha il suo ruolo da giocare e prende pieno significato solo alla luce di altri gesti e battute. (...) Ha una profonda esattezza, ogni episodio, ogni battuta, ogni ripresa interviene solo quando è richiesta espressamente dal movimento del pensiero guida. (...) Il mondo dell'arte è il mondo della necessità, non c'è posto per il caso; la necessità si prende ogni spazio: emozione e bellezza sono ad essa legate. (...) Astruc ha fatto apprendistato non sui set ma nei cinema, in particolare alla “Cinematheque”. Ed è precisamente da questa lunga esposizione alla storia dei film che Astruc trae il suo virtuosismo, il logico risultato di una precisa e salda idea dell'arte cinematografica. (...) Da Murnau e Lang, Astruc ha trattenuto le lezioni sul significato drammatico di luce e ombra, ma anche sulla vita intima della ripresa, soggetta all'equilibrio instabile delle forze in gioco.(…) I protagonisti di LES MAUVAISES RENCONTRES sono praticamente Shakespeariani nella dignità che manifestano di fronte alla tragedia. La loro intransigenza e la loro nobiltà ne fanno dei veri eroi ai miei occhi, anche se temo che questo li renderà ridicoli al pubblico dei cinema, depravato dalle nostre sordide produzioni nazionali al punto da aver paura dei sentimenti forti in mezzo a dei contemporanei." ~ Jacques Rivette
LES RENDEZ-VOUS DU DIABLE (Haroun Tazieff, 1958, Francia, Documentario) Il celebre geologo ha filmato i crateri in attività dei vulcani d'Europa, Indonesia, Giappone, America Centrale e America del Sud. Tazieff cerca di avvicinarsi sempre di più ai crateri, malgrado il chiaro pericolo e i rischi continui da prendere, allo scopo di immergerci nel cuore dell'eruzione. È il film più conosciuto di Haroun Tazieff, un po' alla maniera de IL MONDO DEL SILENZIO di Cousteau, film che aveva ispirato l'opera di Tazieff. ~ (Wikipedia)
THE PARALLEL STREET (Ferdinand Khittl, 1961, Germania) Cinque persone cercano di analizzare un numero enorme di frammentari documenti filmici (filmati da Khittl e dal suo cameraman Ronald Martini durante due prolungati viaggi intorno al mondo nel 1959 e nel 1960). I 308 documenti (film sull'acqua e l'erosione, su Brasilia, su un vulcano, sul riso in Asia) sono proiettati uno dopo l'altro e intrecciati ai commenti dei membri del team (i quali, a loro volta, vengono commentati da un supervisore). L'assurdità della missione, così come la minaccia di morte che pesa sull'esistenza dei personaggi, seduti nel teatro notturno di un'immensa sala, vengono stabilite da subito. Dall'inizio infatti apprendiamo che i membri saranno tutti giustiziati alla fine, come i loro predecessori. "In una stanza Kafkiana cinque persone alla Ionesco si ritrovano una situazione alla Sartre, mentre cercano di risolvere un problema alla Camus", lo descrisse a suo tempo l'importante critico Helmut Fäber. Il film è un pensoso e solo occasionalmente ammiccante meta-commento sulla metafisica e sull'obiettività documentaristica nei film, a volte straordinariamente divertente, a volte a malapena in grado di sfuggire alla messinscena deliberatamente rigida. Khittl, che nel 1961 firmò il famoso "Oberhausen manifesto", mette la fine del film all'inizio a significare che, nonostante il messaggio – il team dovrebbe trovare un ordine alle registrazioni – il suo film non avrà mai una struttura visibile. ~ (sensesofcinema.com)
SOMETHING DIFFERENT (Vera Chytilova, 1963, Cecoslovacchia) La Chytilova scrisse e diresse questa storia bipartita che vinse il Grand Prix al Mannheim Film Festival. La prima parte è sul rigoroso allenamento della campionessa olimpica di ginnastica artistica Eva Bosakova. La ragazza prende in considerazione il ritiro mentre è sottoposta allo sfiancante programma di allenamento noto solo agli atleti di prim'ordine. La seconda storia riguarda una casalinga non apprezzata e ignorata dal marito. In una combinazione di stile documentaristico e fiction, il primo lungometraggio della Chytilova esplora le aspettative e le restrizioni dei ruoli femminili. Il destino delle donne in una società patriarcale dai doppi standard e dalla sessualizzazione predatoria era un tema costante dei suoi film, ed era spesso ribaltato da protagoniste femminili senza remore ad andare fino in fondo, che davano al suo lavoro il suo caratteristico aspro mordente intriso di humor nero. ~ (bfi.org.uk + letterboxd.com)
Chytilová è un importante punto di riferimento per Rivette, che vede il suo "O necem jinem" (SOMETHING DIFFERENT, 1963) come un film chiave nell'era moderna per ciò che riguarda il montaggio, perché "lavora non puramente e semplicemente come l'alternarsi di due azioni parallele, come la mera somma delle due, ma come la moltiplicazione di ogni 'livello' da parte dell'altro: e questo senza alcuna interferenza o riferimento tra i due." ~ Jacques Rivette
THE COOL WORLD (Shirley Clarke, 1964, USA) Un quindicenne di nome Duke vuole comprare "un pezzo" (pistola) da un delinquente chiamato Priest (Prete), per diventare capo della gang a cui appartiene, e per farla tornare al "bopping" (scontri tra gang) che ad Harlem è andato calando. Panoramica semidocumentaristica, spoglia e potente, sugli orrori dei bassifondi-ghetto di Harlem colmi di droga, violenza, miseria umana, e un senso di disperazione dovuto ai pregiudizi razziali della società americana. Non c'è paternalismo nei confronti degli afroamericani in questa invocazione cinematografica di giustizia. Lo stile della Clarke è audace e il suo attacco è più quello di una reporter che quello di una narratrice interessata. Usa la cinepresa per assemblare i fatti e per osservare, per stabilire la natura dell'ambiente e per pedinare i personaggi che la interessano, guardandoli da vicino in scene intime e personali. Per quanto adattato da un romanzo e dalla successiva opera teatrale, c'è pochissima evidenza di forme narrative. L'azione sembra svolgersi accidentalmente, spontaneamente e gli attori, la maggior parte di poca o nessuna esperienza, si muovono con la casuale impulsività di personaggi colti durante la fuga. ~ (rarefilmm.com + nytimes.com)
"Un universo circoscritto di droghe o bande, Shirley Clarke all'inizio si rinchiude col suo soggetto, questo è, più che una scommessa, un test o letteratura, solo un espediente, la legittimazione degli iniziati. Poi, l'avventura. Qui si gioca un gioco d'identità. Ma così direttamente, così assolutamente, che il contatto fisico diventa un rito di conoscenza: dissolvere se stessa in esso, guardarli, imitarli, fino in fondo, fino alla pazzia. Ne viene ripagata cento volte tanto ed è attorno ai giovani neri di THE COOL WORLD che una società si salda, si scopre, e ricrea se stessa attorno a noi con i suoi codici, la sua struttura di classe, il suo linguaggio e le abitudini, sintesi antropologica in azione, forse. Ma anche, la verità del leggendario scontro tra Greci e Troiani e, sorprendentemente, i Wolves e i Pythons non rappresentano nient'altro che se stessi. Questo è un fatto di cronaca e non una tragedia, una vita persa e non un'inchiesta. Perché la tradizione americana è quella di un cinema fisico, che non esprime niente che non sia mischiato alla carne e al sangue degli eroi. È qui che oggi continua in quella direzione." ~ Jacques Rivette (“Cahiers du Cinema” Dec63/Jan64)
LE CHAT DANS LE SAC (Gilles Groulx, 1964, Canada) Racconta la storia delle difficoltà di un giovane uomo a venire a patti col suo posto nella società e col posto del Quebec nel Canada. Il protagonista, un giornalista interpretato da Claude Godbout, è combattuto tra il voler cambiare la società e accettarla così com'è. La sua ragazza ebrea, un'attrice con una germogliante carriera teatrale, non condivide le sue preoccupazioni, il che porta tensione tra i due. Claude lascia Montreal per la campagna del Quebec dove va a riflettere sulla sua vita, e con l'aumentare della distanza il loro amore si dissolve. Qualche mese prima dell'inizio degli attentati del Fronte di Liberazione del Quebec, Groulx partecipa alla grande riflessione sull'indipendenza del Quebec. Riposa sull'esperienza del Cinema Direct, che s'ingegnava a cogliere la vita nel vivo, senza artificio; s'ispira anche al cinema di Godard che era la guida intellettuale di quegli anni di rottura. I temi, lo stile improvvisato, il lavoro con la camera a mano e la musica evocativa hanno segnalato l'emergere di una nuova generazione di film e filmmakers in Quebec. Un film scisso, provocatorio e fosco divenuto un classico. ~ (Wikipedia + cinemaquebecois.telequebec.tv)
LA CHASSE AU LION A L’ARC (Jean Rouch, 1965, Niger/Francia, Documentario) "I cacciatori Songhay, una casta ereditaria, sono i soli ad avere il diritto di uccidere i leoni. I pastori non possono che lanciar loro pietre per farli fuggire. La gente di etnia Peul ritiene che i leoni siano necessari al gregge, e sanno identificare ogni leone dalle sue tracce. Ma quando un leone uccide troppi buoi, bisogna sopprimerlo perché è un leone assassino" (Jean Rouch). Dal 1957 al 1964 Rouch segue i cacciatori Gaos della regione del Yatakala (Niger) e filma gli episodi di questa caccia in cui tecnica e magia sono intimamente legate: fabbricazione di arco e frecce, preparazione del veleno, pedinamento, rituale di abbattimento. Ma il vecchio leone assassino, detto l'Americano, riuscirà ad eludere ogni tranello e i Gaos colpiranno solo due delle sue femmine. Dopo la caccia gli uomini raccontano ai bambini la storia di "gaway gawey", la meravigliosa caccia al leone. Il film vinse il Leone d'Oro alla XXVI Mostra del Cinema di Venezia, 1965. ~ (www.institutfrancais.com)
L'AMOUR À LA CHAINE (Claude de Givray, 1965, Francia) Catherine Guérande (Valeria Ciangottini), un'attraente parigina diciannovenne, decide di darsi alla prostituzione dopo una problematica storia d'amore. Non aveva tenuto conto di Pornotropos (Jean Yanne), un brutale delinquente che controlla il remunerativo racket delle agenzie di modelle, dei cabarets, e dei campeggi, supportato da Thanatos (Jean-Marie Fertey), suo fratello, che dirige il lato intimidatorio e omicida degli affari. Pornotropos non prende bene il fatto che ci sia in giro un'indipendente a ridurre i suoi profitti, e le aizza contro le sue ragazze che la tormentano e la pestano. Catherine non accetta l'abuso e si trasferisce in un altro bordello. Ma il caso vuole che un anziano muoia nella stanza di Catherine, e che costui fosse il proprietario di un'agenzia di marketing. Paul (Jacques Destoop), un dirigente giovane e bello della sua compagnia, decide di investigare sulle equivoche cause della morte del suo boss e quando Paul e Catherine s'incontrano è amore a prima vista. — Claude de Givray debutta come critico ai Cahiers du Cinéma e alla rivista Arts. Diviene in seguito assistente di Chabrol (per LE BEAU SERGE) e Truffaut (LES MISTONS) prima di passare alla sceneggiatura e alla regia, soprattutto di sceneggiati, telefilm e documentari per la televisione. Amico di Truffaut, scrive insieme a lui BACI RUBATI e NON DRAMMATIZZIAMO, È SOLO QUESTIONE DI CORNA. ~ (letterboxd.com + www.cinematheque.fr)
LE REGNE DU JOUR (Pierre Perrault, 1966, Canada, Documentario) Alexis Tremblay, sua moglie Marie e il figlio Léopold, lasciano la loro "île aux Coudres" (un'isola dentro il fiume Saint-Laurent, in Quebec), e fanno un viaggio in Francia sulle tracce dei loro antenati. Passando per New York, dove si devono imbarcare, vanno a salutare una vecchia conoscenza: una focena pescata nelle loro acque tre anni prima e di cui hanno fatto dono all'acquario della città. Il viaggio in Francia conduce la famiglia nella regione del Perche, culla dei Tremblay, a Saint-Malo, e a La Rochelle, porto d'imbarco per la "Nouvelle-France". Nel Perche, visitano La Filonnière, fattoria dove probabilmente è nato Pierre Tremblay, avo di tutti i Tremblay d'America. Questo viaggio rivela alla nostra famiglia che se anche non sono americani, certamente non sono più francesi. Secondo film della trilogia "de l'Île aux Coudres" (dopo POUR LA SUITE DU MONDE e prima di LES VOITURES D'EAU), prosegue la ricerca d'identità che ha segnato il cinema Quebecois negli anni '60: il contatto con la Francia, come specchio deformante, risulta molto istruttivo per la famiglia Tremblay. ~ (cinemaquebecois.telequebec.tv)
THE EDGE (Robert Kramer, 1968, USA) Un aderente alla New Left (Nuova Sinistra) nordamericana propone ai suoi compagni – membri di comitati rivoluzionari o di associazioni per i diritti civili – di assassinare il presidente degli Stati Uniti (nel 1967 era Lyndon Johnson, succeduto a Kennedy). Non c'è una storia, non c'è azione: soltanto discussioni, riflessioni, monologhi, reazioni di 16 personaggi, spaventati e affascinati dalla proposta. Secondo film dell'indipendente R. Kramer che, ampliando le tematiche di IN THE COUNTRY sui rapporti tra vita privata e impegno pubblico, fu il primo cineasta USA a dar conto della crisi di una generazione ai margini. Sincerità, lucidità, amarezza di un bilancio, sordo dolore sono i caratteri di un film che afferma, come ha detto Michel Ciment, che "finché non sarà tornata la pace, finché il razzismo non sarà vinto, ci sarà una crepa nel cuore di ognuno." ~ (il MORANDINI)
LES CONTRABANDIERS (Luc Moullet, 1968, Francia) Brigitte (Françoise Vatel), delusa dalla città, raggiunge la frontiera per darsi al contrabbando con Johnny (Johnny Monteilhet). Quest'ultimo ha preso con sè anche un'altra ragazza già dedita al contrabbando: Francesca (Monique Thiriet), che Johnny ha strappato alle grinfie del governo fascista che infierisce dall'altra parte del confine. Siccome Johnny divide il giaciglio con entrambe, non appena il segreto viene scoperto le due ragazze si lanciano in una competizione senza quartiere. Le due fuorilegge finiscono per essere inseguite dalla polizia, dal sindacato dei contrabbandieri (di cui hanno trasgredito le regole) e dal loro giovane capo. — "Forse il miglior film non fatto da Godard" (Jean-Marie Straub); Luc Moullet era noto per realizzare i suoi film in economia di mezzi utilizzando molto faidatè e molte astuzie. Il suo soprannome era non a caso "bout-de-ficelle" (letteralmente "pezzo di spago", come dire "nozze coi fichi secchi"). Sapeva però trasformare le costrizioni in stile. Ad esempio in LES CONTRABANDIERS, dovendo ricorrere completamente alla post sincronizzazione, porta al limite il principio e costruisce il film su una successione di voci off che non cessano di rccontare e commentare. L'economia si ritrova anche nello stile spoglio e semplice e nell'utilizzo di scenari naturali maestosi ma poco frequentati come le splendide "roubines" delle Alpi del Sud, che fondono deserto e montagna e in cui Moullet girò uno dopo l'altro LES CONTRABANDIERS e UNE AVENTURE DE BILLY LE KID. ~ (dvdclassik.com)
LISTA COMPLETA di RIVETTE
- L'Atalante (Vigo) - Dies irae (Dreyer) - Germania anno zero (Rossellini) - Europa 51 (Rossellini) - Viaggio in Italia (Rossellini) - Ivan il Terribile (Eisenstein) - Vita di Oharu, donna galante (Mizoguchi) - L'imperatrice Yank Kwei Fei (Mizoguchi) - L'intendente Sansho (Mizoguchi) - Shin heike monogatari / La nuova storia del clan Taira (Mizoguchi) - Gli uomini preferisco le bionde (Hawks) - Monsieur Verdoux (Chaplin) - Un re a New York (Chaplin) - Rapporto confidenziale (Welles) - Quarto potere (Welles) - L'infernale Quinlan (Welles) - Le notti bianche (Visconti) - Bonjour Tristesse (Preminger) - Le Petit Soldat (Godard) - Il bandito delle 11 (Godard) - Walkover (Skolimowski) - Persona (Bergman) - The Edge (R. Kramer) - Il fiume (Renoir) - La donna della spiaggia (Renoir) - Notte e nebbia (Resnais) - Hiroshima mon amour (Resnais) - Lui (Buñuel) - Aurora (Murnau) - Amore sulle labbra (Griffith) - Scarface (Hawks) - Sono innocente (Lang) - Furore (Ford) - La donna del bandito (N. Ray) - Un giorno a New York (Donen/Kelly) - Intrigo internazionale (Hitchcock) - Notorious (Hitchcock) - Splendore nell'erba (Kazan) - The Cool World (Clarke) - Les Mauvaises Rencontres (Astruc) - Le sedicenni (Becker) - Perfidia (Bresson) - Il processo di Giovanna d'Arco (Bresson) - Diario di un curato di campagna (Bresson) - I ragazzi terribili (Cocteau-Melville) - La bella e la bestia (Cocteau) - Les Dernières Vacances (Leenhardt) - Il piacere (Ophuls) - Eliana e gli uomini (Renoir) - Melò (Resnais) - Muriel, il tempo di un ritorno (Resnais) - Smoking/No Smoking (Resnais) - Les Rendez-vous du Diable (Tazieff) - Van Gogh (Pialat) - La casa dei boschi (Pialat) - La moglie dell'aviatore (Rohmer) - Incontri a Parigi (Rohmer) - Velluto blu (Lynch) - Happy together (Wong Kar-wai) - Ritratto di Signora (Campion) - Ossos (Costa) - Carne tremula (Almodovar) - Alice nelle città (Wenders) - Falso movimento (Wenders) - Paris, Texas (Wenders) - Starship troopers (Verhoeven) - Showgirls (Verhoeven) - Storia degli anni di fuoco (Solntseva) - Desideri nel sole (J. Rozier) - Nove giorni in un anno (Romm) - L'Amour a la Chaine (De Givray) - Una vecchia signora indegna (Allio) - Le chat dans le sac (Groulx) - L'uomo dal cranio rasato (Delvaux) - La Chasse Au Lion a L’Arc (Rouch) - Le regne du jour (Perrault) - Nothing but a man (Roemer) - Something different (Chytilova) - Anemone (Garrel) - L'errore di vivere (Finney) - Les Contrabandiers (Moullet) - The parallel street (Khittl)
Fonti: Sight & Sound (1962); Cahiers du Cinéma; sensesofcinema.com; http://jdcopp.blogspot.com/2006/09/jacques-rivette-10-best-films-cahiers; jacques-rivette.com; dvdbeaver.com
Su Robert Bresson: "È a causa di Bernanos se MOUCHETTE è il film di Bresson che amo di meno. DIARIO DI UN CURATO DI CAMPAGNA, d'altra parte, è magnifico, anche se Bresson ha lasciato fuori il senso di generosità e di carità del libro, e ha fatto un film sull'orgoglio e la solitudine. Ma in Mouchette, che è il libro più perfetto di Bernanos, Bresson lo trattiene: tutto è così inflessibilmente misero, studiato. Il che non significa che Bresson non sia un immenso artista. Io metterei IL PROCESSO DI GIOVANNA D'ARCO lassù insieme alla GIOVANNA D'ARCO di Dreyer. Brilla altrettanto luminoso." ~ Jacques Rivette; Post Scriptum: "Pascal Kané (critico dei Cahiers anni '60/'70) ricorda un esempio del “terrorismo intellettuale” di Rivette in occasione di una proiezione di MOUCHETTE: «Lasciammo la proiezione sopraffatti dallo stupore, in totale silenzio, e poi Jacques disse: 'Oh, questo film è intollerabile! È odioso!' Tutti cambiarono idea completamente. Fu piuttosto buffo. E così il film cominciò a non piacerci. Nessuno disse niente di buono su MOUCHETTE. Per i Cahiers divenne il film maledetto di Bresson, tanto grande era stata l'influenza di Rivette.» " ~ (senseofcinema.com)
Su David Lynch: "Non possiedo un televisore, motivo per cui non posso condividere la passione di Serge Daney per le serie televisive. E mi ci è voluto molto tempo per apprezzare Lynch. In verità non l'ho veramente fatto prima di VELLUTO BLU. Con l'appartamento di Isabella Rossellini, Lynch è riuscito a creare il più terrificante set nella storia del cinema. E FUOCO CAMMINA CON ME è il film più pazzo nella storia del cinema. Non ho idea di cosa sia successo, non ho idea di cosa ho visto, tutto quel che so è che ho lasciato il cinema galleggiando a due metri dal suolo. Solo la prima parte di LOST HIGHWAY è altrettanto grande. Dopo quella capisci l'idea che c'è dietro, e per l'arrivo dell'ultima sezione ero un passo avanti al film, nonostante sia rimasta un'esperienza potente fino alla fine." ~ Jacques Rivette
Su LA BELLA E LA BESTIA di Cocteau: "Insieme a PERFIDIA (1945), è stato il film chiave tra quelli francesi per la nostra generazione – François (Truffaut), Jean-Luc (Godard), Jacques Demy ed io. Per me è fondamentale. Ho visto LA BELLA E LA BESTIA nel '46 e poi ho letto il diario delle riprese di Cocteau – una sessione da far rizzare i capelli, che è inciampata in più imprevisti di quel che si possa immaginare. E alla fine conoscevo il diario a memoria visto che l'ho riletto così tante volte. È così che ho scoperto cosa volevo fare nella vita. Cocteau è stato responsabile per la mia vocazione come filmmaker. Amo tutti i suoi film, anche quelli di minor successo. È davvero molto importante, ed era realmente un autore in ogni senso della parola." ~ Jacques Rivette
Su Joseph L. Mankiewicz: "...Sapevo che il suo nome sarebbe saltato fuori prima o poi. Quindi, dirimerò la questione a rischio di scioccare un sacco di persone che rispetto, e forse anche di far incazzare un mucchio di loro per sempre. I suoi grandi film, come EVA CONTRO EVA, o LA CONTESSA SCALZA, erano veramente impressionanti all'interno dei parametri del cinema americano contemporaneo quando furono realizzati, ma oggi non ho alcun desiderio di rivederli. Quando Juliet Berto ed io abbiamo rivisto EVA CONTRO EVA 25 anni fa alla Cinematheque sono rimasto sbalordito. Volevo che lei lo vedesse per un progetto che avremmo fatto insieme prima di CELINE E JULIE VANNO IN BARCA. A parte Marilyn Monroe, l'ha odiato dal primo all'ultimo minuto, e ho dovuto ammettere che aveva ragione: ogni intenzione era sottolineata in rosso, e mi ha dato l'impressione di un film senza un regista! Mankiewicz era un grande produttore, un buon sceneggiatore e un maestro nello scrivere i dialoghi, ma per me non è mai stato un regista. I suoi film sono montati in ogni modo possibile, gli attori sono sempre spinti verso la caricatura e resistono solo con instabili gradi di successo. Ecco una buona definizione di messa-in-scena – è quel che manca nei film di Joseph L. Mankiewicz. Mentre Preminger è un regista puro. Nel suo lavoro spesso scompare ogni cosa tranne la regia." ~ Jacques Rivette
Su Vincente Minnelli e “la politique des auteurs” : "Minnelli è visto come un grande regista grazie all'allentamento della “politique des auteurs”. Per François, Jean-Luc e per me, la politique consisteva nel dire che c'erano solo pochi filmmakers che meritavano considerazione come autori, nello stesso senso in cui sono autori Balzac o Moliere. Una commedia di Moliere potrebbe essere meno buona di un'altra, ma è vitale ed eccitante in relazione all'intera opera. Questo è vero per Renoir, Hitchcock, Lang, Ford, Dreyer, Mizoguchi, Sirk, Ozu… Ma non è vero pet tutti i filmmakers. È vero per Minnelli, Walsh o Cukor? Io non credo. Loro hanno solo diretto gli script che gli studios assegnavano loro, con vari livelli d'interesse. Ora, nel caso di Preminger, dove la regia è tutto, la politique funziona. Per quanto riguarda Walsh, ogni qual volta fosse intensamente interessato alla storia o agli attori, diventava un autore – e in molti altri casi, non lo diventava. Nel caso di Minnelli, era meticoloso con i set, gli spazi, la luce...ma quanto lavorava con gli attori? Ho amato QUALCUNO VERRÀ (1958) quando è uscito, come tutti gli altri, ma quando l'ho rivisto dieci anni fa sono rimasto spiazzato: tre grandi attori che lavorano in un vuoto, con nessuno che li guarda o li ascolta da dietro la cinepresa." ~ Jacques Rivette
Su TITANIC di Cameron: "Sono completamente d'accordo con quanto ha detto Jean-Luc (Godard): è spazzatura. Cameron non è malvagio, non è uno stronzo come Spielberg. Vuole essere il nuovo De Mille. Sfortunatamente, non riesce a dirigere neanche se stesso fuori da un sacchetto di carta. Oltretutto l'attrice (Kate Winslet - ndt) è orribile, inguardabile, la ragazza più sciatta ad apparire sullo schermo da moltissimo tempo. È per questo che è stato un gran successo con le ragazzine, ragazze americane particolarmente inibite e un po' pienotte che vanno a vedere il film in continuazione come se fossero in pellegrinaggio: si riconoscono in lei, e sognano di cadere tra le braccia del bel Leonardo." ~ Jacques Rivette
Su PLAYTIME di Tati: "PLAYTIME è l'esempio di un film che ha completamente cancellato il suo creatore. Quel che è importante è il momento in cui non c'è più autore, non più attori, e neppure storia, non più soggetto, nient'altro che il film stesso a parlare, dicendo qualcosa che non può essere tradotto. Il momento in cui diventa il discorso di qualcun altro, di qualcos'altro che non può essere detto, precisamente perché è aldilà dell'espressione." ~ Jacques Rivette
Su FUNNY GAMES di Haneke e su Kubrick: "Che disgrazia, proprio una completa merdata! Mi era piaciuto il suo primo film, IL SETTIMO CONTINENTE, davvero molto, e poi dopo quello ogni film mi è piaciuto sempre di meno. Questo qui è spregevole, non nello stesso modo di John Woo, ma quei due si meritano a vicenda – dovrebbero sposarsi. E non vorrò mai conoscere i figli! È peggio di Kubrick con ARANCIA MECCANICA, un film che odio altrettanto, non per ragioni cinematografiche, ma per ragioni morali. Ricordo quando uscì, Jacques Demy era così scioccato che lo fece piangere. Kubrick è una macchina, un mutante, un marziano. Non ha sentimenti umani di alcun tipo. Ma è magnifico quando la macchina filma altre macchine, come in 2001: ODISSEA NELLO SPAZIO." ~ Jacques Rivette
Su Pialat: "Pialat è un grande filmmaker – imperfetto, ma chi non lo è? Non lo intendo come un rimprovero. Ma metterei VAN GOGH e LA CASA DEI BOSCHI sopra a tutti gli altri suoi film. Perché in quelli è riuscito a filmare la felicità, senza dubbio immaginaria, del mondo prima della Prima Guerra Mondiale. Sebbene il tono sia molto differente, è magnifico quanto Renoir." ~ Jacques Rivette
Su Rohmer: "LA MARCHESA VON... è veramente bellissimo. Sebbene io preferisca i film di Rohmer in cui penetra nel profondo dell'indigenza emotiva, dove essa diventa il fulcro della messa-in-scena, come in UN RAGAZZO, TRE RAGAZZE... ; L'ALBERO, IL SINDACO E LA MEDIATECA e in un film che classificherei anche più in alto, INCONTRI A PARIGI. Il secondo episodio è anche più bello del primo, e considero il terzo come una specie di summa del cinema francese. Aveva un valore aggiunto personale per me perché l'ho visto in relazione a LA BELLA SCONTROSA – è un modo interamente diverso di mostrare la pittura, in questo caso il modo in cui un pittore guarda alle tele. Se dovessi scegliere un film chiave di Rohmer che riassuma tutta la sua opera, sarebbe LA MOGLIE DELL'AVIATORE. In quel film, c'è tutta la scienza e la perversione perfettamente etica dei Racconti Morali e il resto viene da Commedie e Proverbi, solo con momenti di infinita grazia. È un film di assoluta grazia." ~Jacques Rivette
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta