03. NOI, PRIMA DI LORO (2)
The Immigrant
Attraversato il Sahara Atlantico s'una carovana a vapore, le sorelle Ewa e Magda - orfane causa riassestamento ( ''dopoguerra'' ) post-WW1 - sbarcano a Ellis Island nel Gennaio del 1921, in attesa di essere spulciate, identificate ( una via di mezzo tra il riconoscimento e la nuova identità ) e indirizzate/instradate, una portando con sé un possibile principio di tubercolosi ( quarantena semestrale, scaduto il termine : deportazione ), l'altra in dote uno stupro di gruppo [ altro ''motivo'' ( il ''conseguente'' sospetto - instillato - di meretricio ) di deportazione. Più tollerato, per tornaconto ].
Ad attenderle sul molo ammirando lo sbuffo di vapore del battello in manovra d'attracco tra le brume caliginose del mattino, e poi allo smistamento - senza che l'uno sappia ancora dell'esistenza delle altre, e viceversa -, Bruno Weiss. Il pappone, che ha appena tessuto la sua tela ordita alla buona.
James Gray rispetta alla lettera l'ancestrale legge primaria della Buona Notte : quella che consente a chiunque di reclamare e richiedere a gran voce : " Raccontami una Storia ".
E ce la racconta, una Storia, sfumando dall'allegoria verso il simbolo ( ad esempio con un semplice atto metacinematografico : ecco sul palco Ewa mascherata da Statua della Libertà peripatetica ), trasfigurando in questo modo i puri fatti in una sorta di onesta didascalicità : ma questa percussiva auto-generazione sincronica di significanti essenziali, nudi e sguarniti di sovrastrutture, non sovrasta e non ottunde l'insorgere ulteriore dall'accumulo sedimentizio di metafore esplicite e di segni e segnali in continuativa, conseguente e complementare diacronicità dispiegatas'in ciclica consecutiva perenne evoluzione...sino a noi. A quel che siamo, a quel che dovremmo sapere di essere. Appartenere. Significare. Divenire.
Collassando verso la fine, con solo un lieve scrosciare di pioggia sommesso, il tranquillo sciabordio delle onde e l'eco sguaiatamente poetica dei gabbiani in sottofondo a commentare il campo-controcampo terminale di finestra e specchio : due addii incorniciati in un quadro solo : dall'allegoria al simbolo, dalla didascalicità alla paradigmatica rappresentazione iconografica : dal significante al significato con un Segno, un'inquadratura.
E per un momento almeno, finalmente!, il nostro sguardo è incarcerato
[ come fossimo anche noi pubblico da
CDA ( Centro di ( Primo Soccorso e ) Accoglienza,
CPA ( Centri di Prima Accoglienza ),
CPTA ( Centro di Permanenza Temporanea ( e Assistenza ) ),
CARA ( Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo ) e/o
CIE ( Centro di Identificazione ed Espulsione )
lampedeusano o (pen)insular-continentale che sia : ah!, che prodigioso portento la semantica da deportazione ! Quale bellezza nel protocollare la condanna al rimpatrio forzato ! ],
il nostro immaginario scardinato, la nostra meraviglia soddisfatta, persa nella cornice di una scena : non sto parlando ancora dello splendido finale, ma di quando Jeremy Renner (Emil/Orlando) si libra, per qualche eterno secondo, compiendo il prestigio : è un treno bidimensionale di puro picere e stupore che ci travolge finendoci addosso.
E' il Cinema, che riproduce Tutto.
E dopo l'incarcerazione sublime, l'immaginazione condivisa ( nella gabbia-cornice di un'inq.ra che diverge e collima ), la meraviglia compartimentata e appagata, si ritorna a quel devastante “finale a chiave ( di comprensione e di volta )”, architrave portante ( a ritroso ) e pietra angolare a sostegno di ciò che NON abbiamo (ancora) visto ( e a cui mai forse assisteremo ) :
la fanciulla del west che va a vivere la sua vita (sconfinata).
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