Cari amici - e intendo in particolare i tanti che mi hanno nel tempo fatto l'onore di comprendermi tra i coutenti che seguono - questa paginetta introduttiva è dedicata a Voi.
Siete nella quasi totalità più giovani di me e dunque può darsi abbiate fretta, come avevo io prima di diventare un pensionato.
Sappiate allora che quel che mi premerebbe di più sarebbe che utilizzaste questo elenco per vedere qualche film del regista italiano - Pietro Germi - che da decenni è uno dei miei preferiti, forse è al primo posto.
Mi sembra un'occasione non indifferente: 19 film su 20 oggi 9 febbraio 2022 sono visibili comodamente in rete, mediante i link fornitivi.
Sceglietene uno tra quelli che non conoscete - anche a caso - e cominciatene almeno la visione, senza perder tempo. Scommettiamo che non ve ne pentirete? (fatemelo poi sapere, qui o privatamente); quel che segue, se vorrete, sarà a Vostra disposizione anche più avanti, se e quando aveste più tempo a disposizione.
Un saluto, naturalmente esteso a tutti i coutenti, anche quelli che non hanno fretta.
Bell'esordio di tinta noir di Germi, già all'epoca se ne intravvidero le potenzialità. Singolare che nulla si dica del crimine per il quale c'è stata una condanna a morte, giusta o no che sia. Bene gli interpreti R.Lupi (non è colpa sua se il finale appare poco credibile) e M.Berti, benchè entrambi un po' monocordi. Spicca E.Almirante.
Al di là del suo indiscusso valore intrinseco, questo film è da tanti ricordato come il "primo western italiano"... Ancor più importante: è IL PRIMO FILM ITALIANO CHE PARLA DI MAFIA. Ma che cos'era la mafia nel 1948, o almeno com'era percepita? E quanto aveva in comune con quella che conosciamo, o crediamo di conoscere, noi oggi?
Bel film di Germi, intriso del suo umanesimo laico e socialisteggiante. Un film che poteva essere fatto soltanto 55 anni fa, ma che, rivisto oggi, ci ricorda che anche gli italiani sono stati emigranti, e che quello che compiono oggi i disgraziati che arrivano in Italia con mezzi di fortuna (e di sfortuna) è un altro "cammino della speranza" e spesso un cammino della disperazione.
L’indigenza non è la via del male: se induce a commettere reati, è solo perché predispone all’insicurezza e allo sbandamento un individuo che, dentro, nonostante tutto, continua ad essere sano. Avendo a cuore questo principio, Pietro Germi mette a fuoco l’innocua normalità dei suoi personaggi, immergendoli in un ambiente dai morbidi connotati umani; e così, anche quel timido cenno di neorealismo si stempera in un sentimentalismo che è, di per sé, una forma letteraria di indulgenza.
Sorprende la firma di Germi su questa commediola apparentemente superficiale, ma in realtà oltre a essere molto ben gestita nella dinamica degli equivoci e nel sarcasmo politico e sociale, è anche ben recitata e con dialoghi intelligenti a tratti addirittura forbiti. Stona solo il finale forzatamente a lieto fine, ma siamo negli anni '50.
Erno Crisa (marchese di Rocca Verdina) con la bruna coprotagonista all'esordio Marisa Belli (Agrippina) che ha compiuto 88 anni il 12 aprile 2021. No! Era deceduta nel 2017)
La bionda Liliana Gerace (contessina Zosima) ha compiuto 100 anni il 9 agosto 2021? Ne dubito, non ci so notizie su di keppure oggi 18 aprile 2024). Con lei Paola Borboni (la zia baronessa).
Bello! A me è piaciuto molto. Atmosfere dense. Bianco e nero smagliante, di quegli anni. Erno Crisa ha una faccia forte, interessante, poco usata purtroppo.
Germi è stato davvero un grande. Anche in questo film 'minore'.
Con il secondo episodio, diretto da Pietro GERMI, si salta al 1917. Viene chiamata alle armi la classe 1899, lui, Antonio (Albino Cocco), è nato invece nel 1900 e prende in moglie la sua Carmela (una adorabile Maria Pia Casilio che effettivamente - è anche il parere del maestro - sarebbe un peccato non sposare al più presto): sono semplici e senza pretese, il loro amore è più che sufficiente ad entrambi per essere felici. Ma la guerra può essere veramente cattiva. E anche gli sceneggiatori, talvolta.
UNICO FILM NON TROVATO IN RETE (al 7 febbraio 2022)
Germi dirige ed interpreta un film straordinario: duro e che chiama le cose con il proprio nome eppur capace di lasciare nel fondo uno spiraglio alla speranza.
(commento breve di marcopolo30 seguito da recensione )
Un film tra i migliori del grande regista, che ricorda in alcuni punti la tragica storia di "Io la conoscevo bene" di Pietrangeli, quell'ineluttabilità di vicende votate a finire male, il senso di vuoto che, pur nel contesto di una Roma corale e chiassosa, restituisce tutto il silenzio di un'esistenza sconfitta.
Se questi di Germi si 'definiscono' non 'capolavori'...cosa si dovrebbe dire di certo cinema di (presunta) serie A di oggi...(inguardabile in molti casi). A mio parere questo Germi è 'grande' anche paragonato ai mostri sacri (Visconti, Rossellini, De Sica, Rosi, ecc..).
(commento di lorenzodg alla recensione di Peppe Comune del 15/5/2011)
Questo - che non ho rivisto da un paio di decenni - è il film più votato (268 voti) e che ha il voto medio più alto tra tutti quelli di Germi (8,7/10).
Mi sembra giusto fare un'eccezione e presentarvelo mediante due commenti brevi: il più antico e (contro corrente) il più recente.
cherubino
Commedia feroce sui temi del matrimonio, dell'onore e del maschilismo. Un cult della commedia all'italiana.
Un grande Mastroianni, una giovanissima (e bellissima) Sandrelli e soprattutto un'ottima sceneggiatura (Oscar 1963). Bello.
(commento breve di mise en scene 88)
Personalmente l'ho trovato un film invecchiato male. Profondamente misogino, anche oltre la reale misoginia del contesto sociale descritto. Anche la sceneggiatura, con la fuga d'amore della moglie del protagonista e del suo amante - figlioccio del parroco che nulla dice al riguardo, non mi ha convinto. Da vedere, ma senza grandi aspettative.
La Sicilia retrograda, quella del patriarchismo figlio di un estremo maschilismo e quella dell' "onore" da difendere a tutti i costi, viene sbeffeggiata con gusto e tatto da Germi, per un film con forte spirito satirico ma per certi versi anche educativo. L'ossessione per l'illibatezza viene mostrata in tutto il suo essere ridicolo.
Pietro Germi e la provincia italiana: una lunga storia di amore/odio, un magnifico romanzo cattivo e tenero, sadico e malinconico. Ma mai e poi mai complice.
L'immorale è l'opera meno nota della filmografia, fitta di pellicole e di successi, di Pietro Germi. ...
Germi si è sempre saputo dividere fra opere drammatiche e altre più leggere, riversando comunque in queste ultime un certo carico di satira, di riflessione sociale, di impegno; L'immorale non fa eccezione e le sue apparenti sembianze di commedia di costume o, meglio ancora, "all'italiana" sono ben presto spazzate via dalle problematiche ostiche tirate in ballo e dalla esplicita volontà del copione di criticare (forse, qui sta il limite principale del film, in maniera poco costruttiva) l'intoccabile istituzione-sacramento del matrimonio.
Il messaggio del film è chiaro, Serafino e i pastori sono gli ultimi uomini liberi in una società che rende l'uomo schiavo, da una parte separandolo dall'ambiente naturale e ammassandolo nel grigio delle città e dall'altra creando per lui falsi modelli di vita con fantasie e voglie utili solo ad un sistema di mercato, sottovalutando invece il valore ed il piacere delle cose semplici. ... un film sicuramente da rivalutare e da vedere in barba a certa critica.
L'impegno di Gianni Morandi, che in qualche modo raccoglie idealmente la staffetta del suo collega Celentano protagonista del precedente Serafino, ma qui rinuncia completamente al suo ruolo di cantante per dedicarsi unicamente alla recitazione, con risultati più che accettabili, è evidente; ma è Stefania Casini a spuntarla su tutto e su tutti, dando vita ad un personaggio di donna risoluta ma anche piena di timori, tutta alti e bassi e pieno di sfaccettature, in grado di trasformare la sua Carla Lotito nella vera ragion d'essere di un film generalmente sin troppo sminuito e ignorato da pubblico e critica, certo distante dall'apice qualitativo raggiunto dal grande Pietro Germi durante tutto il decennio precedente.
Viene presa di mira in pieno l'istituzione del matrimonio, anche con il divorzio entrante (il titolo originario era Finché divorzio non ci divida), il pessimismo della vita di coppia, il fatto stesso della convivenza che sacrifica al massimo la libertà dell'individuo. Tutto il tono è divertente e gli attori prestano i loro volti in maniera perfetta, il finale è di un cinismo divertito che va oltre il politicamente corretto, come si usa dire oggi, ma a Germi non interessava la cosa, e meno male!
Un inno alla spensieratezza del vivere, un'ode al non arrendersi allo scorrere degli anni o, per meglio dire, una irriverente supercazzola alla morte. Amici Miei è un intramontabile esempio della comicità amara, quella vera, quella che con un sorriso fa comprendere pienamente il dramma. Quale? La vita, nelle sue complessità e nelle sue vicissitudini. ...
Perchè la vita è un viaggio nel quale si annaspa per rimanere a galla con fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione. Meraviglioso.
(dalla recensione di Guidobaldo Maria Riccardelli)
Di "Amici miei" Pietro Germi non fu regista e neppure vi partecipò come attore.
Però questo film è in gran parte suo, lo ricorda la scheda di Film Tv:
"Concepito da Pietro Germi, venne però diretto da Monicelli a causa della prematura morte del collega e amico. Fu un grande successo di pubblico e vinse il David di Donatello nel 1975."
Ecchece qquà, ce stamo tutti,
Nazzari, Saro Urzì, Cosetta, Tozzi,
la Bettoja, Vallone; c'è Giannetti,
c'è Silvanella, Beba, la Coluzzi.
Saremo cento e 'mmezzo ce sta Pietro
che ce guarda cor sighero smorzato,
facenno 'n pass'avanti e 'n passo indietro,
cusì contento da pare' 'ncazzato.
Era fatto cusì Pietruccio nostro:
servatico, bisbetico, scontroso,
inturcinato che pareva 'n mostro.
Quant'era bbono 'nvece e generoso...
ma siccome er sonetto è troppo corto
te dimo solo: A Pie', si stamo qui tu nun sei morto!
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