Ci sono voluti tre anni, e qualche conoscenza cinematografica in più, perché io individuassi nel corto Venezia/Massi di Simone Massi, proiettato all'inizio di ogni proiezione al Festival di Venezia, la lunga serie di citazioni che il regista italiano propone. Oltre alla barca con annesso rinoceronte che ricorda le contraddizioni di certe opere felliniane (E la nave va) e a un dolorante angelo che sembra proprio Bruno Ganz nel Cielo sopra Berlino, una delle cose in cui lo sguardo di Massi entra, alla sua solita maniera, è il petto robusto del personaggio principale di Arsenale di Aleksandr Dovzenko. Il giusto sospiro nostalgico prima di iniziare qualsiasi visione.
Quest'anno, 73a edizione della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia, sono riuscito a vedere 57 pellicole in dieci giorni. Dunque nell'impresa ho superato il mio record personale di 53 dell'anno scorso. In effetti dei 57 film di quest'anno uno è il cortometraggio Pagliacci di Marco Bellocchio, ma nei 53 dell'anno scorso c'erano anche i corti Miu Miu (della Varda e di Alice Rohrwacher), quindi il risultato quest'anno è comunque superiore. Dunque, è stata una corsa, ma comunque non eccessivamente stancante, un break era sempre dovuto, necessario, e l'appuntamento di una seppur breve pausa non mancava mai. Dalla mia parte ci sono state maggiori ore di sonno grazie alla vicinanza dell'alloggio di quest'anno al Village del Festival.
Passiamo ai dati statistici/di classifica, quelli che appetiscono ogni cinefilo che si rispetti. Rispetto alla media di personale apprezzamento dei film, l'anno scorso (media che ammontava a 6,41/10, dunque tra tre e tre stellette e mezzo), quest'anno la mia personale media di apprezzamento è stata 5,94, minore rispetto all'anno scorso, al confine con la sufficienza. Sulla carta sarebbe dunque un festival deludente. Eppure anche nelle opere meno gratificanti si sono trovati interessanti spunti di riflessione e di critica, il che le hanno rese in ognuno dei casi quantomeno utili, salvo i casi disperati (i 2 e i 3, comunque pochissimi, sono letteralmente film da buttare). La percezione meno matematica, comunque, mi ha lasciato l'idea di un festival più omogeneo e soddisfacente: con buona probabilità rispetto all'anno scorso i miei criteri di giudizio sono cambiati.
Il mio Palmares di quest'anno (lista stilata prima della consegna dei premi ufficiali):
Miglior film (Leone d'Oro): Voyage of Time - Life's Journey di Terrence Malick
Miglior regia (Leone d'Argento): Lav Diaz per The Woman Who Left
Gran Premio della Giuria: Une Vie di Stephane Brizé
Miglior interpretazione maschile (Coppa Volpi): Michael Fassbender per The Light Between Oceans di Derek Cianfrance (premio dato per assenza di alternative, se non il pronosticato e probabilissimo protagonista de El Ciudadano Illustre)
Miglior interpretazione femminile (Coppa Volpi): Judith Chemla per Une Vie di Stephane Brizé
Premio Marcello Mastroianni: Paula Beer per Frantz, anche se ha già fatto altri lavori, come il poco conosciuto Poll di Kraus
Premio per la miglior sceneggiatura: François Ozon per Frantz
Premio Speciale della Giuria: Spira Mirabilis di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti
Piccola curiosità: quest'anno, come l'anno scorso, il film che ho preferito è cinese, e dura più di due ore. D'ora in poi cercherò tutte le pellicole che rispondono a questi canoni. Ma bando alle ciance, ecco la mia classifica dei 57 film visti, in ordine di votazione. Ciascun film è contrassegnato dal mio giudizio, da un breve commento e dalla categoria cui apparteneva nella sua presentazione qui al festival.
1) CONCORSO ORIZZONTI - Il capolavoro di Wang Bing è l'ibrido di una ronde ophulsiana e di una catena di montaggio tayloriana. Come al solito nel suo Cinema, un'esperienza immersiva, ma stavolta, se possibile, ancor più emozionante, perché più personale.
2) CONCORSO VENEZIA 73 - Malick porta all'estremo i boundaries del suo ultimo Cinema, comunicando con le argomentazioni di un filosofo che per conoscere bisogna guardare. E interpella la vista, da molti dimenticata o data per scontata, come primo organo di ricezione cinematografica.
3) CONCORSO VENEZIA 73 - La vita raccontata non tramite gli eventi, ma le attese degli eventi, e le loro conseguenze. Quei momenti in cui non succede nulla, tra una cosa e l'altra, i momenti morti, intrappolati in un formato ridotto e riscaldati dall'occhio contrito di Stephane Brizé.
Con Chun Shih, Feng Hsu, Sylvia Chang, Hui Lou Chen, Rainbow Hsu, Ng Ming-Choi, Yueh Sun
4) VENEZIA CLASSICI - Il capolavoro dimenticato di King Hu è un manuale di Cinema e di montaggio cinematografico; avvincente, accattivante ed emozionante. Qui per i combattimenti l'arma è solo il pensiero.
5) FUORI CONCORSO - Caleidoscopica avventura della ricerca di sé: il documentario di Andrew Dominik vanta uno dei 3D più spettacolari mai visti al Cinema, e un incontro praticamente leggendario fra Musica e Cinema come pochi se ne erano visti.
6) CONCORSO VENEZIA 73 - Veniamo a uno dei più discussi film di Venezia 73. Mi mancano, ahimé, le opere precedenti dei due registi, ma l'adesione del loro Spira Mirabilis a tutte quelle spinte sperimentali che caratterizzano l'ultimo cinema di Godard, il vecchio (ma giovanissimo) cinema di Gianikian e Ricci Lucchi e le sperimentazioni di canecapovolto, mi dà l'idea di un'opera compiuta che mira a rappresentare il modo in cui sguardo e coscienza, come martello e scalpello, possono modellare il Reale ed entrare a far parte del suo continuo dimenarsi nel Divenire eracliteo. Un'esperienza che richiede pazienza, ma la ripaga, perché tratta con coraggio e senza pudore la pellicola cinematografica come un plasma in continua deformazione, un referente fedelissimo di come l'umanità percepisce le cose del mondo, nella storia e nel tempo.
Con Charo Santos-Concio, John Lloyd Cruz, Michael De Mesa, Shamaine Buencamino
7) CONCORSO VENEZIA 73 - Lav Diaz torna con 3 ore e 48, che per lui sono quasi un cortometraggio. Ma è appassionante come non mai. Con un uso della macchina da presa che porta alle conseguenze estreme i basilari metodi di ripresa cinematografici (piani-sequenza, montaggio alternato, sovraesposizione, out of focus, fughe prospettiche), The Woman Who Left si pone fra i capolavori del Diaz "narrativo" degli ultimi anni, un melodramma disperato che cerca la possibilità della solidarietà in un mondo ribollente di corruzione e ingiustizie.
8) VENEZIA CLASSICI: DOCUMENTARI - Le Concours è il film più wisemaniano di Claire Simon, poiché è l'indagine essenziale e stilisticamente scheletrica dell'istituzione Scuola di Cinema a Parigi. Interrogandosi sulle capacità del giudizio umano, e su dove nasca la creatività e l'ispirazione artistica tramite i racconti e le confessioni che gli studenti sono costretti a fare di fronte a commissioni di insegnanti che devono, per forza di cose, giudicare più le persone che le loro capacità, la Simon gira un altro grandioso documentario corale dopo Les Bois Dont Les Reves Sont Faits.
Con Marcello Mastroianni, Catherine Spaak, Ugo Tognazzi, Ennio Balbo, William Berger
9) VENEZIA CLASSICI - Certo se la media di questo festival di Venezia è bassa, sarebbe stata ancora più bassa senza i classici restaurati. Uno di questi è l'incredibile Break Up di Marco Ferreri, un crudelissimo apologo sulle manie umane nella società degli anni '60. Agghiacciante ed esilarante, assurdo e bellissimo.
10) CONCORSO VENEZIA 73 - Frantz, o "Come rifare Lubitsch senza rifare Lubitsch". Rifacendosi all'unicum melodrammatico della filmografia del regista berlinese, Ozon gira uno dei film più ispirati della sua recente filmografia: non solo appassionante come un classico melodramma, ma infervorato come l'opera più sottilmente sperimentale. Da leggere a fronte con Broken Lullaby per coglierne il lato più prepotentemente innovativo.
11) CONCORSO GIORNATE DEGLI AUTORI - Pochissimo si è detto, in questa edizione di Venezia 73, su The Road to Mandalay di Midi Z, atterrato direttamente dalla lontana Thailandia. Aderendo alle conclusioni del cinema taiwanese degli anni '90, il film di Midi Z ingabbia i suoi personaggi sempre più stretti, sempre più vicini, sempre più asfissianti, annullandoli quando la loro identità sembrava ricostruita, annientandoli quando sembrava che si fossero salvati.
12) VENEZIA CLASSICI - Tai Kato è fra i nomi più trascurati del cinema giapponese della metà del Novecento. Dalla seconda guerra mondiale agli anni '80, il regista ha prodotto numerosissime opere spesso di genere, tra le quali spicca l'invisibile Ondekoza, un documentario sui generis che prende direttamente dal ritmo del montaggio e dai colori la sua linfa vitale.
Con Yuliya Vysotskaya, Christian Clauss, Philippe Duquesne, Peter Kurth, Jakob Diehl
13) CONCORSO VENEZIA 73 - Sul dramma dell'Olocausto, con una costruzione di personaggi che ha del geniale (e anche del pessimistico), Paradise di Konchalovsky getta un occhio per nulla pruriginoso sulle ambiguità di tre personaggi, sulle contraddizioni dei sentimenti, sulla possibilità del sacrificio e sulle tragedie che il vento della Storia trasporta con sé nelle vite della gente spalancando le finestre di casa.
14) VENEZIA CLASSICI - Visto l'ultimo giorno di proiezioni in extremis, il capolavoro di Howard Hawks del '34 non è tra i più conosciuti della sua filmografia, ma è di certo uno dei più brillanti di quel periodo. La recitazione parossistica di John Barrymore ha probabilmente ispirato le capovolte recitative del Gene Wilder più ispirato.
15) FUORI CONCORSO - Il Cinema come Prestigio dopo il capolavoro di Christopher Nolan, qui però nelle vesti di una scoppiettante commedia drammatica pop e intransigente, che manipola la trama come meglio crede fino a cedere il comando ai pensieri dei personaggi, alle manie feticistiche e ai Generi tout court.
"Questa non è una commedia, è una tragedia! Smettetela di riprendermi".
16) CONCORSO VENEZIA 73 - Ha detto il regista Derek Cianfrance che ha realizzato un film di John Cassavetes sulle ambientazioni di un film di David Lean. Poca critica ha detto qualcosa della bellissima e turbolenta regia di questo melodramma etico e disturbante; tutti hanno notato le moine e i piagnistei. Ma data l'ipotesi del fiammeggiante melodramma, bocciare con faciloneria questo splendido film è uno degli errori più imperdonabili.
Con Simone Bucio, Ruth Jazmin Ramos, Edén Villavicencio, Jesús Meza
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17) CONCORSO VENEZIA 73 - Deliri zulawskiani e registri deformi imperano sull'inquietantissima opera numero 4 di Amat Escalante. Il sesso come unico ispiratore di pulsioni umane in un mondo di derelitti; l'impeto libidinoso come solo motivo di respiro; l'assurdo come unico motore che lega gli esseri umani. Film indecifrabile, sommesso e talvolta devastante, La région salvaje è uno scandaglio genuinamente perverso nel rancore e nella violenza, nelle bugie e negli anfratti dell'animo umano.
Con Martin Dubreuil, Jean-Simon Leduc, François Aubin
18) CONCORSO ORIZZONTI - A non sfigurare nel concorso Orizzonti, oltre che Bitter Money, è il film di Karl Lemieux, esplicitamente ispirato al cinema di Grandrieux. Dunque toni cupi e disperati, una camera ostinatamente mossa, una costruzione filmica e semica che ha in primis l'aspirazione del terrorismo sensoriale, a discapito di una futile linea narrativa definita. Un'opera piccola ma poderosamente coraggiosa, con almeno due sequenze indimenticabili nel mare magnum degli stimoli del Cinema contemporaneo.
19) FUORI CONCORSO - Trama ingarbugliata e manierismo acrobatico sono le due espressioni chiave del nuovo film di Kim Jee-won, che torna all'esibizione di una violenza effettistica ma accattivante. Un film che rincorre costantemente la sua trama, sfida i limiti del montaggio, e decostruisce l'azione per rimontarla nella maniera più efficace e stimolante. Un oggettino forse non proprio nuovo nel Cinema coreano contemporaneo, e nell'opera di Kim Jee-won, ma a voler essere severi si tratta di un divertissement che merita di essere visto.
20) FUORI CONCORSO - Si tratta forse di uno dei Seidl meno avvincenti e più imbalsamati, come gli animali appesi nelle pareti dei robotici e maniacali austriaci, ma è un raggiungimento importante nell'opera del regista di Im Keller. Un cimitero di carcasse incoscienti, in cui l'Immagine può assumere il più nobile e il più rigettante degli scopi.
Con Maria Angélica Puerta, Maria Camila Castrillón, Diego Perez Ceferino, Esteban Alcaráz
21) CONCORSO SETTIMANA DELLA CRITICA (VINCITORE) - Piccolo film fra il primo Kechiche e le idee di Larry Clark, un'opera piccola che umilmente non propone maledettismi, non propone piagnistei, non propone tragedie, non propone drammi generazionali. Per qualcuno può anche non proporre niente. Ma per questo, forse, è uno dei film più interessanti della Mostra: uno squarcio casuale di un angolo di mondo, caratterizzato da una regia che caccia i suoi personaggi nei vari angoli di strada per stanarli e seguirli, senza la pretesa di conoscerli. Un film tutt'altro che edificante, che può apparir fumoso, ma che ha giusto l'ingenuità di non voler muoversi dalla sua fissità e tentare di osare. Una scelta comprensibile per un regista ancora inesperto ma con un'occhio con del potenziale.
Los Nadies vanta poi un notevole utilizzo del punk metal in colonna sonora.
Con Mathieu Amalric, Julia Roy, Victória Guerra, Rui Morrison, Elmano Sancho
22) FUORI CONCORSO - Dramma thriller dal sapore classico ma frastornante ed estremo, delilliano per scelta, che consegna la carne alla natura fumosa ed evanescente del desiderio. Montaggio semplice ma strabiliante, costruzione registica pulita, recitazioni ferree: A' Jamais contiene e dimostra il meccanismo percettivo dell'essere umano per cui la proiezione di un altro essere umano trasforma quell'essere in un fantasma.
Con Michael Silva, Ana María Enríquez, Bastián Inostroza, Pedro Luis Godoy
23) CONCORSO VENEZIA 73 - Il film "per parabole" di Christopher Murray funziona nelle intenzioni, saltuariamente nei risultati: la natura stessa della divisione in parabole frammenta e limita la possibilità dell'immersione percettiva, rendendo l'ipnosi singhiozzante ed efficace solo in parte. La regia però è sicuramente un tentativo coraggioso, nei suoi andamenti tarkovskijani.
Con Mia Petricevic, Nikša Butijer, Arijana Culina, Zlatko Buric
24) CONCORSO GIORNATE DEGLI AUTORI - Il film croato di Hana Jusic è un tentativo concreto e per nulla retorico di parlare di un'emancipazione femminile, a rischio di rinunciare però a un importante pezzo di dignità. Recitato splendidamente, piuttosto smorto visivamente, è il film di una crescita deformante, anti-edificante e crudele, con un impeto ribelle che sa valutare, a posteriori, i pro e i contro.
25) EVENTO SPECIALE: SETTIMANA DELLA CRITICA - Simpaticissimo corto di Bellocchio sempre vicino al tema della famiglia e del rancore filiale. Di mezzo ci sta anche la drammaturgia, il vizio, la magia.
26) CONCORSO VENEZIA 73 - Da profano del cinema di Kusturica, il sottoscritto ammette di essersi divertito non poco con la nuova follia del regista serbo. Movimenti di camera vertiginosi, follie visive sempre calzanti, una costruzione favolistica di amore e di guerra che sa prendersi gioco di se stessa senza un attimo di seriosità, se non in un commovente finale: un film unico.
27) FUORI CONCORSO - Il cinema di Loznitsa mette faccia a faccia lo spettatore con i personaggi. Come in The Event, forse con una maggiore tragicità (a discapito di un fascino visivo che qui è altalenante), ma con un rigore eccessivo, Loznitsa guarda le persone per capire cosa è rimasto nell'umanità della coscienza della Storia. Austerlitz è la cronaca di un crimine che si ripete e rimbomba tra le pareti della cattedrale di morte del campo di concentramento di Sachsenhausen.
Con Alice Frank, Michael Godere, Chelsea Lopez, Theodore Bouloukos, Carson Grant
In streaming su Plex
28) EVENTO SPECIALE: SETTIMANA DELLA CRITICA - L'esordio di Xander Robin: un film sulla tricofagia che fa impallidire le stranezze ammaestrate della Amirpour. Raccontato con toni alterni, da un lato diabolici come i languori di Dans Ma Peau di Marina de Van (nelle sporadiche sequenze degli incubi), dall'altro risentiti e contenuti come in un più ovvio prodotto sundance-iano. Piccolissimo e simpaticissimo, oltre che un unicum sul tema, con un finale più coraggioso e straniante di quel che sembri.
29) FUORI CONCORSO: ORIZZONTI - Tim Sutton alla regia per un antihorror anticonvenziale e talvolta pure antipatico, ma inquietante nella maniera più silenziosa, ineffabile e inesorabile. Un'esperienza lugubre che procura shock nella maniera più subdola, ma in cui regna un silenzio di tomba, il respiro di un elefante vansantiano invisibile.
30) ORIZZONTI - Dalla Turchia, un affascinante Ponte per Terabithia decisamente riuscito meglio del suddetto, e senza carinerie fini a se stesse. Terribile come la tenerezza, in Big Big World, nasca dall'abiezione e dalla violenza. Erdem concilia felicemente momenti quasi dardenniani a voli pindarici e onirici al confine col patinato.
Con Emmanuelle Seigner, Tahar Rahim, Alice Taglioni, Anne Dorval, Dominique Blanc
31) ORIZZONTI - Orizzonti si riconferma quasi sempre il trionfo della medietà. La Quillévéré, che si era distinta per Suzanne, qui gira un film per sbaglio, bello per i motivi più involontari. Costruito pensando alla presentazione psicologica dei personaggi, quest'ultima è ciò che riesce peggio. Il film sembra invece una dolorosa elaborazione di un lutto, che passa necessariamente dalla riduzione chirurgica dello sguardo registico. Dopo un inizio meraviglioso che dà un effetto più stordente di un effetto speciale con il semplice uso della dissolvenza incrociata, il film assume involontariamente un impianto freddo e asettico, costantemente smentito da un'invadente colonna sonora. Imperfetto, ma assurdamente affascinante.
32) CONCORSO VENEZIA 73 - Con Arrival di Villeneuve entriamo ufficialmente nell'ambito della medietà qualitativa delle opere veneziane. Poco affascinante quando cerca di fare il Malick, più efficace quando replica le idee narrative nolaniane, Arrival gode di un'unica felicissima idea che giustifica una certa costruzione la quale ha sì bisogno di due ore di film per arrivare a compimento, ma avrebbe anche bisogno di uno sguardo più originale. Ottimo il comparto uditivo del film.
33) CINEMA NEL GIARDINO - Anteprima italiana per il nuovo cartone animato targato Illumination. Stessa comicità demenziale di Despicable Me, un comparto visivo che avrebbe meritato meno ripetitive sequenze action, un 3D piuttosto inutile e scopiazzature varie ed eventuali soprattutto da Toy Story. Latitando l'originalità, riesce comunque a trionfare la carineria. Con l'animazione, è più facile accettare compromessi.
34) CONCORSO VENEZIA 73 - Tra i sopravvalutatissimi di Venezia 73 sta il nuovo lavoro di Tom Ford. Sovrapponendo piani narrativi con la voglia di trattare bene lo spettatore senza mai depistarlo davvero, il film funziona sotto un mero profilo estetico, cioè mostra un'arida consapevolezza del mezzo e una coscienza fin troppo corretta e accademica della struttura intrinseca e cinematografica. C'è un grande uso di dissolvenze (con corrispondenze e ritorni continui e ben congegnati nell'economia del soggetto) ma è talmente ovvio nel suo significato da essere dilettantesco, scontato, fine a se stesso. Un film già visto, emozioni già provate, inquietudini che tardano ad arrivare. Confezione comunque impeccabile, e attori che reggono la scena come pochi altri di recente. Ma con un po' più di campi lunghi, e una minore insistenza di primi piani enfatici, si sarebbe potuta rendere meglio la solitudine dei personaggi; Tom Ford è troppo studentello per comprendere l'animo umano. E alla fine il film, da serioso compendio di desolazioni, diventa un divertissement di dubbio valore, ma dal sicuro impatto emotivo immediato.
35) CONCORSO GIORNATE DEGLI AUTORI (VINCITORE) - Il documentario che quest'anno ha aperto le Giornate degli Autori è su misura di occhi acerbi che poco conoscono delle sperimentazioni del genere documentario al Cinema. Un film che mischia molto materiale di repertorio, che è molto organico, ma che cerca anche di essere un mitra. Sensorialmente, però, non riesce: attiva troppo l'inibente razionalità per sconvolgere davvero, e lo spettatore è sempre fuori, forse perché la regista ci è troppo dentro.
Con Reda Kateb, Sophie Semin, Jens Harzer, Nick Cave
36) CONCORSO VENEZIA 73 - Wenders porta alle estreme conseguenze i suoi discorsi sulla commistione delle arti. In Les beaux jours d'Aranjuez azzera il dramma filmico per trasformarlo in dramma verbale, alla ricerca dell'ispirazione. Indeciso fra schematismi e fumoserie, il nuovo film di Wenders è troppo esile per essere definitivo come vorrebbe, e gode di un fascino troppo altalenante (non aiutano i fastidiosi movimenti di camera) per arrivare al nodo della questione. Fallisce nel suo intento sinestetico, e anche in quello di individuare i limiti della creatività e dell'immaginazione. E rischia anche di sconfinare nella retorica, in un formulario di idee poco cinematografiche.
37) CONCORSO VENEZIA 73 - Veniamo al film più sopravvalutato del festival. Chazelle torna a parlare e a sparlare di musica, e lo fa con minaccioso qualunquismo. Più che nella struttura generale, che si rifà (in maniera un po' superficiale e fintamente problematica) al musical classico di Minnelli, a instillare qualche dubbio sono le frasi semplicistiche sulla storia della musica, dall'inquadratura di un jazz concepito nella maniera più banale e bambinesca (evidente per chi ama davvero il jazz) al preconcetto ignorante che un genere che si ama dovrebbe rimanere cristallizzato nei suoi modi (il dialogo di Ryan Gosling con il musicista di colore "corrotto"). E in questo senso viene da chiedersi: pensa lo stesso la critica del Lido, che celebra il film piùvecchio di tutto il festival? Inoffensivo in sé e per sé, pieno di carinerie e di vanità tecniche (con la sequenza iniziale, catchy oltre ogni umana immaginazione, siamo punto e daccapo con la paraculaggine dell'excipit dell'1x05 di True Detective, o con molte di quelle altre sequenze che oggi entrano senza diritto nel limbo più superficiale dell'immaginario comune), prende il musical e lo abbassa all'apprezzamento più scontato come faceva Hugo Cabret con il cinema di Méliès.
Musiche che già abbiamo scordato, balli spettacolari che finiscono quando finiscono le sequenze che le rappresentano, e una conclusione che parrebbe dare un nuovo spunto di riflessione, sicuramente a chi non ha visto molte altre opere del passato, prima fra tutte The Rat Race di Robert Mulligan. Molti hanno trovato innovativo il finale salingeriano, e lo scioglimento narrativo a favore dell'esplosione musical. Questi molti non hanno mai visto Ziegfeld Follies, né appunto mai letto Salinger, e la possibilità del finale alternativo (né mai ascoltato i testi di Tom Waits, né mai visto La 25a ora di Spike Lee, etc, etc).
38) ORIZZONTI - Dal Belgio, un'opera di satira politica di facile acchitto: un mockumentary con personaggi forzatamente simpatici, risa alternate a tedio, neanche una sequenza che si ricordi. In divertissement con pretese del genere, lasciamo che decida il de gustibus, e non parliamone più.
39) FUORI CONCORSO - Documentario accademico sul rapporto fra Lee Morgan e la moglie Helen. Illustrativo, indubbiamente interessante, poteva onestamente evitare il grande schermo di una sala festivaliera. Certo viene fuori un'idea del jazz un attimo più precisa e vera di quella che dà La La Land.
40) CONCORSO VENEZIA 73 - Altro ultra-sopravvalutato qui al Lido, il film argentino di Cohn e Duprat è una commedia che più di intrattenere non fa: mettere nelle intenzioni riflessioni più serie sull'arte o sulla scrittura sarebbe un po' delirante. Stile che sembra documentaristico e che pare non si sia mai visto, a giudicare dagli entusiasmi; degenarazione à la Dogville che era intuibile fin dall'inizio. Comunque a volte si ride. E' importante ridere.
41) ORIZZONTI - Ciprì e Maresco for dummies, un documentario a tema che non ha grande respiro, riesce nella carta ironica ma fallisce su quella del dramma sottopelle, che parla delle paure delle persone sottoposte alle pratiche esorcistiche di Padre Cataldo. Senza sguardo, col pregio di guardare senza giudicare né intervenire, ma con troppi precedenti filmici per essere originale, oltre alla scelta dell'argomento che è sicuramente speciale e divertente. Mettere alla berlina il problema comunque è un po' come sparare sulla Croce Rossa.
Con Ronwaldo Martin, Hasmine Kilip, Maria Isabel Lopez, Sue Prado, Ruby Ruiz, Moira Lang
In streaming su Netflix
42) CONCORSO GIORNATE DEGLI AUTORI - Duole dare del "ricattatorio" a un film che non ha motivo di esserlo, ma l'effetto sortito dal racconto della storia di Pamilya Ordinaryo non è altro se non questo. Ottime idee qui e lì, ma sporadiche, inframmezzate a una regia quasi assente, ed evidentemente ingenua.
Con Rocco Siffredi, Mark Spiegler, James Deen, John Stagliano
In streaming su Nexo Plus
43) EVENTO SPECIALE: GIORNATE DEGLI AUTORI - Documentarino aneddotico piuttosto serioso e a tratti divertente, esteticamente nullo (ma non ci aspettavamo niente di ché), e per Siffredi quasi uno spunto di vanità, nonostante l'apparente autocritica. Diciamo pure che sono gli aneddoti a salvare un film del genere, e anche il making of del suo ultimo film, con gigantesche croci (le croci sulle spalle del povero Rocco) e eresie come se piovessero. Diciamo anche che avvince. Diciamo anche se non c'era era uguale.
Con Willington Duarte, René Calderón, Leidy Herrera Castillo, Christian Hernandez
44) CONCORSO GIORNATE DEGLI AUTORI - Dramma thriller colombiano con una pedante prima parte che non sa cosa vuol dire presentare dei personaggi, e che si conclude invece con sprazzi, spari e furori. Una regia c'è, ma è come castrata.
45) CINEMA NEL GIARDINO - Kim Ki-Duk si è perso in un film non suo, alimentando la sua vena più farraginosa e artificiosa che già era nata e spillava sangue in One on One, ma che qui perde qualsiasi connotato di quello che era il suo cinema, se non quella violenza e quella indignazione qui ben oltre la faciloneria. L'unico motivo di interesse: i tratti in comune con il primo Kim, e il suo The Coast Guard. Ma più che un ritorno alle origini, sembra una retrocessione.
Con Andrea Sartoretti, Claudia Potenza, Zaccaria Zanghellini, Anna Bonaiuto
In streaming su Rai Play
46) FUORI CONCORSO - Apprezzato dalle fila più settoriali del pubblico accreditato del Lido, il nuovo film di Amir Naderi ha solo nella sua ideazione quello che era il grande cinema del regista iraniano. Forse invecchiato, forse con poche idee, sicuramente con preoccupante inerzia, Naderi parla delle sfide che l'uomo necessariamente affronta contro la natura, in una sfera mitologica e in una situazione ovviamente bigger than life. Ma la regia nei momenti che ritiene meno interessanti è paratelevisva e piatta, e nei momenti più importanti maschera qualsiasi movimento interessante con la schematica trovata di virare dai colori al bianco e nero il comparto cromatico. Un po' l'ultimo Olmi, un po' (troppo) Tarkovskij, un po' troppo poco.
47) CONCORSO VENEZIA 73 - Larraìn gira un film hollywoodiano con strumenti apparentemente non hollywoodiani: regia a tratti pastosa, camera a mano, musiche invadenti e di grande effetto. "Tutto molto bello", originale sulla superficie dello schermo, con un immenso spazio di ovvia retorica dietro. L'atteggiamento proprio del finto autore. Il finale, in tal senso, è una reale sofferenza. Larraìn non resiste alla tentazione dello splatter nella ricostruzione dell'uccisione di Kennedy con intento ricattatorio, e sceglie la strada di una costruzione fintamente complessa in cui le storie si intrecciano, senza che l'idea dell'apparire di Jackie esca da conclusioni piuttosto ovvie, che non giustificano l'intero film, e si ripetono stancamente in quegli ultimi venti minuti che andrebbero aboliti e dimenticati. Esile, esilissimo, ma col tono grave che innesta un irrazionale e non dovuto rispetto.
48) FUORI CONCORSO - Per la sua serie tv, Sorrentino inibisce i suoi svolazzi, e i sorrentiniani come il sottoscritto ci rimangono male. Altre stranezze vagheggiano in The Young Pope, ma oltre a dare un forte senso di irrisolto (ciò dipende dalla natura seriale dell'operazione), sono molto poco impressionanti, e rappresentano definitivamente il fumo negli occhi che a tratti già offuscava il cinema passato del regista napoletano.
49) CONCORSO VENEZIA 73 - La Amirpour conferma l'esile assunto del suo cinema, che già aveva caratterizzato A Girl Walks Home Alone At Night. Un'originalità di facciata, che combina stramberie rubate qui e lì (e lo dice anche la Amirpour delle influenze: solo che siamo ben oltre l'onesta citazione), e che accumula argomenti scontati di facile presa, con l'ausilio di uno schematismo che annulla qualsiasi problematicità. Di stile non ce n'è: è un film che conferma la scissione forma-contenuto, e ciò è del tutto contro la più corposa e storicamente connotata idea di Cinema. Bellissimo che molti detrattori di Spring Breakers di qualche anno fa abbiano vantato qui e lì per il web la citazione proprio da quel Korine, nella scena in cui si sentono i Die Antwoord: forse a posteriori si è capito che è quel Cinema la novità vera, e non Bad Batch?
50) FUORI CONCORSO - Animazione CGI giapponese che scava a piene mani dall'immaginario della recente animazione d'autore (Paprika di Satoshi Kon), prende ciò che gli serve dalla saga di Gantz, e accumula tutte le idee più o meno trash che gli vengono dentro la cornice modaiola del film-videogame. Magari sono tecniche all'avanguardia, ma è tutto molto molto già visto.
51) FUORI CONCORSO - Non vale nemmeno la pena perderci tempo: documentario piatto e insignificante, e tendenzioso oltre ogni dire. La mania americana di compiacersi di vittimizzare e poi di martirizzare senza cognizione di causa.
52) FUORI CONCORSO: PROIEZIONI SPECIALI - Vìgas era aspettato al varco dopo Ti guardo, film che sembrava avere un'idea di regia e di Cinema forte e interessante. Che sia stato tutto fuffa, guardando a posteriori quel film dopo un'opera seconda davvero insignificante? Oltre a dare per scontata l'opera del padre, essa stessa è, duole dirlo, priva di interesse, e fuori tempo massimo. Che linguaggio è il non-linguaggio di Vìgas nel Vendedor de orquìdeas? Un filmino amatoriale meno lavorato in post-produzione non sarebbe stato anche più interessante?
53) FUORI CONCORSO - Non si chiedeva di reggere il confronto con gli originali, né di dare la metà della profonda malinconia che li caratterizzava. Si chiedeva un'azione che non fosse piatta, e una sceneggiatura che non fosse telefonata ogni secondo. Ma Fuqua non l'ha capito.
54) CONCORSO VENEZIA 73 - Un western trash che ispira una risata contagiosa in prossimità di un quasi stupro pedofilo non è un buon affare. Tra Halloween di Carpenter e Cape Fear di Scorsese, un film che ha l'unico merito di far recitare bene Dakota Fanning. Il resto, a parte qualche sporadica idea felice di regia (la parte del bordello è indubbiamente accattivante e coinvolgente, nel modo più scontato dei modi ma vabbè), è da annali del ridicolo.
55) CONCORSO VENEZIA 73 - Passiamo ai disastri. Sono tre, due di questi sono italiani. Piccioni purtroppo è indifendibile, ha dei contenuti vagamente importanti e antispettacolari, ma non è con questi toni che si vuole restare umili e sinceri. Non ci si stuferebbe più di dirlo: basta film ad effetto! Il film è servito solo a produrre la felice battuta "Piccioni a Venezia" che ho condiviso con i miei compagni di visione.
57) FUORI CONCORSO - E diciamolo che Mel Gibson ha fatto il film più brutto della mostra, e forse il più brutto della sua carriera. Che era guerrafondaio si sapeva, ma che riuscisse così magistralmente a mascherare la sua frustrata prurigine in un polpettone patriottico che cerca pure di problematizzare con esiti esilaranti...beh chapeau!, a lui e ai soldati che sanno schiaffeggiare bombe a mano volanti (fa' dire anche questo nelle interviste finali ai personaggi veri da cui il film è tratto!). Si possono fare trash seriamente, ma non per farsi prendere sul serio. Offendendo, tra l'altro, la memoria storica.
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