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A confronto con altri film citati qui, non furono tantissimi gli anni che ci vollero a Orson Welles per portare a termine il suo straordinario film sul Moro di Venezia. Dal 1949, anno di inizio delle riprese, al 1952 quando il film fu terminato si contano 3 anni. Per il regista furono però tre anni lunghi e molto complicati: non appena iniziò a girare il produttore (italiano) del film comunicò il fallimento. Da allora fu una lunga e affannosa corsa per recuperare soldi, molti dei quali li mise Welles di tasca sua, compresi quelli ricevuti come compenso per la parte in Il terzo uomo. Nel frattempo alcuni attori diedero forfait, alcune scene vennero girate nuovamente, altre - iniziate mesi prima - furono completate in location completamente differenti. 

La menzione va quindi necessariamente fatta: se non altro - anche se la cifra non è da record - siamo di fronte a un grande caposaldo del cinema.

Il primo lungometraggio di Lynch è un altro di quei film la cui produzione sfuggì letteralmente di mano. Ci vollero infatti  5 anni per portarlo a termine. Pare che l'errore sul budget del film - causa dei ritardi - originò dal fatto che i produttori dell'American Film Institute, contando le pagine dello script, pensarono di trovarsi di fronte a un cortometraggio di 20 minuti: un errore sostanziale. Le riprese durarono così- con varie interruzioni - dal 1972 al 1977. I set vennero distrutti più e più volte e il giovane Lynch le provò di tutte per racimolare i soldi necessari a finirlo, compreso il mettersi a lavorare come garzone per la consegna dei quotidiani. Meno male che poi ce la fece. 

Per finire questo film (nomen omen?) Guillermo del Toro ne ha fatte di ogni. Compreso vendere il suo furgone, ipotecare la sua casa e mettersi in mano agli strozzini, con interessi sui prestiti che andavano sino al 60% del capitale prestatogli. Però alla fine, dopo 7 anni, ce la fece. E almeno la strada del successo gli fu spianata.

Anche i film a bassissimo budget possono chiedere molti anni di lavoro e stenti. È il caso di questo fantastico e demenziale B-Movie (ma forse anche C o D), che chiese 7 anni per essere finito. Recitato da drag queen di San Francisco, girato in un appartamento, è diventato un piccolo cult. 

Un progetto di animazione che testimonia la devozione di un autore alla sua opera. Per questo film girato a passo uno (che già non è una delle tecniche più veloci..) Christine Cegavske ha dedicato ben 13 anni della sua carriera. In questo caso i ritardi furono di vario genere ma tra tutti il più spettacolare fu che la madre della regista a un bel punto gettò via tutti i pupazzi, obbligando la regista a farli rifare. Il bello è che il film è inteso come primo capitolo di una trilogia. Se questi saranno i tempi anche per gli altri due, dubitiamo che molti di noi possano mai vederla tutta. 

Un'altra storia di dedizione, un altro progetto animato soprattutto dalla tenacia. Il film metà documentario e metà fiction di Jim Van Bebber sulla famiglia Manson (come si faceva chiamare la comunità che circondò Charles Manson, accompagnandolo nel suo delirio culminato nel sangue), chiese 15 anni di lavoro. 

Anche nel caso di questo film indiano, reso celebre dall'ultima interpretazione della grande Meena Kumari, le disavventure furono molteplici. Innanzitutto il regista Kamal Amrohi, che nel 1958 (ai tempi cioè dell'inizio delle riprese) era sposato con la Kumari, decise di passare dal bianco e nero al colore, rigirando molto materiale già disponibile. In secondo luogo sia il direttore della fotografia sia l'autore delle musiche originali morirono. Poi Amrohi e la Kumari si separarono. Quando i due arrivarono finalmente a un accordo sul divorzio e si potè finire il film erano passati 14 anni. Peccato  che a quel punto la Kumari, alcolista persa, era gravemente malata. Si girò quel che si poteva per finire la pellicola e in alcune scene si dovette usare una controfigura. Poco dopo la fine del film, la diva indiana morì. 

Non fu una questione di soldi a far passare addirittura 21 anni (ventun anni) tra l'inizio e il termine delle riprese di questo film della Riefenstahl. La romantica avventura del pastore Pedro, alla ricerca della sua amata zingarella Martha (interpretata dalla stessa regista) fu bloccata nel suo compimento dalla Storia, quella con la maiuscola. Iniziato nel 1934 (due anni prima quindi delle Olimpiadi di Berlino, immortalate dalla regista portata in palmo di mano da Hitler), il film fu continuato a tratti, girando anche durante la guerra. Al termine, le pellicole vennero requisite dalle autorità francesi mentre le Riefensthal venne detenuta per tre anni e subì diversi processi, che alla fine però la videro assolta. Quando le pellicole le vennero restituite, molto materiale era danneggiato, altre scene mancanti. Le editò come potè e grazie anche all'interessamento di Cocteau, nel 1954 la pellicola arrivò a Cannes, sneza successo. Fu l'ultimo film della Riefensthal, che poi si diede alla fotografia e ai viaggi. Fu tempo dopo che si scoprì infine che alcuni bambini zingari usati come comparse, dopo le riprese, vennero mandati a morire nei campi di concentramento.

L'ambita Lumaca d'Oro va però a questo film di animazione di Richard Williams, meglio noto come l'autore delle animazioni di Chi ha incastrato Roger Rabbit, per le quali ricevette uno speciale premio Oscar. Il folle e ambizioso progetto nel quale si imbarcò nel 1964 vide il termine solo nel 1993. In mezzo 28 anni di straordinarie fatiche, di soldi racimolati a stento. La storia è tanto lunga, eccezionale e articolata che si è meritata addirittura un documentario che la narrasse: Persistence of Vision. Il guaio è che il finale, in questo caso, non è stato rosa: a un soffio dal completare il lavoro di una vita, Williams si vide sottrarre il film dalla produzione, preoccupata dall'ennesimo sforamento di budget. Lo completarono altri, e malamente. Roba che nemmeno Dorando Pietri...

Girato in 12 anni con lo stesso cast con l'obiettivo esplicito di raccontare in maniera innovativa la crescita di Mason un bambino dai 6 ai 18 anni e di seguire l'evoluzione delle relazioni all'interno del nucleo familiare (madre, padre e sorella) riprendendo e testimoniando i momenti fondamentali nella formazione del protagonista. Scommettere sulle doti recitative di un bambino di 6 anni per i successivi 12 non deve essere stato facile anche perché, una volta individuato il protagonista, la relazione è stata impostata come un atto di fede e senza obblighi contrattuali, contando proprio sulla costruzione di un rapporto familiare che uscisse dai classici canoni industriali e produttivi. Cosa che ha permesso infatti lo sviluppo di una profonda amicizia tra il giovane e Lorelei Linklater, figlia dell'autore e protagonista anch'essa nella parte della sorella di Mason.