Che il cibo sia dell’eros a volte metafora, correlativo oggettivo, simbolo oltre che semplice carburante, non v’è dubbio. Come la lupa verghiana che gli uomini se li mangiava cogli occhi, la funzione del mangiare sublima spesso, anche nel cinema, a uno stadio più alto: materica, diventa aerea come il godimento – o il dolore – che provoca. Laddove il succo gastrico si affratelli all’umore – perché è pur sempre dalla materia che tutto origina in questo piano –, laddove i sensi, coinvolti integralmente, provochino un domino il cui ultimo tassello è ora ianua paradisi, ora ianua diaboli, laddove, a un livello ancora più alto, persino il proprio Dio si mangia, il cibo e il mangiare diventano qualcosa d’altro, qualcosa di più: l’innesco, l’analogia, l’incipit. Ecco allora una sfilza di film, o di singole scene, che questo scarto rispetto al semplice grufolare di un maiale nel trogolo fanno lampeggiare, dell’eros facendo comprendere qualche aspetto ulteriore.
Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ingenerò la sorte, vi è sigillata in quel tenerissimo e cupissimo a un tempo “Mangia! Se tu non mangi tu non puoi morire” tognazziano la chiave di volta della pellicola. L’eros trofico come via alla morte. È il mistero che corre per tutto il film: perché i quattro hanno deciso di morire amoreggiando col cibo come in un’orgia senza requie?
Memorabile la scena in cui il malizioso Merovingio solletica l’interesse dei suoi commensali innescando nella bionda al tavolo di fronte, tramite l’ingestione di un semplice cucchiaino di torta al cioccolato, un’improvvisa, irrefrenabile esplosione orgasmica: l’eros è dunque un programma della Matrix? Forse sì, finché almeno si subisca passivamente la legge di causa-effetto che, soverchiante, a questo piano tiene legati.
Con Eriq Ebouaney, Kang-ho Song, Ha-kyun Shin, Ok-bin Kim, Dal-su Oh, Mercedes Cabral
La scena principe del film è quella in cui l’ex prete-vampiro inizia la sua donna: lui succhia lei ma lei, diventata ormai vampiro, succhia lui, in un 69 uroborico da brividi.
Con Paolo Bonacelli, Giorgio Cataldi, Umberto Paolo Quintavalle, Aldo Valletti
- Carlo, metti le dita così. Sei capace di dire, non posso mangiare il riso, tenendo le dita così? - Non posso mangiare il riso… - E allora mangia la merda!
In questo scambio di battute innescato dal salacissimo Presidente con sottile voce bellocchiana, all’altezza del tetro girone della merda, c’è il senso del folle capolavoro pasoliniano: una riduzione dell’eros di dieci ottave a raffinatissimo e beffardo strumento di coartazione e di potere. Anche se, come si sa, è nella merda che si trova l’oro: ma questa è un’altra storia.
Il sublime cioccolato di Vianne scardina persino le resistenze del principe dei bigotti, rivelandone il miserevole auto-inganno. Potenza disvelatoria dell’eros, davanti al quale i veli cadono inesorabilmente.
In una delle ultime scene di un film tutto tramato dai banchetti, i ruoli si invertono: il valletto che s’è rivelato attore vuol essere servito della colazione, ma ignora le convenzioni degli sprezzanti snob inglesi: così nell’eros i ruoli si rovesciano continuamente, e il servitore può diventare servito e ridiventare, d’un balzo, servitore.
Il ministro, ormai esautorato, ritrova l’animo del flâneur e gli amici di sempre: uno di questi, trattore di una locanda, gli rifila un umilissimo pesce arrostito mangiato per metà, che lui prende di buon grado e divora: l’eros come livella, e se per il principe de Curtis la livella era la morte, si ritorna al primo dei sette.
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