FESTIVAL DI CANNES 2015 - CONCORSO
"Sicario" era il nome attribuito dagli antichi romani a una fazione estremista del partito ebraico degli Zeloti che ricorrevano sistematicamente all'omicidio terroristico come loro principale strategia politica.
Ma i sicari - qui nell'inferno delle metropoli messicane, riprese deliberatamente dal magnifico regista su dall'alto dei cieli, di certo per mettere in risalto le estensioni di case basse che riempiono le vallate a vista d'occhio, come un unico grande inestricabile formicaio di connivenza e paura, dove la vita del singolo perde importanza e dove la morte sopraggiunge ogni giorno e si erge a baluardo di regolamenti di conti che dimostrino come possa essere facile finire appesi e smembrati sotto un ponte, a penzoloni come un bovino macellato - i sicari dicevo, sono persone sole e disperate che hanno perso tutto e vogliono trovare una parvenza di pace facendosi giustizia da soli. Ad ogni costo, sprezzanti del pericolo, insensibili ad ogni tipo di violenza e situazione al limite.
Kate (Emily Blunt) è un'agente dell'FBI tosta e determinata che, in occasione di un raid presso una villa nel deserto al confine tra Usa e Messico, viene coinvolta in una sanguinosa sparatoria, al temine della quale oltre una quarantina di cadaveri vengono trovati all'interno di pareti di cartongesso, vittime tutte di una morte violenta e atroce che traspare da quel poco che (per fortuna) si riesce a vedere dei tratti facciali, nascosti in sacchetti inzaccherati di sangue.
Emersa tra il gruppo come uno degli elementi più affidabili, la donna viene convinta a far parte di una missione organizzata da un pittoresco e ironico membro della Cia (Josh Brolin), spesso fastidioso o irritante nei suoi modi melliflui e doppiogiochisti, missione a cui collabora anche (o soprattutto) un sicario determinato ed esperto (Benicio Del Toro), armato oltre che di ordigni micidiali, di un antico rimorso legato alla sorte drammatica della propria famiglia, circostanza che lo rende determinato e impegnato oltre ogni possibilità.
Lo scopo della missione, ma Kate lo capisce solo poco per volta, visto che entrambi gli uomini le nascondono quanto più possono, è quello di trovare un tunnel che stani il più grande traffico di droga versi gli Stati Uniti, piegando definitivamente un potente boss fino a quel momento intoccabile.
Il motivo per cui Kate è stata arruolata, è in realtà un altro, e la verità lascerà a pezzi la donna, un poliziotto integro e dai nobili fini, che finalmente, ma fin troppo tardi, aprirà gli occhi su una verità scomoda che la farà soffrire più di ogni pericoloso agguato che in tutta la vicenda essa è destinata a subire.
"Ora sai cos'è l'inferno nella terra degli yanchee" dice Del Toro ad un esponente importante della cosca, mentre lo tortura per farlo parlare: ma la frase potrebbe ugualmente essere rivolta alla nostra integerrima protagonista, una mosca bianca all'interno di un alveare di insetti contaminati dalla bruttura e dalla sete di soldi e di potere.
Quando la resa dei conti è vicina, ecco che il Sicario è pronto a risolvere con la sollennità più teatrale la sua missione, trovando piena giustificazione nella tragedia che lo ha reso vendicativo più di ogni altra belva demoniaca che si possa immaginare.
Ed è qui che lo splendido film sciorina una dopo l'altra le sue massime, per voce del suo meraviglioso protagonista: "Sembri una bambina tutte le volte che hai paura. Hanno tagliato la testa a mia moglie, e tu mi ricordi mia figlia, che loro hanno ammazzato gettandola nell'acido" - ricolto a Kate; "Ogni sera fai ammazzare una famiglia intera, ed ora eccoti qui a cena con la tua famiglia" - rivolto al boss dei boss. O, ancora rivolto alla protagonista: "Trasferisciti in una piccola città, dove la legge ha ancora un senso ed un significato".
Echi "manniani" aleggiano lungo tutto il film potente in cui l'ottimo Villeneuve risulta ancora più ispirato e feroche che nei suoi bei lungometraggi che hanno preceduto questo.
Emily Blunt, una bellezza consumata dalla disperazione e dal senso di inadeguatezza, dal pessimismo che la affligge e la rende di una vulnerabilità controllata e contraddetta da una forte propensione all'azione, non è mai stata così brava ed in parte come in questa occasione, e il suo ruolo è ertamente il più maturo e sofferto di una carriera che finalmente potrebbe rendercela indispensabile: il suo sguardo dolente, il dolore che traspare dal suo viso sconsolato, il suo modo di trasconarsi malvolentieri nell'abisso del male assoluto che le richiede di scendere a patti col diavolo e di ratificare comportamenti per lei inconcepibili, è stupenda.
Benicio Del Toro è sempre bravo se non superlativo: ma qui, nel ruolo del sicario, è davvero il fulcro ed il significato del film, l'ingranaggio che rende la pellicola, potente e tesa, concitata e spietata, un memorabile esempio di prodotto che asseconda il mercato senza rinunciare al piacere del racconto e alla perfezione nel rappresentare situazioni e personaggi che compongono questo presepe del male e del dolore, ripreso spesso ed efficacemente dall'alto quasi a denunciarne la sconfinata e dilagante presenza, come una epidemia senza fine e senza soluzione.
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