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Addio a Jacques Rivette, maestro della Nouvelle Vague
di steno79 ultimo aggiornamento
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Addio a Jacques Rivette, maestro della Nouvelle Vague

E' scomparso ieri, a 87 anni, il regista francese Jacques Rivette e mi sembrava doveroso dedicargli una playlist. Per quanto meno noto e celebrato di Truffaut, Godard, Rohmer o Resnais, Rivette era comunque noto ai cinephiles, almeno a quelli più intransigenti e disposti ad osare su visioni meno convenzionali. Ebbe un percorso abbastanza simile ai colleghi appena menzionati perché anche lui veniva dalla critica cinematografica dei "Cahiers du cinéma" ed era stato un critico influente, spesso controcorrente proprio come il grande Truffaut. Rivette scrisse ad esempio il saggio "Genialità di Howard Hawks", amò smisuratamente "Viaggio in Italia" e detestò "Kapò" di Gillo Pontecorvo, ma in questo momento preferisco ricordarlo coi suoi film. Il primo film uscì nel 1959, anno d'oro per la Nouvelle Vague, e il titolo è "Paris est à nous", citato anche nel mitico "I quattrocento colpi" di Truffaut, ci racconta di un regista che deve mettere in scena una tragedia greca in mezzo a difficoltà di ogni genere. Negli anni successivi Rivette continua una carriera altalenante, dirigendo film di nicchia, spesso volutamente sperimentali e anti-commerciali, dalle durate impegnative, talvolta lunghissimi come "Out 1", lungo circa dodici ore. Per me, tuttavia, Rivette resta soprattutto il regista di tre film.

Il primo è "La religieuse", tratto da un testo di Diderot che ci racconta una vicenda per certi versi simile a quella della monaca di Monza. E' un'opera controversa, che fece scandalo quando fu presentata al festival di Cannes nel maggio del 1966 e non ottenne il visto di censura per l'uscita nelle sale, venendo sbloccata soltanto nel luglio del '67, dopo un intervento personale di Godard che scrisse una lettera al ministro della Cultura Malraux, pubblicata su "Le Nouvel Observateur". Nonostante la trama romanzesca, Rivette ha scelto un approccio austero, giustamente definito "giansenista" da una parte della critica: si tratta, comunque, di uno dei suoi film più narrativi e meno sperimentali. L'attacco agli abusi perpetrati contro la libertà di coscienza è ancora di notevole risonanza, compiuto in maniera lucida e senza sensazionalismi. Certo, vedere delle monache e dei rappresentanti della Chiesa comportarsi in maniera insensibile e a tratti crudele verso la sfortunata protagonista dava fastidio ancora a molte persone nel 1966, ma l'integrità artistica del film non ne risente. L'unico parziale difetto dell'opera è che il ritmo narrativo non è sempre dosato perfettamente e vi sono alcune sequenze che lo rallentano un pò, ma per il resto è certamente un film riuscito, di grande eleganza nella composizione plastica dell'immagine a cui contribuiscono le ambientazioni conventuali, ottimamente servito dal cast in cui spicca naturalmente la protagonista Anna Karina, venticinquenne all'epoca delle riprese.

Il secondo è "La bella scontrosa", vincitore del Gran Premio della giuria a Cannes nel 1991, forse il suo film più famoso e quello che i più ritengono il suo capolavoro.  È un film molto complesso che indaga il mistero della creazione artistica, in questo caso si tratta di pittura ma il parallelo con il cinema è lampante. Oltre a questo tema, il film parla della difficoltà di restare in una coppia, della solitudine dell'artista, delle conseguenze nefaste che l'atto della creazione può avere su chi dovrebbe ispirarlo... il tutto in maniera assai leggera ed evitando accuratamente l'ostacolo della noia.  Le immagini curate da William Lubtchansky e riprese principalmente nella località di Assas sono sempre raffinate, anche e soprattutto nelle lunghe scene in cui assistiamo ai disegni e agli schizzi di Piccoli, doppiato dalla mano del pittore Bernard Dufour; il confronto tra Frenhofer e Marianne diviene quasi una lotta, emblematico della tensione che sempre accompagna il cammino dell'artista, dove forse conta più il percorso che non il risultato finale, e infatti il quadro finito non sarà mostrato allo spettatore. Nel cast sono eccellenti soprattutto Emmanuelle Beart, coraggiosa nella disponibilità al nudo ma anche convincente nelle sfumature psicologiche di Marianne, e un Piccoli che torna a volare decisamente alto come nei film migliori degli anni passati. Rigoroso e intelligente, è comunque un film che richiede un investimento di energie non trascurabile da parte dello spettatore; il sonoro è ricchissimo di rumori ma non c'è mai la musica, tranne che sui titoli di testa e di coda.

Il terzo è "Jeanne la pucelle" sulla vita di Giovanna d'Arco, uscito in due parti distinte, la prima col sottotitolo "Le battaglie" e la seconda "Le prigioni". È un'opera coraggiosa ma difficile, alquanto diversa da tutte le versioni precedenti, dove il regista ha puntato molto sul rigore storiografico, con una minuziosa rievocazione della vita della Santa anche nei suoi aspetti meno conosciuti, tanto che la sceneggiatura dei suoi abituali collaboratori Pascal Bonitzer e Christine Laurent può essere apprezzata più dagli addetti ai lavori che hanno una conoscenza approfondita del periodo storico, che non dallo spettatore meno preparato. Il film ha un impatto visivo spesso considerevole, per quanto rifiuti le scene di massa e si mantenga su modalità di rappresentazione volutamente antispettacolari; l'aspetto cronachistico è rafforzato da una volontà di realismo che si allontana dall'Espressionismo rielaborato genialmente nella celebre versione muta di Dreyer. Il processo a Rouen che occupava l'intera pellicola di Dreyer qui viene ridotto a poche scene verso la fine, mentre si dà molto spazio ai rapporti con i regnanti e i politici. Sandrine Bonnaire è ammirevole per la spontaneità e l'intensità della sua interpretazione in un contesto spartano dove i personaggi secondari non hanno un forte rilievo. Il film potrà risultare di gusto elitario e troppo ardito per la grande platea, ma è certamente coerente con la poetica di Rivette e merita lo sforzo richiesto dal regista. 

Fra gli altri film, meritano di essere ricordati almeno "L'amour fou" (1969), "Celine et Julie vont en bateau" (1974), "Le pont du nord" (1981), "La bande des quatre" (1988), "Haut, bas, fragile" (1996), "Va savoir" (2001), "Histoire de Marie et Julien" (2003), "36 vues du pic Saint-Loup", interpretato fra gli altri anche da Sergio Castellitto.

Ciao Jacques

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