1985......sono passati trent'anni. Eppure se ti concentri un attimo riesci a ricordartelo quell'anno. Vero? Dai coraggio prova a sederti, a chiudere gli occhi e a pensare di non essere qui oggi ma in una dimensione senza tempo. Allora se adesso ti dico “1985” tu che vedi?
Vedo un ragazzo, su una scrivania....sta studiando, fuori fa caldo ma non caldissimo, quelle belle estati di una volta, arrivava il caldo a giugno e se ne andava dopo il ferragosto con i primi temporali. E' giugno e lui studia, perché quel ragazzo a cui manca poco più di un mese per arrivare a tagliare il traguardo dei 19 anni, tra pochi giorni dovrà affrontare l'esame orale della maturità.
Studia con attenzione, ci tiene a fare bella figura, sa che i suoi hanno fatto sacrifici per fargli fare quel Liceo Classico al posto dell'Istituto Tecnico più consono ai figli della classe operaia, cinque anni iniziati a suon di tre e quattro e terminati a suon di sette e otto (e pure qualche nove).
Ogni tanto si ferma, e per riprendere il fiato ascolta un po' di musica. Dal lettore di nastri lì vicino alla scrivania escono le note e la voce di Bruce Springsteen che canta la rabbia di chi ha visto crollare il sogno americano. Born in the U.S.A. È statisticamente un disco del 1984 ma l'anno della sua affermazione, almeno qui in Italia, è il 1985.
E poi......che mi racconti?
L'esame è passato, adesso siamo in piena estate. E' l'estate dei Righeira, la loro L'estate sta finendo passa in tutte le radio. Non mi piacciono quei due ragazzotti di Torino con i capelli sparati in testa, a pelle mi stanno piuttosto antipatici. Per di più hanno pensato bene di litigare con il mitico Fish, cantante e front-man dei Marillion, quella sì una grande band, e questo me li rende ancora meno simpatici. Però quella canzone mi colpisce, ha una bella melodia e delle parole che in qualche modo sembrano riguardarmi. Dice “sto diventando grande, lo sai che non mi va”, io invece non vedo l'ora di diventare grande, forse perché con questa faccia da bambino che mi ritrovo dimostro meno anni di quelli che ho anche se ormai supero il metro e ottanta. O magari no, forse hanno ragione loro, in fondo neanche io ho così voglia di diventare grande.
Il liceo, gli amici, i libri di fantascienza in edizione rilegata solo per natale o feste comandate, altrimenti i mitici volumetti di Urania in edicola, il calcio inglese in TV su Retequattro (forza Manchester United, mi feci portare pure la sciarpa da un amico di famiglia benestante che venne mandato in vacanza a Londra).
E poi i dischi, piattoni di plastica nera dentro copertine a volte splendide (ma quanto erano belle quelle degli Yes? Dei piccoli capolavori) altre no, ma che fascino! Eddie che mi guarda torvo dalle copertine degli Iron Maiden, in quel 1985 la band inglese pubblica un doppio dal vivo che in copertina riporta una frase di Lovecraft. Io già li adoravo, Steve Harris e soci, dopo quella copertina guai chi me li tocca.
E ancora il cinema al sabato pomeriggio e magari la pizza con gli amici (e le amiche.....ah le donne che universo misterioso!), e poi la domenica le corse sul campetto a respirare polvere dietro a un pallone, terzino sinistro fluidificante, io che sono un destro naturale ma quando vado in campo in modo altrettanto naturale sto sempre sul lato sinistro, chissà perché poi?
Questa è la mia vita in una piccola città di provincia, dove peraltro studio ma non vivo, dato che abito in paesino ancora più piccolo, in una casa immersa nel verde delle colline dell'entroterra ligure (ma avevo la vespa e raggiungevo gli amici dappertutto.....poi ne parlo magari dopo...).
Tutto questo cambierà, lo so, faccio quello pieno di fiducia ma un po' di preoccupazione per ciò che sarà esiste, sta lì nascosta in una angolo, ben attenta a non farsi trovare, ma io e solo io so che c'è.
Ma adesso niente pensieri sul futuro, godiamoci il presente, adesso l'estate è mia.
Già l'estate.....il caldo adesso è torrido, il cielo è azzurro, sto camminando per raggiungere gli amici a spiaggia, da una radio esce una musica a tutto volume. Musica estiva che ti fa ballare per una stagione e poi sparisce nell'arco di pochi mesi.
Passa senza lasciare traccia, ma quando arriva la voce del Vasco allora ti fermi e canti anche tu.
Vasco Rossi da Zocca, Modena, l'uomo che fa musica in italiano ma con il piglio di un membro dei Rolling Stone, lo sballato che i nostri genitori guardano con un po' di sospetto. A me il Vasco piace praticamente dall'inizio del Liceo, quando va al festival di Sanremo e sconcerta tutti cantando Vado al massimo. In casa mia erano esterefatti che un tipo del genere fosse stato ammesso sullo stesso palco calcato da Modugno e Claudio Villa, io invece trovavo fortissimo quel matto che mandava a gambe all'aria il paludatissimo e immobile scenario della musica leggera italiana.
Adoravo il Vasco degli anni '80, e quando guardo quello che è diventato oggi mi prende una tristezza terribile, ma anche questo è un altro discorso.......
Si va a spiaggia, si parla dell'esame andato più o meno bene a tutti, si parla di musica, di politica (…..se penso che adesso mi fa schifo solo sentirla nominare), dell'Università che è dietro l'angolo su cui abbiamo grandi aspettative (e che si rivelerà, ameno per me, una delusione cocente), si guardano le ragazze, e da bravi timidoni si parla del più e del meno con loro, sperando che la controparte si accorga che non siamo lì al solo scopo di ubriacarla di parole; poi magari se avanza il tempo si fa pure il bagno (è incredibile come l'acqua quando hai diciannove anni sia così secondaria in una spiaggia.....ma si sa ogni età ha le sue priorità).
La sera si vaga, sulle varie passeggiate, gli amici più grandi già patentati ed automuniti, quelli che magari lavorano già, ci scarrozzano per la riviera, si cammina e ancora si chiacchiera, qualcuno cerca pure di agganciare. Ogni tanto invece andiamo da lei. Lei è una mia carissima amica, simpatica e solare, ha una casa indipendente, ad Albisola, a cinque minuti di motorino dalla spiaggia, con un terrazzo che sembra una piazza d'armi e volentieri ospita la compagnia. Si fanno partite a carte chilometriche, si sparano un sacco di sciocchezze. Il massimo è quando qualcuno non viene e ci ritroviamo solo in cinque. Allora è il momento del gioco tattico per eccellenza, il briscolone, alias briscola a cinque, alias “giaguaro” alias “chissà che altro nome gli danno”.
Poi me ne vado a casa, una vespa 50 special azzurrina, tempestata di adesivi, vediamo se me ne ricordo qualcuno.....dunque uno con la faccia di un indiano (chissà da dove sbuca.....credo fosse la pubblicità di un jeans), un adesivo dei Def Leppard comprato a Genova in una delle rare visite visite pro-acquisto dischi (l'anno prima era uscito Photograph....che album!!!!) uno del Milan sul lato destro e altri che sono spariti nella memoria.
Arrivo e se non ho ancora sonno metto le cuffie (me le ricordo....enormi, inguardabili per un ragazzo di oggi) e ascolto la mia musica. Il Vasco, quello di Colpa d'Alfredo e di Siamo solo noi, ma soprattutto quello di Cosa succede in Città, che per me è il disco simbolo del 1985.
E poi il rock, quello duro ma non troppo dei già citati Def Leppard, quello grezzo e psichedelico dei The Cult (Love, uno dei miei dischi mito di sempre), quello suggestivo dei Marillion che si rifaceva ai grandi gruppi del prog anni '70 (soprattutto ai Genesis), già da quella copertina e quel titolo che parla di infanzia perduta.
Un passo indietro, l'estate deve ancora arrivare, ma fa già abbastanza caldo. Ve l'ho detto, erano le estati di una volta, più facile andare al mare a giugno che a settembre. La scuola deve ancora finire ma ogni tanto la sera si fa tardi lo stesso. Bisogna studiare, c'è la maturità, anche questo l'ho già detto; chi va a letto presto e si alza a ore antelucane (“perché al mattino si è più freschi”...ma beati voi che ci riuscite.....) e chi invece piuttosto che stare lì a girarsi nel letto con l'ansia preferisce tenere i libri aperti. Ma le distrazioni sono tante, e ce n'è una in particolare che ci fa dimenticare Schopenhauer e l'Antigone. Una banda di matti dopo le undici compare sugli schermi televisivi e fa un programma come non se n'era mai visto prima. No, in realtà qualcosa del genere lo avevamo visto qualche anno prima, la domenica pomeriggio, si chiamava L'Altra domenica. Non è un caso perché artefice, ideatore, anima, front-man (per usare il linguaggio del rock) è un personaggio tra i più “fuori linea” e più geniali del peraltro piattissimo panorama televisivo italiano. Lui è Renzo Arbore e tira fuori dal cilindro un'idea talmente semplice da rivelarsi la più vincente di tutte. Mettere insieme un gruppo di amici a casa sua e parlare di tutto, la classica banda di cazzari che invece di andare a dormire la notte sta a far le ore piccole per cercare il senso della vita o dimenticarsi di una vita con poco senso. Non per niente il programma si chiama Quelli della Notte.
Non sono l'unico a guardarlo, quelli che come me, anziché andare a letto presto come i bravi bambini, passano le serate vagando dai libri di scuola alla televisione ne diventano dei fan. A scuola si parla di quello, e alla fine si organizzano persino visioni collettive.
Perché ci piaceva così tanto? Me lo sono domandato qualche volta. Forse perché vedendo quei signori un po' più vecchi di noi (in prevalenza con l'età dei nostri papà e dei nostri prof) che facevano casino come una banda di adolescenti, pensavamo che ci fosse modo e modo di diventare adulti. E noi volevamo diventarlo come loro.
Insomma solo ricordi belli? Possibile?
Che devo dirti, il tempo ammazza le amarezze e lascia i ricordi belli. Almeno è così quando hai diciannove anni. Ricordi brutti? Beh sicuramente lo sgomento provato per la strage dell'Heysel, una cosa assurda....... no anzi, un'assurdità totale. Assurdo morire per una partita di calcio assurdamente organizzata in uno stadio fatiscente. Una partita di calcio non vale una vita umana. Quella non avrebbero mai dovuto giocarla, quella coppa non avrebbero mai dovuto assegnarla, non puoi giocare a nulla, non puoi fare nulla quando ci sono 39 morti lì a fianco.
Quella sera forse abbiamo capito che il calcio aveva smesso di essere uno sport ed era ormai solo business, un ingranaggio di interessi, soldi, spettacolo e quant'altro che doveva andare avanti comunque.
Ma torniamo ai ricordi belli........il 1985....non un anno ma una linea, un valico, superi la collina che fino a quel momento ha delimitato la valle in cui sei vissuto e si apre un altro mondo. Ognuno ha avuto il “suo 1985” che probabilmente, e ovviamente, non è arrivato nel 1985, ma in qualche altro anno. Eppure qualcosa di magico quel numero e quell'anno lo possiedono.
Alan Moore ha ambientato Watchmen, una delle opere letterarie che più adoro, proprio nel 1985. Nella sua graphic novel Moore ipotizza un mondo in cui la presenza dei supereroi ha prodotto conseguenze sul contesto sociale e politico (gli U.S.A. tanto per dirne una hanno vinto la guerra del Vietnam), e non in meglio. U.S.A. E U.R.S.S. sono infatti sull'orlo di una guerra nucleare. E il misterioso omicidio di uno degli Watchmen (i supereroi sopra citati) peraltro ormai in pensione, sembra trascendere la dimensione privata per insinuarsi nel contesto della crisi internazionale.
E ancora proprio nel 1985 esce un disco che parla di una misplaced childhood, un'infanzia perduta, proprio in quell'anno che fu per me lo spartiacque tra il periodo della mia vita in cui potevo delegare ad altri le responsabilità più grandi (l'infanzia, se la vogliamo intendere in senso lato) e l'inizio dell'età adulta.
Restando poi nell'ambito musicale, come non ricordare che il 13 luglio di quell'anno andò in scena il più grande evento rock degli anni '80, nonché uno dei più grandi di tutti tempi. LIVE AID, concerto finalizzato alla raccolta di fondi per l'Etiopia colpita da una grave carestia, fu un qualcosa che probabilmente, come accaduto già sedici anni prima per Woodstock, andò oltre le previsioni di chi l'organizzò. Due palchi principali (Londra e Philadelphia) e due secondari (Mosca e Sydney) e il gotha del rock e del pop che si esibivano.
Non mancarono le polemiche, alcune giuste, altre pretestuose, del resto il fiume di denaro che si mosse fu talmente imponente da ingenerare parecchi dubbi sul fatto che quei soldi sarebbero stati tutti usati per il fine annunciato. Ma al di là di polemiche e disfunzioni, e di tutte le critiche che è più che lecito fare, resta il fatto che LIVE AID fu un evento straordinario che segnò quell'anno.
E il 1985 al cinema? Qui si dovrebbe parlare di film, non di ricordi. Ci hai raccontato un sacco di cose ma quelle pertinenti a questo contesto in cui scrivi, di quelle non hai ancora detto nulla.
Allora eccolo qui il mio 1985 cinematografico, sette film che sono entrati nella mia vita proprio in quell'anno e non ne sono più usciti:
Non mi sono sbagliato, il film è del 1984, ma lo vidi nel 1985, proprio all'inizio dell'anno, sul finire delle vacanze di natale. Adoravo il fantastico e la fantascienza, e non ero per nulla ispirato da una storia in cui l'elemento di fantasia era solo un pretesto per una parata di situazioni divertenti.
Andai lo stesso, trascinato dagli amici, tutti ne parlavano, alla fine dovevamo proprio andare. Ovviamente cambiai idea, mi divertii come un pazzo, e scoprii Bill Murray e Dan Aykroyd. I Blues Brothers non li conoscevo ancora (il mitico film era di qualche anno prima e me lo ero perso, senza avere comunque mai avuto alcuna intenzione di spendere soldi per andarlo a vedere, che ne sapevo io a sedici anni del Saturday Night Live e di John Belushi? Assolutamente nulla. Quando poi qualche anno più tardi lo vidi in TV rimasi folgorato....ma questa è un'altra storia) e nulla sapevo di cosa ci poteva essere alle spalle di una pellicola come questa. Ma avrei avuto modo di rifarmi.
Quel film è entrato nella mia personale galleria di pellicole imperdibili, e tanto basta. E da allora ho sempre sognato di uscire da una macchina di fronte a una folla acclamante e urlare “ti amo New Yooooorrrkkk”
Questo invece andai a vederlo quasi ad anno finito, erano le vacanze di natale, l'esame di maturità cominciava ad essere un ricordo mentre l'Università stava a cominciando a perdere quei connotati di “luogo della cultura” che mi ero immaginato per assumere quelli più amaramente realistici di un autentico parcheggio di miei coetanei con le idee poco chiare sul loro futuro, sullo stile “mi iscrivo e poi vediamo che succede”. Il risultato erano aule intasate e gente che vagava, e io che mi domandavo come avrei potuto uscire da quel bailamme.
Meno male che intervenne il film di Zemeckis, anche questo come il precedente visto senza troppa convinzione, e pure questo destinato ad entrare nella mia mitologia personale, ma con una portata ben più potente. Ancora oggi quando mi parlano di 1985 e mi chiedono di dire il titolo di un film, Ritorno al Futuro è il primo che cito. E' uno dei miei film del cuore, ho citato e stracitato le sue battute (“Hey McFly c'è qualcuno in casa?” “Ehi tu porco levale le mani di dosso” “nel 1985 avete un problema con la gravità” etc. etc.), e ogni volta che lo faccio trovo sempre qualcuno che mi ribatte con citazioni da quel film. Tutto questo vorrà pur dire qualcosa.
Dario Argento per me era già un mito trent'anni fa. Profondo Rosso lo vidi però solo in TV e giusto nel periodo del Liceo (anche se non ricordo l'anno ma era precedente al 1985), e Suspiria lo vidi anche più tardi.
Il momento di vedere il Dario nazionale in sala arrivò proprio nel 1985 con Phenomena: sarà stata l'emozione del momento atteso, l'alone di leggenda con il quale dal nostro angolo di provincia guardavamo al maestro romano. Fatto sta che a me questo film piacque e molto. E lo annovero ancora oggi nella lista dei suoi film di pregio, anche se non appartiene al ristretto novero dei suoi capolavori (l'ultimo dei quali per me è Inferno).
Ricordo ancora (e non continuate a leggere se non avete visto il film) il balzo collettivo della sala quando il bambino piangente si voltò verso la protagonista, per anni con gli amici, ogni volta che vedevamo fanciulle all'apparenza avvenenti dalla prospettiva posteriore, diciamo così, ma che facevano crollare ogni aspettativa non appena si voltavano, il commento alla disavventura visiva era “phenomenaaaa”.
Mi piacque molto anche per la colonna sonora, non era davvero da tutti mettere su la scena di un omicidio efferato sulle note di Flash of the Blade degli Iron Maiden!
Se Back to the Future è per me il film per eccellenza del 1985, questo è invece il film a cui sono più affezionato. Visto e rivisto da allora, qualcuno mi ha detto di averlo trovato datato, per me è sempre una meraviglia.
La storia dei ragazzini sfigati in un paesino sulla costa del nord ovest, Goon Docks da cui il nome del gruppetto di adolescenti, che rischiano di veder la loro amicizia distrutta dalla dalla separazione delle loro famiglie che pare ormai inevitabile a causa delle mire degli speculatori edili, e che troveranno invece la soluzione a tutti guai (loro e soprattutto dei loro genitori) attraverso una rocambolesca caccia al tesoro (di un pirata) è ingenua e al tempo stesso piena di quel senso del meraviglioso che in quella prima metà degli anni 80 faceva capolino in parecchie pellicole (non vado oltre, ho già dedicato una playlist all'argomento - //www.filmtv.it/playlist/50607/il-senso-del-meraviglioso-nella-cinematografia-degli-anni-80/#rfr:none - e a quella vi rimando) e che aveva un marchio ben preciso: quello di Steven Spielberg (che di questo film è il produttore nonché autore del soggetto). In quel 1985 vide dunque la luce questo I Goonies, che era in un certo senso la summa dello Spielberg-pensiero cinematografico.
Spielberg che in quello stesso anno invece diresse Il Colore Viola, in cui abbandonò le tematiche fantastiche per affrontare un cinema di contenuti. Pellicola di indiscutibile pregio che però ho apprezzato molti anni dopo; all'epoca la svolta impegnata del mio nume tutelare Steven mi deluse molto.
Come avrete ormai capito, a diciannove anni il sottoscritto non era proprio un cinefilo a 360°. Mi piaceva il cinema di genere con spiccato orientamento per fantastico, horror e fantascienza.
Il cinema, quello d'autore, lo “vivevo” di striscio. Alcuni miei compagni di Liceo erano infatti degli autentici appassionati della settima arte, con tanto di tessera all'imprescindibile Filmstudio e passioni per registi di cui io sentivo parlare ma di cui, sono sincero al limite della brutalità, all'epoca non me ne poteva fregare di meno. Tra questi Nanni Moretti, che sentivo citare continuamente. Era il Moretti prima maniera, in quegli anni erano usciti Ecce Bombo, Sogni d'Oro e Bianca, i cinéphiles ne parlavano con ammirazione, io che ero uno spielberghiano di ferro mi domandavo che senso aveva rinchiudersi in una sala per vedere le peripezie mentali (di azione non ce n'era manco a piangere) di un disadattato che si chiedeva se andare o no ad una festa perché forse lo si sarebbe notato di più per la sua assenza che per la sua presenza. Molto meglio farsi una passeggiata. O se pioveva, piuttosto un bel libro delle edizioni Nord!
Comunque per un caso, che avrei onestamente difficoltà a ricostruire dopo tanti anni, mi ritrovai a vedere La Messa è finita, e cosa ancora più incredibile mi piacque molto. Forse quel film ha cominciato a cambiare il mio modo di rapportarmi verso il grande schermo.
Pur apprezzandone diversi film, non sono diventato comunque un fan di Nanni Moretti, e a tutt'oggi questa resta la mia pellicola preferita del regista romano
Ma come? Da Moretti ai Vanzina? Va bene il salto sembra illogico, ma invece la sua coerenza la possiede. Non potevo non citarlo, non mi entusiasmò neanche più di tanto, mi sembrò una scopiazzatura versione patinata dei gialli di Dario Argento. Ma era un film veramente anni '80, dal punto di vista del costume è un'operazione che trova un senso proprio se inserita in quel contesto.
La Milano effervescente della moda era davvero un'icona e una sorta di Mecca per noi abitanti della sperduta provincia italiana. Chi aveva le possibilità a Milano ci andava a fare l'Università (Bocconi per chi aveva ambizioni da futura classe dirigente, Cattolica per gli umanisti) chi non ce l'aveva, categoria alla quale mi pregiavo appartenere, sognava di poterci andare a lavorare.
Ovviamente a diciannove anni non pensi a disagi legati a bollette e affitto da pagare etc.etc. Milano per noi era come appariva in Sotto il vestito niente, modelle, aspiranti modelle e donne che non facevano le modelle ma che vivevano per la moda. Tutte strafiche tutte lì ad aspettare la nostra calata come i lupi dal bosco. Chiudo citando Guccini “a vent'anni si è stupidi davvero / quante balle si ha in testa a quell'età”.
P.S. A Milano ci sono poi andato e ci ho pure lavorato per un paio di anni, non ci sono stato male ma appena ho potuto me ne sono tornato alle mie latitudini. Ci sono stato il tempo necessario per capire che la mia dimensione è la provincia. La grande città mi piace molto, mantiene ancora oggi un certo fascino su di me, ma dopo un giorno non vedo l'ora di tornarmene a casa
L'ultimo film della lista è un film.....che non vidi in sala alla sua uscita. Lo recuperai qualche anno dopo in televisione e fu un colpo di fulmine. Al di là dei molti meriti di questa pregiatissima pellicola di Scorsese, una delle cose che maggiormente mi colpirono fu che essa riportava con estrema puntualità il clima degli anni '80.
Decennio controverso, spesso maltrattato, probabilmente poco compreso. L'età del disimpegno e dell'edonismo (ricollegandomi al sopracitato Quelli della notte, ricordo che Roberto D'Agostino parlava di edonismo reganiano, e quella che doveva essere una gag demenziale diventa un tormentone, la sintesi per indicare il modo di approcciarsi alla vita di quel periodo), in contrapposizione all'impegno nel sociale e nel politico che era stato un ideale molto sentito nei precedenti (assai più apprezzati, e anche un tantino sopravvalutati) anni '70.
Credo che per comprendere gli anni '80 da chi non li ha vissuti sia imprescindibile la visione di questa pellicola. Che guarda caso venne realizzata nel 1985
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