In un articolo di qualche anno fa, Paolo Mereghetti sistemò l’ovvio:
Un cinema che ama e difende i suoi caratteristi è un cinema che guarda alla realtà e ne vuole riproporre la complessità e la ricchezza. È un cinema allegro, colorato, imprevedibile. Un cinema senza caratteristi è un cinema povero, spento, stanco. Morto.
Titolo: Non ci sono più i caratteristi di una volta. Personaggi citati: Mario e Memmo Carotenuto, Tina Pica, Tiberio Murgia, Carlo Delle Piane, Riccardo Garrone. Questa selezione apparentemente casuale, da cui sono esclusi altri volti fondamentali della nostra industria del passato, denota tuttavia l’individuazione di alcune tipologie di caratteristi: se Mario Carotenuto era “il commendatore”, il fratellastro Memmo l’uomo del popolo, Tina Pica la vecchia burbera e le facce di Murgia e Delle Piane parlavano da sole, Garrone ha rappresentato, almeno nella sua fase giovanile, l’uomo di bella presenza il cui vellutato speech romanesco s’accordava stranamente con la personalità spesso maneggiona o ambigua dei suoi personaggi.
Nelle quasi centottanta partecipazioni in sessantacinque anni di servizio, Garrone ha prestato la sua recitazione a qualunque operazione, dalla farsa parodica (Adamo ed Eva, Due notti con Cleopatra, Le dritte, Arriva Dorellik) all’embrione della commedia all’italiana (i fondamentali Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo, Il medico e lo stregone, Il momento più bello, Audace colpo dei soliti ignoti) passando per il cinema d’autore (Il bidone, Il ferroviere, La dolce vita, La rimpatriata, Eva, Giorno per giorno disperatamente) e il genere più scafato (i western caserecci, i decamerotici, le sconcezze soft) fino a partecipazioni degne di memoria (Basta guardarla, Trastevere, La cicala), conquistando una fama tardiva grazie all’iconico ruolo di San Pietro negli spot Lavazza.
Non dovrebbe destare critiche un’affermazione che trova nel suo carattere occasionale determinato dal lutto una chiave di lettura probabilmente intrigante: la carriera di Riccardo Garrone, scomparso nell’anno delle sue novanta primavere, è il percorso della nostra industria cinematografica, c’è qualcosa di esemplare nel suo mestiere d’attore che ha saputo (dovuto) adattarsi alle stagioni, alle mode, alle ossessione filtrate dal grande schermo. L’ultima cosa che mi piace ricordare è il magnifico doppiaggio di Lotso di Toy Story 3, un canto del cigno perfetto perché il suo orso è un travolgente trionfo di doppiezza.
[Rimando con piacere a questo post di Giancarlo Magalli]
Con Marcello Mastroianni, Vittorio De Sica, Marisa Merlini, Antonella Lualdi
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In uno dei grandi capitoli della comedie humaine di Monicelli, Garrone è il figlio serio di Vittorio De Sica, incapace di gestire con senno la prestigiosa sartoria della borghesia romana. Geloso della sorellina che se la fila col figlio di un barone della medicina, spietato col genitore che farfaloneggia con la nobile leggerezza di cui solo De Sica senior era capace, Garrone presenta un personaggio ruvido e ligio che ben rappresenta il passaggio dall'ingenuità del dopoguerra alla scafatezza del benessere economico.
Nel bellissimo melodramma sull'educazione sentimentale, lo specialista del genere Zurlini trova nella faccia di Garrone la vanitosa superbia dell'approfittatore da contrapporre alla purezza di Claudia Cardinale. Negli occhi di quest'uomo mai stato ragazzo, alfiere del gallismo di provincia, c'è il vano desiderio di abusare di un corpo quintessenza della bellezza.
Abbonato a ruoli più che ambigui che mettono in luce la grettezza di un popolo sospeso tra orrore e folklore, Garrone s'approfitta del povero beota Sordi per accalappiare, ancora una volta, la compaesana illibata Cardinale al fine di servirsene come squallore impone. Nel campione d'incassi di Zampa c'è un confronto con il Sordi meno convenzionale che però lascia intendere come la tipica maschera sordiana abbia forse ispirato l'anima più nera dei personaggi di Garrone.
Finalmente esponente di punta del generone romano, Garrone trova una seconda giovinezza grazie al mitologico avvocato Covelli, vero personaggio-cerniera tra il Sordi più spudoratamente borghese e il Christian De Sica contemporaneo. In un tripudio di situazioni da culto, impossibile non citare il conciso e volgare discorso con cui abbiamo trovato la chiusa per definire tutte le vacanze di Natale della nostra vita.
Ruolo della maturità, al cameriere Diomede non sfugge niente, tantomeno le moine che un sottoposto più giovane fa all'accondiscendente e malinconica padrona Fanny Ardant, nei cui confronti il vecchio dipendente cova un amore mai dichiarato per rispetto e consapevolezza. Nell'affollato ed elegante coro diretto da Scola, quello di Garrone, relegato ad una dimensione popolana inedita per la sua tendenza ad impersonare borghesoni, è uno dei personaggi più belli e sinceri.
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