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UN ALTRO ANNO VISSUTO APPASSIONATAMENTE: COSA RESTERA’ DI QUESTO 2015 CINEFILO?
di alan smithee ultimo aggiornamento
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UN ALTRO ANNO VISSUTO APPASSIONATAMENTE: COSA RESTERA’ DI QUESTO 2015 CINEFILO?

Come ormai è capitato un po’ a tutti in questo sito - catturati quasi come una moda nel prender parte, in questi ultimi mesi, con impeto e partecipazione, ai coinvolgenti post dell’amico Cherubino, “Un solo film per ciascun anno di vita”, tendenti a tirarci fuori, scervellandoci a trovare uno ed uno solo tra i migliori film di ogni anno appartenente ad una certa decade, il film simbolo dei nostri gusti più squisitamente personali ed intimi – anche il riuscire a tirare le somme di un anno cinematografico in "10-titoli-e-nemmeno-uno-in-più", non è di per sé sempre così facile, automatico e lineare come potrebbe sembrare.

Ma, assieme al dispiacere inevitabile di dover tener fuori certe pellicole comunque meritevoli di menzione, si aggiunge la gratificazione di ripercorrere tutto il calendario delle proprie frequentazioni in sala, nel mio caso sorvolando le recensioni scritte durante tutto l’esercizio che sta volgendo al termine: un anno vissuto, nel caso personale, tra festival e rassegne varie, per non dire di proiezioni “oltreconfine” oltre, ben inteso, alle normali e comunque per me assai frequenti programmazioni “ordinarie” presso le nostre sale.

Dando e riconoscendo al cinema, la priorità che ancora esso si merita e che supera ogni altro tipo alternativo di fruizione.

A tirare le somme ora, bisogna ammetterlo anche correndo il rischio di risultare sempre troppo ed inutilmente polemici, aiuta senz’altro la penuria legata al  periodo natalizio, quello in cui tutti, ma proprio tutti, ritornano in sala, ma anche notoriamente il lasso temporale meno propizio per farci frequentare il grande schermo, a noi anomali esseri viventi un po’ strani, di certo controcorrente, conosciuti ed additati anche come “cinefili”.

Ecco le mie preferenze, in ordine decrescente, necessario ed inevitabile, ma non certo per demerito di alcuno dei titoli presenti.

Playlist film

El Abrazo de la Serpiente

  • Avventura
  • Colombia, Venezuela, Argentina
  • durata 125'

Titolo originale El Abrazo de la Serpiente

Regia di Ciro Guerra

Con Brionne Davis, Jan Bijvoet, Luigi Sciamanna, Nilbio Torres, Antonio Bolivar

El Abrazo de la Serpiente

In streaming su Amazon Prime Video

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FESTIVAL DI CANNES 2015 - QUINZAINE DES REALISATEURS 

EL ABRAZO DE LA SERPIENTE porta la regia del giovane colombiano Ciro Guerra, presente in sala al Palais Croisette nella rassegna della Quinzaine.

La vicenda, che si divide senza stacchi evidenti tra un passato tragico ed un presente di vecchiaia e speranza, ci presenta uno sciamano intento a far da gioda prima da giovane ad un botanico tedesco, poi, più anziano, ad un altro studioso delle piante, ma americano.

Entrambi sono interessati a trovare il fiore bianco e carnoso ma rarissimo di una pianta che, se ingerito, dà luogo ad effetti allucinogeni che favoriscono lo sviluppo del sogno e il suo ricordo una volta ridestati.

In entrambi i casi i viaggi sono lunghi e duri, funestati dalle condizioni meteorologiche e comunque proibitive di una zona selvaggia tra le foreste infinite di una Amazzonia da vertigine, incantevole e micidiale nello stesso tempo, madre dispensatrice e prigione inestricabile.

Un viaggio alla deriva di se stessi, tra atmosfere che ricordano i deliri di Kurtz di Cuore di Tenebra e relativa versione cinematografica coppoliana, e i disagi psicologici del Reygadas che condivide lo stesso selvaggio ed indomito continente.

Un viaggio alla ricerca di se stessi e delle proprie capacità e risorse, una scoperta di come il fanatismo religioso possa creare situazioni di servilismo cieco senza alcuna messa in discussione; ma soprattutto un ritratto potente che trasuda fascino abbacinante di una natura lussuriosa e potente come un dio, libera e allo stato brado, incontenibile e carnale: circostanze e caratteristiche che il bianco e nero potente e cinerino in questo caso agevola ed aiuta a rendere la maestosità del creato a dir poco inquietante e quasi soprannaturale, come una divinità da cui attendersi pericoli in vista e da tenere a bada con sacrifici e rispetto per troppo tempo messo al bando da un progresso che ne ha cancellato la complicità con il suo interlocutore ideale che è quell'uomo che tende sempre più ad imbrigliarla soffocandone le potenzialità.

"Il più potente film di Cannes visto fino ad ora, non a caso alla tanto amata Quinzaine"....scrissi profeticamente durante il festival francese il maggio scorso.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Sicario

  • Thriller
  • USA
  • durata 121'

Titolo originale Sicario

Regia di Denis Villeneuve

Con Emily Blunt, Jon Bernthal, Josh Brolin, Benicio Del Toro, Jeffrey Donovan

Sicario

In streaming su Amazon Prime Video

vedi tutti

FESTIVAL DI CANNES 2015 - CONCORSO

"Sicario" era il nome attribuito dagli antichi romani a una fazione estremista del partito ebraico degli Zeloti che ricorrevano sistematicamente all'omicidio terroristico come loro principale strategia politica.

Ma i sicari - qui nell'inferno delle metropoli messicane, riprese deliberatamente dal magnifico regista su dall'alto dei cieli, di certo per mettere in risalto le estensioni di case basse che riempiono le vallate a vista d'occhio, come un unico grande inestricabile formicaio di connivenza e paura, dove la vita del singolo perde importanza e dove la morte sopraggiunge ogni giorno e si erge a baluardo di regolamenti di conti che dimostrino come possa essere facile finire appesi e smembrati sotto un ponte, a penzoloni come un bovino macellato - i sicari dicevo, sono persone sole e disperate che hanno perso tutto e vogliono trovare una parvenza di pace facendosi giustizia da soli. Ad ogni costo, sprezzanti del pericolo, insensibili ad ogni tipo di violenza e situazione al limite.

Kate (Emily Blunt) è un'agente dell'FBI tosta e determinata che, in occasione di un raid presso una villa nel deserto al confine tra Usa e Messico, viene coinvolta in una sanguinosa sparatoria, al temine della quale oltre una quarantina di cadaveri vengono trovati all'interno di pareti di cartongesso, vittime tutte di una morte violenta e atroce che traspare da quel poco che (per fortuna) si riesce a vedere dei tratti facciali, nascosti in sacchetti inzaccherati di sangue.

Emersa tra il gruppo come uno degli elementi più affidabili, la donna viene convinta a far parte di una missione organizzata da un pittoresco e ironico membro della Cia (Josh Brolin), spesso fastidioso o irritante nei suoi modi melliflui e doppiogiochisti, missione a cui collabora anche (o soprattutto) un sicario determinato ed esperto (Benicio Del Toro), armato oltre che di ordigni micidiali, di un antico rimorso legato alla sorte drammatica della propria famiglia, circostanza che lo rende determinato e impegnato oltre ogni possibilità.

Lo scopo della missione, ma Kate lo capisce solo poco per volta, visto che entrambi gli uomini le nascondono quanto più possono, è quello di trovare un tunnel che stani il più grande traffico di droga versi gli Stati Uniti, piegando definitivamente un potente boss fino a quel momento intoccabile. 

Il motivo per cui Kate è stata arruolata, è in realtà un altro, e la verità lascerà a pezzi la donna, un poliziotto integro e dai nobili fini, che finalmente, ma fin troppo tardi, aprirà gli occhi su una verità scomoda che la farà soffrire più di ogni pericoloso agguato che in tutta la vicenda essa è destinata a subire. 

"Ora sai cos'è l'inferno nella terra degli yanchee" dice Del Toro ad un esponente importante della cosca, mentre lo tortura per farlo parlare: ma la frase potrebbe ugualmente essere rivolta alla nostra integerrima protagonista, una mosca bianca all'interno di un alveare di insetti contaminati dalla bruttura e dalla sete di soldi e di potere. 

Quando la resa dei conti è vicina, ecco che il Sicario è pronto a risolvere con la sollennità più teatrale la sua missione, trovando piena giustificazione nella tragedia che lo ha reso vendicativo più di ogni altra belva demoniaca che si possa immaginare.

Ed è qui che lo splendido film sciorina una dopo l'altra le sue massime, per voce del suo meraviglioso protagonista: "Sembri una bambina tutte le volte che hai paura. Hanno tagliato la testa a mia moglie, e tu mi ricordi mia figlia, che loro hanno ammazzato gettandola nell'acido" - ricolto a Kate; "Ogni sera fai ammazzare una famiglia intera, ed ora eccoti qui a cena con la tua famiglia" - rivolto al boss dei boss. O, ancora rivolto alla protagonista: "Trasferisciti in una piccola città, dove la legge ha ancora un senso ed un significato".

Echi "manniani" aleggiano lungo tutto il film potente in cui l'ottimo Villeneuve risulta ancora più ispirato e feroche che nei suoi bei lungometraggi che hanno preceduto questo. 

Emily Blunt, una bellezza consumata dalla disperazione e dal senso di inadeguatezza, dal pessimismo che la affligge e la rende di una vulnerabilità controllata e contraddetta da una forte propensione all'azione, non è mai stata così brava ed in parte come in questa occasione, e il suo ruolo è ertamente il più maturo e sofferto di una carriera che finalmente potrebbe rendercela indispensabile: il suo sguardo dolente, il dolore che traspare dal suo viso sconsolato, il suo modo di trasconarsi malvolentieri nell'abisso del male assoluto che le richiede di scendere a patti col diavolo e di ratificare comportamenti per lei inconcepibili, è stupenda.

Benicio Del Toro è sempre bravo se non superlativo: ma qui, nel ruolo del sicario, è davvero il fulcro ed il significato del film, l'ingranaggio che rende la pellicola, potente e tesa, concitata e spietata, un memorabile esempio di prodotto che asseconda il mercato senza rinunciare al piacere del racconto e alla perfezione nel rappresentare situazioni e personaggi che compongono questo presepe del male e del dolore, ripreso spesso ed efficacemente dall'alto quasi a denunciarne la sconfinata e dilagante presenza, come una epidemia senza fine e senza soluzione.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Tag

  • Horror
  • Giappone
  • durata 85'

Titolo originale Riaru onigokko

Regia di Shion Sono

Con Reina Triendl, Mariko Shinoda, Erina Mano, Mika Akizuki, Urara Aryû, Mao Asô

Tag

33 TFF - AFTER HOURS

Meraviglia Sion Sono!! In un 2015 fittissimo di regie (ne contiamo almeno 5, di cui ben 3 qui a Torino e uno stupendo fantascientifico vintage visto a Roma, il gran regista nipponico ci sorprende ed incanta con un apparentemente piccolo horror alla Takeshi Miike (prolificissimo e folle pure lui) che, prendendo spunto da un videogioco, filosofeggia sulle incognite esistenziali, sui ruoli preordinati a cui spesso ci relega il nostro posto sulla Terra. E ci presenta una minaccia superiore e senza volto che si accanisce, prima sotto forma di vento assassino, poi nella persona di un gruppo di docenti killer, poi ancora in un burattinaio che si diverte a giocare con persone che al suo cospetto diventano delle pedine - ai danni di una comunità  scolare di sole ragazze vestite tutte in modo identico, vezzose e sexy come lolite fuori tempo massimo.

Una protagonista una e trina che si immola come una trinità  pagana e si sacrifica per scongiurare le stragi che ha già  vissuto, salvandosi miracolosamente, ma non per caso, dalla mattanza. Siono gira magnificamente  un film "in corsa" perenne, con riprese dall'alto e in volo che mettono i brividi e racconta una storia assurda, impossibile e pure divertente la cui scrittura (complessa ma lucidissima) è  un esempio mirabile di abilita' fuori del comune a saper raccontare e sviluppare una vicenda basandosi su un semplice accattivante appiglio narrativo.

Musiche concitate da thriller classico sostengono una trama folle dai tratti anche lynchani (le personalità  multiple come in Lost Highway") e il pulp tarantiniano (le prof sexy ed assassine come La Sposa). Una magia visiva di un manga scurrile contaminato da attimi di poesia pura, da nuvole soffici di  candide piume bianche che diventano vermiglie al contatto col sangue che qui scorre a fiumi. Una meraviglia, una emozione che dura 85 minuti. Imperdibile se ci si vuole emozionare.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Test

  • Drammatico
  • Russia
  • durata 96'

Titolo originale Ispytanie

Regia di Aleksandr Kott

Con Elena An, Danila Rassomakhin, Karim Pakachakov, Narinman Bekbulatov-Areshev

Test

Una vera folgorazione per me questo film dell'est, pressoché sconosciuto da noi, intitolato in Francia LE SOUFFLE, o ISPYTANIE nella versione originale, TEST a livello internazionale per i paesi fortunati o lungimiranti che sceglieranno di distribuirlo: un film kazako di Alezander Kott girato in modo stupefacente, ambientato nelle meravigliose steppe assolate, affascinanti e deserte al sud della Russia, forte di riprese ardite e di straordinaria eleganza, armonia e gusto per l'immagine, che non diventa tuttavia pura calligrafia o esercizio di stile, ma una tecnica affascinante e stupefacente per raccontare una storia di una contesa amorosa assimilabile ad un duello animale, fiero e risoluto, tra due contendenti irriducibili per la femmina bramata ed irrinunciabile, tanto è bella e folgorante.

E' così che un padre di poche parole, allevatore e contadino una una vasta steppa ai confini del mondo civilizzato, si rassegna bonariamente a dover veder partire la amata giovane e bella figlia.

La quale è contesa tra un esuberante conterraneo in baffetti e motobecane biposto con cui compie spericolati numeri quasi equestri, ed un russo biondino e caruccio dinoccolato e snodatissimo che la affascina con i suoi contorcimenti e avvolgimenti su se stesso.

L'indecisione della ragazza tuttavia passa in secondo piano quando tremori sempre più forti e dirompenti preparano la strada ad una vera e propria catastrofe annunciata e provocata scientemente dall'uomo. Siamo infatti negli anni '40 ed i russi stanno sperimentando nelle vaste terre desertiche del Kazakistan, le prime rudimentali ma ugualmente devastanti bombe atomiche, che fanno scempio e invadono di radiazioni ogni forma di vita locale, compromettendo definitivamente cose e persone.

Senza una parola (non ce n'è affatto bisogno, e tutto ciò costituisce uno delle più genuine magie del film), il film di Kott si presenta potentissimo nel provocare emozioni con la forza di una immagine che cattura un attimo, un panorama, uno sguardo pensoso; o ancora due panni stesi che si abbacciano quasi animati da una vita fantasma che li muove sinuosi uno sull'altro come amanti; una ripresa dall'alto del contadino che si riposa con la testa sulla schiena del suo montone, che dorme placidamente assieme a lui.

In questo film magnifico ogni ripresa suscita meraviglia od emozione, ed è straordinario il fatto che da una tenera ma combattuta storia d'amore e di indecisione si passi senza eccessivo preavviso, o comunque in modo dirompente, agli effetti della catastrofe finale che tutto risolve e tutto cancella. Volti sinceri, belli, genuini, curiosi, meraviglia a fior di pelle che contagia lo spettatore e che contrasta con lo shock dello scempio provocato, ancora una volta, dalla insensata avidità e brama di conquista dell'uomo inteso come branco, nella pluralità barbara e perversa, crudele e guerrafondaia della sua accezione.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Cemetery of Splendour

  • Drammatico
  • Thailandia, Gran Bretagna, Germania, Francia
  • durata 115'

Titolo originale Rak ti Khon Kaen

Regia di Apichatpong Weerasethakul

Con Jenjira Pongpas, Banlop Lomnoi, Jarinpattra Rueangram, Patcharat Chaiburi

Cemetery of Splendour

In streaming su MUBI

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FESTIVAL DI CANNES 2015 - UN CERTAIN REGARD

Apichatpong Weerasethakul, quello della Palma D'Oro per Zio Bonmee, è un uomo di cinema straordinario e indecifrabile, ma sempre intrigante e misterioso. 

Tornato a Cannes nel 2015, ospitato nella sezione Un Certain Regard col suo ultimo CEMETERY OF SPLENDOUR, il gran regista tahilandese ci conduce all'interno di un ospedale da campo costruito, o meglio adattato da una scuola abbandonata per ricoverare una serie di soldati, afflitti da una misteriosa malattia del sonno che li costringe privi di sensi per gran parte del giorno.

Una piccola e storpia anziana signora, moglie di un soldato americano in pensione, si offre di accudirli durante il suo tempo libero, affezionandosi in particolare ad uno di essi che lei giudica molto ttraente, pargonandolo al Clark Kent di Superman, e che non riceve mai visite da nessuno. Coadiuvata da una medium accorsa sul posto per cercare di capire se ci sono ragioni intrinseche a questa malattia davvero molto strana e inspiegabile, la donna viene anche in contatto con i fantasmi di un cimitero che alcuni lavori in corso ed una ruspa stanno esumando involontariamente.

Sospeso tra i misteri della vita terrena e di quella trascendentale, il cinema di Weerasethakul è un concentrato di enigmi e situazioni che spaziano dalla contemplazione alla considerazione della propria anima, del proprio intimo messo a nudo nel cercare di aprirsi ai misteri che ci circondano e per trovare pace e tranquillità quando anche il fisico inizia a continua a non rispondere a dovere ai richiami della salute. Ecco allora che i fantasmi benigni di vite precedenti sopraggiungono a darci sollievo allientando, tra tubi fosforescenti e cangianti di colore, le menti tormentate in un sonno benefico e misterioso a cui forse anela anche la nostra sventurata e storpia protagonista, vittima di sofferenze indicibili e tormentata anche durante le sue scarse ore di sonno.

Un cinema mistico e intimo che risulta spiazzante, impegnativo, indecifrabile, ma anche estremamente affascinante, se solo ci si lascia prendere dalla contemplazione e dalle lunghe riprese potenti e in qualche modo estatiche del gran regista tahilandese, dalla passione per la natura selvaggia che ci conduce spesso nei meandri di un mistero racchiuso nei recessi di una foresta invalicabile dove risiedono risposte apparentemente fuori dalla quotidiana razionalità.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

In the Crosswind

  • Drammatico
  • Estonia
  • durata 90'

Titolo originale Risttuules

Regia di Martti Helde

Con Einar Hillep, Ingrid Isotamm, Laura Peterson, Mirt Preegel, Tarmo Song

In the Crosswind

In streaming su Spamflix

IN THE CROSSWIND stupisce e tocca l'animo per l'argomentazione forte, lo stile inconsueto se non originalissimo della narrazione, la potenza degli sguardi di una protagonista incantevole.

Nel giugno del 1941, la repressione razziale ad opera di Stalin, si abbatte feroce ed implacabile sui popoli di confine, vale a dire sugli estoni, i lituani ed i lettoni. Migliaia di persone vennero con la forza portati via dalle loro città e condotti su due fronti principali: gli uomini in età da soldato in campi di concentramento, i vecchi, le donne ed i bambini confinati tra le immense lande siberiane,

Da una lunga serie di lettere scritte dalla giovane moglie Erna al marito durante il viaggio e poi successivamente in terra siberiana, il film ricostruisce le memorie di una profuga e la sua speranza di ritornare nella terra natia per ricongiungersi con il marito.

In un bianco e nero potente e luminoso, il giovane regista Martti Helde, classe 1987, filma in modo tradizionale il passato sereno della famiglia tra bucoliche passeggiate e gite in barca, mentre la macchina da presa segue instancabile con movimenti lenti e continui gli spostamenti dei protagonisti; poi la narrazione di quello che viene raccontato da Erna nelle lettere scritte al marito, viene rappresentato attraverso una ripresa in continuo pacato movimento su corpi immobili, quasi plastici, come una carrellata su una foto molto particolareggiata di cui si vuole riprendere ogni più piccolo particolare. Volti immobili colti nell'espressione più intensa che comunica emozione, sforzo fisico, dolore o rassegnazione da prigionia. Quasi a voler discernere una falsa fotografia da una ripresa cinematografica, uno sbuffo di vento coglie sempre qualche piccolo particolare in sottofondo, un foglio di carta, un mazzo di fiori, scuotendolo e facendolo muovere naturalmente, come per dar vita ad una rappresentazione plastica che meglio di qualunque altra rende l'idea della inevitabile staticità della pagina scritta. 

Erna rivive nelle sue lettere al marito le difficoltà, la disperazione, ma anche i piccoli successi come l'acquisto di una mucca che le permette di rifornirsi quotidianamente di latte ed anzi du venderlo, ricavandone un minimo di sostentamento per lei e la figlia. Al suo ritorno a casa, la donna scoprirà che anche il marito, prima di morire in prigionia, le scrisse una unica lettera: in essa l'uomo, conscio della fine, presagiva un loro incontro come due venti di ugual forza ma opposta direzione che si incontrano nel procedere uno da est e l'altro da ovest, direzioni opposte che segnarono la definitiva separazione dei due giovani coniugi.

Il film è intenso, originale, straziante, ottimamente interpretato da attori che posano sulla scena fornendo la fissità di espressioni che meglio di chiunque altre rendono la veridicità della sofferenza e della umiliazione ricevute.

In the crosswind è davvero un film eccezionale.

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

La memoria dell'acqua

  • Documentario
  • Francia, Cile, Spagna
  • durata 82'

Titolo originale El botón de nácar

Regia di Patricio Guzmán

La memoria dell'acqua

In streaming su iWonder Full Amazon channel

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L'acqua come indizio: elemento testimoniale, fulcro di una indagine che spazia per argomento, tematica, specializzazione scientifica e costituisce un vero e proprio materiale rivelatore di genocidi e violenze perpetrate in epoche differenti tra le paludi e gli arcipelaghi cileni. La massa d'acqua diviene l'elemento di base e il perno rivelatore, quello che permette di risalire alle ingiustizie e alle violenze che da sempre caratterizzano le varie epoche dell'esistenza dell'uomo sulla terra. Il primo "Button" è l'indigeno che, nella prima metà dell'800, viene portato da un giovane comandante di marina in Inghilterra per tentare l'esperimento di civilizzazione occidentale: di fatto distruggendo un essere umano, privato della sua personalità e delle emozioni derivanti dall'appartenenza ad un mondo che non ammette interferenze a patto di non risultare corrotto in modo indelebile.

Il secondo "bottone", è un vero e proprio oggetto sartoriale ritrovato nel fondali marini incastonato tra i reperti ferrosi di antichi binari in disuso: pratica efferata con cui venivano portati alla morte i dissidenti del regime dittatoriale di Pinochet, gettati da elicotteri e scaraventati in mare ed annegati, ove non trovassero la morte direttamente con l'impatto.

"L'attività della mente umana assomiglia, nel suo comportamento duttile, alle grandi masse d'acqua: entrambe riescono ad adattarsi a tutte le superfici e a tutte le caratteristiche".

Questo il fulcro e l'essenzialita' geniale che il film riesce a raccontare tra fascinazione e sconcerto.

La regione della Patagonia occidentale, quella cilena appunto, è un territorio sperduto ed isolato che tuttavia ha permesso a comunità umane di viverci in perfetta armonia col territorio per oltre 10 mila anni, nonostante le avversità climatiche e logistiche a volte insopportabili. Oggi tutta questa civiltà è pressoché scomparsa, devastata dalla civiltà occidentale che ha, consapevolmente o meno, raso al suolo intere culture, usi, costumi, in nomecdi una conformità  ad idee e preconcetti qui, in capo al mondo, in un altro mondo, completamente avulsi.

Allo stesso modo nel risultato, ma in forme e modalità ancora più spietate e  spesso sotto forma di regini e dittature assolute come quella di Pinochet, la prepotenza umana ha devastato e perseguito chiunque trovasse il coraggio di ribellarsi per non uniformarsi alle sue regole.

L'acqua, elemento comune in tutto il sistema solare, seppur presente, su altri pianeti, sotto altre forme e consistenze, è la fonte primaria, lo specchio e la testimonianza di tutto ciò che è stato e che sarà.

"La memoria dell'acqua" è un documentario molto suggestivo e  affascinante, in grado di testimoniarci la presenza di un elemento che diviene un essere quasi superiore, e se non giudice, almeno testimone dei fatti e dei misfatti che hanno caratterizzato le varie epoche storiche di cui l'uomo è stato testimone.

Il premio "Orso d'Argento per la migliore sceneggiatura" alla Berlinale 2015, se appare a prima vista un anacronismo in un documentario, trova la sua pertinente giustificazione nella potenza delle immagini e nella seducente narrazione che da esse scaturisce: dalla visione se ne ricava un'esperienza altamente affascinante, oltre che una lezione civica e morale di forte, potentissimo impatto. 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Bella e perduta

  • Documentario
  • Italia
  • durata 86'

Regia di Pietro Marcello

Con Tommaso Cestrone, Sergio Vitolo, Gesuino Pittalis

Bella e perduta

In streaming su Rai Play

FESTIVAL DEL CINEMA DI LOCARNO - CONCORSO

Il cinema di Pietro Marcello, sempre in bilico tra narrativa e documentario, si concentra sulle figure degli umili, anzi degli ultimi, quelli che a volte rivendicano con orgoglio e coraggio la propria condizione ponendosi coraggiosamente a baluardo del proprio operato e della propria intransigente, eroica presa di posizione.

Dopo la Liguria dei carruggi genovesi, teatro d'azione di una coppia impossibile e per questo perfetta de La bocca del lupo, il regista casertano resta nella sua terra campana per raccontarci di un eroe piccolo e silenzioso: un pastore di bufali che sacrifica la sua vita per mantenere in piedi un bellissimo casale-reggia che giace abbandonato a se stesso, all'incuria e alle razzie dei saccheggiatori, tra le lande desolate e fertili di una periferia casertana devastata dai rifiuti e popolata da mandrie di bufale da latte. BELLA E PERDUTA è appunto la Reggia di Carditello, gioiello dell'epoca borbonica risalente al 1700, da troppo tempo in stato di abbandono nonostante l'eroica iniziativa di un privato cittadino e pastore, divenuto custode a tempo perso e in modo assolutamente volontario e gratuito, spinto da un amore viscerale per quella meravigliosa struttura architettonica in pericolo di degrado irreversibile.

La volontà di Tommaso, questo il nome dell'umile operoso ed illuminato dai bellissimi occhi cerulei e buoni (quasi quanto quelli corvini ed umidi del piccolo bufalo destinato come tanti al sacrificio, al servizio di una umanità vorace e distruttiva), è quella di tenere in piedi una location preziosa di cui lo stato e la burocrazia si sono dimenticati o hanno sepolto tra le pratiche impossibili destinate all'indifferenza. L'unica cosa che l'uomo chiede in cambio è che un piccolo bufalo maschio, chiamato Sarchiapone, in quanto tale destinato alla macellazione ancora infante, venga tenuto in vita. Per questo un allegro e un po' disorganizzato Pulcinella si materializza per salvare l'animale e portarlo al sicuro, tra pastori ignoranti ma citazionisti di una poesia dannunziana bucolica assolutamente pertinente e doverosa.

Le sorti dell'animale sono segnate già dalle prime scene iniziali, e la sconfitta e il disgusto per il trionfo dell'ingiustizia divengono il tratto comune di una storia di piccoli eroi soffocati dalla corruzione e dall'indifferenza generale.

Tommaso morirà (per davvero!!! a volte le storie vere superano la fantasia o l'irrazionalità emozionale della narrativa) in circostanze misteriose o non chiarite la notte di un Natale passato da poco, ufficialmente per infarto. Ma la sua figura, scomoda, per la malavita locale, ma pure per le amministrazioni del posto che col loro non fare, non reagire, alimentano ed incoraggiano la clandestinità ed il malaffare, diviene sempre più evocativa di un cittadino solo, apparentemente impotente e fragile come un fuscello che si oppone al colosso della corruzione e del malaffare, da sempre simbolo della forza prevaricatrice della camorra, che si alimenta come un vampiro della linfa vitale dei piccoli innocenti, come i mammiferi impotenti destinati al macello.

Tra le vittime designate inesorabilmente dalla condizione che li delinea, il bufalo cucciolo, con i suoi occhi umidi ed umani, lo sguardo buono e pacifico che lo rende parte integrante di una natura benevola e bucolica solo a sprazzi, tra cuccioli di cane e altre specie innocue e pacifiche, personifica l'onestà che finisce sempre per soccombere, nonostante la mobilitazione tardiva di una macchina dell'informazione sempre troppo superficiale o generalista.

Marcello fa un film forte, potente, emozionante ed intenso che si innesta ed interseca nel carattere e nei tratti dei personaggi e delle maschere popolari italiane proprie  della più antica tradizione popolare, che altro non sono, già dalla loro genesi, se non la personificazione dei tratti, vuoi dominanti vuoi oppressi, vuoi servitori arrivisti, vuoi vittime designate, del prototipo di personalità variegata che da sempre riempie la sfaccettata massa sociale, sempre divisa tra oppressori (pochi e potenti) ed oppressi, ovvero una massa diffusa e soccombente.

Un meritato  Pardo D'oro, sarebbe stato plausibile e sin facile prevedere per uno dei film più belli, potenti ed emozionanti del Concorso: così non è stato, forse per la difficoltà di far comprendere certi argomenti e certi personaggi così tipicamente inseriti nella nostra tradizione popolare, da divenire probabilmente incomprensibili per una giuria così internazionale come quella del festival ticinese.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Taxi Teheran

  • Documentario
  • Iran
  • durata 82'

Titolo originale Taxi

Regia di Jafar Panahi

Con Jafar Panahi

Taxi Teheran

In streaming su Rai Play

vedi tutti

TAXI TEHERAN è l'ultima e nuovamente clandestina opera del cineasta più perseguitato e censurato al mondo: stiamo parlando dell'iraniano Jafar Panhai e della sua ultima, industriosa, a tratti geniale strategia per continuare a girare film in barba alle severe misure di sicurezza a cui il cineasta è da anni sottoposto, addirittura dopo un periodo di carcere duro. Un film dunque che, indipendentemente dai meriti oggettivi che si porta dietro, si è aggiudicato con pertinenza ed accortezza da parte della giuria l'Orso d'Oro all'ultimo Festival di Berlino.

Il regista assume per l'occasione i falsi panni di tassista e, caricando a bordo della sua autovettura una serie di persone lungo tutta una giornata, cattura e restituisce caratteri, personalità, storie e punti di vista riguardo ad una società oppressa dall'impossibilità di far valere le proprie opinioni, perché schiava di un regime assoluto che ne limita libertà e diritti inalienabili.

Una telecamera seminascosta e mobile apposta sul cruscotto, punta i volti dei passeggeri: alcuni parlano liberamente esprimendosi in merito a usi e costumi della società in cui vivono e li circonda, in particolare su aspetti legati al matrimonio e al divorzio in rapporto al differente e sperequato trattamento riservato ad uomini e a donne), altri riflettono su situazioni inerenti la salvaguardia di diritti che per l'occidente si considerano consolidati ed inalienabili; poi il regista, riconosciuto, carica a bordo un'attivista che si batte per la tutela di alcuni individui incriminati e reclusi per oltraggio al comune senso del pudore tra cui una ragazza imprigionata per aver assistito ad una partita di football, prerogativa tassativamente riservata ad un pubblico maschile.

Poi è la volta della piccola nipote del regista, che, macchina alla mano, confida allo zio che la maestra ha dato alla sua classe il compito di girare un piccolo film nell'arco del fine settimana, circoscrivendo alcune regole inviolabili, quasi un “dogma” che rispetti i dettami della legge coranica e del mondo islamico comunemente appannaggio del paese: condizioni che divengono una costrizione ed una minaccia alla libertà di espressione, come il geniale regista ci dimostrerà nel piccolo video che la bambina avrà occasione di girare mentre si trova ad aspettare lo zio, seduta nel sedile posteriore dell'auto, ed intenta a filmare un ragazzino povero che trova per terra dei soldi di una coppia di neo sposi, incitandolo quindi a restituirlo affinché il suo film possa avere un messaggio positivo, condizione necessaria e fondamentale tra i molti dettami previsti da quella forma di censura che si manifesta già dalle scuole inferiori. 

Poi la realtà supera l'immaginazione quando i due, assentatisi un attimo, sono sottoposti ad uno scippo dell'auto e della annessa cinepresa.

Come a puntare il dito su un fenomeno concreto di criminalità che si abbatte sul già difficile mondo di chi ha il talento e la possibilità di documentare una grave situazione di disagio ed una vera e propria minaccia per la salvaguardia dei diritti basilari dell'esistenza umana, che è costretto a far fronte anche ad un problema concreto di micro-criminalità, altro tassello verso una deriva che ci comunica, dietro una parvenza di ironia e un clima quasi allegro o comunque volutamente rilassato, una visione davvero cupa per le sorti della democrazia in una regione del pianeta dove integralismo e oscurantismo stanno soffocando ogni più umano e sacrosanto sussulto di rivendicazione delle libertà di pensiero e di espressione.

Un piccolo film girato con nulla, ma potente e geniale, girato nello stile di “Dieci” del maestro dell'autore e più famoso autore iraniano Abbas Kiarostami, con cui tanto ha collaborato Panhai e dal quale il nostro ha saputo trarre le tecniche e la classe registica con cui, anche in condizioni di fatto impossibili, il cineasta riesce a incantarci e a farci riflettere in modo dirompente e, viste le drammatiche circostanze personali che lo affliggono ormai da anni, dopo reclusioni e l'attuale libertà vigilata, in grado di commuoverci e straziarci il cuore.

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Manos Sucias

  • Drammatico
  • USA, Colombia
  • durata 84'

Titolo originale Manos Sucias

Regia di Josef Wladyka

Con Cristian James Abvincula, Jarlin Javier Martinez

Manos Sucias

Esordio del regista colombiano Josef Wladyka, MANOS SUCIAS (letteralmente “mani sporche”) racconta l'epopea drammatica che due fratelli, all'insaputa uno dell'altro coinvolti in una pericolosa missione volta a trasportare dalla costa pacifica della Colombia fino a Panama un ingente bottino di droga nascosto in un siluro a pelo d'acqua trascinato da una piccola barca a motore.

I due si ritrovano coinvolti nel rischiosissimo progetto per cercare di trovare i soldi l'uno, il più grande, per cambiare vita e fuggire in seguito alla morte del proprio figlioletto, ucciso come un cane randagio per essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato; il giovane invece, appena diciottenne, deve provvedere a mantenere il neonato appena concepito dalla propria giovanissima compagna.

Inseguiti e scortati da un minaccioso emissario dei mandanti, sottoposti a controlli da parte di una guardia costiera che li sorveglia e bracca come prede, i due fratelli verranno coinvolti in una drammatica epopea che riesce anche ad avvincere per ritmo teso e ritmo del racconto, concitato e ben raccontato, sullo sfondo di una natura rigogliosa e plumbea che non concede attenuanti, e di una umanità crudele e omicida che si difende con scatti di violenza ed ira che lasciano segni indelebili o mortali.

Rincorse nella boscaglia su strade ferrate poco più che improvvisate, inseguiti dalla polizia, all'inseguimento dei traditori, il film non concede tregua fino ad un finale che non riesce proprio a celebrare un successo ma solo il trionfo dell'amarezza e del rimorso.

Una gran bella sorpresa, per un film che ha ricevuto il premio del pubblico al Tribeca Film Festival.

Due interpreti che sembrano recitare se stessi, ma lo fanno con una professionalità ed un mestiere da attori navigati; un paese selvaggio dove la civilizzazione è servita solo a portare violenza e morte, traffico clandestino, povertà ed indigenza.

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