Questa play nasce da un fatto personale, che voglio condividere con la fantastica community di Film tv.it: ai primi di Settembre mi trasferirò nella capitale dalla mia cittadina, Termoli nel Molise, dove ho trascorso gran parte della mia esistenza. Arrivato a questo punto, avevo bisogno di nuovi stimoli e nuove possibilità relazionali e ho pensato che la capitale me li poteva offrire più facilmente. Per “festeggiare” l’evento, ho pensato di comporre una play dove rievocare il rapporto della Città Eterna con il cinema, attraverso le visioni che di essa ce ne hanno dato diversi autori, ognuno secondo la propria particolare poetica e sensibilità. Naturalmente, i titoli sarebbero numerosissimi e mi sono limitato ad una ristretta selezione; chi vuole aggiungerne altri, lo faccia pure.
Il rapporto di Federico Fellini con Roma è fondamentale nella sua carriera di regista, a partire dal pasoliniano “Le notti di Cabiria” che vide la collaborazione alla sceneggiatura del poeta friulano, fino a “Roma” del 1972, strutturato in diversi episodi di forte suggestione figurativa, in cui viene rievocato anche l’arrivo dello stesso Fellini diciottenne a stazione Termini sul finire degli anni Trenta. Tra tutti i film del riminese ambientati nella capitale, il più famoso è certamente “La dolce vita”, Palma d’oro a Cannes nel 1960, e non solo per la mitica scena in cui Mastroianni ed Ekberg fanno il bagno vestiti nella Fontana di Trevi. Nel suo Dizionario dei film, Morandini definisce la Roma felliniana “una Babilonia precristiana, affascinante e turpe”. Fellini ci dette un affresco corale in cui la Roma degli anni Sessanta, nel periodo del nascente Boom economico, già recava i germi di una crisi morale di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze. E’ un film pessimista, spesso disperato in cui di Dolce vi è solo l’involucro.
Paolo Sorrentino riprende da vicino il modello de “La dolce vita” e lo aggiorna alla crisi spirituale che caratterizza la società odierna, senza timore reverenziale, con immagini visionarie dove assistiamo ad una Roma alto-borghese e aristocratica immersa in un nuovo “sonno della ragione”, fra salotti mondani vuoti e decadenti e festini in discoteca dove si celebra la nullità, comunque rassicurante, di una classe sociale allo sbando, di cui stavolta il testimone privilegiato è il giornalista ed intellettuale Jep Gambardella. Narrazione spesso ellittica e allusiva, ma immagini firmate dal grande Luca Bigazzi che sposano il contrasto fra carnalità e pulsioni serafiche con esiti di grande fascino.
La Roma di Pasolini è quella delle borgate sottoproletarie dove erano ambientati i suoi primi romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta” e dove si svolgono anche i film che formano un’ideale trilogia: “Accattone”, “Mamma Roma” e l’episodio “La ricotta”. Naturalmente si tratta di una Roma senza glamour, fatta di periferie desolate e desolanti, di squallidi casermoni dove si ammassano poveracci senza futuro per cui il regista prova una naturale simpatia e in cui finisce per identificarsi, come lo sfortunato Ettore, figlio di Mamma Roma e vittima delle aspirazioni della madre ex-prostituta alla tranquillità piccolo-borghese. Il finale del film, commentato dalle musiche di Vivaldi, in cui Mamma Roma corre per la strada e vorrebbe buttarsi da una finestra, è esemplare dell’indifferenza alle tragedie umane di queste borgate crudeli.
Con Monica Vitti, Alain Delon, Francisco Rabal, Lilla Brignone, Louis Seigner, Rossana Rory
Capitolo conclusivo della Trilogia sull’incomunicabilità di Antonioni, l’unico ambientato nella capitale: in particolare risaltano le sequenze ambientate alla Borsa di Roma, dove assistiamo alle manovre di molti scommettitori per guadagnare facilmente denaro, ma spiccano anche le architetture fredde e geometriche del quartiere dell’Eur che fanno da sfondo ai vagabondaggi di Vittoria e Piero, lei ennesimo ritratto di donna infelice e insoddisfatta, lui un ragazzo troppo materialista che non riesce a comprenderla nel profondo. Nel finale di tono astratto gli oggetti e le architetture si sostituiscono completamente ai personaggi
Una principessa stanca dei rituali di corte fugge in incognito a Roma e incontra un bel giornalista americano, di cui si innamora. Fu il primo film della serie di pellicole della Hollywood sul Tevere, girato interamente a Roma, e fu un grande successo internazionale che lanciò come diva la giovane Audrey Hepburn: una favola forse un po’ prevedibile che aprì la strada a molti altri film “turistici” come “Tre soldi nella fontana”, una Roma un po’ da cartolina con personaggi italiani gradevolmente macchiettistici, ma anche un film con sequenze divenute giustamente famose, come la corsa in Vespa di Peck ed Hepburn per le vie del centro o la rissa nel dancing sul battello vicino Castel Sant’Angelo. E una Hepburn davvero spontanea e palpitante, che meritò l’Oscar al suo primo ruolo da protagonista.
Con Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Vito Annichiarico, Maria Michi, Marcello Pagliero
Non poteva mancare in questa ricognizione il Neorealismo: molte pietre miliari del movimento sono girate a Roma, e il film di Rossellini fu uno dei primi ad essere girato in location reali e non nei teatri di posa. Fu il film forse più rappresentativo dell’estetica neo-realista, fece conoscere il nome di Rossellini e della Magnani in tutto il mondo, ma è ambientato e girato in una Roma sconvolta dal conflitto, con la presenza minacciosa di fascisti e nazisti. Una città testimone silenziosa della morte della sora Pina (sequenza d’antologia, passata negli annali) e poi nel finale di quella di don Pietro, mentre i bambini disperati si incamminano verso la Roma di domani.
I principali capolavori neorealisti di Vittorio De Sica si svolgono tutti a Roma, da “Sciuscià” a “Ladri di biciclette” ad “Umberto D.”, canto del cigno del movimento estetico e culturale e film che colpisce ancora oggi per il disincanto ed il pessimismo della visione, che però non prescindono mai dall’umanità e dalla dignità con cui è rappresentato l’anziano protagonista e il suo calvario esistenziale che lo spinge sull’orlo del suicidio. Anche qui una Roma indifferente, a tratti apertamente ostile al personaggio: restano impresse le sequenze al canile, quella della degenza in ospedale, la passeggiata a villa Borghese con il cagnolino Flike e il tentativo di suicidio che precede il finale.
Con Alberto Sordi, Shelley Winters, Romolo Valli, Vincenzo Crocitti
Anche Mario Monicelli ambientò la maggior parte dei suoi film a Roma, dalla celeberrima “commedia all’italiana” “I soliti ignoti” fino a titoli meno conosciuti come la commedia corale “Padri e figli” fino a questo “Borghese”, tratto da un romanzo di Vincenzo Cerami, che diede uno dei suoi ruoli più memorabili e negativi ad un inedito Alberto Sordi. E’ un apologo inquietante sui pericoli del conformismo sociale e sulla degenerazione di un concetto di "giustizia privata", derivante da una mentalità sostanzialmente fascista, mascherata sotto le apparenze e i rituali rassicuranti della piccola borghesia. Il film parte come una commedia di costume con notazioni satiriche e grottesche sulla corruzione di un certo ceto burocratico che sente il bisogno di rivolgersi alla Massoneria per sistemare i propri affari, poi si trasforma improvvisamente in un dramma che, nella parte finale, vira sempre più verso la tragedia e perfino verso l'horror insolitamente cruento.
In una rassegna di film “romani” non poteva mancare Nanni Moretti, di cui diverse pellicole si svolgono nella capitale, fra cui scelgo il primo episodio di “Caro diario”, “In vespa”, divenuto giustamente famoso e con un omaggio a Pasolini molto sentito e significativo.
il primo film "italiano" tratto dal libro di Matheson "io sono leggenda". Roma città desolata, contaminata da un virus dove si aggira un frastornato Morgan/Price. Bellissimo!. Qui tutti i posti riconoscibili di Roma http://it.wikipedia.org/wiki/L'ultimo_uomo_della_Terra qui invece il film completo https://www.youtube.com/watch?v=NvitAWbth_Q
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