Per uno che come il sottoscritto vive il Cinema dei grandi red carpet e delle anteprime stampa da lontano, nell'intimità un po' dimenticata (dal Cinema) della Sicilia, poter penetrare dentro i luoghi in cui si sono consumate le più celebri dispute in ambito di critica cinematografica, oppure visionare film in anteprima assoluta, sono azioni ed eventi inimmaginabili solo fino a un anno fa. Esattamente un anno fa si sfogliava la rivista FilmTv, e si adocchiavano i titoli presenti a Venezia (70): Glazer, Frears, Gronig, e quanti altri, così distanti, così irraggiungibili. Allora perché non andarci a Venezia?
Esattamente un anno fa mi iscrivo a FilmTv. E dopo un anno preciso, eccomi al Lido, io, a inseguire il film in proiezione alla Darsena, alla Perla, in Sala Grande, per arraffare il più possibile ma anche concedermi quei pochi attimi di riposo che potrebbero rassenerare una mente in continuo turbinio, desiderosa di mettere ordine. C'è un bel miscuglio nel mio cervello, in quei giorni trafficati e densissimi del 71° Festival del Cinema di Venezia. Ma è un miscuglio sereno, avido, ferino, non si stanca mai, e anche le cinque ore e mezza di Nymph()maniac- Director's Cut non diventano un problema, così come la visione di quattro/cinque lungometraggi in un giorno, con la possibilità ghiotta e realmente esaltante di poter entrare in sala stampa e scrivere lì dentro i miei scritti più sentiti o più risentiti. A un passo dalle sale delle Conferenze Stampa, in cui le star si succedono con una fluidità irreale; a due passi dal red carpet, in cui la gente si affolla e il clima si fa talmente saturo che si arriva anche a rinunciare a distinguere qualche celebre volto. Se si è fortunati, qualche star passa accanto a te, ci si dà anche una spallata, nella folla che si muove continuamente. Se si è fortunati, i diretti interessati sono in sala a vedere il film che stai vedendo tu, e lì verrebbe sempre da girarsi e constatare la faccia del dato regista o del dato attore in occasione di scene indimenticabili (la rabbia finale di One on One, specchiata nel volto di Kim Ki-Duk?; la leggadria estatica di un Métamorphoses nel volto di Christophe Honoré?; i brividi lungo la schiena, sulla colonna vertebrale di Charlotte Gainsborough davanti a Nymph()maniac?).
Una casa a venti minuti dal Lido accoglie le nottate di poveri recensori incattiviti dalla stroncatura o impazienti della critica positiva, e sono nottate in cui pur di continuare si mangiano intere ore di sonno (e ci si mangia un gelatino ristoratore), dormite incoraggiate teoricamente da costanti sveglie alle 7,00, quando fuori nella Laguna c'è un freddo pungente (che anticipa contraddittorio caldo da meriggio successivamente). Sul vaporetto, i posti a sedere sono una lontana illusione persa in partenza di fronte alla constatazione del reale, e costringono ad attese un po' annoiate di zombie assonnati arrampicati agli scorrimano o ai bordi meno adatti. L'attracco a ogni stazione è come un dosso rallentatore che ridesta l'autista dormiente, con quel botto contro la banchina che ci si chiede come ancora l'intera baracca sia in piedi. L'ultimo scossone è l'arrivo al Lido e la rincorsa dell'autobus sul Gran Viale, quell'autobus che se parte non c'è problema ché ne arriva subito un altro, e su cui diventa quasi naturale entrare convalidando il biglietto (dalle mie parti, il biglietto è un optional che ti rende anche abbastanza ingenuo).
L'arrivo al Movie Village coincide con la ricerca di un bar meno affollato e più attrezzato possibile, in cui un muffin al cioccolato diventa preda ambita di chi scrive, ricarica mattutina che come un energy drink risveglia per la proiezione delle 9 in Darsena. Dove la fila, anche per il film più insospettato, si allunga in maniera considerevole. Fin quando non si entra e si prende posto (quasi sempre nello stesso, se non si è anticipati da qualcuno: che razza di maledizione è questa?), e si accetta di buon grado il primo lungometraggio, spesso in concorso, assolutamente imprevedibile in quanto a qualità. Così avverrà anche alle 11,30, così avverrà il pomeriggio, e nella "prima" e "seconda" serata, con le dovute eccezioni, con gli scambi di opinioni tra una proiezione e l'altra, laddove la compagnia giusta diventa la fortunosa coincidenza che ti permette di mettere ordine alle idee e di ridimensionare razionalmente una prima impressione. In questo caso, in termini umani, non ci si può davvero lamentare, se i compagni di ventura/coinquilini sono affabilissime persone apertissime a qualsiasi tipo di opinione e osservazione, interessate a organizzarsi il lavoro (per la sera) nella maniera che più possa risultare favorevole alla buona promulgazione di un post informativo sul sito.
Desunte dunque tutte queste considerazioni, riguardo piccole azioni che si sono fatte abitudini, e che prevedevano o visioni fatte in compagnia, o in solitaria, sarebbe anche ora di stabilire una propria lista di preferenze. Messe in ordine, perché la maggior parte dei buoni cinefili ossessionati adora fare liste, e non posso che dirmi parte (ossessionata) del gruppo. Ecco le mie preferenze, i magnifici del Festival, con voto annesso. A cui va forse aggiunto il grande entusiasmo per la circostanza in cui i seguenti film sono stati visti. Tutti preceduti dalla splendida animazione di Simone Massi, su un bambino che trova in un pesce il Meraviglioso.
Con Amira Akili, Sébastien Hirel, Damien Chapelle, George Babluani, Mélodie Richard
Nella Giornata degli Autori, una perla pulita, opalescente, edonistica e classicamente eversiva. Honoré e i suoi dèi, nella loro apatica e statuaria perfezione. ****1/2
La director's cut, finalmente completa, del dramma della Forma. Esteriorità affabulatrice per celare il Nulla della realtà, emozionante quanto e più di prima a una seconda visione. ****1/2
L'attore che indossa i panni della vita di un invadente e già deciso Presente. Uno sguardo che non si stanca mai di girare e perlustrare, attento a non perdersi alcun dettaglio. E una carrellata di nevrosi dissociabili dalla ricerca di un miracolo. ****
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