O.k, ormai l'avrete capito (o almeno l'avranno capito quei 4,5 che son così buoni da leggere le mie play). Io seguo poco il cinema mainstream, o comunque non amo parlarne. Non ha bisogno di niente, lo conoscono tutti, ne parlano tutti. E allora per la quarta volta su quattro le mie linee guida saranno
- film non famosissimi - film per me validi - film recenti
È una cantilena lo so, ma l'obbiettivo di queste play è dare una spinta a tanti film meritevoli che la distribuzione ha completamente o quasi completamente ignorato. Quindi che senso ha mettere Fight Club, Memento, The Others, I Soliti Sospetti, Il Sesto Senso, Vanilla Sky e compagnia bella? Nessuno.
Magari potevo mettere roba come Una Pura Formalità di Tornatore ma, avendolo scritto adesso, è come se l'avessi messo. Sono divertente e furbo.
Ah, ma di cosa stiamo parlando? Giusto! Dei finali ovviamente. Quelli inaspettati, sorprendenti, rivelatori. Quindi c'è bisogno che dica che sta lista è a rischio spoiler? No vero?
Se leggete il titolo di un film che non avete visto passate oltre. E se per colpa mia capite che quel film che non avete visto ha un finale ribaltante che cazzo, è solo meglio no? Via.
Con Ricardo Darín, Soledad Villamil, Pablo Rago, Javier Godino, Guillermo Francella
Quando Benjamin arriva alla fattoria e scopre quella cosa più che essere sorpresi iniziamo a ripensare a tutto il film, a tutti gli indizi, a tutte le piccole cose che potevano farcelo capire.
E un film già meraviglioso di suo, se possibile, diventa ancora più grande.
Con Paddy Considine, Gary Stretch, Toby Kebbell, Jo Hartley, Seamus O'Neill
Qui il colpo di scena arriva in maniera talmente dolce che è come se se il film ci accompagnasse per mano verso di lui.
Magari si poteva capire subito, magari un pò più tardi, magari quando diventa esplicito.
Ma che lo si capisca all'inizio, alla fine o in mezzo rimane qualcosa che quando la scopri ti fa vedere il film e tutte le sue vicende con occhi completamente diversi
Probabilmente ha un marchingegno simile a quello di un quasi sconosciuto e sottovalutato film, Davanti agli occhi (il cui finale io non capii, lo ammetto).
Qua invece quando il twist arriva è tutto esplicito.
Ogni scelta ha diverse conseguenze.
Stupendo.
"Negli scacchi è chiamato Zugzwang... quando l'unica mossa possibile... è quella di non muovere."
Qui non è disturbante semmai ironico..... ma sicuramente "imprevedibile" sì (e infatti almeno quando l'ho visto io, l'applauso in sala (e il mormorio ) c'è stato, eccome!
Profonda riflessioni a proposito del tremendo potere che si schiude in un istante a chi nelle immagini della morte violenta trova profonda ispirazione per trarne un film di incantevole, oltre che poetica descrizione dell’assassinio cruento come una delle belle arti.
Film magistrale, diretto con un senso dello spazio che dà i brividi, tagliato da travelling sinuosi tra la natura selvaggia, impreziosito da piani sequenza (l’uccisione di Sontag è da antologia) mobilissimi, contrappuntato da uno score di grande fattura composto da Lucio Godoy (Intacto, I lunedì al sole, Cachorro, Non ti muovere, Triage), El Aura supera la prova di opera seconda ma lascia l’amaro in bocca perché film come questo riconciliano con il piacere del vedere ma sono mosche bianche.
Eric Van Looy sente l’influenza di Michael Mann, la offre agli spettatori, depurandola dagli artifacta del noir esistenziale, non ha timori reverenziali verso il grande Mann, prende in prestito e ci consegna un grande film con gli interessi. Memento è il capostipite dei cocci della memoria a ritroso, Vengeance è uno scolaro diligente, The Alzheimer Case un maestro.
Un cinema che ha il coraggio di ibridare la geometria del thriller 'a orologeria' alle astrazioni di un mistery surreale ed oscuro, un cinema sobriamente allucinatorio e orgogliosamente imperfetto che proprio tra le smagliature dello script (di cui qui Anwar è responsabile unico) nasconde la propria irrazionale potenza, il proprio indubbio fascino, e le proprie innate doti affabulatorie.(pazuzu)
Siamo in un film di Takashi Miike, non in uno dei soliti thriller che fanno gridare la critica al miracolo dei corpi mutanti cronenberghiani, - anche se le analogie con il regista canadese non mancano, non fosse che il geniale regista giapponese va oltre la metafora di History of Violence e va diritto al crudo della carne macinata e frullata che il buon Aoyama appiccica alle tele con la dedizione di un cuoco esperto in veste di artista. Body Art, potrei dire: l’insieme sarà pure action painting ma il prodotto finito lascia il riflesso funebre delle foto scattate da Serrano e Witkin alla morgue o delle installazioni di Hirsch – teste spiccate dal busto, morti penzolanti da corde di asfissia autoerotica e altre sniffate di snuff.
Dimenticatevi tutti i film sull’impagliamento dei cadaveri, "Taxidermia" è un unicum nella storia di questa benemerita quanto lugubre professione. Nessuna parentela con "L’imbalsamatore" di Matteo Garrone né con la perturbante madre di Norman Bates. "Taxidermia" è la messa in scena di rivoli culturali che, partendo dagli studi dell’humour carnevalesco di Bachtin, ingloba e assorbe il lato necrofilo che Ferreri aveva illustrato nella "Grande abbuffata".
Un twist che come in un nastro di Moebius deve percorrere per due vlte ''lo stesso'' tracciato per riuscire a tornare al punto di partenza.
Che nel frattempo si è spostato.
Ci sono i "falsi twist", quelli telefonati o che concretizzano un'opzione tra due, magari la meno probabile, lasciata costantemente aperta, e poi ci sono i "veri twist", quelli che non ti aspetteresti.
Riuscire a capirci qualcosa prima del finale-bomba rivelatore non è affatto una passeggiata, ma vale la pena di provarci e soprattutto di non desistere dalla visione.
Il twist più che altro sta nel passaggio dal "Ma dai, non può farlo" a "L' ha fatto" o forse no? Ognuno si farà la sua idea. Resta comunque una delle scene più belle (nella sua drammaticità) degli ultimi tempi.
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