Nel 1972 Jorge Luis Borges pubblicava all’interno di El oro de los tigres il brevissimo trattato narratologico Los cuatro ciclos dove teorizzava che quattro sono le storie che continuiamo a raccontarci: una, la più antica, è quella di una forte città che uomini valorosi cercano di attaccare e difendere. I difensori sanno che la città sarà consegnata al ferro e al fuoco e che la loro battaglia sarà inutile; il più famoso degli aggressori, Achille, sa che il suo destino è morire prima della vittoria. […] Un’altra, che si ricollega alla prima, è quella del ritorno. Ulisse, che dopo aver errato per mari pericolosi e vissuto su isole incantate, torna alla sua Itaca dopo dieci anni; […] La terza storia è quella di una ricerca. Possiamo vedere in essa una variazione della forma precedente, Giasone e il Vello d’oro; […] L’ultima storia è quella del sacrificio di un dio. Attis, in Frigia, si mutila e si uccide; Odino che sacrifica Odino, Egli stesso a Se stesso, pende dall’albero nove notti intere ed è ferito da lancia; Cristo è crocifisso dai romani.
Ispirandomi a questi quattro mitologemi di base, Assedio, Ritorno, Ricerca e Sacrificio – su cui ho riflettuto e proposto delle integrazioni in un piccolo saggio sulla narrativa horror – ho individuato i mitologemi tipici del genere horror che continuiamo a raccontare e a rappresentare sul grande schermo. Da quattro passo a sei perché l’immaginario del terrore è molto corposo, fatto di più figurazioni del terrore – quelle che io chiamo mostruosità – e più topoi ormai sedimentati nell’immaginario comune e subito riconoscibili dal fruitore.
Più che alla mostruosità, ho guardato alle direzioni che prende l’azione narrata in concerto con l’iconografia e con la mostruosità stessa. Le vettorialità e il sistema dei personaggi che ne conseguono definiscono la traiettoria narrativa archetipale in cui rintracciare il seme delle variazioni successive sul tema.
Avevo scritto un saggio, Raccontare il terrore. Archetipi e traiettorie narrative del cinema horror, ma si aggira sulle trenta pagina quindi diventerebbe proibitivo pubblicarlo qui. Sicuramente, pezzo dopo pezzo, si potrebbe fare. Per il momento lascio questo contributo sperando possa essere d’aiuto a chi è interessato al genere.
La traiettoria narrativa è di tipo assediale. Non c’è necessariamente una opposizione vettoriale interno/esterno, ma la persecuzione dell’agente di terrore porta i protagonisti a scappare dall’assedio di una mostruosità plurale, quindi inquietantemente distribuita su tutto il “territorio” diegetico, provocando di conseguenza un assedio, come si vede nel film seminale di George A. Romero, il cui sistema vettoriale della narrazione è mostro > vittime < mostro. Questo archetipo è pressoché limitato ai film sugli zombie di cui la cinematografia mondiale ne ha creato un corpus consistente e sempre di moda.
Con Ellen Burstyn, Max Von Sydow, Linda Blair, Jason Miller, Lee J. Cobb
In questa precisa plot-line, due sono le caratteristiche fondamentali: il tema della possessione demoniaca e la figura del posseduto dal diavolo, con tutto ciò che ne consegue a livello topico: il prete, i riferimenti alla religione cristiana, esorcismi, volgarità, evacuazioni corporali, una preponderanza degli ambienti interni sugli esterni, una minore componente splatter a favore di una più psicologica e più scary. Il tema di questa traiettoria è l’esorcismo e tutto ruota intorno a questo nucleo centrale. La storia si sviluppa in un crescendo di tensione fino all’esorcismo finale o il tentativo dello stesso. Anche in questo caso, la traiettoria dell’esorcismo ha dato luogo a diversi epigoni, soprattutto negli anni dieci del nuovo millennio. Le contaminazioni sono poche, a parte quelle parodiche, mentre abbondano sequel, remake e imitazioni, quello che non cambia è il silenzioso tema sacrificale che soggiace alla plot-line esorcistica: l’entità richiama la presenza dell’esorcista che a sua volta le dà poi la caccia esotericamente, una Ricerca che gioca a rimpiattino con se stessa producendo una vettorialità speculare sul tipo mostro > vittime > mostro.
Archetipo tra i più seminali. È un horror in itinere, ovvero si sviluppa durante un percorso, un viaggio. È quindi uno slasher-movie a situazione aperta. Generalmente sviluppa il seguente mitologema: un gruppo di amici durante un viaggio hanno un incidente di percorso che li costringe a restare in un territorio sconosciuto, braccati da mostruosità varie come rednecks, serial killer, ominidi, ritornanti vari; oppure, dopo un viaggio arrivano nel luogo di destinazione che non si rivelerà amoenus, bensì horribilis come succede proprio nel capolavoro di Tobe Hooper. Lo sviluppo narrativo svela così la vettorialità centrale del mitologema: vittime > mostro. Sono i personaggi protagonisti a correre in bocca alla mostruosità narrativizzando un processo di moto a luogo. È una delle traiettorie più suggestive e più battute dal cinema horror. Il fascino del viaggio, l’infrazione, l’intrusione del terrore, l’esotismo, la wilderness, le varie mostruosità, soprattutto quelle partorite dal ventre molle del paese rurale sia americano che europeo, sono le caratteristiche più identificative di questo archetipo.
Da sempre la natura è per l’uomo il primo referente nella rappresentazione cosmologica del mondo. Inoltre l’uomo trae ispirazione dalla natura, ci convive, ci lotta da sempre cercando di soggiogarla e il più delle volte ci riesce, ma arrivano momenti in cui la natura si ribella. È l’horror chiamato eco-vengeance, la vendetta della natura sull’uomo, a volte in versione Sci-Fi quando a ribellarsi non è la natura al suo stadio primitivo, ma una sua alterazione provocata dall’irresponsabilità dell’uomo. Quando invece entra in gioco la minaccia animale le riflessioni si allargano e non si parlerà più soltanto di vendetta della natura, quanto anche di una bestialità, una selvaticità, una primitività sì esterna, agente del terrore, ma che può ben essere una narrativizzazione di una paura, un’angoscia, un rimosso, una turba tutta umana. Se è il capolavoro hitchcockiano de Gli uccelli (1963) il primo film a schematizzare l’animal attack movie e a strutturarne la traiettoria narrativa, sarà poi Spielberg a codificarlo definitivamente, con un gusto più moderno e un taglio più archetipale. La famosa costruzione a imbuto di Hitchcock prevede: a) più eventi e più personaggi che tendono progressivamente verso un punto d’attrazione comune; b) il codice delle avvisaglie: dai primi contatti individuali con la minaccia animale ad una escalation collettiva inarrestabile; c) il microcosmo tipicizzato: in stile film-diligenza personaggi e luoghi fortemente stilizzati; d) e il finale aperto, sia per un probabile sequel, sia per il contenuto ultimo del film stesso che è la continua minaccia. Sono caratteristiche peculiari del filone, ma non necessariamente tutte presenti e tutte fondamentali. Spielberg segue una traiettoria abbastanza diversa da Hitchcock, ma ugualmente fondata sulla struttura archetipale del re del brivido: la costruzione a imbuto e il codice delle avvisaglie sono rispettati a metà; il microcosmo tipicizzato è integrato da una definizione dei personaggi più approfondita, che risente ovviamente delle più recenti teorie sulla recitazione della New Hollywood; mentre il finale non è propriamente aperto, considerando la morte del mostrum, ma non ha impedito che si realizzassero altri tre sequel. Ciò che conta, in definitiva, è il mitologema basico su cui si sviluppa l’animal attack movie la cui vettorialità è così schematizzabile: vittime > mostro > vittime. Mitologema che prevede una situazione aperta o anche chiusa, un’ambientazione esotica come urbano-domestica, un gruppo di protagonisti ristretto e un gruppo ampio di generici tutti minacciati dalla bestialità e dalla sua irruzione nella pace bucolica dello scenario agreste ed esotico, come in quella domestica dello scenario cittadino e civilizzato. Inizialmente la minaccia si palesa in modo lento ed ambiguo, nascosto e serpeggiante, come la serpe diabolica del racconto biblico dell’Eden, successivamente con una aggressività senza più freni, fatta di attacchi mortali e orrende mutilazioni, fino alla decisione di affrontare il mostro, come San Giorgio con il drago, innescando sul finale anche un ulteriore tema: la bestialità dell’uomo che torna animale per lottare con l’animale suo pari.
Con Jamie Lee Curtis, Donald Pleasence, Nancy Loomis, Tony Moran, P.J. Soles
In streaming su Cultpix
Un gruppo di protagonisti, giovani e sessualmente attivi e/o repressi, è minacciato, inseguito, terrorizzato e decimato da un assassino, il più delle volte un serial-killer o un killer metafisico come appunto il Michael Myers della serie di Halloween, che appare per loro e a loro si dedica. Generalmente ambientato in luoghi circoscritti e ben delimitati spazio-temporalmente, è un horror in loco, uno slasher-movie a situazione chiusa. Si nota così l’opposizione vettoriale con l’archetipo gemello di Tobe Hooper: mostro > vittime. Se nella variante Hooper il tema sessuale è più carnale e si trasfigura nella ruralità selvatica dell’ambientazione tipo, nella variante Carpenter il tema sessuale è più ambiguo, più scivoloso, più psicologico, ma non per questo non gode di simbolismi che ne attivano il riconoscimento.
Un topos tra i più classici della letteratura horror di tutti i tempi è senza dubbio la casa infestata. Spettri o demoni che siano, le forze malefiche infestano un luogo preciso, una casa, un collegio, un manicomio, una scuola, un ospedale abbandonati o ancora in attività non è importante, terrorizzando i protagonisti per farsi ascoltare – il desiderio di riposare in pace, di chiudere un conto, un debito, un fatto impunito – o per generare terrore fine a se stesso dovuto alla natura malvagia della mostruosità in questione. Le case infestate prediligono un sistema dei personaggi univoco ed esclusivo. Quasi sempre è un prescelto, il protagonista, ad essere perseguitato dall’entità sconosciuta, fino a sconfiggerla o a cedergli, proprio come il protagonista di The Amityville Horror, il George Lutz interpretato da James Brolin, o come il celebre Jack Torrence di Jack Nicholson di Shining (1980). In tempi recenti l’infestazione è appannaggio di bambini fantasma, tutti fratelli della Samara Morgan di The Ring (2002), e questo sposta l’asse intenzionale della narrazione verso un altro punto di focalizzazione: il fantasma diventa il centro eziologico della vicenda, la causa e il fine dell’orrore; mentre concentrando la storia sul personaggio terrorizzato e/o invasato dall’entità, la storia insegue un obiettivo più psicologizzato. In ogni caso la vettorialità dei personaggi resta la stessa: vittime > < mostro. Anche il mitologema di base resta pressoché lo stesso nonostante le variazioni sul tema: un casa infestata, un gruppo di personaggi che prende possesso del luogo - quasi sempre una famiglia, elemento questo che può farci pensare anche a un Assedio: l'assedio dell'istituzione americana per eccellenza, la famiglia/il Paese: inoltre il mitologema prosegue con un codice di avvisaglie topicizzato, scary e ampiamente conosciuto dal fruitore – porte che cigolano, luci che saltano, oggetti che si muovono, cadono e si rompono, animali spaventati, odori e liquami inquietanti e stranianti – e infine un orizzonte di aspettative condiviso che permette di ritornare all’equilibrio iniziale dopo la discesa all’inferno.
Sarò diretto: il successo di "La notte dei morti viventi" e de "L'esorcista", ma, in misura minore anche de "Lo squalo", non derivano semplicemente dalla mistificazione orrorifica; nonostante ciò che si è scritto, per asserzione degli autori stessi, si tratta di opere squisitamente politiche, semplicemente rivestite di genere. Non guardano, quindi, all'universale, quanto al momento topico (e specifico) del caos americano negli anni della guerra fredda (e non a caso, ne "L'esorcista" la mamma di Reagan è un'attrice, impegnata a Washington...), : per me, quindi, ma è sempre una personalissima opinione, non sono opere da "terrore". Se lo spettatore medio vi ha colto solo il dramma superficiale (come sovente accade negli horror), lo ha fatto perché sono prevalsi i luoghi comuni. Ben diverso "Amityville Horror" che, almeno all'inizio della lavorazione, si paventava come un "documentario d'orrore", cioè un film cronachistico. Chiaramente, Borges ha pubblicato il suo trattato nel 1972 e, tranne il film di Romero (peraltro non studiato abbastanza all'epoca), i lavori suggeriti sono tutti successivi. Ciò, si badi bene, non è una polemica (sarebbe sterile: alla fine, sono maggioritariamente visti come prodotti horrorifici); ritengo tuttavia che si dovrebbe guardare altrove per essere perfettamente in linea con l'assunto della play, anche se, a buonissimo diritto, "Halloween. La notte delle streghe" è un mitoilogema tipico e ci starebbe benissimo, magari insieme a "Nightmare"; "Suspiria"; "Rosemary's baby"; "Jurassik Park", tutti più rispondenti all'idea borgesiana di "Assedio, Ritorno, Ricerca, Sacrificio". Ciao, scapigliato: ottimo spunto di riflessione. Ps mi piacerebbe invero leggere il tuo saggio. M
E io che credevo di essere l'unico a credere all'Horror come il genere più politico. Invece sono in buona compagnia.
Come si può vedere dai commenti ai grandi titoli horror che ho scritto qui in Filmtv, una delle mie strade interpretative è proprio quella politica. Sono più che consapevole che molti titoli horror, tra cui alcuni che ho incluso nella playlist e tu stesso citato, sono film politici, nati per denunciare e riflettere la contingenza storica e sociale di cui parlavi. Lo so benissimo. Ma restano pur sempre dei film horror. Perché scegliere l’horror e non il solito film di denuncia? Perché il genere va oltre al mainstream tanto quanto il dialetto va oltre alla lingua normativa. Con il dialetto si possono esprimere in modo profondo ed evocativo un’infinita gamma di emozioni e sensazioni che altrimenti, con la lingua nazionale, non si potrebbero rendere. La lingua è l’espressione cultura di un territorio e può quindi meglio della lingua normativa incidere sul significato profondo dell’enunciato con tutti i riferimenti culturali, folklorici e mitici del substrato popolaresco, quello più vicino alle radici identitarie di quel dato territorio.
Allo stesso modo, il cinema di genere può arrivare là dove il mainstream, il cinema drammatico tout-court, quello di impegno politico e civile, il cosiddetto cinema di denuncia, non può arrivare. Gli è impedito dalla forma. Non è un caso che i registi che hanno diretto certi film “politici”, come dici giustamente, abbiano scelto proprio l’horror. Il problema invece, credo sia pensare che prima arrivi il contenuto e poi la forma, tipico punto di vista di quei vecchi critici, sia letterari che cinematografici, tacciati come “parrucconi”. Il dramma superficiale di cui parli, ovvero l’immaginario horror, è oro per il cinema! Se è questo immaginario ad essere arrivato per primo allo spettatore è stato possibile perché il genere può dove altri non possono. Non più di spettatore medio si parlerà, ma di pubblico riflessivo e pensante che sa leggere gli archetipi e le icone dall’universale al particolare e viceversa.
I film politici sono databili e dopo vent’anni perdono il loro fascino e la loro suggestione. Se ancora oggi parliamo de La notte dei viventi come di un capolavoro non è perché era stato un film politico, ma per le sue componenti terrorifiche, per l’immaginario che sa evocare e per il gioco di rimandi psicologici e ancestrali che il dispositivo topico innesca nel fruitore. Le famose ombre nella caverna…
Chiudo evidenziando una questione semplicissima che può chiarire questa incomprensione: il mio pezzo era un’analisi strettamente formale degli archetipi narrativi, non un’indagine dei significati nascosti, dei rimandi politici, sociali o psicologici che so di aver già trattato nello specifico in altre sedi. Ho asciugato i film di tutte le interpretazioni possibili. Via la ciccia, è rimasta l’ossatura, il mitologema. A questo mi stavo riferendo.
Grazie comunque per il contributo.
;)
Disamina interessantissima, l'argomento è talmente complesso che merita un'analisi approfondita.
E del resto hai giustamente evidenziato tu che è difficile proporre riflessioni articolate in poche righe, bene hai fatto a limitarti a una breve introduzione per poi andare a esplicare il singolo concetto proponendo un film.
Da grande appassionato di horror mi piacerebbe discutere della cosa con te ma è difficile farlo per via epistolare (anche se il grande H.P. Lovecraft proprio attraverso le sue corrispondenze epistolari sviluppò ampie discussioni e dibattiti con i suoi numerosi amici di lettera....ma di HPL ce n'è stato uno, non ambisco a tanto).
Ho letto anche con interesse l'intervento di @maurri qui sotto, di cui condivido almeno parzialmente la lettura dell' horror come modo di fare cinema "politico" mascherandolo da cinema di genere.
In effetti un film come Non Aprite Quella Porta ha una valenza fortemente critica (o meglio, ironica e dissacrante) verso i cosiddetti valori "tradizionali" della società americana.
Insomma leggo tutto con molto interesse e penso che l'argomento si presti a numerose letture.
Dal mio modesto angolo, da grande appassionato di letteratura "di paura" colgo l'occasione per richiamare l'attenzione su un autore poco conosciuto al di fuori della cerchia di appassionati, che proprio sul tema dell'assedio (il primo di quelli da te citati) creò alcuni tra i più appassionanti romanzi del genere: William Hope Hodgson.
Di questo scrittore inglese consiglio caldamente la lettura del capolavoro "La Casa sull'Abisso"
Perdonami la digressione letteraria. Un saluto
Le opere di Hodgson in Italia sono pubblicate da Fanucci. Da quello che so io non vengono ormai stampate da un po' di tempo e sono reperibili sul mercato dell'usato.
De "La casa sull'abisso" consiglio, se si riesce a trovarla, l'edizione realizzata per i Classici Urania, completa della presentazione di H.P.Lovecraft (che stimava moltissimo lo scrittore inglese) e alcuni saggi.
Ciao... io direi che non fa ridere Lo squalo ehehe... l'horror non è solo fantasmi e vampiri, così com'è non è solo gore e splatter.... l'animal-attack-movie per me è horror fatto e finito, quindi anche Lo squalo ;)
capisco il tuo punto di vista, ma la mia personalissima percezione è che per parlare di horro dobbiamo entrare nel regno dell'ignoto, della pazzia o del soprannaturale... comunque mi ricordo benissimo l'effetto che mi fece lo Squalo al cinema tanti anni fa... ciao
ci sono sicuramente scuole di pensiero diverse. Io non considero horror solo l'intrusione del soprannaturale (Ghost è un horror?), ma l'intrusione del disturbing, del weird, della paura.... certo uno direbbe: e allora i cosiddetti thriller? Fanno paura, hanno suspense, c'è violenza...eppure sono thriller e non horror. Certo, ma c'è una differenza molto sottile tra Il silenzio degli innocenti (thriller) e per esempio Scream (horror senza soprannaturale): sono le strutture narrative unitamente all'estetica disturbing. Lo squalo ha come agente del terrore un pescecane e la minaccia animale è sicuramente un filone dell'horror.
ho appena riletto il post per vedere se per caso non mi fossi espresso bene. Dico: " il silenzio tema sacrificale che soggiace alla plot-line esorcistica: l’entità richiama la presenza dell’esorcista che a sua volta le dà poi la caccia esotericamente, una Ricerca che gioca a rimpiattino con se stessa producendo una vettorialità speculare sul tipo mostro > vittime > mostro". Quindi ho detto che L'esorcista come può essere un Sacrifio, può essere una Ricerca. Tant'è che anche i 4 cicli borgesiani possono essere complementari. La differenza la fa la dominante tematica. ;)
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Sarò diretto: il successo di "La notte dei morti viventi" e de "L'esorcista", ma, in misura minore anche de "Lo squalo", non derivano semplicemente dalla mistificazione orrorifica; nonostante ciò che si è scritto, per asserzione degli autori stessi, si tratta di opere squisitamente politiche, semplicemente rivestite di genere. Non guardano, quindi, all'universale, quanto al momento topico (e specifico) del caos americano negli anni della guerra fredda (e non a caso, ne "L'esorcista" la mamma di Reagan è un'attrice, impegnata a Washington...), : per me, quindi, ma è sempre una personalissima opinione, non sono opere da "terrore". Se lo spettatore medio vi ha colto solo il dramma superficiale (come sovente accade negli horror), lo ha fatto perché sono prevalsi i luoghi comuni. Ben diverso "Amityville Horror" che, almeno all'inizio della lavorazione, si paventava come un "documentario d'orrore", cioè un film cronachistico. Chiaramente, Borges ha pubblicato il suo trattato nel 1972 e, tranne il film di Romero (peraltro non studiato abbastanza all'epoca), i lavori suggeriti sono tutti successivi. Ciò, si badi bene, non è una polemica (sarebbe sterile: alla fine, sono maggioritariamente visti come prodotti horrorifici); ritengo tuttavia che si dovrebbe guardare altrove per essere perfettamente in linea con l'assunto della play, anche se, a buonissimo diritto, "Halloween. La notte delle streghe" è un mitoilogema tipico e ci starebbe benissimo, magari insieme a "Nightmare"; "Suspiria"; "Rosemary's baby"; "Jurassik Park", tutti più rispondenti all'idea borgesiana di "Assedio, Ritorno, Ricerca, Sacrificio". Ciao, scapigliato: ottimo spunto di riflessione. Ps mi piacerebbe invero leggere il tuo saggio. M
E io che credevo di essere l'unico a credere all'Horror come il genere più politico. Invece sono in buona compagnia.
Come si può vedere dai commenti ai grandi titoli horror che ho scritto qui in Filmtv, una delle mie strade interpretative è proprio quella politica. Sono più che consapevole che molti titoli horror, tra cui alcuni che ho incluso nella playlist e tu stesso citato, sono film politici, nati per denunciare e riflettere la contingenza storica e sociale di cui parlavi. Lo so benissimo. Ma restano pur sempre dei film horror. Perché scegliere l’horror e non il solito film di denuncia? Perché il genere va oltre al mainstream tanto quanto il dialetto va oltre alla lingua normativa. Con il dialetto si possono esprimere in modo profondo ed evocativo un’infinita gamma di emozioni e sensazioni che altrimenti, con la lingua nazionale, non si potrebbero rendere. La lingua è l’espressione cultura di un territorio e può quindi meglio della lingua normativa incidere sul significato profondo dell’enunciato con tutti i riferimenti culturali, folklorici e mitici del substrato popolaresco, quello più vicino alle radici identitarie di quel dato territorio.
Allo stesso modo, il cinema di genere può arrivare là dove il mainstream, il cinema drammatico tout-court, quello di impegno politico e civile, il cosiddetto cinema di denuncia, non può arrivare. Gli è impedito dalla forma. Non è un caso che i registi che hanno diretto certi film “politici”, come dici giustamente, abbiano scelto proprio l’horror. Il problema invece, credo sia pensare che prima arrivi il contenuto e poi la forma, tipico punto di vista di quei vecchi critici, sia letterari che cinematografici, tacciati come “parrucconi”. Il dramma superficiale di cui parli, ovvero l’immaginario horror, è oro per il cinema! Se è questo immaginario ad essere arrivato per primo allo spettatore è stato possibile perché il genere può dove altri non possono. Non più di spettatore medio si parlerà, ma di pubblico riflessivo e pensante che sa leggere gli archetipi e le icone dall’universale al particolare e viceversa.
I film politici sono databili e dopo vent’anni perdono il loro fascino e la loro suggestione. Se ancora oggi parliamo de La notte dei viventi come di un capolavoro non è perché era stato un film politico, ma per le sue componenti terrorifiche, per l’immaginario che sa evocare e per il gioco di rimandi psicologici e ancestrali che il dispositivo topico innesca nel fruitore. Le famose ombre nella caverna…
Chiudo evidenziando una questione semplicissima che può chiarire questa incomprensione: il mio pezzo era un’analisi strettamente formale degli archetipi narrativi, non un’indagine dei significati nascosti, dei rimandi politici, sociali o psicologici che so di aver già trattato nello specifico in altre sedi. Ho asciugato i film di tutte le interpretazioni possibili. Via la ciccia, è rimasta l’ossatura, il mitologema. A questo mi stavo riferendo.
Grazie comunque per il contributo.
;)
Disamina interessantissima, l'argomento è talmente complesso che merita un'analisi approfondita.
E del resto hai giustamente evidenziato tu che è difficile proporre riflessioni articolate in poche righe, bene hai fatto a limitarti a una breve introduzione per poi andare a esplicare il singolo concetto proponendo un film.
Da grande appassionato di horror mi piacerebbe discutere della cosa con te ma è difficile farlo per via epistolare (anche se il grande H.P. Lovecraft proprio attraverso le sue corrispondenze epistolari sviluppò ampie discussioni e dibattiti con i suoi numerosi amici di lettera....ma di HPL ce n'è stato uno, non ambisco a tanto).
Ho letto anche con interesse l'intervento di @maurri qui sotto, di cui condivido almeno parzialmente la lettura dell' horror come modo di fare cinema "politico" mascherandolo da cinema di genere.
In effetti un film come Non Aprite Quella Porta ha una valenza fortemente critica (o meglio, ironica e dissacrante) verso i cosiddetti valori "tradizionali" della società americana.
Insomma leggo tutto con molto interesse e penso che l'argomento si presti a numerose letture.
Dal mio modesto angolo, da grande appassionato di letteratura "di paura" colgo l'occasione per richiamare l'attenzione su un autore poco conosciuto al di fuori della cerchia di appassionati, che proprio sul tema dell'assedio (il primo di quelli da te citati) creò alcuni tra i più appassionanti romanzi del genere: William Hope Hodgson.
Di questo scrittore inglese consiglio caldamente la lettura del capolavoro "La Casa sull'Abisso"
Perdonami la digressione letteraria. Un saluto
Ma quale digressione? ;) Conosco l'autore, ho alcune sue opere in traduzione spagnola perchè non le trovavo in italiano. ;)
Le opere di Hodgson in Italia sono pubblicate da Fanucci. Da quello che so io non vengono ormai stampate da un po' di tempo e sono reperibili sul mercato dell'usato.
De "La casa sull'abisso" consiglio, se si riesce a trovarla, l'edizione realizzata per i Classici Urania, completa della presentazione di H.P.Lovecraft (che stimava moltissimo lo scrittore inglese) e alcuni saggi.
eh ormai ho già diverse raccolte di racconti.. però mi manca la casa sull'abisso... prima o poi ;)
:))
davvero interessante il riferimento al saggio di Borges e il richiamo al mito!
una curiosità: Lo Squalo è del genere Horror? ciao
Ciao... io direi che non fa ridere Lo squalo ehehe... l'horror non è solo fantasmi e vampiri, così com'è non è solo gore e splatter.... l'animal-attack-movie per me è horror fatto e finito, quindi anche Lo squalo ;)
capisco il tuo punto di vista, ma la mia personalissima percezione è che per parlare di horro dobbiamo entrare nel regno dell'ignoto, della pazzia o del soprannaturale... comunque mi ricordo benissimo l'effetto che mi fece lo Squalo al cinema tanti anni fa... ciao
ci sono sicuramente scuole di pensiero diverse. Io non considero horror solo l'intrusione del soprannaturale (Ghost è un horror?), ma l'intrusione del disturbing, del weird, della paura.... certo uno direbbe: e allora i cosiddetti thriller? Fanno paura, hanno suspense, c'è violenza...eppure sono thriller e non horror. Certo, ma c'è una differenza molto sottile tra Il silenzio degli innocenti (thriller) e per esempio Scream (horror senza soprannaturale): sono le strutture narrative unitamente all'estetica disturbing. Lo squalo ha come agente del terrore un pescecane e la minaccia animale è sicuramente un filone dell'horror.
pagina splendida, illuminante...però per me l'Esorcista è un horror di Sacrificio, più che di Ricerca: lo si intuisce dal finale...ciao!
Anche, sicuramente, ma non ho incasellato i titoli horror della mia playlist nei 4 cicli di Borges, bensì in 6 archetipi narrativi... ;)
grazie cmq!
ho appena riletto il post per vedere se per caso non mi fossi espresso bene. Dico: " il silenzio tema sacrificale che soggiace alla plot-line esorcistica: l’entità richiama la presenza dell’esorcista che a sua volta le dà poi la caccia esotericamente, una Ricerca che gioca a rimpiattino con se stessa producendo una vettorialità speculare sul tipo mostro > vittime > mostro". Quindi ho detto che L'esorcista come può essere un Sacrifio, può essere una Ricerca. Tant'è che anche i 4 cicli borgesiani possono essere complementari. La differenza la fa la dominante tematica. ;)
ok tutto chiaro! :-)
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