Con numerosi e asettici piani sequenza, una quasi totale assenza di commento sonoro, ambientazioni cupe e fatiscenti, personaggi tormentati, Kurosawa rende palpabile un’inquietudine che serpeggia costante per tutta la durata della pellicola arrivando in alcuni momenti a toccare l’horror pur senza mai mostrare una singola scena violenta.
Cos'hanno in comune Greta Scarano e David Cronenberg? Poco ma sono gli autori dei nostri due film preferiti della settimana. Scoprite qui tutte le nuove uscite.
Un film fortemente innovativo nel linguaggio, pieno di foga nella realizzazione, un'opera ispirata da una grandeur tipicamente francese che nella versione ricostituita da Kevin Brownlow (e fedelmente riprodotta nel DVD ) dura ben 5 ore e mezza. Ossia Napoleon di Abel Gance, 1927.
La grandezza di Cronenberg risiede anche nell'aver saputo intercettare e problematizzare i cambiamenti sociali, culturali e tecnologici, e nel metterli in scena attraverso la costruzione di immagini sempre forti e al contempo diverse, evolvendo con essi il proprio cinema.
Ancora una volta Cronenberg mette in scena una storia paranoica di rapporti tra corpo e mente, corpi e altri corpi, corpi e tecnologia, intrighi (geo)politici volutamente nebbiosi e disperazione. Non vedo l'ora di rivederlo!
Jack Quaid è un fenomeno: passa da zerbino a eroe con una disinvoltura che quasi ti irrita, tanto è bravo. Un film che ti fa sbellicare e rabbrividire ma con qualche eccesso che potevano risparmiarci.
Da un best seller di Rosella Postorino ispirato alla vera storia di Margot Wölk, un film di donne intrappolate nella macchina perversa del Terzo Reich.
L'esordio di Valerio Mastandrea nel lungometraggio, dopo il corto TreVirgolaOttantaSette, è passato al TFF ma è stato presto dimenticato pur non meritandoselo affatto. Recuperatelo, invece.
Una storia di "spiriti in attesa" si tramuta in una storia brillante e romantica. Una favola sulle difficoltà ad aprirsi ai sentimenti, quelli forti e tenaci, che potrebbero scombinare l'esistenza al punto da costringere chi li vive a rinunciare a tutte le certezze.
Torre racconta il suo calvario con sarcasmo e ironia; alla dimensione esistenziale del malato oncologico, aggiunge il suo sguardo arguto per descrivere l'ospedale, fauna umana assortita, metafora della nostra società, Italietta meschinella e piccina.
Fascinazioni queer, spostamenti e fughe, ambienti ricercati, l’avvolgente rincorrersi di spiegazioni sempre sul punto di smarrirsi, il talento prodigioso della menzogna, quello di un cinema che parlando d’altro (ri)scopre magnificamente sé stesso.
Un'opera tecnicamente straordinaria, in presa diretta, che si dirama pedinando incessantemente l'uno o l'altro protagonista, lasciando fuori scena il resto. Aumentandone la fluidità e la credibilità.
Con “Severance/Scissione” è come se l’ultimo Lynch avesse trovato una quadra(tura del cerchio) kubrickiana e Tati si fosse perso e poi ritrovato in Hitchcock. Per dire che va guardata è abbastanza?
Poco interessato ai raccordi e alle psicologie, Mainetti mostra una buona mano nel girare gli scontri. Grazie all’attività di stunt-woman dell’interprete Yaxi Liu, non fa ricorso a controfigure, né a trucchi di montaggio per mascherare i colpi. In questo modo l’azione risulta essere sempre fluida, dinamica e chiara da seguire.
Al punto più basso della piramide aziendale c’è il ragionier Ugo Fantozzi dell’ufficio sinistri, la spugna che assorbe le impurità di ognuno, il parafulmine che accoglie tutte le scorie sociali. Il marito e il padre disamorato, l’uomo insoddisfatto, l’impiegato appiattito.
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