REGISTI CHE CONTANO#5: HIROKAZU KORE-EDA: IL SENSO DI APPARTENENZA ALLA FAMIGLIA, L’INNOCENZA ISTINTIVA DELL’INFANZIA, LA MEMORIA CHE CI TIENE LEGATI AI NOSTRI CARI ESTINTI.
"Registi che contano" non ambisce, né può essere, una monografia compiuta ed esaustiva sull'autore ogni volta preso in considerazione; tenta piuttosto mettere in luce un cineasta e di presentarne l'opera cronologica che lo ha contraddistinto sino ad oggi. Autori che potrebbe essere interessante conoscere, e che, a giudizio di chi scrive, si sono distinti per un particolare stile o tecnica di regia, per le argomentazioni che contraddistinguono la loro carriera ad oggi, senza necessariamente pretendere di attribuir loro il merito di raccontare cose nuove o mai viste.
Nato a Tokyo nel 1962, Kore-eda ha iniziato la sua avventura da cineasta come documentarista televisivo nel 1991, esordendo nel lungometraggio di fiction nel 1995 con il già splendido Maborosi.
Da quel momento i temi ricorrenti di questo regista, apprezzato in patria ma conosciutissimo pure all’estero, con le sue opere contese e rincorse da molti tra i principali festival internazionali, sono LA FAMIGLIA, L’INFANZIA, LA MORTE; sviscerata, quest’ultima, attraverso una complessa ed emotivamente sfaccettata elaborazione del lutto, ma anche finalmente considerata come un qualcosa di inevitabile.
La fine come collegamento naturale tra la vita e la morte dunque, ove la memoria di una scomparsa, purché ingiusta e quasi sempre prematura, appare come l’elemento prezioso in grado di metterci in contatto con i cari ormai estinti, vivendo con loro e grazie a loro una visione più aperta, ispirata e illuminata dell’esistenza terrena.
Still walking, forse il suo capolavoro definitivo - per quanto sia molto difficile scegliere tra suoi lavori - sempre di alto livello e dal forte strascico emotivo ed emozionale, racchiude più di altri tutti e tre gli epicentri della poetica del gran cineasta.
Il suo film immediatamente successivo, pure lui uno dei vertici della cinematografia dell’autore giapponese, ovvero Air Doll, è quello che osa di più e quello che più si distanzia dal panorama familiar-esistenziale che circonda e riempie le storie intime e pregne di sentimento che l’autore con cadenza pressoché annuale ci mette a disposizione.
Vicenda fanta-futuristica di una bambola gonfiabile che anela a divenire un essere umano, Air Doll è un epicentro di sfaccettature emotive che non tralascia l’aspetto malizioso insito nell’oggetto, ma lo completa addossando all’oggetto una umanità in grado di rendere vivo ed emotivamente complesso un oggetto di gomma destinato a mere soddisfazioni corporali, ma degno più di tanti esseri umani di una più degna rivalutazione.
Tra i dieci ottimi lungometraggi di cui si completa l’opera del maestro giapponese, Distance è l’unico film che non sono ancora riuscito a visionare in quanto irreperibile (per quel che posso sapere) in una lingua a me accessibile.
Spero tuttavia di poterlo fare mio quanto prima, conscio del fatto che si tratterà senz’altro di un tassello prezioso di un lungo e sfaccettato discorso intimo sulle sfere più personali e sensibili della vita affettiva di ognuno di noi.
Qui di seguito troverete i 9 film da me visti, elencati osservando un ordine cronologico: ognuno di essi sarà seguito da un giudizio o commento breve, mentre cliccando su ogni titolo qui sotto sarà possibile accedere alla recensione completa.
Yumiko non si rassegna in seguito alla perdita di due tra gli esseri viventi a lei più cari: la nonna ed il primo marito, entrambi scomparsi in circostanze misteriose di cui ella si sente parte in causa. La vita, la famiglia, la morte, i bambini. Koreeda, tra i migliori registi giapponesi di oggi, esordisce con un film intenso, lucido ed esemplare.
Con Arata, Erika Oda, Susumu Terajima, Taketoshi Naito, Kyoko Kagawa
Un aldilà dall’organizzazione meticolosa e quasi kafkiana - almeno per quanto riguarda il suo “vestibolo” - scopriamo essere l’idea bizzarra e piuttosto originale che il gran regista giapponese, qui alla sua opera seconda, si è fatto di ciò che può aspettarci dopo la morte. Non si parla tanto di paradiso o inferno, quanto piuttosto di come organizzare la vita eterna alle anime dei defunti appena varcate le porte del regno dei morti.
Un film profondo ed inquietante assieme, in grado di alimentare chissà quante altre considerazioni o che lascerebbe spazio a molti spunti di approfondimento, e che nel suo svolgimento si completa di tutta una serie di episodi di varia umanità o comunque di situazioni che riflettono anche le assurdità dettate dal caso, da leggi che non riusciamo a controllare, dal destino beffardo che gioca a rimpiattino con l’effimero scorrere di esistenze incerte appese ad un filo.
Con Yuuya Yagira, Ayu Kitaura, Hiel Kimura, Momoko Shimizu, Hanae Kan
Una vicenda intima e drammatica che pare assurda, tratta invece da spunti reali: quattro fratelli non registrati all’anagrafe, costretti a vivere segregati in casa lontano da una madre sempre assente. La maturità precoce, la curiosità verso il mondo, il desiderio di omologazione. Koreeda intenso e potente più che mai.
Con Hiroshi Abe, Yoshio Harada, Ryôga Hayashi, Haruko Kato, Kirin Kiki, Yui Natsukawa
Un "grande freddo" in famiglia quello di Hirokazu Koreeda: fulcro di tutto questo dolore imploso ed inespresso un lutto lontano ormai quindici anni; una perdita tanto assurda quando fondamentale per minare equilibri familiari che non costituiranno mai più come prima quell'ingranaggio ideale che fa funzionare alla perfezione l'orologio dei rapporti personali di una tranquilla famiglia borghese di Yokohama.
Koreeda ci fa accomodare tra le pareti di casa per un fine settimana all'insegna della più schietta introspezione familiare, dalla quale emerge una tristezza di fondo contagiosa dalla quale non ci si può esimere e che è uno dei valori più preziosi di un cinema altissimo e profondo, che come pochi sa toccare con grazia ed acutezza le profondità più intime dell'animo umano, dove ognuno bene o male riesce a riconoscersi e nel cui risvolto è impossibile, almeno in parte, non identificarsi.
Con Du-na Bae, Jô Odagiri, Susumu Terajima, Kimiko Yo, Arata, Itsuji Itao, Sumiko Fuji
La capacità di rappresentare ed esprimere il lato poetico di ogni aspetto e condizione di vita rappresentano, con l'eccentrico, bizzarro ma riuscitissimo Air Doll, la sfida più estrema per un regista molto legato ai temi della famiglia e dei vincoli affettivi, filiali ed amorosi. Una sfida vinta anche questa volta raccontandoci l'umanizzazione di una bambola gonfiabile utilizzata dal suo proprietario certamente come sfogo sessuale, ma altresi' come elemento in grado di allontanarlo da una solitudine assoluta e altrimenti irrimediabile, garantendogli quella parvenza di ambiente familiare e calore affettivo, oltre che sessuale, che le forme almeno superficialmente antropomorfiche di quell'altrimenti volgare commistione di gomma ed aria riescono ad ispirare nel suo proprietario.
Con Koki Maeda, Ohshirô Maeda, Ryôga Hayashi, Cara Uchida, Kanna Hashimoto, Rento Isobe
Hirokazu Koreeda, meraviglioso e toccante cineasta nipponico, riesce con garbo e intensità a scuotere la sensibilità dello spettatore, ammirato sino alla commozione, nel raccontarci la storia di due fratellini separati dal divorzio dei genitori, vittime di una disposizione assurda che li costringe, contro ogni regola non scritta ma riferibile al buon senso e ai comuni valori della famiglia, a vivere separati uno col padre e uno con la madre.
un film toccante e generoso, un diario di una maturazione giovanile che fa svanire la disillusione ingenua ma meravigliosa della tenera età e sancisce in qualche modo l'avvicinarsi dell'età adolescente, preparatoria di quella adulta e definitiva, dove purtroppo non c'e' più posto per i sogni, per le favole. e talvolta, troppo spesso per le storie a lieto fine.
Di nuoivo la famiglia al centro di tutto: i disagi che devono vivere due di esse non appena viene comunicato loro che i rispettivi bambini di cinque anni sono stati erroneamente scambiati in sala parto: problematiche morali, sociali e relative alle proprie legittime e ambiziose aspirazioni o al desiderare cose di altri al posto delle nostre.
Un tema non nuovo che il maestro nipponico tratta con garbo districandosi alla perfezione su una materia complessa e tortuosa come quella della scelta (moralmente impossibile da affrontare) se tenersi il proprio figlio donato dal destino avverso (che è poi influenzato dalla cattiveria e fragilità umane) o riprendersi quello naturale. Una risposta che ognuno di noi gia' conosce e tiene pudicamente dentro di sé, salvo ricevere poi la più logica e ragionevole conferma alla fine della toccante intima ma pure cinica storia d'amore filiale.
Una nuova riunione di famiglia in stile “Still walking”, ma questa volta tra tre sorelle giovani ma già adulte che, alla morte del loro padre naturale, da anni separato dalla loro madre, scoprono di avere una sorellina quattordicenne, frutto di un tardivo amore in seconde nozze.
Kore-eda semina armonia e voglia di vivere, serenità che non vuol dire illusione di vita eterna, ma una simbiosi ideale per affrontare perdite dolorose con la forza di un'intesa tra vivi che rende forte la famiglia, il nucleo invulnerabile, se unito nei pressi di un comune focolare domestico, come avviene in questo contesto.
Un ex scrittore vive sugli allori dei riconoscimenti passati, sperperando i soldi che guadagna come detective privato in scommesse e alcol. Dopo la morte del padre, l'uomo è costretto a stringere nuovamente contatti con la madre, l'ex moglie e il figlio, e lentamente troverà il modo di rimettere in carreggiata sé stesso e la sua vita.
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